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Autore: Slytherin_Eve    12/02/2016    3 recensioni
PRE CIVIL WAR
Steve Rogers prende il comando dei nuovi Avengers. L'Hydra si sta ricomponendo sotto la guida di nuovi, misteriosi individui. Rumlow è tornato, e con lui anche James Barnes. Elle Selvig, figlia del famoso astrofisico, si ritrova implicata in una storia più grande di lei quando accetta un lavoro come consulente presso la nuova base Avengers, spinta anche dalla sua amicizia con Natasha Romanoff. Ma non è detto che i guai ti trovino sempre per primi.
"Non tutto andrà come deve andare, ma certe cose seguono esattamente il filo nefasto del destino."
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Dove eravamo rimasti...

Gli Avengers stanno affrontando una delle crisi politiche più insidiose della storia internazionale. Nessuno vuole cedere campo a nessuno, finendo quindi per distrarre l'attenzione dal vero pericolo, l'Hydra.
Il corpo terroristico si sta infatti riformando, cercando nuovi alleati e nuove risorse, come Steve Rogers ha appreso in Wakanda.
Il Generale 'Thunderbolt' Ross sta prendendo pian piano possesso degli organi politici più vicini alla squadra, iniziando a seminare dissidi fra i componenti.
Elle Selvig è stata la prima ad essere formalmente licenziata dalla squadra, ed ha riavuto il suo ruolo di Agente dell'F.B.I.. Insieme con Samuel, trova sulla scena di un
omicidio particolarmente efferato, le prove che Brock Rumlow, ora Crossbones, è ancora sotto l'Hydra e sta ripulendo New York da tutti i componenti dei più convinti gruppi anti-mutanti.
Dopo Lagos, l'opinione internazionale è particolarmente sensibile al tema, e l'attenzione generale sulla squadra è molto alta, mettendo alla prova l'amicizia di Elle e Natasha.

Nel frattempo, Steve Rogers ha compreso che Selvig sa qualcosa riguardo allo scomparso Soldato d'Inverno. Nonostante le prove che Elle ha incautamente lasciato al loro ultimo incontro, decide di non affrontarla direttamente, proseguendo le sue ricerche con Samuel Wilson.
Captain America ha nel frattempo intrapreso una relazione con Elle, nonostante i segreti di entrambi ed i problemi che devono affrontare. Elle vive un momento di profonda
angoscia quando la figlia adottiva, River, affetta da una forma psicologica di mutismo infantile, chiama il nome di James vedendo Steve Rogers.
Elle scopre così che la figlia è a conoscenza di qualcosa, ma ancora non riesce del tutto a spiegarsi il fenomeno.
James Barnes è invece arrivato a Seattle, seguendo le indicazioni di Elle, ed ha trovato asilo in casa di una ex compagna di università di Selvig, Valentina Tremonti la quale è stata una delle maggiori ricercatrici nel campo della Psicologia della Memoria.

Ed eccoci qui, prendetevi del tempo, un paio di pacchi di fazzoletti, cioccolata ed altri generi di conforto. 

Skyfall è tornata, bitches!



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ATTO VENTUNESIMO: ECHI

Capitolo dedicato alla dolcissima Giulia, detta anche Giulietta Beccaccina,
che oggi compie 22 anni! Una bella dose di Stellecky, al momento giusto!

"And no one showed us to the land,
And no one knows the wheres or whys.
But something stirs and something tries
And starts to climb towards the light
"

PINK FLOYD



Febbraio 2016


L'ampia stanza era riempita solo dai lamenti soffocati dei soggetti, malamente legati da catene di ferro alle pareti spoglie, macchiate dall'umidità e da una muffa nera come pece. L'aria era satura di odori nauseabondi; qualcuno dei prigionieri sembrava immobile, ghicciato dal fredddo invernale che entrava nella stanza dal tetto poco solido e dalle finestre, malamente rattoppate con pannelli di cartone.

L'unico ambiente illuminato era una tenda da lavoro, il bianco iridescente ed asettico che stonava contro il nero putrido delle pareti. Un uomo uscì con passo deciso dall'unico ingresso di quell'oasi candida, il clangore metallico che risuonava ad ogni passo. I prigionieri evitavano il suo sguardo, schiacciandosi gli uni contro gli altri in un groviglio silenzioso.

Era come loro, ed allo stesso tempo era intriso di un senso di superiorità, di invincibilità. Non sentiva più il dolore delle lacerazioni, dei tubi che uscivano dalle sue spalle e dalla schiena, delle macchie violacee laddove erano stati inseriti gli innesti. Sentiva la pelle tirare in modo strano, una specie di lamento cutaneo continuo alla quale si era presto abituato.

Mosse il braccio, e con esso tutto l'apparato metallico che aveva inziato a percepire come la sua salvezza, il suo modo per innalzarsi al livello dei suoi nemici.

Non aveva paura, non provava dolore. Nessun sentimento. Osservò, dall'alto delle protesi che sostituivano i suoi piedi, la massa nuda di soggetti che cercavano di coprirsi dalla sua vista, accalcandosi fra loro e nascondendo il viso con le braccia o contro le schiene degli altri. Li guardò, schifato.

Lui non era stato un semplice esperimento. Un test. Era una fenice, il risultato di un lungo percorso fatto di dolore e sacrificio. Per la causa. Per migliorare sé stesso. Per l'Hydra.

Era stato forgiato dal fuoco, che aveva distrutto i suoi lineamenti. Aveva distrutto chiuque lui fosse stato, prima della caduta di tutto ciò che conosceva, e che era solo un ricordo lontano. Un ultimo sprazzo di luce, cocente, che gli bruciava la pelle e fin dentro le ossa, prima dell'ombra rassicurante del buio, e del gelo.

Ora, importava solo chi era diventato. Crossbones. E la sua missione.


xxx


Elle prese un'ampia boccata di quell'aria pungente, ghiacciata, guardando il sole sorgere, i muscoli distesi e un'espressione rilassata. La luce avanzava, illuminando timidamente il bosco e la base operativa al centro di esso, i raggi che colpivano di spieco la cima degli alberi, producendo contro la neve candida intrappolata fra i rami un riverbero iridescente che la faceva sentire a casa. In lontananza, in una giornata più limpida, avrebbe potuto vedere il profilo della città di New York, la neve che ancora ricorpiva tutti gli edifici e le strade. Invece, una nebbia irreale copriva con il suo manto ghiacciato tutto ciò che la circondava, tutto ciò che andava oltre la balausta di quel tetto pano, rendendo ciò che vedeva ancora più irreale.

La tormenta era stata sorprendentemente violenta, quest'anno, e lei era sgusciata malvolentieri fuori dalle coperte tiepide, cercando quasi istintivamente la sagoma del suo Capitano. Però era a casa, dove aveva preferito rifugiarsi tutte le sere di quella settimana che andava concludendosi. Era Venerdì: questo voleva dire pace; poche ore ancora e sarebbe finita anche la sua esperienza come galoppina di Fury.

Lunedì aveva riavuto il suo distintivo dell'FBI, ed aveva ricevuto il suo primo incarico. Martedì era arrivata la sua lettera di dimissioni dalla squadra Avengers, firmata direttamente dal Generale Ross. Il resto della settimana, lo aveva passato fra una base e l'altra, tra una riunione e un tentativo di indagine, tra la sua nuova scrivania in mezzo ad un'ufficio affollato ed una sosta nel suo studio alla facility.

La sua lista delle cose da fare in quei giorni era stata pressochè eterna, e non sapeva quale delle varie note sarebbe stata quella che le avrebbe dato il colpo di grazia. La stoccata finale.

Teneva un piede sul cornicione, il ginocchio alzato, e le braccia rilassate lungo i fianchi. Il vento le scompigliava in modo fastidioso i capelli, che si erano allungati ancora. Non aveva tempo nemmeno di andare a farseli tagliare, e oramai le sfioravano le vertebre lombari. Se li scostò contro il collo, infilandoli con un gesto pratico nel bavero della giacca scura.

"Selvig."

Si voltò appena, riconoscendo nella fioca luce del mattino il profilo inconfondibile del miliardario più famoso della città. Annuì appena, facendogi cenno di avvicinarsi.

"Un uccellino mi ha detto che oggi hanno deciso di sciogliere completamente la squadra. Tu..." Elle rispose con un gesto vago con il capo. "Ho già riavuto il mio vecchio incarico, non preoccuparti per me."

Stark annuì, rabbrividendo nella costosa giacca firmata, nera con sottili righe grige. Si sistemò la cravatta rossa con un gesto nervoso, allentandola appena. "Un problema in meno."

Elle annuì, lo sguardo che tornava contro il panorama. "Mi mancherà tutto questo verde."

"Dobbiamo pensare al nostro comune amico." Esclamò nervosamente lui, riportandola al presente. Elle gli lanciò uno sguardo rassegnato, prima di infilarsi le mani nelle tasche. "Cosa succederà?"

"Chiederanno di votare un nuovo capo per la squadra che verrà a formarsi."

"Cosa hai in mente?" Stark si passò una mano sul pizzetto, schioccando le labbra. "Quello che faccio sempre quando non so cosa fare." Elle rimase in attesa, senza guardarlo, le labbra tese in una smorfia. "Prendere tempo." Concluse infine l'uomo.

"Come." Disse lapidaria lei. Lui sospirò. "Ci sarà una votazione. Per eleggere un nuovo capo per gli Avengers. Una votazione a due..."

"Ovvero tu, e..."

"Tu." Commentò Stark, sorridendole maliziosamente. "Solo noi due, a deliberare in una stanza. Ovviamente sorvegliata. Ross non ci vuole allungare il guizaglio, ma l'ho convinto che sei la persona giusta. Tu devi solo stare al mio gioco."

"Non penso di volerti dare il comando di una legione di mutanti. Sono gli stessi che vorresti far schedare."

"Devi fidarti di me. Fai il mio nome. Vedrai che non sarò io a predere il comando, non oggi."

Elle lo scrutò appena. "Stark, non costringermi a leggerti nella mente per capire a cosa stai pensando."

"Non prenderò il comando degli Avengers. Non prima di aver avuto occasione di parlare con il Capitano." Elle prese una boccata d'aria. "Allora, siamo dalla stessa parte?"

Stark scosse il capo, le spalle rigide. Non aveva più quell'espressione strafottente che sembrava accomagnarlo sempre. Era fragile. Elle se ne rese conto, vedendo come teneva le mani in tasca, e come il suo sguardo vagava con un accenno di angoscia nel cielo aperto, che lei trovava così rassicurante.

"Non penso siamo dallo stesso lato della barricata, Selvig. Diciamo che sei la persona più affidabile, fra le linee nemiche." Elle annuì appena. "...Nemiche."

Stark si guardò attorno, prendendo un'ampia boccata d'aria. "Incredibile, io che cerco di proteggere il mondo da Rogers..."

Elle si sedette sul cornicione, battendo il palmo della mano sul muro di fianco a sé. L'uomo la guardò un secondo, prima di sedersi anch'egli, scostando la giacca con un movimento elegante. Estrasse un pacchettino dalla tasca della giacca. "Arachidi?"

Elle fece un'espressione combattuta, prima di allungare la mano. L'uomo lasciò cadere con un gesto calmo un paio di frutti sgusciati, guardandola appena. "Grazie, Stark."

Rimasero a masticare in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. Stark si strinse nelle spalle, rimettendo la sua maschera di incoscienza. "Pensavo mi avresti buttato giù dal tetto."

Elle fece un gesto vago. "Mi hai offerto del cibo, sarebbe scortese."

Stark si strinse nelle spalle. "Ho appena detto che voglio salvare il mondo dagli affetti malriposti del tuo Romeo, Ikea."

Elle scostò lo sguardo, con una smorfia divertita. "Avevo capito anche prima, Stark." Fece un gesto vago, prima di infilarsi le ultime arachidi in bocca con un unico gesto. "Barnes sembra pericoloso, ma tu cosa faresti se potessi aiutare qualcuno che tutti ritengono pericoloso ma che in realtà non lo è?"

L'uomo sorrise appena, lanciandole uno sguardo divertito, gli occhi nocciola illuminati dal sole che aveva quasi superato la linea degli alberi.

"Se parli dell caso Felpa Blu, ce ne siamo accorti solo in pochi..." Elle sbattè le palpebre, maledicendosi in tutte le lingue che conosceva. "Capt compreso. Anche se..." Appoggiò il mento sulla sua mano, arricciando le labbra. "Questo è un punto che non mi è chiaro."

"Perchè?" Replicò scocciata Elle, guardandosi la punta degli stivali neri. "Se ci fosse stato Rhodey, al posto del Soldato..." Fece un gesto vago con la mano libera, le sopracciglia aggrottate. "Ti avrei presa e sbattuta in giro fino a che tu non avessi parlato." Elle lo guardò perplessa, le labbra schiuse dalla sopresa. Stark scoppiò a ridere. "Non il quel senso, Barbie. Non sei decisamente il mio tipo, e io sono un uomo impegnato."

Elle riprese a respirare. "Intendi che mi avresti torturata, ecco..." Borbottò, sollevata. Stark scoppiò a ridere. "Almeno abbi la decenza di nascondere il sollievo, ho un'autostima! E comunque..." Mulinò le sopracciglia. "...Dubito che con Capitan Ghiacciolo tu veda un po' di azione."

Elle scoppiò a ridere, dandogli una spallata e alzando lo sguardo, imbarazzata. "Questi non sono affari tuoi." Stark la seguì nella sua risata. "Lo so, ma è troppo divertente immaginarlo mentre tenta di-" Elle fece finta di spingerlo giù dal tetto, facendolo scoppiare di nuovo a ridere. "Non sei divertente."

"Non è vero, e lo sai." Commentò lui, rilassandosi, le gambe aperte e le mani appoggiate sulle gnocchia. Sembrava un normale uomo d'affari, su un tetto alle cinque del mattino a chaccherare con una donna in maniche di camicia.

"Comunque, Elle, non so che dirti. Barnes è pericoloso. Se dovessi sapere che sai dove è in questo momento, e non lo hai rivelato al Consiglio Mondiale, sarebbe alto tradimento."

Si grattò appena la tempia. "Non ho dubbi sul fatto che vada catturato, ma se, anzi, quando Ross darà l'ordine di ucciderlo..." Elle fece per alzarsi, scuotendo la testa. Tony la prese per il braccio, spingendola di nuovo seduta. "Devo rispondere a degli ordini. Dobbiamo rispondere a degli ordini." Elle lo guardò, l'espressione tesa. "Dimmi chi sei e che ne hai fatto di Tony Stark." L'uomo scosse il capo, un finto sorriso sulle labbra sottili.

"Selvig..." Aspettò che lei si voltasse a guardarlo. "Tutti devono crescere, prima o poi. Noi non siamo un corpo militare diverso dagli altri. Dobbiamo rispondere a degli ordini. Prima erano gli ordini del Capitano, ma ora.."

"Ora sono gli ordini di Ross." Commentò lei asciutta. Lui annuì, l'espressione improvvisamente contratta. "So che Ross non vincerà mai il Nobel per la pace. Non hai idea di cosa mi farebbe Banner se sapesse che..." L'uomo scosse il capo. "Ma è un inizio."

"E Steve?" Chiese Elle, sospirando. Stark scosse il capo. "Rogers non è più la persona che ho conosciuto quando siamo saliti su quell'elicarrier, tre anni fa." Commentò asciutto. "E da quando è comparso Barnes..." Elle sospirò. "E' il suo amico."

"E' uno psicopatico pluriomicida a piede libero."

La svedese si morse il labbro inferiore, riflettendo. "Uno psicopatico pluriomicida che non ha ancora ucciso nessuno."

"Lagos. L'omicidio del nazistoide, dove sei andata lunedì. Daranno la colpa di tutto a Barnes."

Elle represse un verso disgustato, alzandosi. "Tu sai che non è stato lui."

"Ha ucciso i miei genitori." Commentò asciutto. Elle lo squadrò, da un paio di passi di distanza. "Ne sei sicuro?" Stark fece un verso sconsolato, aprendo le braccia.

"Alla gente serve sapere che sappiamo chi è stato. E che ci stiamo muovendo per prendelo. Oppure, invece che a Barnes, daranno la caccia a tutti noi. Tutti." Esclamò con tono agitato lui. Elle sbattè un piede a terra, furibonda. "A te serve sapere che hai sotto mano l'uomo che ha ucciso i tuoi. Ucciderete l'uomo sbagliato, solo per usarlo come capro espiatorio! Per non fare la fatica di indagare sugli uomini veramente colpevoli!"

Stark alzò il capo, guardandola come un padre guarderebbe la figlia adolescente ribelle. "Selvig, cerca di capire. L'altro giorno un bambino ha fatto vedere alla sua maestra che poteva far levitare dei fogli di carta, comandando delle correnti ascensionali. Uno sbuffo d'aria." Abbassò lo sguardo, prendendo un ampio respiro. "La maestra ha chiamato l'antiterrorismo e sono intervenuti persino i servizi segreti. Quel bambino è stato in commissariato, in una cella, per dodici ore prima che lo rilasciassero, capendo che non voleva fare del male a nessuno."

Elle rimase in silenzio, senza poter dire nulla, lo sguardo perso in quello del miliardario, i pensieri che correvano a mille nella sua testa, senza darle un secondo di tregua.

"Continueranno ad accadere casi del genere, se non calmiamo le masse. E, se Barnes è un uomo onorevole anche solo la metà del suo amico in tutina azzurra, lo capirà da solo."

Elle rimase in silenzio, mentre Stark si alzava, appoggiandole una mano sulla spalla. "Non è una scelta che spetta a noi, decidere cosa è giusto e cosa non lo è. Dobbiamo scendere a compromessi, prima che si arrivi ad una guerra civile." Elle annuì appena, guardando il pavimento in cemento del tetto, senza espressione. Stark si avvicinò appena al suo orecchio, sospirando. "Più che di Barnes, preoccupati di Rogers."

Si allontanò verso la porta, estraendo le mani dalle tasche del completo elegante. Si fermò solo un secondo sulla soglia, riallacciando la cravatta e stringendola contro il colletto della camicia di sartoria.

"Uno è un Soldato, e l'altro è un Capitano. Ma devo ancora capire chi dei due stia seguendo l'altro, verso il baratro." Esclamò, guardandola con espressione grave. Elle voltò appena il capo, i capelli che scivolavano fuori dalla giacca e tornavano a coprirle il viso. Stark restò a fissarla, alzando un pollice e cercando di sorridere nel modo più finto che gli riusciva.

"Ricordati: vota Stark."

Quello sarebbe stato un giorno decisivo.


xxx


"...Allora, tu stai studiando come una matta da due anni per entrare nell'Eqipe di ricerca di questo professore, no?" Val fece una smorfia, agitando le mani,presa dal racconto che stava facendo al suo ospite, i capelli tenuti lontani dal volto rotondo da una fascetta azzurra. Era una settimana che James viveva sul loro divano, e quella serata si era svolta come le precedenti: avevano guardato un po' di televisione, seduti sul divano. Il suo coinquilino era uscito, come la maggior parte delle sere, e probabilmente non sarebbe tornato a casa. Quando Valentina si era svegliata per andare a bere, cosa per lei insolita, si era accorta prima ancora di arrivare ciabattando nel soggiorno che qualcosa non andava.

James si agitava violentemente sul divano, la coperta stretta fra i denti ed i capelli aggrovigliati attorno al viso sudato.

Per la prima volta da quando era arrivato, Val ne aveva avuto paura. Perchè il suo volto era in tutti i notiziari, e tutti sostenevano che avesse ucciso un uomo a New York. Nonostante Barnes fosse già a casa sua, al momento dell'omicidio, Valentina non poteva non chiedersi se fosse giusto, se fosse sicuro tenerlo nascosto nel suo appartamento. Se non avrebbe potuto rivelarsi pericoloso.

Poi, improvvisamente, James si era alzato a sedere sul divano, gli occhi sgranati ed il fiato corto, e l'aveva guardata come un bambino quando si perde al centro commerciale. Non aveva detto nulla, nè aveva versato una lacrima: aveva preso ampie boccate di aria, scuotendo il capo come per scacciare via anche gli ultimi echi lontani dei suoi incubi.

Val era rimasta sullo stipite della porta, chiedendosi se fosse il caso di entrare o meno. Indecisa, i piedi nudi che facevano sfregare a terra le ciabatte a fantasia muccata, ritmicamente. James evitava il suo sguardo, la maglietta bianca di Ethan che gli stava decisamente troppo attillata sulle spalle rigide.

Valentina non aveva, in quel momento, nè la concentrazione nè le energie per consolare l'altro. Si era mossa lentamente attraverso il salotto buio, la grossa felpa che si era infilata che la faceva assomigliare ad un grosso involto scuro, ed aveva messo due tazze d'acqua nel microonde. Era rimasta nella pallida luce a neon della cucina, appoggiata al ripiano, a guardare le tazze girare attraverso il vetro, senza voler infrangere il momento privato di James.

Aveva buttato due bustine di infuso nelle tazze, e si era avvicinata lentamente, aspettando di vederlo voltarsi verso di lei, con lo sguardo un po' perso che lo aveva accompagnato dall'inizio della loro convivenza forzata.

L'uomo invece stava chinato in avanti, con i pugni stretti appoggiati al viso, in una posa di evidente disperazone.

Val dubitava di poter alleviare tutta quell'ombra che lo pervadeva con una semplice tazza di camomilla. Ma, se fosse tornata a dormire facendo finta di nulla, avrebbe dimostrato a se stessa di essere una persona ancora più misera di come già si considerava.

Così si era seduta, sul lato più distante dall'uomo di quel divano, comprato a poco in qualche mercatino, e aveva cominciato a parlargli di lei, di come conosceva la Selvig, e di come era arrivata lì, a Seattle, a lavorare come cassiera in un Walmart.

Cercando di esorcizzare i pensieri che riempivano di angoscia la mente di lui, nascosta nell'ombra della notte, gli aveva rivelato con schiettezza ciò che perseguitava lei.

"E improvvisamente nella tua classe di psicologia cognitiva arriva questa, diciotto anni, alta, bionda, occhioni da cerbiatta, voti perfetti... Una che potrebbe essere presa in qualsiasi progetto di dottorato, no?" James fece un gesto di assenso con il capo, iniziando a distrarsi, appoggiandosi con la schiena al divano, le sopracciglia aggrottate. "E invece vuole proprio andare li, dal professor Dalton, a fare ricerca sulla memoria. E io sbavavo dietro a quel progetto da quando ero alle superiori, da quando mia nonna si era ammalata di Alzheimer, cinque anni prima. Sai cos'è l'Alzheimer, vero?" L'altro annuì appena. In realtà non aveva idea di che cosa stesse parlando la donna, ma sembrava di vitale importanza stragica non interromperla. Avrebbe potuto attaccarlo alla gola, infervorata com'era dal suo discorso.

"Io passo le settimane, i mesi, gli anni china sui libri. Vedo tutti i giorni gli altri studenti uscire, Selvig compresa, sempre con quella sua coinquilina, quasi fossero una coppia, sempre fuori a divertirsi. Ed io invece resto nella mia stanza, a studiare, fino a degli orari assurdi. Sputo sangue, per raggiungere i miei scopi." Portò una mano al capo, grattandosi i corti capelli neri con un gesto nervoso, gli occhi che scrutavano la tazza quasi vuota appoggiata sul tavolino di fronte a lei. Prese un respiro, proseguendo con tono più basso il suo racconto, l'espressione di una persona che si sta confessando in chiesa.

"Ero così vicina al mio obiettivo. Ero andata a ricevimento dal professore, uno dei maggiori leader della ricerca in Psicologia Cognitiva, Philip Dalton. Sono un fascio di nervi, mi ripeto che mi sto giocando la mia grande occasione, e ad un certo punto entra lei. Elle Selvig. E lui ricomincia a spiegarci cosa dovremo fare, ma la guarda, la chiama per nome, le sorride. Lei è una maschera di indifferenza, mentre io mi agito sulla sedia e mi torco le mani. Ed è lì che capisco, okay, che il posto in realtà è già suo. Che il Professore non deve veramente scegliere, ha già scelto, nel momento in cui Selvig è entrata dalla porta. E lei lo guarda, inespressiva, finchè lui non si interrompe un attimo, estraendo i moduli delle nostre candidature. Ed in quel momento..." James pendeva dalle sue labbra, seduto sul divano, le braccia appoggiate alle ginocchia e la testa voltata nella sua direzione, l'improbabile maglietta bianca che lasciava scoperte al freddo di febbraio le braccia, i capelli puliti e ora legati in una coda bassa. Vera guardò un attimo la tazza, prendendola e tenendola tra le mani giunte, raggomitolata con le ginocchia al petto contro il divano. Scosse un attimo il capo, lo sguardo perso nel vuoto.

"Non so dirti che cazzo è successo, a dire il vero. Lei lo ha guardato, non è che lo ha guardato, lo ha fulminato con lo sguardo. Come se lui avesse appena estratto un suo set fotografico in costume, o se le avesse fatto qualche commento inappropriato. Lui alza lo sguardo, lei è ancora lì, con ancora quell'espressione tesa. Si alza, tende la mano verso il professore, e con tono glaciale dice 'La ringrazio per la sua offerta, ma non penso che sia il giusto percorso per la mia carriera.'." Vel scosse ancora il capo, prendendo una sorsata di thé.

"Non ho mai veramente capito... Non me lo sono mai veramente chiesta. Dopo, sono stati i sei mesi più soddisfacenti della mia vita. Ho dimenticato Selvig, e tutto quello che era successo a quel colloquio. Stavamo trovando una nuova cura per le persone affette da amnesia, un farmaco che avrebbe potuto salvare milioni di vite condannate al vuoto. Parlavo con i pazienti, facevo sedute, test, il mio lavoro insomma. Ero felice." La ragazza alzò lo sguardo sull'uomo, che la stava pazientemente ascoltando, le labbra schiuse per l'attenzione. "Poi, un giorno, si scopre che le staminali per quella cura vengono estratte dai bambini al commercio degli organi... Brasile...Thailandia...Sangue, polpa dentale, adipe...Non solo i cordoni ombelicali."

Barnes restò basito, ghiacciato sul posto dal tono di lei, un misto di raccapriccio e innocenza rubata. "Mi dispiace." Sussurrò solo, riportando lo sguardo sul tavolino. Afferrò l'altra tazza, ancora piena, bevendone una generosa sorsata. Val annuì appena, senza guardarlo.

"Ho perso tutto. Abilitazione. Credibilità. Stavo per finire in prigione. Ma..." La ragazza alzò le sopracciglia scure, con un sorriso sghembo, mentre lui riportava lo sguardo su di lei. "....Fatalità, mentre io diventavo un'assassina senza nemmeno saperlo, lei era entrata nell'FBI. Mi chiamò, e si prese carico di aiutarmi. Il perchè, lo sa solo lei. Ma io, da allora, ho sempre ripensato a quel colloquio. Non sono mai riuscita a togliermelo dalla testa. Elle Selvig sapeva."

Barnes le prese la tazza vuota dalle mani, alzandosi senza dire nulla. Aveva sempre avuto dei dubbi, su come Elle fosse stata in grado di trovarlo la prima volta. Sul comportamento di Rumlow. Ma soprattutto, su come la sua anima lorda di sangue non la avesse fatta fuggire. Elle aveva visto qualcosa, in lui, qualcosa che la aveva portata a difenderlo, a costo della sua stessa vita. Qualcosa che la aveva convinta subito, appena i loro occhi si erano incontrati, forse già mentre scrutava quella vecchia casa immersa nel nulla, più di sei mesi prima.

Allungò la mano, stringendo leggermente quella della donna in un gesto comprensivo, e poi le prese la tazza dalle mani, allontanandosi e riponendola nel secchiaio della piccola cucina insieme alla sua. Val lo ringraziò, sistemandosi meglio sul divano e voltando il capo per vederlo meglio anche attraverso la piccola penisola della cucina. "Ora che sai praticamente la storia della mia vita, parlami di te. Da quello che mi ha detto Elle, sembri uscito da una specie di progetto MK Ultra..."

Barnes la guardò un attimo, perplesso, avvicinandosi al frigorifero. Estrasse una fiala, prendendo poi da un cassetto una siringa confezionata. Era solo una settimana che aveva cominciato la cura, ma aveva già preso dei ritmi precisi. Vera diceva che fosse a causa del sentimento di smarrimento dato dalla prolungata assenza dell'elettroshock, di come la sua mente fosse affamata di scadenze precise, di regole. Dopo ogni risveglio, di solito al mattino, ed alla sera prima di dormire, doveva prendere un concentrato di Diazepam e altri inibitori della colinesterasi. Dopo aver sognato ancora l'uomo con lo scudo, era sicuro che non sarebbe riuscito a prendere nuovamente sonno.

Tornò sulla poltrona, mentre Val si sporgeva a stringergli il bicipite del braccio sano con un laccio emostatico. "Se ti dovessero fermare, penserebbero che fai uso di droghe. Anche se..." Indicò l'altro braccio, che brillava di luce riflessa. "...Presumo che smetterebbero di preoccuparsi dopo aver vistro l'altro."

James sorrise divertito, mentre Val riempiva una siringa, picchiettandola con uno schiocco di dita. "Mi inquieta come Elle riesca a procurarsi queste cose dalla sera alla mattina, da un lato all'altro del continente." L'altro sorrise appena, lo sguardo vacuo.

"So che non sei esattamente..." L'altro riportò l'attenzione sulla ragazza. "Cosa?"

"Sei depresso, James. Hai un chiaro disturbo post-traumatico da stress." Concluse Val, crudemente, infilando l'ago nel suo braccio sano. James fece una smorfia. "Se mi agito troppo, temo che..."

"Selvig non mi ha spiegato cosa facevi prima, e perchè ti hanno ridotto così."

"Mi hanno addestrato ad uccidere." Esclamò piano lui. "Ero un sicario."

Val deglutì, spingendo lo stantuffo. "Immaginavo..."
"E mi hai lasciato comunque restare a casa tua?" Chiese sorpreso lui. Val alzò appena lo sguardo, un lato delle labbra sollevato in una smorfia. "Certo."

Fermò con un dischetto di cotone l'ago, estraendolo con calma. "Immaginavo che tu non fossi un tecnico di laboratorio, per finire conciato così nel mio salotto. Inoltre..." Estrasse tutto l'ago, sorridendo fra sé e sé. "Un tecnico non avrebbe certo tutto quel ben di dio, sotto la maglietta."

James, dopo anni di congelamento, di fughe e di angoscia, arrossì. Val quasi scoppiò a ridere. "Con quel muso, non avrei mai potuto buttarti fuori di casa! E, come hai sentito..." Si alzò appena, iniziando a incartare la siringa e la confezione del farmaco. "...Non sei l'unico assassino, qui dentro."

James sorpirò, guardandola alzarsi. "Non è la stessa cosa. Tu non sei un'assassina, Valentina. Non lo sapevi."

"Nemmeno tu, da quello che mi pare di aver capito." Commentò piano lei, sorridendo, mentre lui lasciava la presa.

"Domani faremo la tua prima seduta, con Elle collegata e tutto. Sarà una giornata lunga, sempre se arriveremo entrambi in fondo. Ora, riposati." Concluse la donna, guardandolo mentre si stendeva sul divano, un cuscino rosa shocking sotto alla testa e una coperta a fantasia di nuvole e aereoplanini sopra. Lo guardò un attimo dalla soglia del soggiorno, prima di spegnere la luce, sentendo ancora lo sguardo dell'altro addosso.

"Buonanotte, James."

"Buonanotte, Val."


xxx


Uscì con passo deciso nella stanza, le maniche della camicetta bianca arrotolata ai gomiti ed i capelli ben legati in una treccia alla nuca. Stark era dietro di lei, un braccio piegato contro la spalla e la giacca elegentemente tenuta fra le dita della mano, in una posa quasi costruita.

Come predetto da Stark, Ross aveva deliberato per il congedo di Elle dalla Facility a causa di un deliberato conflitto di interessi. Steve si era quasi alzato dalla sedia, ma lo sguardo dell'altra, da un lato all'altro del tavolo, lo aveva spinto a rimanere seduto.

Elle era stata riassegnata al tavolo delle trattative come 'testimone presente al momento dei fatti di Lagos', e come 'esponente del reparto analisi comportamentale' dell'FBI. Aveva trovato ridicolo il ragionamento di Ross, per il quale farla spostare da un lato all'altro del tavolo avrebbe influito sulla determinazione dei suoi compagni alla causa, ma aveva obbedito in silenzio.

Steve le aveva sorriso un secondo, mentre Elle prendeva posto. L'unica cosa che non le era del tutto andata a genio era vedere Sharon spostarsi sulla sua sedia, piegandosi per suggerire qualcosa all'orecchio del Capitano. Aveva dissimulato l'espressione infastidita, appuntandosi il cartellino dell'FBI al bavero della giacca da ufficio.

Quando Ross aveva esclamato che avrebbero tolto temporaneamente il comando a Steve, Natasha si era guardata attorno leggermente a disagio, mentre Samuel si alzava di scatto, Wanda che sgranava gli occhi, mettendogli una mano sul braccio e facendolo nuovamente sedere. Era stata nominata una commissione per decidere chi sarebbe dovuto intervenire a comando della squadra, e quindi era finita in una stanza da interrogatori, chiusa insieme a Stark, a recitare un copione già deciso.

Quell'uomo era un attore nato: rispetto a quella mattina, sembrava un'altra persona. Sicuro, strafottente, deciso. L'aveva guardata sogghignando, estraendo una confezione di cracker dalla giacca. "Dobbiamo riempire la prossima ora, Selvig."

Elle si era guardata attorno, sedendosi sulla sedia storta e guardandolo con sguardo provocatorio. "Fammi indovinare, ci guardano ma non possono sentirci?"

Stark annuì. "Forse solo il tuo gentile consorte, visto il Super Udito. Ma nemmeno la gemella può leggerci nel pensiero." Si avvicinò allo specchio, sapendo che dietro almeno una dozzina di persone li stavano fissando con il fiato sospeso. Picchiettò sopra con le nocche. "Uno dei miei migliori progetti."

Avevano parlato del più o del meno, sempre cercando di non mostrare il labiale a coloro che stavano fuori. Avevano giocato ad 'Io non ho mai' fingendo di litigare, ed ad un certo punto Elle aveva persino sbattuto la cartelletta dei file degli altri Avengers sul tavolo, fingendo di non essere d'accordo. Alla fine, avevano bussato per uscire.


La Svedese rientrò nella sala riunioni, facendo un cenno a Wanda. La donna nascose un sorriso dietro la mano, mentre Visione li guardava perplesso. Samuel sembrava seduto su una sedia chiodata, e si agitava cambiando posizione ogni due minuti. Natasha era ghiacciata sul posto, le mani giunte davanti alle labbra pallide. Non alzò nemmeno lo sguardo su Elle, che deglutì appena, angosciata. Si sedette accanto a Stark, che invece sembrava nato per essere seduto a quel tavolo, il petto all'infuori e lo sguardo acceso di vivo piacere. Sembrava sguazzare nel disagio di quella stanza, allungando un braccio sopra lo schienale della sedia di Elle, facendo irrigidire Steve, che lo fissava truce. Sharon si guardò attorno, imbarazzata, il cartellino che recava la scritta CIA appuntato in malo modo sul piumino, i capelli accuratamente stirati che le incorniciavano il viso a cuore. "Dicevamo.." Esordì, senza attirare l'attenzione di nessuno.

La porta si spalancò. "Ben arrivato, ex direttore Fury." Commentò Ross, squadrandolo in modo poco amichevole. "Si stava bene, all'inferno?"

"Benissimo..." Rispose l'uomo in nero, avvicinandosi ad affrontarlo, faccia a faccia. Maria lanciò uno sguardo accigliato ad Elle, che annuì impercettibilmente, facendo un minimo cenno verso Stark. Maria sorrise appena, rilassandosi. "...Mi hanno detto che le tenevano un posto in caldo." Concluse Fury, cercando lo sguardo di Steve. Questi gli lanciò un'occhiata di sbieco. "Scusate il ritardo, non ero stato informato di questo meeting."

"Che disdetta..." Commentò uno dei tirapiedi di Ross, un uomo in completo nero, il viso inespressivo. Fury lo gelò con lo sguardo, restando in piedi, a braccia conserte, accanto al generale.

"Allora, Anthony Stark ed Elle Selvig sono stati sorteggiati per deliberare chi sarà il temporaneo sostituto a capo degli Avengers, finchè Steve Rogers non sarà ritenuto di nuovo idoneo a questo compito."

Steve strinse i pugni, scostando lo sguardo dal viso baffuto dell'uomo a capotavola. Sharon allungò una mano, facendogli un buffetto. Elle fece finta di nulla, prendendo un'ampio respiro, mentre Natasha la guardava preoccupata.

"Prima le signore..." Commentò appena Stark, dandole un leggero colpo sulla schiena. Elle lo guardò torva, alzandosi lentamente, le mani che stringevano una bottiglietta d'acqua.

"Elle Selvig, agente speciale di sesto livello dell'FBI, esponente per il reparto analisi-" "Sappiamo tutti chi è, signorina." Commentò Ross, sedendosi e facendo un gesto con la mano. "Vada al sodo."

"Il mio voto per l'assegnazione del comando del progetto Avengers e della squadra speciale ad esso legata va ad Anthony Stark."

Il gelo scese nella stanza, mentre Elle si sedeva di nuovo. Sapeva a che gioco stava giocando, quando era scesa in campo seguendo il piano strampalato di Stark. Sentiva lo sguardo bruciante di infamia di Sharon, quello sconvolto di Natasha, quello perplesso di Fury, e soprattutto, quello deluso di Steve Rogers. Alzò appena lo sguardo, il chiacchericcio che si diffondeva per la stanza, mentre Steve rimaneva a fissarla, la mascella contratta e gli occhi immobili in un'espressione raggelata. Elle provò a fare qualche espressione, un cenno, per fargli capire che faceva tutto parte di un piano, ma Sharon gli sfiorò la spalla, e l'altro si voltò a sentire cosa gli stava dicendo l'agente Carter. Elle sprofondò nella sedia, sentendo il petto riempirsi di ghiaccio. La partita non era ancora finita, ma a lei ora spettava solo il ruolo di spettatrice.

"Allora è deciso." Esclamò divertito Ross, girando sulla sedia verso il lato del tavolo dove sedevano gli Avengers. Nessuno osò fiatare, finchè una voce forse ancora più divertita non interruppe quel clima teso.

"Il mio voto quindi non conta, Generale?" Chiese Tony, appoggiandosi al tavolo con i gomiti, le mani aperte in un gesto infastidito. "Se mi avete fatto venire fin qui solo per dirmi che sono il nuovo Capitano..." Elle si irrigidì, mentre tutti rabbrividivano a questa provocazione. Steve rimase immobile, lo sguardo che fronteggiava quello di Stark. "...Potevate fare una telefonata, invece che darmi tutto questo disturbo. Ci vuole mezz'ora in auto per arrivare qui."

Fury alzò una mano sul viso, coprendosi gli occhi con una smorfia. Maria li guardava, sconvolta. Ross si voltò verso l'uomo, lentamente, guardandolo con un sopracciglio alzato.

"Sappiamo tutti che il suo voto andrà a sé stesso, ma se vuole la soddisfazione di dirlo ad alta voce, prego." Commentò, facendo segno di accomodarsi con le mani.

"Grazie, Generale." Rispose Stark, fintamente servile. Si alzò lentamente, sistemando i polsini della camicia, leggermente piegato in avanti. Elle appoggiò il gomito al tavolo, guardandolo esasperata. Lui le fece l'occhiolino.
"E' un piacere vedervi qui tutti, oggi." Iniziò, mentre Steve sospirava platealmente e si allontanava con le braccia aperte dal piano del tavolo, scostando lo sguardo da quel teatrino.

"Io, Anthony Stark, come primo ad essere stato scartato dall'originale progetto Avengers - a proposito, grazie, Natasha..." Mandò un bacio alla rossa, che prese un ampio respiro, alzando gli occhi al cielo. "Come finanziatore del progetto, per aver messo a disposizione le strutture e come salvatore della terra dal disastro alieno..."

Elle si prese la testa fra le mani, immaginandosi il probabile seguito. Perchè si era fidata di Stark? Come era stata così stupida? Perchè si fidava sempre di tutti?

"Nomino Elle Selvig come comandante del progetto Avengers e della squadra."

Elle rimase immobile, un secondo, le spalle rigide come una scultura di marmo. Cosa aveva appena sentito?

"Non sia stupido, Stark, Elle Selvig è appena stata esonerata dal lavoro alla Facility."

"Non vuol dire che non possa avere il comando." Commentò Stark, indicandola. "E' una mutante, ha le competenze adatte, inoltre ha già effettuato una missione con la squadra. Risponde a tutti i requisiti richiesti."

"Non è legale." Ross guardò i suoi assistenti, perdendo il filo della discussione per un secondo. "Non è americana!"

"Per questo, con Selvig al comando, la giurisdizione sulla squadra non sarebbe più sottoposta a lei, generale, o al presidente." Stark si strinse nelle spalle. "Passerebbe tutto sotto-"

"Le Nazioni Unite." Commentò Natasha, riprendendo colore. Steve si raddrizzò, iniziando a capire il piano. Wanda annuì, facendo un'espressione soddisfatta. Elle si guardò attorno, cercando di nascondere tutta la paura che provava in quel momento, dietro un muro di indifferenza. Stark si sedette di nuovo, avvicinandosi leggermente. "Sii come me, Selvig." le sussurrò appena. Elle guardò Steve, sprofondando di vergogna in quegli occhi di un blu fin troppo profondo. Avrebbe potuto annegare, in tutta la confusione e l'irrequietezza che contenevano. Rimase immobile, a fissarlo, come ipnotizzata.

"E come si diventa come te, Stark?" Commentò, un sibilo appena tangibile. L'uomo si appoggiò alla sua spalla, guardando Ross e Fury che discutevano.

"Ignora tutti i loro echi. Sai già chi vale davvero la pena ascoltare." Rispose il miliardario, attirando il suo sguardo e indicandole la fronte candida con un dito. Elle si allontanò dal tavolo con il busto, lo sguardo basso.

"Penso che ci serva una pausa." Commentò Fury, attirando la loro attenzione. Tutti li stavano guardando, gli sguardi a metà fra il furibondo e l'incredulo. "Il comandante non si sente bene, temo."

Elle alzò lo sguardo, vedendo che tutti la fissavano. Deglutì.

"Penso che dovremmo schiarirci tutti le idee, si." Disse solo, alzandosi di scatto, la sedia sche scorreva sulle sue rotelle dietro di lei. "Riprendiamo tra tre ore, dopo il pranzo."

Disse con tono deciso, intimidita da tutti i loro sguardi. Girò sui tacchi, passando dietro a Wanda ed uscendo come un fantasma dalla stanza, prendendo al volo la giacca da ufficio, buttata su uno scaffale dietro a dove era seduto Rogers.

Steve la guardò sfilare davanti a lui, senza voltarsi per vederla uscire, lo sguardo angosciato. Natasha si avvicinò lentamente, fulminando Sharon con lo sguardo e piegandosi verso di lui. "Penso che dovresti raggiungerla. Ross lo sta facendo apposta, per cercare di dividerci tutti. Stark ha trovato una soluzione elegante: solo Elle e Wanda non hanno la cittadinanza."

L'uomo annuì, la mascella contratta e lo sguardo teso. Si alzò lentamente, senza rispondere, ed uscì dalla porta.


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"Elle!" La rincorse per il corridoio, vedendola camminare con passo stanco verso le scale. La donna non si scompose, senza emettere un fiato, senza nemmeno voltarsi verso la voce che la chiamava, con tono feroce, alle sue spalle.

"Elle!" Urlò ancora, avvicinandosi - anche correndo, lei non sarebbe mai stata in grado di seminarlo, e questo la giovane lo sapeva - e afferrandola per il braccio. Elle spinse verso il basso istintivamente, facendo leva con l'altra mano, il polso sottile che sgusciava tra le due dita. "Non ti permettere, Rogers." Commentò lei, guardando il manipolo di persone che stavano uscire dalla loro stessa stanza. "Non permetterti mai più di sfiorarmi anche solo con un dito."

L'uomo la guardò, lo sguardo sconvolto, le braccia ancora tese verso di lei. Abbassò il tono di voce. "Bastava dirmelo, Selvig." Sussurrò lui, mentre lei riprendeva il cammino. La seguì verso le scale. "Se avessi saputo del tuo piano, io non avrei mai..."

"Stai zitto, Rogers." Commentò lei, senza guardarlo. Indicò con il pollice alle sue spalle, senza degnarlo di un cenno. "E' bastato quello, per farti dubitare di me."

"Come avrei potuto sapere che-"

"Non potevi." Sussurrò Elle, appena furono sulle scale. Lo spise dalle spalle spalle contro al muro, l'espressione tesa. Steve per un secondo rimase stupito: anche se si era lasciato spostare, Elle stava diventando sempre più forte. Doveva essere curioso da vedere, una ragazza sottile come lei che teneva al muro un uomo grande il doppio. "Io e Stark ci siamo accordati stamattina." Commentò asciutta Elle, guardandolo con lo sguardo più raggelante della loro conoscenza, un braccio appoggiato contro il muro di fianco a lui e il capo alzato. La pelle efebica, decorata solo dalle linee blu delle vene, sembrava ancora più bianca della camicia candida che portava, e che le stava leggermente grande. "E' bastata un'ora in una stanza con Stark, a farti mettere in dubbio la mia integrità morale." Sussurrò lei, incredula, portandosi dietro l'orecchio un ciuffo biondo che era sfuggito alla coda. "Dopo tutto quello che è successo negli ultimi giorni, è bastata un'ora..."

Steve non seppe rispondere, restando in silenzio, il capo chino vicino al suo. "Non pensavo che sarebbe successa una cosa del genere, Elle. Non ero preparato."

"Io mi sono fidata di te, Steve Rogers." Scosse il capo. "Ma, a quanto pare, non mi sono guadagnata la tua, di fiducia."

"Ti sei fidata di me?" Commentò lui, con tono duro. "E in quale particolare momento, fra quello in cui mi nascondi il mio migliore amico e quello in cui ti allei con Stark, tu ti saresti fidata di me?"

Elle trattenne il respiro, mentre l'altro si pentiva subito della sua domanda retorica, trattenendo il fiato. Elle fece un sorriso triste, annuendo appena con il capo, il corpo che si allontanava istintivamente dal suo.

"Io mi sono sempre fidata di te, Steve. Ho fatto un patto con l'essere più incostante del mondo conosciuto perchè non ti cacciassero, e non ti togliessero lo scudo. Ho nascosco il tuo amico perchè, sai, forse fra un assassinio e l'altro, nonostante un ex agente pazzo che ci vuole entrambi morti, è anche mio amico! Forse perchè io l'ho mandato dove può essere aiutato, e non dove non è al sicuro." Esclamò Elle, il viso contratto dalla rabbia. "Mi sono fidata abbastanza da mettere in gioco il mio lavoro, la mia reputazione, per te!" Urlò ancora più forte. "Ora sapranno tutti che sono negli Avengers e sono una mutante, e questo senza aver ottenuto nessun risultato, espondendo la mia famiglia , mia figlia, al pericolo! Per te!"

Si guardò attorno nervosamente, mentre Steve era basito, le labbra dischiuse e la fronte distesa. Elle prese un ampio respiro. "Se ti avessi voluto morto o prigioniero, lo saresti già. Invece ti ho portato nella mia casa." Sussurrò, un pugno appoggiato alla fronte e gli occhi chiusi.

"Elle..." Sussurrò appena lui, allungando una mano verso il suo volto.

Elle fece un passo indietro, guardandolo senza espressione. "Non dire nulla."

"Ragazzi..." Natasha aprì lentamente la porta, mentre Elle si allontanava, camminando all'indietro verso la scalinata. "Ragazzi, vi si sente urlare... Dovremmo andare a mangiare, che dite?" Esclamò, con tono fintamente neutro, la voce che tremava appena. Samuel, dietro di lei, si sporse leggermente. "Che succede? Steve?"

L'uomo alzò un braccio, facendosi vedere dall'amico. "Elle?"

La bionda aveva dato le spalle a tutti e tre, un braccio appoggiato al corrimano. "Devo andare." Disse solo, dirigendosi verso le scale che scendevano. Natasha la guardò ancora, chiamandola. Elle alzò appena il capo, gli occhi azzurri che sembravano brillare anche nella fioca luce della scalinata. "No, Natasha." Commentò semplicemente, fermandola con la mano. "Lasciami stare."

La guardarono scendere le scale con passi veloci, avvolta solo nella camicetta bianca, nessuna giacca e nessun cappotto a coprirla dal vento di quel gelido febbraio. Fuori dalla base aveva ricominciato a nevicare. Stark si sporse, osservando Steve che stava in piedi in mezzo al pianerottolo, i pungni chiusi e le braccia tese, abbandonate lungo i fianchi. Lo guardò un secondo, le sopracciglia contratte. "Guai in paradiso, Rogers?"

L'altro gli lanciò un'occhiata furibonda, passandogli accanto con una spallata.


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Elle uscì nel cortile inanimato, sfregandosi le braccia fra loro nella neve alta che turbinava attorno a lei in mulinelli, che poi formavano un tappeto compatto ai suoi piedi.

Rimase un attimo immobile, tremando leggermente, per poi proseguire attraverso un sentiero già lasciato da un'auto, cercando di non imbrattare troppo gli stivali neri nel manto ghiacciato.

Sospirò, cercando di riprendere un minimo di autocontrollo. Sentiva il cuore tamburellare nel petto a ritmo irregolare, e per un secondo sperò che si fermasse in quel momento, e la lasciasse a terra, a ghiacciare nella tormenta.

"Non succederà." Commentò una voce sconosciuta, dietro di lei. Si voltò appena, riconoscendo il profilo longilineo dello psichiatra. Nalsson. Lo guardò un secondo, prima di distogliere lo sguardo. "Di che parli?"

"Non sarai inghiottita dalla terra, o non ti verrà una sincope istantanea, o qualsiasi cosa possa liberarti all'istante dalle catene che ti sei imposta." Commentò semplicemente lui, il cappotto sbottonato nonostante la tempesta che imperversava, la neve che scendeva, turbinando in mulinelli nel vento. "Puoi concentrarti finché vuoi, ma non succederà." Elle non riuscì a nascondere una smorfia infastidita, rabbrividendo. "Perché mi dici questo?"

"Ho visto occhi come quelli molte volte, Selvig."

"Non fare lo psichiatra con me, Nalsson." L'uomo si strinse nelle spalle. "Come vuoi, Selvig. Ma vagare in una tormenta di neve con addosso solo una camicetta bianca..." La scrutò, leggermente perplesso, una nota di divertimento negli occhi di uno strano verde. "Non mi sembra un comportamento da persona normale, soprattutto qui sulla... A New York."

Elle si coprì il petto con le braccia, il suo fiato che produceva un sottile filo di vapore. Guardò un attimo il suo interlocutore, perplessa. I capelli scuri erano legati dietro la nuca, e avrebbe quasi potuto giurare che era alto quanto Rogers. "Non hai freddo?"

L'uomo, il cappotto aperto e l'immancabile sciarpa al collo, sempre di seta ma quel giorno di un verde bosco, la guardò con le sopracciglia alzate. "Sono norvegese, per me questo freddo è a malapena una brezza." Si levò la sciarpa, guardandola un secondo con rammarico, prima di passargliela svogliatamente. Elle se la passo come uno scialle attorno alle spalle. Anche il tessuto della sciarpa, nonostante fosse stata al suo collo, era fredda.

"Grazie." Mugugnò lei, alzando lo sguardo verso il cielo bianco. L'altro si strinse nelle spalle. "Hai ancora spesso degli incubi?"

Elle si voltò accigliata, mettendosi istantaneamente sulla difensiva. "E questo dove lo avresti letto?"

L'uomo indicò le leggere occhiaie sotto ai suoi stessi occhi, con un ghigno. La svedese alzò gli occhi al cielo. "Dimentico che sto parlando con qualcuno che ha fatto studi simili..." Disse, con una smorfia. L'altro aprì e braccia, sorridendo maliziosamente. "Benvenuta."

"E' una cosa piuttosto semplice: faccio questi incubi, e so di vedere sempre la stessa cosa, ma non riesco mai a ricordarmi cosa ho visto."

L'altro la guardò intensamente, il viso leggermente teso. Le sembrava addirittura più pallido, i bei lineamenti distorti in una smorfia angosciata. Rimasero a fissarsi qualche secondo, scrutandosi a vicenda. Elle notò che l'uomo teneva fra le mani un libro, e lo indicò in una muta richiesta.

L'altro glielo cedette senza troppe cerimonie, ricominciando a camminare nella neve. Elle lo prese, le dita arrossate dal freddo.

"Baudelaire?" Chiese, stupita. L'altro continuò a camminare, senza prestarle attenzione. Elle lo raggiunse in quattro passi, affiancandolo con gli occhi socchiusi per il vento. Aprì di nuovo il libro al punto in cui era segnata la pagina con un biglietto della metropolitana di New York. "Ma questo è il mio libro! Lo hai trovato nel mio ufficio!"

L'altro glissò. "Non mi era mai capitato di leggere poesia."

Elle lo guardò con tanto d'occhi. "Non hai mai letto della poesia?!"

L'altro la guardò infastidito, dirigendosi verso l'ingresso. Elle aprì il libro ad una delle pagine più consumate, un angolo piegato come segnalibro.

"Nulla al mondo esiste di più orrendo, della fredda crudeltà-"

"-di questo sole gelido, e di questa notte immensa come il caos." La precedette lui, con uno sguardo infastidito. Elle lo scrutò, sorpresa.

"Quella l'ho già letta." Esclamò lui, mentre entravano sotto il porticato coperto prima dell'ingresso. Spazzolò la neve dalle spalle e dal cappotto, mentre Elle sbatteva i piedi fra loro. L'altro si fermò a guardarla, sovrappensiero.

"Che c'è?" Chiese Elle, quando notò il suo sguardo. L'altro si strinse nelle spalle, indicando con un cenno del mento la sciarpa, umida di neve.

"Adesso che ho immolato uno dei miei capi di abbigliamento preferiti, avresti voglia di accompagnarmi alla mensa? Non so come funziona."

Elle lo guardò storto. "E' una normalissima mensa aziendale. Vai, Prendi il cibo. Lo mangi."

L'uomo fece un gesto vago con una mano. "Accompagnami."

Elle alzò le braccia in segno di resa, osservandolo con aria infastidita. Lui ghignò, annuendo.

"Tanto non puoi scappare da Rogers tutto il giorno, tanto vale che entri con me e mi aiuti ad ambientarmi."

La Svedese rimase un attimo a guardarlo, poi annuì con un sospiro. "In cosa mi sono cacciata... Ok, andiamo."

Si avvicinò, sorridendo appena all'espressione soddisfatta del collega. "Hai trovato il mio studio confortevole?"

"Si, anche se è piuttosto piccolo. Mai come la stanza." Fece un'espressione schifata, aprendole la porta dell'ingresso. Elle scoppiò a ridere senza riuscire a trattenersi. "Sei abituato a sistemazioni più lussuose? E' una base militare."

L'altro avanzò con nonchalance in mezzo alla confusione della hall.

"Elle!" Sia la svedese che il norvegese si voltarono di scatto, mentre Rhodey si avvicinava alla donna. Stark li guardava da poco lontano, scrutando lo psichiatra.

"Abbiamo annullato il meeting di oggi pomeriggio. Ci aggiorniamo lunedì."

Elle annuì, sorridendo all'amico. "Fantastico, guadagniamo tempo. Ma..." Indicò Stark, che ancora scrutava Nalsson a braccia conserte e con gli occhiali da sole, nonostante fosse una nevosa giornata di febbraio. Rhodes alzò gli occhi al cielo. "Non gli piace lo psichiatra nuovo."

Stark fece cenno ad Elle di avvicinarsi. "Cosa ci fai completamente bagnata con addosso la sciarpa di quel tipo?"

Elle gli lanciò uno sguardo scocciato. "Che problema hai, Stark?"

"Non mi piace vederti tornare da una romantica passeggiata in giardino in compagnia di quel tizio. Avrà cinquant'anni, Elle!"

La svedese lo guardò accigliata. "Smettila di rovesciare le tue insicurezze sugli altri, Stark." Si voltò a guardare Nalsson, che la aspettava qualche metro più in la, sistemandosi il bavero della camicia bianca sotto il cappotto. Lui le lanciò un'occhiata insofferente. "Avrà trentacinque anni!" Esclamò a bassa voce la svedese. Stark scoppiò a ridere. "Uscire con Rogers ha decisamente influito sul tuo modo di vedere l'età delle persone, Ikea."

La donna alzò gli occhi al cielo, dandogli un buffetto sulla spalla. "Vai a casa, Stark. Fatti un bagno, dai una festa, costruisci un reattore, qualsiasi cosa, ma stai calmo."

"Elle..." Stark abbassò appena gli occhiali da sole, sorridendole. "Ricordati che ora siamo in comando. Se succede qualcosa, cercheranno anche te." La donna prese un ampio respiro. "E' solo un week-end. Non succederà nulla."

Stark si strinse nelle spalle. "Ricordatelo, e non buttare il telefono da parte se dovesse succedere che vedi il Capitano e..."

Elle gli diede una spallata, passandogli accanto. "Ne dubito, Stark, ne dubito."

Tornò da Nalsson, sorridendogli gentilmente. "Scusa l'attesa, andiamo in mensa o preferisci uscire a mangiare qualcosa di commestibile in centro?"

L'altro sorrise cortesemente. "A New York, dici?"

Elle annuì, le mani sui fianchi. "Si, in macchina sono solo trenta minuti."

Nalsson sembrò pensarci su, prima di annuire appena. "L'ultima volta che sono stato in città, non ho avuto decisamente il tempo per visitarla, sempre che ci sia qualcosa che valga la pena vedere..."

Elle alzò gli occhi al cielo. "Andiamo solo a mangiare, e a parlare di lavoro. Ho una macchina, non un pullman della city-seeing..."

L'altro annuì, poco convinto. Elle sospirò, tastandosi le tasche dei pantaloni. "Devo tornare su a recuperare la mia borsa e la giacca. Penso di averla lasciata sulle scale..." Fece per togliersi la sciarpa, ma l'altro la fermò con le mani gelide. "Non penso sia il caso... Elle."

La donna lo guardò perplessa. "Volevo solo restituirti la sciarpa."

"L'effetto della tua camicia bianca con l'umidità della neve rende il tuo abbigliamento indecoroso per una donna, in un ufficio." Specificò Nalsson, con un ghigno malizioso. Entrambi abbassarono gli occhi sul petto della ragazza, scoppiando a ridere. "In più, il tuo compagno ci sta guardando dall'altra parte della stanza."

Elle si voltò di scatto, trovando in mezzo alla folla il profilo di Steve Rogers, che spiccava fra tutti per quasi una decina di centimetri. Li stava guardando senza espressione, le sopracciglia tese e una coperta fra le mani. Elle si strinse nella sciarpa, sospirando.
"Andiamo... Nari, giusto?"

L'altro annuì appena, mentre si allontanavano verso le scale. Steve rimase immobile un secondo, prima di allontanarsi, lasciando la coperta con un gesto rude fra le mani di Natasha.


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"Venerdì dodici febbraio duemilasedici..."

Val sistemò meglio la videocamera, mentre Barnes si guardava attorno, sdraiato sul divano, le mani intrecciate sullo stomaco.

Il portatile di Val si illuminò, producendo un 'pop' che fece sussultare l'uomo.

"Valentina?"

"Elle!" Esclamò, avvicinandosi al computer. La donna gli sorrise, entusiasta. "Jimmy! Come stai? Come va il braccio? Come-"

"Basta con le smancerie!" Sbottò Val, passandosi la mano nel caschetto scuro. Si leccò il labbro inferiore, guardandosi attorno. "Manca qualcosa?"

Elle le lanciò un'occhiata infastidita attraverso allo schermo, mentre l'uomo allungava una mano, appoggiandola al monitor. "Elle!"

"Sto bene, Jimmy. Sto bene." Sorrise lei, piegando il viso su una spalla e guardandolo. Lui sorrise appena, cercando i segni familiari attraverso l'immagine leggermente sgranata. "Dove sei?" Chiese lui, scrutando lo sfondo dietro di lei. Elle si strinse nelle spalle.
"Mi sono fermata alla base dell'FBI. A quest'ora, ci siamo solo io, la donna delle pulizie e il portiere." Val la guardò con occhi sgranati, perplessa, e fece cadere le braccia lungo i fianchi in un gesto stizzito.

"Sei ben nascosta?" Chiese, con tono scocciato. Elle fece una smorfia.
"Se mi stai chiedendo le credenziali di decriptazione, Valentina, temo che qualsiasi cosa possa dirti non la capiresti."

Barnes ascoltò lo scambio fra le due, incassando la testa fra le spalle, piegato sui talloni davanti al computer. "Rimettiti sul divano, James."

"Valentina..." Elle la chiamò appena. "Aggiornami."

"Grazie al tuo pacchetto, che è stato recapitato tre ore dopo la nostra chiaccherata, James ha assunto una volta al giorno 5 milligrammi di Donepezil cloridrato prima di dormire, e due volte al giorno Rivastigmina sotto forma di compresse da due milligrammi."

"Bene." Elle annuì, scrivendo qualcosa su un foglio davanti a lei. "Possiamo cominciare. James, per la tua sicurezza e per quella di Valentina, devi lasciarti legare al divano."

Val la guardò con le sopracciglia aggrottate, mentre l'altro annuiva convinto. "Penso che sarebbe il caso."

"Come supponi che io riesca a legare un uomo di un metro ed ottanta e passa e con novanta chili di muscoli ad un divano?"

"James non peserà più di settantasette chili, forse ottanta." La corresse Elle sovrappensiero, tornando a leggere quello che aveva davanti. Val sbuffò, mentre James attirava la sua attenzione con un cenno. "Ti aiuto io."

"Mi aiuti a legarti?" Chiese, esterrefatta. James annuì. "Prendi due cinture di cuoio."

La donna sparì nella zona notte, mentre James si sedeva sul divano, guardandosi nervosamente intorno.

"Come stai, straniero? Vedrai che andrà tutto bene. Non facciamo nulla che non sappiamo fare, James..."

L'altro sospirò. "Non posso farti del male attraverso uno schermo, nanerottola." Scoppiarono entrambi a ridere, sottovoce. "Inoltre, la tua amica è particolarmente irritant-" Qualcosa volò contro la nuca di James, mentre Valentina gli urlava contro delle parole irripetibili.

"L'eroe di guerra messo sotto da una commessa di Walmart. Quanto vorrei venire lì a vedervi litigare." Commentò Elle, sospirando.

"Sei la benvenuta, e magari te lo porti anche via." Commentò Valentina, lanciandole un'occhiata attraverso allo schermo. "Vado a prendere il tuo composto di benzodiazepine..." Esclamò sottovoce Val, guardando Elle attraverso lo schermo. "Hai dieci minuti per chiaccherare con il tuo amico, Selvig, poi cominciamo. Non ho tutto il giorno."

La svedese sorrise a quel tentativo di Val di non infrangere la loro intimità, di dargli un po' di tempo per parlare, finalmente faccia a faccia. Seppur con i sui modi rudi.

"Valentina non mi lascia uscire." Esclamò piano James, scivolando con la schiena contro lo schienale, lo sguardo sul portatile, appoggiato su uno sgabello dall'altra parte del tavolino.

"Sei indagato per omicidio. Tra qualche ora, la tua faccia sarà su tutti i notiziari." Sospirò Elle, guardandolo.

"Cosa?" Chiese lui, ritornando serio. "Di chi?"

"Un nazistoide, uno della mobiltazione anti mutanti. Mi hanno assegnato l'indagine, e tanto per cambiare l'assassino è-"

"Rumlow." Affermò sicuro l'altro. Elle annuì.

"Ero arrivata in ufficio con Steve; mi hanno chiamato nel primo pomeriggio per un caso difficile ho avuto subito paura che fosse lui..."

"Tu eri con Rogers?" Elle alzò gli occhi al cielo. "Ti parlo di un omicidio e mi chiedi se ho dormito con il tuo Best Friend Forever?"

L'altro rise, avvicinandosi con il busto e prendendo delicatamente il computer tra le mani, appoggiandolo alle gambe per vedere meglio l'amica, le guancie arrossite. "Scusa, è che... Ricordo che Rogers fosse..."

"Non ho fatto sesso con il tuo amichetto." Commentò Elle, asciutta. "Perchè me lo chiedete tutti?"

"Sai..." James stette in silenzio un secondo, l'espressione maliziosa. "...Il supersiero... Vorrei sapere se la mia immaginazione è abbastanza fervida."

Lui fece una smorfia divertita, mentre Elle sospirava. "Non avevi perso la memoria, tu?"

"Ho dei momenti di lucidità. Sto leggendo un sacco. Poi Valentina mi fà stare un sacco su internet, ha messo persino un controllo per non farmi vedere non ho capito cosa... Ma non interferisce con le cose che cerco, sai, per provare a recuperare..." Tenne il pc con una mano, l'altra che andava a grattare la nuca.

"Sei sicuro di voler recuperare tutto?"

"Se voglio il mio passato, devo avere tutto il mio passato." Elle annuì fra sé e sé, sospirando. "Pensavo solo, che forse certe cose è meglio che restino nell'oblio..."

"Ho trovato qualcosa come trenta omicidi insoluti, compiuti a persone considerate potenti o pericolose, insomma..."

"Eri un sicario, Jam-Jimmy..." Elle si allontanò dallo schermo con le braccia, la camicia sbottonata fino alla clavicola e gli occhi tristi. "Non sei il mandante, e non hai nemmeno guadagnato qualcosa da quelle morti. Eri un'arma. Nessuno si sognerebbe di dire che Hiroshima è colpa della bomba atomica in sè..."

James la guardò un attimo con gli occhi strizzati, prima di capire. "Hiroshima! Sei Agosto 1945!" Sorrise alla ragazza, alzando un pugno. Elle ridacchiò, sorridendogli dolcemente. "Si, Jimmy. Hiroshima."

James si rasserenò un attimo, riappoggiandosi al divano. "Ho fatto una lista, di quei nomi che mi sembravano familiari..." Esclamò dopo un paio di secondi di silenzio James. Alzò un foglietto, scritto in calligrafia ordinata ma minuta. Elle strizzò gli occhi, mentre James lo girava verso di lei. "Jimmy, me lo farai spedire da Val, non riesco a vederlo così..."

"C'è solo un nome che non riesco a togliermi dalla testa, da quando l'ho letto. Vorrei che tu mi dicessi se-"

Elle alzò il capo, curiosa. "Quale?"

"Stark." James scosse il capo. "Ho paura di aver ucciso l'amico di Rogers."

La svedese prese un ampio respiro, mentre James abbassava il capo, mordendosi il labbro inferiore. Elle avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere lì, ed abbracciarlo. "Non è stata colpa tua, James." Sussurrò, troppo piano perchè l'amico potesse sentirla.

"Bene..." Valentina entrò con una siringa fra le mani, sorridendo malignamente allo schermo. "E' ora."

"Aspetta, Val!" Elle abbassò lo sguardo su James. "Devi dirmi una cosa, ho bisogno di saperla, James."

L'uomo alzò il capo, lo sguardo terribilmente serio, la mascella contratta. Elle si ritrovò a pensare che sembrava Rogers, quando faceva quell'espressione. "Quando ci siamo incontrati a Lagos... Come sapevi di River?"

James scosse il capo, confuso. Era l'ultima domanda che si aspettava, e anche quella alla quale avrebbe dato meno importanza.

"Ho fatto delle ricerche. Volevo sapere chi eri, e perchè mi avevi salvato. Sei quasi morta per salvarmi, Selvig. Non è esattamente una cosa alla quale sono abituato. Penso."

Elle lo osservò bene, sondando la sua espressione con occhi attenti, prima di rilassarsi contro lo schienale della sedia, distendendo un poco le gambe sotto alla scrivania. "Non sei mai venuto a New York, allora?"

"Solo nei pressi della citàà, quando ha attraccato la nave con la quale ho attraversato l'atlantico." Commentò veloce lui. Elle prese un ampio respiro. "Una settimana fa, si sono incontrati River e Steve, e-"

"Le cose sono già così serie?" Chiese Barnes, sorridendole sornione, i capelli che coprivano il volto chinato in avanti. Elle fece un'espressione corrucciata. "Jimmy..."

"Scusa, scusa..." Esclamò l'altro. "Dicevi?"

"River non parla. E' affetta da una forma psicosomatica di mutismo infantile. Ma quando ha visto Steve, la bambina si è messa a parlare."

James scoppiò a ridere, senza riuscire a trattenersi.

"Non pensavo fosse anche in grado di fare i miracoli, Rogers."

Elle non riuscì a non sorridere, nonostante la tragicità della situazione. Capiva come doveva essere stato James ai suoi tempi, prima della guerra - guerra che per lui era durata settant'anni. Conoscendo Steve, James doveva essere una panacea, una boccata d'aria fresca in tutto quell'inferno.

"Diceva solo il tuo nome. Ho pensato che tu fossi venuto qui, che tu le avessi parlato. Sono morta di paura." Elle scosse il capo, correggendosi subito. "Non per te, ma perchè qualcuno avrebbe potuto averti seguito fino a casa mia."

James la guardò, sovrappensiero, portandosi una mano al mento.

"No, non sono venuto a casa tua. Sei sicura che parlasse di me?" Commentò serio l'altro. Elle si grattò il naso, cercando di non sprofondare nel panico che l'aveva sorpresa una settimana prima, quando era accaduto tutto. Lanciò uno sguardo al cassetto chiuso a chiave della sua scrivania. Aveva nascosto il disegno della bambina lì dentro, in mezzo a carte inutili e sbobinature di vecchie testimonianze. James riattirò la sua attenzione, passandosi le mani fra i capelli.

"Ammetto che vedere qualcuno che urla il mio nome davanti a Rogers dev'essere stato inquetante." Attimo di silenzio. "Lui come l'ha presa?"

"Steve non ha fatto grosse domande. Gli ho detto che la piccola aveva visto un documentario, a scuola."

"Mi dispiace interrompere la rimpatriata di X Files, ma dobbiamo proprio cominciare."

Elle annuì, mentre James aiutava Val a legargli mani e piedi con le cinture, guidandola a bassa voce. La donna lo aiutò a sdraiarsi meglio sul divano.

Si voltò verso la videocamera, facendo partire la registrazione. Elle si schiarì la voce.

"Sono Elle Selvig, Agente di livello Sei dell'FBI. Sono in collegamento con Valentina Tremonti, che sarà la mia assistente in questa procedura."

Valentina sospirò, avvicinandosi al braccio di James, disinfettando la piega del gomito e iniettandogli la soluzione.

"Al soggetto, con gravi deficit di memoria sia retrogradi che anterogradi, stiamo somministrando una soluzione calmante a base di oppioidi e benzodiazepine per indurlo ad uno stato di rilassamento profondo."

James si sistemò meglio, guardandosi attorno leggermente disorientato. "Sono pronto per il sonnellino, nanerottola."

Elle alzò gli occhi al cielo, anche per via telematica.

"Il soggetto in questione è James Buchanan Barnes, e soffre di amnesia globale. E' stato sottoposto ad un qualche tipo di terapia di deprogrammazione, supponiamo usando droghe e sedute di elettrostimolazione sistematica. Inoltre, è stato sottoposto ad un potente condizionamento, e indotto al coma farmacologico più di dieci volte in sessant'anni, forse settanta."

Elle prese un respiro, sfogliando qualcosa sulla scrivania, mentre Val estaeva dalla sua borsa uno stetoscopio e si avvicinava a James. "Dobbiamo aspettare ancora un poco, tu finisci." Commentò la mora, senza voltarsi. James la guardò negli occhi, cercando di nascondere la paura che gli attanagliava le viscere. Val gli fece un buffetto sul petto, togliendosi lo stetoscopio.

Elle proseguì, con voce atona.

"James fatica a creare ricordi dal suo ultimo risveglio, e fatica a ricordare gli eventi sia del suo passato remoto che delle precedenti esperienze fuori dal coma indotto. Abbiamo già escluso cause quali Tubercolosi, HIV, Sifilide, Diabete o problemi tiroidei..."

"Sifilide, eh?" Commentò biascicando James, iniziando a perdere coscenza delle sue parole. "Magari. Non mi hanno mai lasciato la serata libera, i miei ricordi lo confermeranno."

Val ridacchiò appena, senza spostarsi dal suo posto, inginocchiata di fianco al divano. Elle nascose un sorriso.

"Barnes è sempre stato un tipo... goliardico. Presumo dalle testimonianze dei suoi amici, anzi, del suo amico, che questo era spesso un modo per mascherare le sue emozioni."

James fece una smorfia. "Questo Steve non lo direbbe mai, io-"

Val gli coprì la bocca con una mano, cercando di trattenersi dal ridere.

"...Il fatto che questa strategia di coping sia tornata, adesso che non è più sottoposto a deprogrammazione, è un indice di miglioramento. Inoltre, il Capitano Rogers nel suo rapporto sosteneva che forse gli esperimenti che sono stati compiuti su Barnes, durante la sua permanenza nelle mani dell'Hydra e prima della battaglia di Azzano, possano aver avuto conseguenze simili alla somministrazione del Siero di Erskin, sia in termini di plasticità sinaptica che in quanto a resistenza fisica. Per questo, le normali dosi sono state aumentate in rapporto al fisico del soggetto."

Elle riprese fiato un secondo, mentre Val costringeva James a seguire il suo dito con gli occhi, controllando il livello di attenzione.

"Per questo, basandoci anche sugli effetti in termini cognitivi visti su Rogers, possiamo sostenere che ci siano ampi margini di miglioramento per James Barnes. Ora, possiamo procedere con il colloquio."

Val annuì alla donna, tirando un leggero schiaffo a Barnes. Elle sospirò.

"Ecco perchè ti hanno tolto l'abilitazione."

L'altra le lanciò uno sguardo offeso, alzando le spalle. "James, puoi rispondere?"

L'uomo annuì appena. Val fece un gesto convinto con il viso. "Quando sei nato?"

"Dieci Marzo, 1917."

Elle e Val si guardarono, prendendo un ampio respiro. Val estrasse un'altra boccetta dalla mano, guardandola. "Elle, sei sicura?"

La Svedese la guardò un attimo, poi annuì. "E' l'unico modo, Val."

"Non è mai stato testato, Elle."

"Mi fido. Sei una delle maggiori esperte in biochimica dell'Ippocampo. Non è legale, è vero. E non è nemmeno sicuro. Ma io mi fido."

Entrambe voltarono lo sguardo verso la telecamera. Elle sospirò. "Questo, poi, magari, taglialo."


xxx


Immagini. Volti. Luoghi.

Gli sembrava di vorticare in mezzo ad una parata, la confusione che lo avvolgeva e lo inghiottiva in una macchia di rosso vermiglio.

"Dove sono?" Biascicò, sentendosi soffocare da un'intorpedimento invisibile.

"James, sono Elle." Sentiva la voce della donna, lontana come se lo stesse chiamando dall'inferno. "Vicino a te c'è Val, ricordi?"

Sentì qualcosa di caldo stringergli la mano. Allora, non era del tutto perso in quel groviglio di pensieri.

"Cosa mi sta succedendo?"

"Abbiamo attivato il tuo ippocampo..." Sussurrò Val, vicino al suo orecchio. "E' la zona del cervello dove vengono smistati i ricordi. Era bloccato, per questo non riuscivi a ricordare."

Agitò il capo. "E' tutto rosso..."

"Descrivimi cosa vedi, James..." Elle lo richiamò alla realtà. "Parlami."

"E' tutto rosso, ci sono delle persone a terra, è il mio incubo... Vedo armi abbandonate, e persone che mi guardano, e sento l'elettricità, fa male..."

Fece per portarsi le mani al capo, che improvvisamente sembrava bruciare di fuoco vivo. Vedeva un viso sconosciuto ma familiare, un viso di donna, accartocciato in una maschera cremisi, accanto ad un uomo con dei curatissimi baffetti in stile inglese, un rigolo scuro che scendeva dal naso mentre lo guardava vacuo. Vedeva un uomo vestito semplicemente, con una ventiquatt'ore e dei progetti sotto braccio, un grosso buco nel petto che sanguinava. Vedeva un uomo con una tuta da elicotterista, da pilota, gli arti completamente ritorti da qualche ingranaggio o grossa ventola...

"Val, passagli qualcosa di umido sul viso..."

Iniziò ad urlare, sentendo che non riusciva a muovere nè le braccia nè le gambe, trattenute da qualcosa di duro. Si dibatteva, sentendosi prigioniero.

"VALENTINA! Mettigli qualcosa in bocca!" La voce di Elle arrivava sempre più lontana, come un eco dal fondo di un lungo tunnel cremisi.

Sentì qualcuno che cercava di mettergli un panno fra i denti, e iniziò ad urlare più forte. Non voleva dimenticare tutto, non voleva provare di nuovo tutto quel dolore, non voleva sentire di nuovo la sua mente che si volatilizzava come un vapore sconosciuto. Fece per tirare una testata alla persona che lo stava toccando, ma un urlo dalla cassa audio del computer lo precedette e la ragazza lo scartò, cercando di tenerlo fermo mettendosi a cavalcioni su di lui. "James! Cazzo, calmati!" Val gli aprì un occhio con una mano, l'altra che gli tamponava il viso con un panno. "James! Cosa vedi!"

"E' Pierce il capo dell'Hydra! E' lui che mi ha svegliato!" Urlò il giovane. Val fece per dire qualcosa, ma Elle si schiarì la voce, zittendola.

"Che altro ricordi, James?" Chiese Elle.

"Oddio... Oh mio dio..." James iniziò a dibattersi meno, mordendosi il labbro, gli occhi strizzati in un'espressione disperata.

"Steve! Ho ucciso Steve!" Si accasciò sulla superfice, smettendo di muoversi, sentendo ancora il fuoco e vedendo ancora il sangue che lo circondava. Ma ora, tutto stava diventando blu. Il suo cuore era pesante come un macigno, e sembrava avrebbe perforato la schiena e sarebbe caduto a terra, come un meteorite, seguendo la legge di gravità. Il gelo invase le sue vene, risalendo dal muscolo cardiaco lungo il collo e pervadendo le vene di gelo.

Non aveva più senso restare vivi, respirare, se aveva ucciso il suo amico, il suo fratello. Non aveva più senso il cuore che batteva, non aveva senso la sensazione del lenzuolo sotto di sè, il calore dell'amica che gli stava tamponando la fronte con qualcosa di freddo. Non aveva senso la sensazione della gola, riarsa come un uomo disperso nel deserto. Se davvero Steve era morto, se davvero era colpa sua, e solo sua, a prescindere dagli ordini, dal dolore, dalla sua identità che oramai non esisteva più, non aveva più senso stare al mondo.

"James..." Dolcemente, Elle lo richiamava dallo schermo. Val era immobile, ancora sopra di lui, ma decisamente più spaventata ed attenta. "James..."

Una lacrima uscì da sotto la sua palpebra, scendendo lungo la tempia fino ai capelli scuri. Val rimase in rispettoso silenzio, smettendo pian piano di tamponargli il viso, con sempre meno convinzione. "Jimmy..."

"Ho ucciso Steve Rogers. Lui mi è stato fedele fino all'ultimo respiro, e io l'ho ucciso. L'ho lasciato cadere..."

"James..." Elle lo chiamò a voce un po' più alta. "James è vivo. Sta bene. Te lo giuro..." L'uomo voltò il viso verso lo schermo, gli occhi arrossati, cercando di mettere a fuoco il sottile viso pallido che lo fissava, gli occhi iniettati di preoccupazione. "James... Credimi, io..."

La vide agitarsi sulla sedia. Elle. La nanerottola. La donna cercava freneticamente dentro qualcosa che teneva in grembo, borsa o una valigetta, probabilmente. Estrasse un telefono, uno di quelli sottili e neri. La vide trafficare sulla tastiera. Val la guardò arcigna.

"Non mi pare il momento di messaggiare, Selvig."

Elle le lanciò un'occhiata raggelante, per poi alzare il cellulare contro la telecamera della webcam.

"Questa è di una settimana fa, James."

L'uomo strizzò gli occhi, guardando sullo schermo sgranato. La foto era semplice. Elle stava vicino ad un uomo, e stava ridendo, avvolta nel suo cappotto nero. Accanto a lei, chinato a baciarle il naso, c'era il suo Steve. Alto, i capelli biondi tenuti leggermente più a spazzola, e meno ordinati, e dei vestiti contemporanei, sempre con il suo gusto semplice.

James prese una grossa boccata d'aria, senza staccare gli occhi da quella foto, continuando a passare gli occhi tra l'espressione di lei, che illuminava tutta la fotografia, e lo sguardo adorante di lui. Non riusciva a distogliere l'attenzione dal suo amico, vivo, felice.

Nessuna persona respirò con tanta intensità quantò James Barnes, dopo aver visto il suo amico vivo. Nessun apneista, nessuno scalatore, nessun corridore o saltatore o nuotatore. Gli sembrò di sentire fisicamente la vita che tornava a scorrere dentro di lui. La voglia di vivere, di esserci, di fare la differenza. Perchè il suo amico era vivo, e stava lottando anche per lui. E, come aveva detto un piccoletto di sua conoscenza, chi era lui per fare di meno di quell'uomo?

Val scoppiò a ridere, una risata non acida come le sue solite, ma leggera come un lenzuolo nel vento d'estate, carezzevole. Rilassò le spalle, tenendo con una mano la cintura che stringeva le sue, e con l'altra scompigliandosi i capelli scuri. Anche Elle, scostò la foto dallo schermo, appoggiando il telefono sul piano della scrivania e prendendo un'ampio respiro, seguendo nella risata Valentina. Anche James, dopo un paio di secondi di spaesamento, guardò in volto le sue ragazze, le due che si odiavano, ma che avevano messo in gioco tutto per lui. Per il suo pensiero. Per la sua memoria.

Scoppiò a ridere, scuotendo tutto il divano e con esso Val, che agitava le braccia in segno di vittoria.

Non si accorsero del rumore del chiavistello, nè delle borse che Ethan fece cadere sull'uscio di casa, ritirando il capo dalla sorpresa. Il suo sguardo passò dalla videocamera, a James legato con le cinture, fino a soffermarsi su Val che gli stava sopra, il volto arrossato dalle risate.

"Ah." Disse solo, infilandosi le chiavi nelle tasche del piumino verde mela. Aggrottò le sopracciglia, alzando le mani in segno di resa. "Non volevo disturbare... Val, potevi avvisarmi... Vi lascio al vostro..." Indicò la videocamera con un cenno del capo, e fece per voltarsi.

"Oppure, se vi serve un terzo-"

"ETHAN!" L'urlo di Val risuonò per tutta la tromba delle scale, mente il ragazzo scappava a gambe levate dal suo appartamento, gongolando mentalmente per la fortuna della sua amica.


xxx


Elle si rilassò contro la sedia, chiudendo il portatile con un tonfo.

James sembrava stare bene. Le aveva parlato un poco, a bassa voce, prima che i farmaci facessero nuovamente il loro effetto, e le sue palpebre si facessero pesanti, e le parole sempre più difficili. L'uomo si era addormentato con il computer ancora aperto davanti, e Val aveva faticato per toglierglielo dalla mano bionica senza danneggiarlo. Le due avevano scambiato poche parole, tutte sull'operazione appena conclusa, niente sul passato, nessun rancore. Erano riuscite ad aiutare una persona, alla quale oramai entrambe tenevano.

Era ormai notte inoltrata, quando iniziò a riporre le sue cose. Il fuso orario aveva agevolato entrambe, date le tre ore di scarto fra le due città: lei perchè poteva chiamare da un posto sicuro e loro perchè avrebbero potuto fare confusione senza essere troppo notati.

Ora poteva andarsene a casa, e dormire per due giorni filati, dopo l'angoscia che aveva appena provato.

Si allontanò, facendo scorrere la sedia a rotelle, dalla scrivania ingombra di carte. Distese le gambe e allungò le braccia, facendo schioccare qualche vertebra scontenta a causa della posizione mantenuta per lungo tempo.

Guardò il cellulare, sbloccandolo. Erano le tre e mezza della notte, di sabato sera. E aveva ancora l'immagine di lei e Steve aperta, come quando l'aveva mostrata a Barnes. Sospirò.

Litigare dopo una sola settimana di frequentazione non era un vero record: aveva rotto con altre persone per molto meno, e dopo molto meno.

Il messaggio di Natasha, arrivato all'incirca a mezzanotte, recava una sola parola, scritta a caratteri cubitali, senza emoji o null'altro che non quelle lettere maiuscole. "Chiamalo..." Lesse piano la svedese, sorridendo fra sé e sé.

Si allontanò dalla scrivania, iniziando a mettere il cappotto. Il giorno dopo, lo avrebbe chiamato. Avrebbe dato retta alla sua testa, come suggerito da Stark.

Il telefono iniziò a vibrare contro il piano del tavolo, rimbombando in maniera inquietante per tutto l'ufficio. Elle si girò piano, quasi spaventata. Chi poteva chiamarla alle quattro del mattino?

Si voltò, afferrando il cellulare e rispondendo, con il fiato sospeso.

"Non pensavo avresti risposto così in fretta..."

Elle si accasciò appoggiata al muro. "Dimmi, Sam."

"Capitano..." Samuel ridacchiò un secondo, prima di proseguire. "Siamo attesi da Fury, rapporto entro mezz'ora."

"Che è successo?"

"Hanno trovato l'ultima base Hydra. Andiamo tu, io, Rhodes e Rogers."

Elle si strizzò gli occhi, sbadigliando sonoramente.

"Spero che tu abbia dormito, perchè non sarà un viaggio di piacere."

"Lo so, Sam. Ci vediamo lì."

Addio al suo week-end di riposo. Entro due ore, sarebbe stata su un Quinjet verso l'Alaska, sosta a Juneau e poi dritti verso il picco di Denali.

Compose un messaggio per Natasha.

'In missione con Rogers, Sam e Rhodey. Non so quando torno. Baci a te, River e Loretta. '

La risposta non si fece attendere.

'Almeno passerai il Week End con Rogers. Divertiti.'

"Stronza..." Commentò divertita Elle, alzando gli occhi al cielo.

xxx


Eccomi tornata!

Come al solito, la vita si è messa in mezzo, e quindi eccomi qui! Dopo lavoro, esami, cani da portare a passeggio, corse mattutine per smaltire tutte le festività appena passate e le schifezze da conforto pre esame, ecco ben ventisei - dico, VENTISEI - pagine di Skyfall!

Ce ne sarebbero di cose da dire su questo capitolo. Me le ero segnate tutte, ma ho perso il file. Quindi, lo lasciamo al suo stato brado, così com'è.
Non è stato corretto, quindi spero che non ci siano troppi strafalcioni grammaticali - più che altro, problemi di battitura. E di formattazione, questa sconosciuta.
Molte cose le ho risistemate dopo il MERAVIGLIOSO, UNICO, INIMITABILE spot del Super Bowl che io e Giulietta_Beccaccina abbiamo intercettato in modo molto professional.

Ringrazio infinitamente HORANge_carrot che è stata così gentile da farmi un saluto - non hai idea di quanto sia stato provvidenziale, stavo perdendo le speranze, davvero. Autostima a pacchi, proprio. Davvero, grazie grazie e grazie!
Ovvio e dovuto ringraziamento a Delta per il sostegno emotivo, sono proprio un caso disperato. Sia benedetto il corso di primo soccorso, spirituale o meno. Altro ringraziamento all'infinito per Rise-Doe, e per il banner, che è stato veramente apprezzato! :D

Se dovessi mai avere del tempo libero, potrei fare un trailer della storia. Sappiate che ci sto pensando. Voi, che canzone mettereste?
Visto che il toto fancast è andato così bene, attivo il toto canzone! Io pensavo a "Until We Go Down" di Ruelle.

Mi scuso per l'attesa, ma volevo che fosse perfetto, che di fosse tutto quello che doveva esserci, che fosse speciale.
Per un capitolo pieno di JIMMY mi aspetto una pioggia di recensioni, petali di fiore, barrette di cioccolato...  Fatevi sentire, amiche del nostro Bucky!
Anche in questo capitolo ci sono molti riferimenti nascosti, ma questa volta sono nascosti davvero, davvero bene...

Solito reminder: Una recensione salva un'autrice!
E come direbbe Giulia un capitolo salva un lettore, ma meglio fare le cose fatte bene, no? ;)
Al prossimo,

Eve, che in questo momento dovrebbe studiare, ma non ha resistito al richiamo della scrittura.








   
 
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