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Autore: Raykha    10/02/2016    2 recensioni
Sherlock, dopo aver fatto nuovamente imbestialire John, tenta di elaborare i suoi sentimenti per il buon dottore (e il fatto di avere sentimenti in generale) con un piccolo aiuto. L'ho scritta dopo aver visto il mini episodio "Many happy returns" ed è la mia prima storia in assoluto, siate clementi ;)
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando Sherlock riaprì gli occhi, era sdraiato per terra, a metà strada tra la cucina e la poltrona di John, la cui immagine era scomparsa insieme allo spirito di Irene. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato.

L'orologio battè in quel momento la mezzanotte. La stanza divenne fredda, calò un silenzio di tomba, e Sherlock ebbe improvvisamente paura. Sentì un suono simile a un ringhio e si voltò in direzione del rumore, dove un enorme mastino dagli occhi iniettati di sangue lo osservava, emettendo solo un roco e basso ringhio.

"Sei tu, lo Spirito del mio futuro?" chiese Sherlock, ma non ottenne risposta. Lo spaventoso mastino si limitò a ringhiare più forte, e uscì di casa, fermandosi in strada. Sherlock lo seguì, e uscito dall'appartamento, notò che una densa coltre di nebbia era scesa sulla città, completamente deserta. Il mastino lo condusse attraverso una serie di vicoli che Sherlock non credeva di aver mai visto, nonostante ricordasse ogni strada della sua Londra. Lo spirito non diceva nulla, e Sherlock non trovava il coraggio di parlare; ma doveva farlo, doveva sapere.

"Spirito – iniziò cauto – tu sei quello che più temo. Dimmi, ti prego, ciò che ho visto, ciò che vedrò... È ciò che sicuramente accadrà, o solo ciò che potrebbe accadere?"

Il mastino si voltò di scatto e ringhiò più forte, facendo zittire Sherlock per lo spavento. Arrivarono al Bart's, ed entrati in obitorio videro Greg e Molly, in piedi vicino ad un tavolo, dove giaceva un corpo coperto da un lenzuolo. Si vedeva dai loro volti quanto avessero pianto, per quella persona. Dall'altro lato del tavolo, John, chino sul gelido marmo, teneva la mano fredda del defunto stretta tra le sue, e piangeva. Sherlock non aveva mai visto il dottore così disperato. Sporgendosi verso il tavolo, vide il volto del defunto.

Era il suo.

Era lui.

Coperto di sangue, polvere e cenere, con un grosso taglio che partiva dalla spalla destra e spariva sotto il lenzuolo candido, dove lo accompagnavano (Sherlock lo sapeva anche senza vedere il corpo) una serie indicibile di contusioni, ossa rotte, e ferite; il suo cadavere era su quel tavolo, e nella stanza il silenzio era rotto solo dal pianto di John. Sherlock corse ad abbracciarlo, voleva dirgli che stava bene, che quella era solo una proiezione del futuro, ma che adesso lui era vivo, e che non l'avrebbe mai lasciato solo. Gli sembrò di impiegare una vita per arrivare da lui, e quando tentò di abbracciarlo non ci riuscì, ma attraversò il suo corpo. Lui era un'ombra, e per quanto tentasse non poteva abbracciare il suo migliore amico, né dirgli che stava bene. Il cuore di Sherlock andò in mille pezzi a quella vista. John continuava a stringergli la mano, sussurrando "Solo un altro miracolo, Sherlock. Ti prego."

Il mostruoso mastino ringhiò ancora, ma Sherlock si rifiutò di uscire. Anche se John non poteva vederlo, non l'avrebbe abbandonato. Il cane allora minacciò di morderlo, e Sherlock a malincuore capì che doveva obbedire allo Spirito, e uscì dal Bart's. Si ritrovò chissà come in un cimitero, non sapeva come ci era arrivato. Un gruppo di persone stava intorno a una lapide nera, e non c'era bisogno di essere Sherlock Holmes per capire a chi apparteneva. Tutte le persone a cui voleva bene erano lì a piangere per lui: John, Mycroft, i suoi genitori, Molly, Greg, Mrs Hudson. Persino Anderson e Donovan. Piangevano tutti, gli occhi rossi e gonfi.

John rimase per ultimo davanti alla lapide, dopo che tutti se ne furono andati. Fissava rabbioso la pietra levigata, lo teneva in piedi soltanto la disciplina militare. "Tu una volta mi hai detto che non eri un eroe. A volte non sembravi umano, ma ti voglio dire una cosa. Tu eri l'uomo migliore, l'essere umano... Più umano che abbia mai incontrato. Ero solo come un cane... E ti devo moltissimo. Ti prego, c'è ancora una cosa, un'ultima cosa, un ultimo miracolo, Sherlock, per me. Non. Essere. Morto. Potresti farlo per me? È meglio che la smetti, smetti questa farsa..." Il soldato abbandonò la sua solita compostezza, cadde in ginocchio davanti alla lapide, sussurrando il nome del suo grande amore perduto per sempre. "Non te l'ho mai potuto dire, Sherlock... Non te l'ho mai voluto dire... Temevo di perderti... E ora? Ora ti ho perso per davvero – John rise nervosamente – c'è forse una strana lezione in tutto questo? Non lo so, non mi importa. Niente ha più importanza senza di te. Non ti ho mai detto che ti amo, che amo il caos che regna nel nostro appartamento solo perché è colpa tua, che amo il tuo violino che mi scalda il cuore. Non ti ho mai detto che amo tutto di te, esattamente così come sei. Non ti ho mai detto che non cambierei un solo istante della mia vita, che se tornassi indietro mi farei sparare ancora e ancora, solo perché mi ha portato da te. Ma non ha più importanza ormai. Ma sappi questo, stronzo che non sei altro, io non amerò mai nessuno quanto ho amato te, per colpa tua non sarò mai più felice, perché tu... io... noi..." non riuscì a continuare, i singhiozzi presero il sopravvento.

Sherlock tentò di muoversi, di correre da lui, ma aveva nuovamente la palla d'acciaio legata alla caviglia, e sembrava ancora più grande ora. Tentò di urlare, ma non aveva voce. Era solo un'ombra, che assisteva in disparte a quel dolore straziante, condannata a non poter far nulla.

Poteva solo piangere, e rimpiangere. Rimpiangeva ogni "grazie" non detto, ogni gentilezza non ricambiata, ogni parola sgarbata, ogni gesto non compiuto.

E faceva male.

Male da morire.

Si strinse lo stomaco, cadde in ginocchio, credette di impazzire.

Il mastino ringhiò cupo, come a dire che non era ancora finita. "Ti prego, ti prego Spirito, dimmi che sono ancora in tempo per cambiare il nostro futuro. Ti prego, dimmi cosa devo fare. Qualsiasi cosa sia necessaria per salvare John, la farò. Giuro che non permetterò che soffra così. Giuro che sarò riconoscente di tutto l'affetto che mi circonda. Ti prego, Spirito..."

E tutto fu buio.

   
 
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