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Autore: Roof_s    10/02/2016    2 recensioni
“Quindi voi due vi conoscete abbastanza bene!”
Sia io sia Catherine la guardammo, nuovamente a corto di scuse.
“No, non ci conoscevamo davvero” fece Catherine. “Harry ha... solo...”
“Ho suonato a casa sua” dissi.
Catherine mi lanciò un'occhiatina scocciata.
“Sì, ma solo per...”
“Aspetta un secondo” intervenne mia sorella. "Lei è la ragazza che ha organizzato la festa dove avete suonato tu e gli altri?”
Questa volta Catherine non si sforzò nemmeno di nascondere la propria espressione allibita.
“Ehm... Già, è lei” ammisi.
“Già, sono io” ridacchiò Catherine, imbarazzata.
Gemma rise. “Ora mi ricordo! Ma mi avevi detto che tra di voi non scorreva buon sangue, Harry!”
Con la scusa di voler mostrare una finta affinità tra noi due, Catherine mi rifilò un colpo al braccio che le riuscì straordinariamente violento.
“Ma non è affatto vero!” esclamò, fingendosi divertita.
“Oh, forse avevo capito male quando mi avevi detto che ero un insignific...”
Mi sentii pestare il piede con forza sotto il tavolo e le parole mi morirono in bocca. Catherine scoppiò a ridere e riprese a parlare: “Sono molto grata a Harry per aver accettato di suonare a casa mia con i suoi amici”.
“Sì, molto grata...” borbottai.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ottimi conoscenti



Harry


 
Quando quella domenica tornai a casa stanco e sudato, quasi non riuscii a credere a ciò che mi era successo. Il fatto di aver trascorso quasi un'intera giornata in compagnia di Catherine Alexandra Cavendish — che si era premurata di smontare ogni mio tentativo di fare conversazione — pulendo casa sua senza litigi particolarmente violenti costituiva una novità alquanto stupefacente. Lei si era trattenuta tutto il giorno dal maltrattarmi e io ero riuscito a rilassarmi e ad aiutarla senza che ne nascessero dissapori; in fondo, se casa sua era devastata e sporca era anche in parte colpa mia.
Il sabato precedente avevo trascorso una delle serate più belle della mia vita, attorniato da gente curiosa di sapere di più sui White Eskimo, ma non avevo potuto evitare di notare il disprezzo e l'odio della padrona di casa: Catherine Alexandra si era subito allontanata da me e i miei amici e più di una volta l'avevo osservata scagliarsi con rabbia contro amiche, conoscenti e fidanzato. Fino al momento in cui, com'era prevedibile, aveva finito per esagerare con le bevute e si era ritrovata a barcollare pericolosamente, aggrappata al fianco del suo muscoloso ragazzo.
Dopo che Michael l'aveva portata di sopra perché si stendesse, la vera festa era cominciata: senza Catherine Alexandra di mezzo, la gente aveva preso a bere senza ritegno e a scatenarsi su pezzi dance vivacissimi. Nessuno aveva più imposto limiti sul volume della musica, sul numero di consumazioni concesse o su cosa fosse tollerato all'interno delle mura di casa Cavendish. Gli invitati si erano dati alla pazza gioia, perché la glaciale regina della festa era assopita e ignara di tutto.
Così quel mattino, frugando alla ricerca del mio portafogli, mi ero sentito punzecchiare da una fitta di rimorso: di certo io non mi ero tirato indietro nel momento dei festeggiamenti e dei brindisi.
Mi richiusi la porta del bagno alle spalle e girai la manopola dell'acqua calda nella doccia.
Non avevo spiegato a un'incredula — quanto irritata — Catherine che cos'era accaduto in sua assenza, ma mi ero offerto di aiutare a rendere la casa un po' più presentabile. Ero certo che se lei avesse saputo del pandemonio scatenatosi dopo la sua scomparsa, si sarebbe infuriata. E forse, una volta rimasta da sola, avrebbe anche pianto, perché quelli che credeva i suoi amici erano in realtà approfittatori interessati allo sfarzo e al divertimento. Passando un'intera serata in mezzo a quella gente, mi ero accorto di quanto fosse spietata e arrivista. Un po' come Catherine stessa, solo che lei si era già lasciata sfuggire di bocca che in quel mondo ormai ci stava troppo stretta. Restava solo da capire se avesse detto la verità o una comoda bugia.
Mi lavai e restai quasi tutta la sera steso sul divano in salotto a guardare la televisione, approfittando del fatto che mia madre e Gemma fossero uscite per una cenetta al femminile. Solo quando anche i programmi televisivi cominciarono ad annoiarmi mi distrassi col cellulare. Entrai sul mio profilo di Facebook, che non avevo più aperto dal pomeriggio del giorno prima. Intravidi un numero sorprendentemente alto di richieste d'amicizia — cinque, per l'esattezza — e mi affrettai a controllare. Quando vidi che di queste richieste ben tre erano da parte di ragazze, il cuore mi balzò in gola. Era bastato davvero così poco per trasformarmi da ranocchio a principe azzurro?
Accettai quelle richieste, spiando i profili delle mie nuove amicizie: riconobbi alcune delle ragazze che la serata precedente si erano scatenate sotto il palco.
Sorrisi trionfante e ogni altra preoccupazione residua scomparve: dopo un solo concerto eravamo riusciti a conquistarci la simpatia di metà scuola. E non una metà qualsiasi, bensì quella che contava davvero, quella composta di nomi influenti e belle ragazze.
Per uno sciocco istante mi immaginai con la stessa espressione sprezzante di Catherine Alexandra Cavendish stampata in volto e cinque versioni maschili delle sue patetiche tirapiedi.
Scossi il capo e tornai a giocherellare con il cellulare.
Non potresti mai diventare come lei.



Quello che non immaginavo neanche lontanamente era che ben presto mi sarei dovuto ricredere su parecchie delle mie convinzioni.
Il lunedì seguente mi tirai su dal letto con un brutto paio di occhiaie scure sotto gli occhi e trovai incredibilmente difficile restare sveglio abbastanza a lungo da raggiungere la mia scuola.
Fin dal mio ingresso nell'edificio, comunque, notai che qualcosa era cambiato dopo la serata del sabato precedente: fui salutato al mio arrivo in cortile e persino nell'atrio qualcuno azzardò timidi sorrisi; le mie compagne si spostarono per lasciarmi entrare in classe attaccando con borbottii concitati e sospetti; durante l'intervallo tra le lezioni un ragazzo decisamente più alto e robusto di me mi rifilò una pacca amichevole sulla spalla come segno d'intesa.
Fui talmente sorpreso da tutte quelle improvvise attenzioni che nemmeno ebbi il tempo di ricambiarle adeguatamente. E anche i miei amici sembravano improvvisamente al centro dei riflettori: all'arrivo a scuola avevo trovato Will e Haydn assediati da due ragazzette del terzo anno che avevano trascorso buona parte del sabato sera in nostra compagnia.
La novità fu piacevole e rassicurante: se eravamo riusciti a incantare la folla suonando cover, quando fossimo usciti allo scoperto con pezzi tutti nostri il gioco sarebbe stato doppiamente facile.
Così quel lunedì mattina passò in una serenità che non ricordavo di aver mai provato prima d'ora, e quando riconobbi il consueto squillo della campanella di fine lezioni, provai pure un leggero moto di dispiacere nel dovermene tornare a casa dove nessuno mi spiava con ammirazione.
Dopo aver salutato i miei amici nel cortile della scuola e aver fissato le prove della band per il giorno seguente, mi diressi verso casa guidando a una certa velocità. Mi sentivo euforico e potente, come se fossi un'altra persona.
Una volta varcata la soglia di casa, sentii la familiare voce di Gemma elencare alcune commissioni in tono pragmatico.
“... devo anche passare a comprare della frutta, perché non possiamo continuare a mangiare solo questa schifezza, e ho bisogno di nuovi quaderni per l'università...”
“Buon giorno!” esclamai, affacciandomi dalla porta della cucina.
Mia mamma e Gemma, già sedute in attesa del mio ritorno, alzarono le teste.
“Ciao, Harry!” scattò Gemma, vivace come sempre. “Fai in fretta, sto morendo di fame!”
Corsi a posare la roba di scuola e raggiunsi le due in cucina. La televisione era accesa e il volume era come sempre molto alto. Mia madre mi servì della pasta che sembrava essere appena stata fatta.
“Stavamo parlando di tutto ciò che c'è da fare qua. Tu non aiuti mai mamma, Harry?!” spiegò Gemma, esterrefatta.
Alzai le spalle e non risposi, troppo intento a masticare. Nostra madre alzò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire un sorrisetto accondiscendente.
“Lui ha troppi impegni con i suoi amichetti”.
Gemma aggrottò la fronte e disse: “Be', oggi mi darai una mano con la spesa”.
Alzai la forchetta e protestai: “Ma è uno dei pochi pomeriggi liberi che ho!”
Gemma mi rifilò un colpetto al braccio. “Ehi, principino, anch'io ho gli esami da preparare!”
Intravidi nostra madre servirsi la pasta con un sorrisetto soddisfatto.
“State complottando contro di me?” sbuffai. “Ve lo si legge in faccia”.
“Devo iniziare a tiranneggiare un po'” constatò Gemma, chinando il volto sul suo piatto.
“Ieri ho aiutato a pulire la casa dove abbiamo suonato sabato sera. Questo non è dare una mano?” stuzzicai mia sorella, divertito.
Lei mi lanciò un'occhiata incredula. “Hai svolto faccende casalinghe a casa di altri? Cosa ti hanno promesso in cambio?”
Ridacchiai e tornai a mandare giù bocconi di pasta.
“Nulla, l'ho fatto perché sono un ragazzo a posto” scherzai.
“Benissimo, allora oggi andrai in centro a comprare tutto quello che ho scritto su questa lista”, e Gemma mi porse un foglio della stampante scritto da cima a fondo.
Sgranai gli occhi. “Tutta questa roba?! Pensavo voleste fare la spesa non svaligiare un intero supermercato”.
Gemma si riprese il foglietto. “Molto spiritoso, ma mamma ha poco tempo libero dopo il lavoro e tu sei troppo pigro per organizzarti da solo”.
Sospirai e infilzai della pasta con la forchetta. “Be', sarei dovuto uscire comunque oggi pomeriggio”.



Così partii di gran carriera sulla mia bicicletta, lasciando Gemma intenta a ripulire le finestre del bagno al primo piano. Pedalai con l'aria fresca che mi sferzava il volto, felice di assaporare un po' di tranquillità dopo le ore scolastiche e il pranzo passato a discutere di faccende domestiche.
In cinque minuti fui in centro città, che era davvero piccolo e facilmente percorribile anche a piedi. Legai la bicicletta a un palo nel mezzo di un parcheggio dietro una palestra e mi avviai verso il negozio del fruttivendolo dove Gemma si era raccomandata di fare acquisti.
Controllando più volte la lista scritta da mia sorella, comprai talmente tanta frutta che temetti di non riuscire più a pedalare adeguatamente sotto tutto quel peso.
Uscii dal piccolo negozio e individuai il posto che stavo cercando: una bottega di piccole dimensioni dalla vetrina zeppa di CD musicali e DVD. Attraversai la strada e mi ci avviai, reggendo saldamente la borsa piena di frutta.
Avevo voglia di nuovi acquisti, siccome non compravo un nuovo album da troppo tempo. Era stata una scelta presa su due piedi: il concerto era stato un successone, quindi volevo concedermi un regalo.
La porta del negozio tintinnò al mio ingresso e il negoziante mi salutò con un gesto della mano. C'era poca gente come al solito, e così mi intrufolai senza problemi nel reparto di dischi di musica rock. Scorsi di sfuggita qualcuno che trafficava con alcune confezioni, studiandole a capo chino. Scorsi le lettere dell'alfabeto, cercando la 'C'. Mi spostai leggermente a sinistra, sussurrando tra me e me i nomi che leggevo, fino a quando non urtai il silenzioso cliente al mio fianco.
“Scusi tanto, non...”
Quello alzò il capo e io non terminai la frase. Il cliente, che in realtà era una cliente, in un primo momento non si accorse di nulla, ma poi...
“Di nuovo tu?!” esclamò Catherine Alexandra, due CD diversi ancora tra le mani.
Abbassai lo sguardo sulle sue scelte: il primo era 'Hymns from the Heart' di Johnny Cash, il secondo 'Songs of Love and Hate' di Leonard Cohen.
“Non sono io quello fuori posto quaggiù” le feci notare, indicando i due album. “Piuttosto tu che ci fai qui?”
Catherine Alexandra sembrò perdere l'uso della parola e boccheggiò a caso per qualche istante. Poi si affrettò a gettare i due dischi alla rinfusa nel grande cesto da dove li aveva pescati. Notai che era arrossita in modo evidente.
“Ero di passaggio” mormorò, cercando di riprendersi. “Volevo fare un regalo a un amico”.
Presi in mano l'album di Johnny Cash e la guardai dritto negli occhi.
“Meno male che ieri ti ho fatto scoprire Cash, allora, altrimenti saresti stata a corto di idee per il tuo amico!” la presi in giro.
Catherine Alexandra spostò lo sguardo dal mio viso alla confezione del CD, apparentemente scocciata dalla quell'intrusione nei suoi affari privati, ma non disse nulla. Allora le porsi il CD con un sorriso pietoso e aspettai che reagisse.
“Ti vergogni così tanto di ammettere che ci piace la stessa musica?” dissi.
Catherine guardò il CD con disprezzo.
“Non... Io...” provò a dire, inutilmente.
“Avanti, prendilo” dissi con gentilezza. “È un ottimo acquisto”.
Catherine Alexandra accettò l'album con uno sbuffo di impazienza e lanciò uno sguardo sfuggevole al disco di Cohen abbandonato nel cesto. Intercettai la sua occhiata e dissi: “Penso non dovresti sceglierne uno solo. Sono due album fantastici”, e le misi in mano anche il secondo.
Catherine Alexandra li guardò indecisa, poi alzò il capo e aprì bocca; attesi inutilmente che esprimesse un'opinione, ma lei rimase zitta.
“Be'? Abbiamo già esaurito gli argomenti di conversazione?” scherzai.
“Harry Styles, potresti smettere questa fastidiosa abitudine di spuntare sempre ovunque io vada?” disse finalmente lei, tornando a darmi le spalle.
Afferrai un disco e ne spiai la copertina. “Ti ho già detto che io qui sono di casa, tu no. Sei tu che devi stare alla larga da me”.
Catherine Alexandra si voltò così in fretta che per poco non le sbattei contro.
“Credi di...” provò a parlare.
“E per tua informazione, non sono così fesso da essermi bevuto la scusa del regalo”.
“Non era una scusa!”
“Ah, no? E chi sarebbe il fantomatico amico appassionato di musica rock? Credevo che i tuoi amici avessero appena imparato ad allacciarsi le scarpe da soli, figuriamoci capire questa musica!”
Catherine Alexandra mi fulminò con un'occhiata decisamente ostile.
“Senti chi parla! Dopo un solo concerto ti credi già la reincarnazione di Freddy Mercury, vero?” mi derise lei, e io involontariamente arrossii.
“Almeno io non devo nascondere i miei veri interessi per paura di...” tornai all'attacco.
“Io non ho paura di un bel niente!” scattò lei, offesa.
“Allora perché non ammetti che questi CD sono solo ed esclusivamente per te?” domandai, vittorioso.
Catherine Alexandra proruppe in un borbottio furioso. “Vuoi lasciarmi in pace una volta per tutte?!”
Alzai gli occhi al cielo con fare esasperato e lei ne approfittò per mettere qualche metro di distanza tra noi.
Dopo aver sbollito la rabbia sfogliando diversi poster da parete in maniera brusca, Catherine Alexandra si voltò verso di me e sbottò: “Va bene, sono per me. Sei contento? Mi piace la tua musichetta da quattro soldi e voglio ascoltarla di nuovo. Ora vuoi finirla con questi appostamenti? Mi dai sui nervi!”
Sogghignai tra me e me e la superai per dare un'occhiata ai vecchi vinili in vendita a prezzi altissimi.
"Se non vuoi incontrarmi, cambia città" le dissi.
"Ci stiamo vedendo troppo spesso ultimamente" constatò Catherine Alexandra, per nulla entusiasta. "Lo fai apposta?"
Alzai le spalle e scoppiai a ridere. "Ti pare che voglia pedinarti? Ho di meglio da fare".
Catherine Alexandra fece un cenno del capo alla borsa della frutta nelle mie mani. "Per esempio il fruttivendolo ambulante?"
Sbuffai, interdetto. "Fai battute su di me? Proprio tu che ieri hai passato la giornata a fare la donnina di casa..."
"Non mi stavo di certo divertendo, per tua informazione!"
Io e Catherine Alexandra ci squadrammo con aria scontrosa. Lei si affrettò ad allontanarsi, perché ero sicuro che morisse dalla voglia di alzarmi le mani addosso.
Io, dal canto mio, camminai fino a raggiungere lo stretto corridoio che conduceva alla sala principale del negozio. Mi soffermai ancora un istante vicino al reparto dei DVD, troppo scocciato per studiare meglio i CD musicali.
Non avevo mai condiviso nulla con quell'insopportabile ragazzetta, e ora all'improvviso la ritrovavo ovunque; dovevo ammettere a malincuore che Catherine Alexandra aveva ragione: sembravamo farlo apposta. Non mi piaceva l'idea di dover sopportare la sua lingua tagliente, sempre pronta a farmi notare quanto fossi insignificante ai suoi occhi.
Estrassi un DVD dalla fila ordinata in cui era stato infilato e lessi la trama del film, dopodiché lo posai di nuovo al suo posto. Tornai nella sala d'ingresso e superai la cassa, dove Catherine Alexandra era impegnata a pagare i nuovi acquisti. Notai il negoziante fissarla con sguardo rapito: probabilmente non gli capitava tanto spesso di trovarsi di fronte clienti così belle. Catherine Alexandra terminò di digitare il codice della sua carta di credito e alzò lo sguardo sull'uomo, il quale si riscosse rapidamente.
Scossi il capo e camminai fino alla porta, deciso a rimandare il regalo che avevo sperato di potermi concedere. Avevo ancora parecchie commissioni da svolgere per conto di Gemma, sarebbe stato meglio darsi da fare.
Ero a metà del marciapiede davanti al negozio di dischi quando sentii la voce di Catherine Alexandra fermarmi.
“L'idea che io e te siamo complici mi sta letteralmente facendo impazzire, ma non voglio darti l'impressione sbagliata, Styles”.
Mi voltai lentamente, la fronte aggrottata e le sue parole che frullavano nella mente.
“Che cosa stai dicendo?” le domandai, sorpreso del fatto che mi avesse rivolto la parola.
Scese il gradino davanti alla porta del negozio e si guardò attorno con aria preoccupata, come se temesse di vedere i paparazzi spuntare con le macchine fotografiche. Chiuse la cerniera della sua giacca color caffè e mi raggiunse ancheggiando come una modella, di cui comunque aveva tutto l'aspetto.
“Sto dicendo” fece lei, scocciata, “che non voglio sembrarti arrogante o... cattiva”.
Risi, sprezzante. “E come potresti darmi questa impressione? Hai un atteggiamento talmente docile e rispettoso nei miei confronti!”
Catherine Alexandra assunse nuovamente quello sguardo duro che mi riservava ad ogni incontro.
“Tu non fai nulla per attirarti le mie simpatie, ugola d'oro!” ribatté lei. “Hai ficcato il naso nei miei affari privati e continui a indagare su cose che non ti riguardano affatto!”
“Come che cosa?” la stuzzicai io. “Il fatto che reciti? Non è un segreto di stato, visto che a fine anno ti dovrai esibire davanti a tutta la scuola. O forse non lo sapevi?”
La vidi incrociare le braccia al petto e distogliere i suoi grandi occhi verdi.
“E per la cronaca, io non ho indagato su un bel niente” precisai.
Catherine Alexandra sbuffò. “Hai parlato con Alex”.
“Siamo finiti nel discorso, Catherine. Non sto facendo indagini private sul tuo conto, perché, notizia dell'ultimo minuto, non mi interessa!” risi, esterrefatto.
Lei sembrò presa in contropiede e rimase zitta per qualche istante. Mi guardò con sguardo penetrante, come se sperasse di appigliarsi a una nuova scusa che le permettesse di distruggermi.
“In ogni caso, non voglio che pensi di doverti vendicare dei miei comportamenti un po'... bruschi” disse infine, controllando il tono della voce.
Alzai un sopracciglio, per niente convinto. “Stai facendo tutto questo perché hai paura di me?!”
“Vedila un po' come vuoi!” esclamò lei, infastidita dalla verità. “Sta di fatto che non mi piace l'idea di incontrarti più sovente di mio padre e di dover spartire con te più segreti che col mio prete, ma sono costretta dalle circostanze e voglio che la nostra sia una convivenza il più possibile... pacifica”.
Sospirai, intenerito dal suo goffo tentativo di armistizio. “Allora il tuo piano non sta funzionando molto bene, Catherine...”
“Da oggi!” esclamò lei, fiera. “Da oggi noi due... saremo buoni...”
La guardai con aria incredula, aspettando la fine della frase.
“... conoscenti, ecco. Saremo buoni, anzi, ottimi conoscenti!” terminò lei, estasiata dalla sua trovata.
“Ottimi conoscenti?!” ripetei io, perplesso e divertito allo stesso tempo.
Catherine Alexandra protese la mano destra nella mia direzione, sorridendo con aria importante. La guardai per un po', indeciso se accettare le sue condizioni oppure ribellarmi e negarle la soddisfazione di riuscire a ottenere ciò che desiderava.
“Oh, avanti, Styles! Non crederai davvero di concederti il lusso della scelta!” sbottò lei, tornando al vecchio tono spiccio.
La fulminai con un'occhiatina maliziosa. “Attenzione, Kate... Stai sconfinando nell'aggressività, e non si fa una cosa così tra ottimi conoscenti”.
Lei sembrò mandare giù una medicina amarissima, ma non mi bacchettò più. Infine le strinsi la mano e mostrai il mio sorriso più gioviale.
“Ah, dimenticavo” aggiunse lei, mentre si allontanava da me col suo passo deciso e sensuale. “Ti proibisco categoricamente di chiamarmi Kate”.
Guardai la sua schiena mentre si allontanava, muovendosi come una regina in mezzo alla plebe.
“Credevo avessimo stabilito...” le urlai dietro, divertito.
Alzò una mano per mettermi a tacere, ormai abbastanza lontana. “Scordatelo!”



Una volta finite tutte le commissioni che Gemma mi aveva imposto, mi recai finalmente nel posto dove meno di tutti avrei desiderato trovarmi. Avevo riflettuto a lungo sul ruolo della band nella mia vita e su ciò che avrei voluto fare una volta finito il liceo: non ero mai stato più sicuro di allora di voler fare della musica il mio lavoro. Desideravo partecipare al maggior numero di concorsi, farmi conoscere e provare a trovare un produttore, qualcuno che potesse aiutarmi a sfondare.
Ma avevo bisogno di soldi, tanto per cominciare. Mia madre ed io eravamo sempre più ai ferri corti e la questione universitaria rimaneva sospesa nei nostri prolungati silenzi. Sapevo che mi avrebbe impedito di darmi alla musica una volta terminati gli studi, perciò volevo procurarmi i soldi necessari ad aprirmi una strada in quel mondo ostile.
Spinsi la porta della piccola panetteria dove lavoravano madre e sorella maggiore di Elisabeth, la ragazza di Nick. La signora dietro il bancone non si accorse subito di me e finì di servire i due clienti rimasti; infine mi si rivolse con voce cordiale.
“Dimmi pure!”
Mi passai una mano fra i capelli ricci, imbarazzato dalla sfacciataggine con cui stavo per esordire. Nell'altra mano reggevo ancora le due borse della spesa.
“Ehm... Io sono...”
“... Harry Styles, il nostro ipotetico impiegato” terminò una voce femminile.
Guardai nella direzione della porta che dava sul retro del negozio e sorrisi riconoscente alla ragazza di due anni più grande di me che si stava pulendo le mani su uno straccio blu.
“Ti stavamo aspettando!” esclamò Alice, la sorella di Elisabeth.
Sua madre sembrò riscuotersi e disse: “Oh, così sei tu il famoso Harry! Pensavamo non saresti mai passato in negozio!”
Di nuovo mi spettinai i capelli con una mano, incapace di trovare le parole giuste.
“Io... ho avuto molti impegni in queste settimane” inventai.
Alice annuì e si fece più vicina a sua madre, sempre fissandomi con aria avida. Sapevo bene che Alice aveva un debole per me e questo mi metteva ancora più a disagio del dovuto.
“E sei ancora interessato a lavorare con noi?” mi chiese.
Alzai le spalle. “La questione è se voi siete ancora interessati a volermi qui”.
Alice e sua madre si scambiarono un'occhiata eloquente e la ragazza sorrise; per caso tutta la famiglia era al corrente di ciò che provava per me?
In quell'istante mi pentii di essermi presentato in negozio, e desiderai ardentemente non aver mai varcato la soglia della panetteria.
“Qui sei sempre il benvenuto, Harry” mi comunicò la madre, gioviale. “Anne è una cara amica di famiglia, non ci dispiacerebbe darti una mano”.
Vidi Alice annuire ripetutamente, l'espressione sul suo volto che esprimeva pura gioia.
“Be', in questo caso... sarebbe un piacere lavorare per voi” dissi, cercando di suonare il più convincente possibile.
La madre di Elisabeth si sporse in avanti allungando la mano paffuta e disse semplicemente: “Eleanor. Chiamami solo Eleanor”.
Strinsi la sua mano e sorrisi. “D'accordo...”
Alice spinse lo sportello che divideva il negozio dal retro del bancone, dove i commessi si affaccendavano.
“Ti mostro il locale. Ah, e hai bisogno di un grembiule” m'informò la ragazza.
La seguii dietro il bancone e poi nel retro della panetteria, dove tre panettieri piuttosto robusti lavoravano attaccati ai forni accesi. Mi squadrarono con aria sospetta e io mi sentii piccolo sotto quegli sguardi estranei.
Alice mi presentò ad alta voce: “Ragazzi, questo è Harry Styles, e sarà in prova nei prossimi week end”.
La guardai proseguire fino a un piccolo stanzino che si rivelò essere un bagno stretto e leggermente più sporco del normale. Alice somigliava molto alla sorella nell'aspetto, ma aveva modi decisamente più diretti e autoritari.
“Allora, questo sarà il tuo grembiule” disse questa, estraendo un piccolo grembiule giallo come il suo da una credenza del bagno. “Forse sarebbe meglio che indossassi anche un cappello in negozio. Vedrò di procurartene uno”.
Alice mi sorrise, aspettando che rispondessi qualcosa. Io presi il grembiule con fare esitante e spiai il resto dell'angusto stanzino.
“Quando comincerò?” domandai infine.
“Questo fine settimana?” propose lei.
Annuii e alzai il grembiule. “Grazie mille. Elisabeth mi ha detto perché lo state facendo”.
Alice sembrò addolcirsi e mi diede un leggero buffetto sul braccio. “Sarà un piacere lavorare con te, Harry”.
Mentre la ragazza usciva dal bagno, mi sentii arrossire: il pensiero di dover passare ore vicino ad Alice mi metteva in imbarazzo, perché non mi piaceva sentirmi i suoi occhi innamorati puntati addosso.
Salutai tutti i presenti e ringraziai un'altra volta Eleanor prima di lasciare la panetteria. Mi avviai con aria sollevata verso la mia bicicletta, anche se non ero così sicuro di aver scelto il lavoro giusto per mettere da parte un po' di denaro.







 
   
 
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