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Autore: SalvamiDaiMostri    08/02/2016    2 recensioni
Johnlock dai toni estremamente drammatici a causa di una particolare condizione di Sherlock: mai avrebbe pensato che le stronzate del suo passato avrebbero inciso così profondamente sulla sua vita adulta e compromesso fino a tal punto la sua felicità. E a pagarne le conseguenze è John. E questo Sherlock sa che è terribilmente ingiusto, oltre che pericoloso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“La maggior parte dei pazienti nelle fasi più avanzate dell'AIDS presenta sintomi simili a quelli che si osservano negli stadi terminali dei tumori o di altre malattie irreversibili. Questi comprendono manifestazioni dolorose a varia localizzazione, anoressia, perdita di peso, nausea, vomito, dispnea e tosse, ai quali frequentemente si aggiunge una compromissione delle capacità cognitive e motorie causate dall'encefalite da HIV o da altre patologie croniche del sistema nervoso centrale che causano un notevole peggioramento della qualità di vita.”
John si lascia cadere sulla sua poltrona con un lamento, chiude gli occhi e sospira.
Finalmente Sherlock si è addormentato.
Ora sa che deve occuparsi di mettere in ordine l’appartamento e soprattutto la cucina, perchè, se la signora Hudson dovesse salire e vedere tutto quel disordine, di certo si metterebbe a fare le faccende domestiche al posto suo e John sa che non avrebbe la forza di rifiutare. Ma la dolce signora Hudson è una cara amica, la loro padrona di casa, non la governante.
Sospira di nuovo.
Forse è tempo di assumerne una. Mycroft aiuterebbe di certo a trovare qualcuno di idoneo e a pagarle un salario decente.
Sta perdendo tempo: non sa quanto Sherlock se ne starà buono, di norma non molto, e deve assolutamente dare una sistemata perchè certamente dopo l’ora di pranzo la signora Hudson verrà a far loro visita, come ogni giorno. Apre gli occhi: ci sarà qualcosa da mangiare per pranzo?
Si alza e si dirige verso la cucina. Apre il frigo: dei cavoli e del maiale. Bene, un pranzo può organizzarlo, ma dovrà andare a fare la spesa per mettere qualcosa in tavola a cena. Ma Sherlock si comporterà bene sul taxi? E al supermercato? Forse dovrebbe chiedere a Molly di venire a badare a lui per un’oretta... Ma povera donna, avrà lavorato tutto il giorno. Questa settimana inoltre è già venuta una volta, non può chiederglielo di nuovo. No. Lo porterà con sè, dopo aver dormito sarà tranquillo, spera.
John si guarda intorno: com’è possibile che ci sia talmente tanta roba in giro se ha fatto le pulizie tre giorni prima? Sospira di nuovo e comincia a lavare i piatti. Poi pulirà bene la cucina, ordinerà il salone e andrà a buttare la spazzatura. No, aspetterà che salga la signora Hudosn per uscire: se Sherlock si dovesse svegliare da solo si spaventerebbe.
Bussano alla porta.
John ha un sobbalzo: Così presto?? Perchè è salita così presto? Ora vedrà in che condizioni è l’appartamento! Oh dannazione, doveva muoversi prima e magari cominciare dal salone, pensa tirando un pugno all’aria.
“Arrivo, signora Hudson...” risponde avvicinandosi rassegnato alla porta. Apre: “La prego, non badi alla confus-” Aveva dato per scontato che si trattasse della usa padrona di casa perchè non aveva sentito suonafre il campanello, ma non è lei che trova fuori dalla porta: la donna che gli si presenta carica un borsone blu sulla spalla e lo guarda severamente. “Harry??”
“Mi ha fatta entrare la signora Hudson.”
John è sbigottito e rimane a bocca aperta per diversi secondi prima che sua sorella, spazientita, si faccia strada all’interno del 221b dandogli una spallata. John si volta verso di lei scioccato, con il pomello della porta ancora stretto nella mano.
“Puoi anche chiuderla: non ho intenzione di andarmene.” Dice lei lasciando cadere a terra il proprio bagaglio.
John comprende di essere rimasto imbambolato e si appresta a chiudere l’uscio.
“Harry, non ti aspettavo...” le dice sorridendo.
“Già. Immagino che, dato che mi hai tenuto all’oscuro di ciò che sta succedendo a mio cognato, non ti sia potuto passare per l’anticamera del cervello che sarei venuta a darti una mano!” John guarda a terra: sarà anche stato in guerra, ma la furia di sua sorella era peggiore di qualunque altra minaccia. “Come hai potuto??”
“H-hai ragione, mi dispiace. Non era mia intenzione... È che sta accadendo tutto così infretta, non volevo disturbarti e-”
“Balle.” Lo interrompe. John sospira e le indica la propria poltrona:
“Ti prego, siediti.” Lei si accomoda. Il fratello sospira ancora mentre cammina verso di lei: “Chi te l’ha detto?”
“Molly Hooper.”
“Molly?”
“Ci siamo conosciute al matrimonio, ricordi? Siamo rimaste in contatto... È così carina. In ogni caso, non posso crede che tu mi abbia tenuta all’oscuro di tutto questo!” John intanto si siede sulla poltrona di Sherlock. “Io posso darti una mano. Io voglio aiutarvi.”
“Non posso chiederti questo.” Risponde lui scuotendo la testa.
“Puoi proprio scordarti di affrontare tutto questo da solo!” Harry si rende conto di essere stata troppo aggressiva date le circostanze vedendo che suo fratello ancora non la guarda in faccia; si prende qualche secondo e respira per calmarsi: “John, non puoi farcela da solo...” John di colpo alza lo sguardo per incontrare quello di sua sorella:
«È così evidente?»
Harry viene colpita dritta allo stomaco dall’epressione disperata di suo fratello: fino a quell’istante aveva indossato come una maschera di serenità, probabilmente nella speranza che lei se ne andasse infretta, ma ora il velo è crollato e John non può nasconderle più la sua sofferenza. La donna è improvvisamente sconvolta dal comprendere quanto sia realmente grave la situazione: non ricorda di aver mai visto John così distrutto, nemmeno quando Sherlock era sotto chemio.
“So che non me lo chiederesti mai. Ma non devi farlo: Sherlock fa parte della mia famiglia, io voglio esserci per lui. E aiutarti.” Harry si alza, si avvicina al fratello e si siede sul bracciolo della poltrona nera; gli mette una mano sulla spalla e lui la stringe con la sua “Nella nostra casa un concetto del genere non ci è mai stato insegnato o dimostrato... Lo so. Ma io non commetterò gli stessi errori di mia madre. Non abbandonerò mio cognato, non abbandonerò mio fratello. Qualunque cosa accada.” John si alza e abbraccia forte sua sorella, senza dire una parola; lei subito ne è sorpresa, ma poi lo abbraccia a sua volta. “Va tutto bene John, insieme sarà più semplice, vedrai...” Con voce rotta, John riesce a rispondere:
“Grazie.”
“Dai su, siediti. Hai un aspetto orribile.”
“Lo so...”
“Ti preparo un té, lo vuoi?” il fratello annuisce e lei si avvia verso la cucina “E mister zigomi d’acciaio? È in casa?”
John sorride: fa piacere sentirlo chiamare così.
“Dorme. È stato sveglio tutta la notte...” risponde passandosi una mano sugli occhi stanchi.
“Oh. Vuoi andarti a coricare anche tu un momento? Metto io a posto, non ti preoccupare...”
“No, no... “ dice alzandosi e raggiungendola in cucina: “Voglio esserci quando si sveglia: non voglio che si spaventi nel trovarti qui. È molto probabile che non ti riconosca. Detto francamente, di questi tempi posso ritenermi fortunato se riconosce me quando si sveglia...” John si appoggia allo stipite della porta.
“È già a questi livelli dunque...” lui annuisce “Così rapido? Molly ha detto che è colpa dell’AIDS...”
“Sì, è così. Non è una normale demenza... È causata da un’encefalite, che è un’infezione che ha preso per colpa dell’AIDS. Le cellule del suo cervello stanno morendo ad un ritmo irrefrenabile. Da qui il peggioramento così veloce.”
“Molly ha detto che... Gli restano solo alcuni mesi...”
“Alcuni? Molly è sempre così positiva. No, sinceramente non credo che arrivi a vedere il nuovo anno. Saremo fortunati se potremo passare un altro Natale insieme.” iI cuore di Harry manca un battito. Più che per la gravità della situazione che ormai gli era piuttosto chiara, dal tono della voce di suo fratello: si era rassegnato. Lui è sempre stato un combattente: è forse la prima volta che Harry vede suo fratello accettare una resa davanti a una battaglia ormai più che persa. La sua voce non ha un briciolo di speranza. Lei prende dunque le tazze di té e le poggia sul tavolo. “Harry, non sarà facile... Io dubito che ti accetti. E non possiamo costringerlo a convivere con qualcuno che considera un intruso.”
“Sciocchezze, tuo marito mi adora!” risponde lei strizzandogli l’occhio, ma poi si fa seria e gli prende la mano: “Non ti preoccupare, fratellino, se dovesse rifiutarmi e non ci fosse modo di farmi accettare da lui, mi farò da parte. Ma vale la pena tentare: dopo tutto ho lavorato per diverso tempo in quella pensione per anziani a Cardiff, ricordi? Non sono un’esperta ma ho già avuto a che fare con persone nelle sue condizioni, e me la sono cavata piuttosto bene. Vedrai che non farò passi falsi.”
“Alcuni problemi rivestono particolare importanza: la diarrea, i dolori, la febbre ricorrente, l'ipotensione (pressione bassa) e la demenza. Tra i sintomi che accompagnano gli stadi avanzati di malattia va ricordato il dolore. L'interessamento di più organi ed apparati ad opera di patologie infettive e neoplastiche, in particolare del sistema nervoso centrale e periferico, causa dolori locali o generalizzati, quasi sempre ricorrenti o persistenti.”

Seduti al tavolo della cucina, i due fratelli recuperano il tempo perduto: è molto che non si sentono. Lei è venuta a Londra due volte mentre Sherlock stava combattendo contro il Kaposi e l’ultima volta che si sono visti è stato in occasione del compleanno di John dopo l’effettiva vittoria sul cancro. Da allora è passato molto tempo e la sorella ha molto da raccontare: ora vive in un appartamento in affitto ad Edimburgo perchè finalmente è riuscita a trovare un buon lavoro in un negozietto di alimentari. Mentre lei racconta, John la ascolta sorseggiando il suo té e si scopre veramente orgoglioso di sua sorella nel sapere che ora è finalmente serena. Se solo avesse la forza      per celebrarlo anche solo con un sorriso...
Improvvisamente sentono i passi di Sherlock avanzare nel corridoio. Quando arriva nella cucina, John si alza dal tavolo, va verso di lui e gli da un bacio sulla guancia.
Harry lo può finalmente vedere ed è evidente che è consumato dalla malattia: è di nuovo dimagrito come quando stava facendo la chemio, ha delle occhiaie profonde e un colorito drammaticamente pallido, che affiancato al viola scuro delle macchie lasciate dal Kaposi, risalta ancora di più. Maledette macchie, non si abituerà mai a vedergliele sul viso. Nè i suoi occhi nè i suoi capelli scompigliati brillano più come un tempo, sono velati dalla sofferenza, come quelli di un vecchio stanco.
“Sherlock, lei è Harry, mia sorella...” John trema nel presentargliela: Harry non sarà arrivata che da tre ore, ma John già avverte di essere più sereno e sollevato nell’averla anche solo semplicemente accanto a sé e ha davvero paura che Sherlock reagisca male nell’incontrarla ed essere costretto a salutarla così presto. Inoltre in lui si è accesa una minuscola, quasi impercettibile speranza che sua sorella possa davvero fare la differenza nella loro vita e prega che nulla vada per il verso sbagliato.
Harry gli sorride. Improvvisamente Sherlock muove qualche passo verso di lei e le sorride, stanco, a sua volta:
“Harry, ciao...” le dice nel riconoscerla. Harry si alza ed è lo stesso Sherlock ad abbracciarla.
“Ciao Sherlock, come stai?” lo saluta lei stringendolo a sé e accarezzandogli vigorosamente la schiena. Trova l’attimo per strizzare l’occhio a John che, dal canto suo, sorride come non fa da ormai troppo tempo.
“Io bene, ho dormito, sto bene... Resti qui?” dice separandosi da lei. Parla lentamente. Molto lentamente. Una parola alla volta, come se le cercasse a lungo prima di poterle pronunciare. Sono parole semplici, un discorso essenziale, ma quantomeno ha un senso.
“Vorrei restare, Sherlock. Voglio dare una mano a John con le faccende e stare un po’ insieme a voi ragazzi. Tu cosa ne dici? Ti farebbe piacere se restassi?” mentre gli parla, Sherlock si avvicina al suo compagno e appoggia le mani una sull’altra sulla spalla di John e ci appoggia la guancia, come se fosse il suo cuscino.
“Resta Harry, John è tanto triste. Resta.” A John si stringe i cuore a sentirlo parlare così: sa che soffre nel vedere in che condizioni è ridotto, anche se non lo dice mai, magari perchè non riesce proprio ad interpretare quella sua stessa sofferenza e reagisce ad essa come qualcosa di molesto e fastidioso e può capitare che la situazione non faccia che degenerare. “Però io faccio guai, tanti... Non voglio che ti arrabbi...” dice strusciando gli occhi chiusi contro le sue mani sulla spalla di John, cercando di destarsi del tutto e, di passo, una coccola.
“Non te ne devi preoccupare, tesoro.” Gli risponde lei “Qualunque cosa succeda, non mi arrabbierò con te. E poi osa credi? Sono una dura io! Sono forte!” dice facendo la voce grossa e mostrando i bicipiti con qualche smorfia e Sherlock ride di gusto, come un bambino. John fa davvero fatica a crederci. 
“In corso di AIDS si manifestano anche meningiti da criptococco, da istoplasma e tubercolari (da Mycobacterium tuberculosis) che sono caratterizzate da cefalea, stato confusionale, perdita della memoria, difficoltà psicomotorie, mioclonia, crisi convulsive e grave demenza progressiva fino al coma sono, sintomi tipici che appaiono settimane o mesi prima del decesso. Sono frequenti febbre, disorientamento e stupor, delirio, convulsioni, disturbi motori (movimenti involontari) e l’asimmetria dei riflessi, che sono in parte patologici.”

     
Anche se Harry ha insistito per aiutarlo, John ha fatto ordine e pulizia da solo mentre lei e Sherlock hanno passato la mattinata insieme: lei ha potuto constatare che Sherlock è ancora in grado di vestirsi, mangiare e lavarsi da solo, anche se con qualche difficoltà e con la necessità di essere supervisionato. Da quello che ha capito, accade addirittura che di rado prenda del tutto coscienza per qualche ora, qualche minuto, e torni praticamente lo stesso di un tempo. Ma per la maggiorparte del tempo, ormai appare evidente che la sua mente è gravemente lesa: sembra capire abbastanza quello che gli si dice, ma non è praticamente mai in grado di rispondere, di esprimersi in generale. E questo lo frustra molto: Sherlock è sempre stato una persona irrequieta, di poca pazienza, e soprattutto aveva sempre la necessità di spiegare ogni cosa, di avere l’ultima parola su tutto. E ora non ne è più in grado. A volte non se ne rende conto, ma quando si accorge che John o chiunque altro non lo capisce, si arrabbia parecchio. Un occhio inesperto direbbe che parla a vanvera, che ha degli scatti d’ira ingiustificati, ma non è pazzo: la malattia è terribilmente frustrante e gli impedisce di farsi capire e di comprendere ciò che accade intorno a lui. Inoltre la demenza causa aggressività verbale e gli procura molte ansie, come quella di essere lasciato solo, e lo rende molto sospettoso e diffidente di coloro che lo circondano. Tutto questo ha drammaticamente minato la sua personalità, riducendola a poco più di un brandello dell’uomo di pura mente che era stato.         
Dove mangiano in due, mangiano anche tre persone e John riesce a rimpire tre piatti per un pranzo vagamente decente. Sherlock fa meno capricci per prendere l’innumerevole quantità di pastiglie che toccano all’ora di pranzo che per finire il suo piatto, ma d’altronde Sherock ha sempre fatto troppe storie per mangiare.
Poco dopo aver pranzato, la Signora Hudson bussa alla porta puntualissima ed entra nell’appartamento (bello ordinato) con un vassoietto di biscotti fatti da lei in occasione dell’improvviso arrivo di Harriet. Per prima cosa va verso Sherlock che, seduto sulla sua poltrona, accarezza il suo violino e gli da un bacio sulla fronte. Lui sorride, ma rimane seduto. La donna è molto curiosa di sapere la ragione dell’improvvisa visita e, dopo essere stata aggiornata sulla grande novità, libera la sua sete di notizie sommergendo Harry di domande.
Sherlock non si è ancora alzato dalla sua poltrona e continua a far scorrere le sue dita lungo i lineamenti del suo tanto amato violino. È turbato, John se n’è accorto, ma non lo fa notare così che la Hudson non si preoccupi inutilmente: mentre le donne chiacchierano rumorosamente, John si eclissa dalla situazione per defilarsi a vedere cos’ha che non va suo marito.
Gli si avvicina e si accovaccia davanti a lui per cercare il suo sguardo:
“Hey, tutto bene?”
“No.” Dice scocciato. John storce il naso:
“Mi dici cosa c’è che non va?”
“No.” John sospira:
“Capisco... Un dolcino di quelli che ha portato la signora Hudson lo vuoi? Sono molto buoni...” Sherlock si limita ad annuire, il marito allora va in cucina e gli porta il biscotto al cocco e cioccolato, di certo quello che avrebbe più apprezzato tra quelli sul vassoio. Torna dunque da lui: “Dai, dammi il violino che lo metto a posto, e così  prendi bene il biscotto.”
“No.”
“Sherlock, se tieni tutte e due le cose in mano, richiamo che uno dei due ti cada per terra: lo rimpiageremmo entrambi immensamente se il tuo violino si rompesse. E di certo non vorrai sprecare un dolce fatto dalla signora Hudson.” Sherlock non accenna a dargli il violino. “E va bene, lascio il dolce sul tavolo: quando metterai il violino al suo posto, potrai mangiarlo.”
“IO FACCIO QUELLO CHE MI PARE!” grida allora lui, nella cucina, le donne si zittiscono improvvisamente all’udire le urla.
“Sherlock, non c’è bisogno di urlare. Non ti sto obbligando a far nulla: ma il violino è importante e tu lo sai.”
“Adesso è inutile. Non lo so usare più.” Brontola guardando il pavimento.
«Lo sapevo, di nuovo»
“Ah, è di questo che si trattava allora...” John gli sorride e appoggia la sua mano su quella di Sherlock che non molla la tastiera del violino. “Sherlock, non smetterà mai di essere importante. Anche se sta in silenzio.”
“Non serve a quello.”
“Questo lo dici tu. A me serve moltissimo, anche se sta zitto zitto.” Sherlock ora lo guarda negli occhi “Questo violino ha suonato pezzi meravigliosi insieme a te. E io li ho sentiti tutti e me lo ricordo bene. Per questo è importante. Lo capisci?” Sherlock rimane qualche istante in silenzio. “Lo mettiamo a posto?”
“Voglio tenerlo ancora un po’. Il biscotto lo mangio dopo, quando lo metto a posto.”
“Bravo.” gli dice accarezzandogli la guancia. La signora Hudson a stento trattiene le lacrime.
John racconterà poi a sua sorella che Sherlock ha rotto l’archetto un paio di settimane fa: per l’ennesima volta stava provando a suonare un pezzo, ma, sin dai primi tempi dalla diagnosi della malattia, ha cominciato a sbagliare sempre di più e a rimanere sempre più mortificato ad ogni errore fino ad arrivare all’esasperazione per non riuscire nemmeno a cominciare il pezzo decentemente e l’archetto ha pagato il prezzo della sua ira.
Nel raccontare del giorno in cui John, nel trovare l’archetto spezzato nella spazzatura, realizzò che non avrebbe mai più sentito Sherlock suonare, proprio non riesce a rimanere composto. La voce gli trema e torna lo spasmo alla mano. 
“[In corso di demenza] Le aree della funzione cognitiva più frequentemente colpite sono l'attenzione, la velocità di elaborazione delle informazioni e la comprensione. Si presentano problemi di dispercezioni, talvolta allucinazioni.”


“DEVO ANDARE A CASA!” grida ancora e ancora “È venerdì e Mycroft mi chiama tutti i venerdì: se non arrivo in tempo si preoccuperà! Devo andare a casa mia John, è tardi!”
Harry osserva che da quando si è arrabbiato, Sherlock parla più fluentemente: se non fosse per il fatto che non ricorda di vivere al 221b da anni, non sembrerebbe malato. John le ha già detto che è una scenata che monta spesso la sera (sia o meno venerdì) perciò resta seduta e tranquilla in modo tale da non creare un ambiente ostile attorno a Sherlock che sta affrontando un momento di confusione. John sa cosa fare: ha già provveduto a mandare un sms a Mycroft chiedendogli di chiamare subito, e adesso parla a Sherlock gentilmente, accarezzandogli le spalle e la schiena:
“Sherlock, non ricordi? Mycroft sa che sei qui questa sera... Gli ho chiesto io se potevi restare a dormire qui: vedrai che ti chiamerà qui da un momento all’altro. Abbi pazienza, siediti qui con me: prendiamo il telefono in mano e aspettiamo che chiami.” Lo accompagna a sedersi sul divano e si siede accanto a lui tenendolo sottobraccio e dandogli il telefono in mano. Ma Sherlock è terribilmente inquieto e continua a fare domande:
“Ma lo sa il numero? Glie lo hai dato?”
“Lo sa, lo sa. Adesso chiama, sta a vedere...”
Harry osserva la scena. Ricorda ciò che le era stato detto quando aveva avuto difficoltà a trattare una persona affetta da demenza. Prima regola: assecondare e distrarre. È la malattia a far nascere in lui questi comportamenti, non ha senso cercare di riportarlo alla realtá: provocherebbe solo ulteriormente la sua ira e potrebbero nascere situazioni violente.
Improvvisamente il telefono che Sherlock stringe tra le mani squilla. Subito si agita un po’, ma in un batter d’occhio si ricompone e si fa molto serio. Risponde con estrema calma e freddezza:
“Mycroft.”
“William? John mi aveva detto che oggi saresti rimasto con lui. Tutto bene questa settimana?”
“Perchè mai dovrebbero essere fatti tuoi?”
“Sempre un piacere ascoltarti.”
“Sempre tutto tuo. Se hai finito di importunarmi, riattacco.”
“Certo, salutami John. Ti chiamo venerdì.”
“Al diavolo”. Riattacca. Henry è scioccata dalla scena alla quale ha appena assistito: vorrebbe scoppiare a ridere, ma si contiene per evitare imbarazzi.
“Visto?” gli dice John riprendendosi il cellulare “Uomo di poca fede, te lo avevo detto: devi fidarti di me.” Dice scrivendo un semplice «Grazie.» al cognato senza che il suo compagno se ne accorga, poi rinfila il cellulare in tasca: “Forza, andiamo a dormire adesso?”
“Non ho sonno!”
“Oh si invece: sta notte non hai chiuso occhio, certo che hai sonno. Dai: vai a lavarti i denti e a mettere il pigiama. Adesso arrivo. Devo solo fare il letto a Harriet.” Sherlock è scocciato, ma obbedisce e si avvia verso il bagno: non è usuale che obbedisca di buona lena quando è ora di andare a letto, ma evidentemente oggi è di buon umore. John si rivolge allora alla sorella: “Dormirai di sopra in quella che era camera mia, ti va bene?” Harry annuisce e salgono al piano di sopra. “Il letto è già fatto perchè ogni tanto vengo a dormirci io - ora ti cambio le lenzuola.” dice aprendo un armadio e estraendone due lenzuoli puliti. Harriet intanto priva il materasso di quelli usati. “Sai... È già successo diverse volte che si svegli di notte e si spaventi nel vedermi accanto a lui perchè non sa chi sono... Oppure semplicemente gli do particolarmente fastidio perchè russo o tossisco o semplicemente perchè quel giorno gli da fastidio essere in un letto con un’altra persona e patisce molto e non riesce a dormire. Perciò per non disturbarlo io vado a dormire di sopra. Per ora sembra essere la soluzione migliore. Anche se poi la maggiorparte delle volte lui si sveglia prima che io scenda e si lamenta perchè io non c’ero. Ha sempre molta paura che lo abbandoni.” Dice finendo di sistemare le coperte. Poi tace e si siede sul letto. Lei si siede accanto a lui:
“È colpa della malattia, lo sa che non lo abbandoneresti mai. Ma a volte non può ricordarlo.”
“Lo so, lo so.” Dice sorridendole. “Ma fa tanto male lo stesso...”
“Comunque sta sera è piuttosto lucido...”
“Erano settimane che non lo vedevo così. Non durerà, ma fa piacere quando succede.”
“Dai, va da lui. Buonanotte fratellino.” Dice schioccandogli un bacio sulla testa. Lui la guarda negli occhi e le prende la mano:
“Harriet, grazie per essere qui.”
“Coloro che si prendono cura di una persona affetta da demenza, è opportuno che si ponga sempre queste domande: Di cosa puó avere bisogno? Cosa vuole chiedermi? C’é qualcosa intorno a lui che lo disturba? In quanto un suo anche semplice malessere viene comunemente manifestato sottoforma di irrequietezza, e aggressività (in particolar modo verbale). È consigliabile che le manie tipiche di una persona affetta da demenza vengano assecondate da coloro che lo circondano, i quali devono occuparsi di distrarlo e cercare di non  metterlo in situazioni che non é in grado di gestire, in quanto non farlo farebbe insorgere sentimenti di umiliazione e conseguenti momenti d’ira innecessari ed evitabili.


John si sta abbottonando la camicia del pigiama seduto sul letto quando Sherlock arriva dal bagno:
“Ti sei lavato i denti?”
“Sip” si avvicina a lui sorridendo
“Bene?” Sherlock gli si para davanti sorridendo, ma John non bada a lui mentre infila gli ultimi bottoni nelle asole.
“Vuoi controllare?” risponde con malizia, John sorride e alza lo sguardo su di lui e prima di rendersene conto Sherlock appoggia le sue labbra sulle sue. L’altro sorride, non aspettandosi un simile gesto di tenerezza, ma Sherlock non separa ancora la sua bocca da quella del marito: il bacio di fa più appassionato e Sherlock prende delicatamente la testa di John tra le mani, immergendo le proprie dita nei suoi capelli biondi, e insiste passando ripetutamente la propria lingua sulle labbra socchiuse di John finchè l’altro non si arrende ad aprire la bocca e ad accogliere quel bacio completamente e condividerlo a sua volta con altrettanto entusiasmo. A poco a poco, mentre si baciano, Sherlock lo spinge indietro sul letto finchè John non sdraia la schiena e lui può appoggiare un ginocchio al materasso. Prende allora a baciargli il mento e il collo. John per un momento si lascia trasportare dall’enfasi e da quella passione così improvvisamente dimostrata da suo marito. Ma quando Sherlock comincia a sbottonargli la camicia, John torna improvvisamente con i piedi per terra e si divincola dicendo soltanto:
“No, Sherlock.” E si alza per allontanarsi dalla tentazione. Sherlock si siede scocciato sul letto e a mani aperte chiede:
“Perchè?!” John non ha la forza di rispondere che quella parte della loro vita è finita.
Come puoi fare l’amore con una persona che ormai per un sessanta per cento del tempo non ricorda chi sei o chi è lui? Rasenta lo stupro.
Era stato difficile accettarlo, ma la prima volta che Sherlock si è messo a gridare ad amplesso inoltrato perchè improvvisamente era entrato in stato confusionale e aveva cominciato a prendere a pugni il povero compagno, John aveva capito che non ci sarebbe stata un’altra volta. Era finita.
Certo, Sherlock tutto questo evidentemente in questo omento non se lo ricorda.
“È per queste macchie, non è vero?!” dice indicando il suo volo marchiato per sempre dal Kaposi “Queste macchie schifose! Ti disgustano! Io ti disgusto!” sono pugnalate per John, e non è nemmeno la prima volta, nè la seconda, che Sherlock lo accusa di questo. John non sa se gli fa più male quando crede di disgustarlo o quando lo accusa di avere un altro amante, uno intelligente. Scuote la testa:
“Questo non è vero, Sherlock.” Gli dice sedendosi accanto a lui e prendendo la sua testa tra le braccia: Sherlock ora piange e abbraccia la vita di John e sprofonda il viso sul suo petto. “Non esiste uomo sulla terra più bello di te. E non esiste macchia o cicatrice che possa anche solo offuscarlo.”
“Faccio schifo...” ripete “Faccio schifo...”
“No, Sherlock... Ti prego, smettila di dire così...” lo supplica John mentre lo culla tra le sue braccia.
“Non mi vuoi più...” singhiozza
“Non è vero, amore mio, non è vero... Ma è che è tanto tanto complicato... È tanto tanto difficile...”
Restano così in silenzio per qualche momento. Sherlock sta cercando in tutti i modi di capire.
“Ma io ti amo tanto, John...” dice d’un tratto. Si tira su per guardarlo in viso: “Come faccio a dimostrartelo?”
“Oh, Sherlock...” John non riesce a trattenere le lacrime. Con una mano gli accarezza il viso: “Non è necessario che tu lo faccia... Io lo so...”
“Non piangere, John... Non piangere...” chiede John
“Non piango, amore. Ora la smetto.” Dice asciugandosi gli occhi con la manica del pigiama“Ora smetto...”
 


 
[Salve a tutti bella gente e benvenuti a questo nuovo capitolo! Io, come sempre, vi ringrazio di aver letto sino a qui e in particolar modo vi ringrazio con tutto il cuore dei vostri preziosi commenti e recensioni: nemmeno vi potete immaginare quanto siano importanti per me. Quindi un forte abbraccio a tutti coloro che mi seguono così affiatatamente lungo questo percorso che sta ormai giungendo al termine. Cosa ne pensate di questo capitolo? Vi è piaciuto? ^^ Ho operato scelte difficili, non ve lo nascondo, ma sento la necessità di concludere una volta per tutte quest’avventura e tirare un po’ le fila di questa storia in vista di una degna conclusione. Come sempre ci tengo a specificare che non garantizzo in alcun modo che ció che scrivo sia corretto da punto di vista medico, in quanto non sono un medico e non presumo di saperne poco nulla di medicina, anche se mi documento e molto! Vi invito oggi a passare a dare un’occhiata a questo video che fa un po’ riflettere sulla demenza in cui il caro Christopher Eccleston (meglio noto come il Nono Dottore) appoggia una campagna di solidarietà e ricerca appunto per la demenza: https://www.youtube.com/watch?v=x9MvEZskR6o
Voglio inoltre specificare che i paragrafi che ho inserito in corsivo ogni tanto sono parte di vari trattati di medicina che volevo inserire per dire cose sulla demenza e sulla situazione generale in cui si trova Sherlock a questo punto della nostra storia che non ho voluto esplicitare in altro modo durante il racconto, tanto per darvi un quadro più completo della scena: avrei voluto linkarvi le fonti in una sorta di bibliografia, ma ho perso quei dati nel tempo (dato che, ci crediate o meno, ho ricercato e trovato queste informazioni durante la scorsa estate). Dunque mi dispiace, dovrete credermi sulla parola, se vorrete.
Ancora grazie infinite di cuore. Io vi invito a lasciare una recensione qui sotto e vi saluto fino al prossimo capitolo! Con immenso affetto e gratitudine,  _SalvamiDaiMostri ]
   
 
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