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Autore: Stephanie86    15/02/2016    3 recensioni
Tutti vogliono salvare Emma.
Tutti vogliono trovare un modo per liberarla dall'oscurità prima che la divori.
Ben presto, però, Regina - e gli altri - si rende conto che per raggiungerla e aiutarla avrà bisogno di aiuto. E non di un aiuto qualsiasi.
Lily è sempre stata legata ad Emma, fin dal principio. Ha sempre dovuto lottare contro il potenziale oscuro che gli Azzurri e l'Apprendista hanno trasferito in lei. Cosa accadrà quando la sua oscurità incontrerà quella della nuova Emma? Dove la condurrà il filo rosso che la unisce al nuovo Signore Oscuro?
Regina diventerà davvero la Salvatrice?
[Spoiler! per chi non segue la messa in onda americana | Pairing: principalmente Swan Queen e Swan Star]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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9

 

 
“Chi combatte i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro.
Quando guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te”

[Friedrich Nietzesche]

 

 

 

 
Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

“Tu...”. La voce del mago era incrinata. Piena di rabbia e di dolore. Un dolore acutissimo. “L’hai distrutta. L’unica donna che io abbia mai amato...”

La figura incappucciata e protetta dalla maschera dorata non disse niente. I buchi che rappresentavano gli occhi lo scrutavano.

“Ed ora... io distruggerò te”, sentenziò Merlino. Alzò il pugnale sopra la testa, pronto a colpirlo.

Il pugnale scintillò, minaccioso.

Le mani di Merlino lo stringeva saldamente, eppure tremavano. Il tremito divenne più incontrollabile. Il mago guardò la maschera, sconvolto.

“Mio Dio...”, mormorò. Infine crollò sul prato, come schiacciato da una forza molto più grande di lui.

La figura si mosse ad una velocità sorprendente, prese il pugnale, puntandolo alla gola del mago e lo costrinse a sollevare il capo. Alla luce della luna, il viso di Merlino era sofferente. Una lacrima scivolò sulla sua guancia.

“Mi manca...”

L’Oscuro usò la lama del pugnale per raccogliere quell’unica goccia. L’arma rilucette, violacea e vagamente viva. Pregna di una nuova magia.

Poi lo intrappolò. Merlino osservò impotente le radici dell’albero cingere i suoi piedi, i polpacci, le gambe, il torso. L’albero crebbe, inglobandolo. Lui divenne parte del suo tronco e dei suoi rami, che si protesero verso il cielo nero e si riempirono di foglie verdi.

 

Emma riemerse dalle memorie del mago che avrebbe potuto salvarla, liberandola dall’oscurità.

Gli ultimi barbagli di quei ricordi brillarono nel cerchio di salice. Le piume d’uccello che decoravano l’acchiappasogni ondeggiarono pigramente.

La lacrima. Quell’unica, semplice lacrima.

E il pugnale.

E l’amore.

-Tutto questo è assurdo. – commentò Lily.

Emma aveva voluto che fosse presente. Lily aveva avuto la possibilità di udire la voce di Merlino ed il suo Apprendista aveva scagliato la maledizione che l’aveva influenzata per tutta la vita. Inoltre, le sembrava semplicemente giusto che fosse lì, con lei. Che vedesse ciò che avrebbe permesso loro di liberare Merlino.

- Questi sono davvero i ricordi del mago più potente del reame? – Era incredula. – Mi stai dicendo che l’Oscuro è riuscito ad intrappolarlo, anche se lui lo controllava con il pugnale... perché era distratto dall’amore per una donna?

- Era umano. – sentenziò Emma, continuando a scrutare la rete dell’acchiappasogni, seriamente.

- Era Merlino. Anzi, è. – disse Lily, rivolgendo un’occhiata all’albero. Le foglie, spinte dalla brezza, danzavano e vibravano. La lunga ombra proiettata dalla prigione di Merlino si stagliava al suolo e sembrava in attesa di qualcosa.

- E quello era l’Oscuro.

- Adesso che cosa dovremmo fare?

- Semplice. – Emma mise via l’acchiappasogni. Le ombre avevano reso gli occhi di Emma duri e stranamente freddi. – Abbiamo bisogno di una lacrima.

 

 

- Siete sicuri che dare il pugnale ad Artù sia la soluzione migliore per aiutare Emma? – domandò Regina, facendosi largo tra i rami bassi e i cespugli, verso il luogo in cui aveva nascosto il pugnale. Stava ancora cercando di riprendersi dalla sorpresa. Quando era rientrata, dopo il suo... volo notturno con Malefica, aveva trovato Robin con gli Azzurri, che a loro volta era appena tornati. Lancillotto era stato rinchiuso nelle segrete, dove meritava di stare, secondo loro e secondo Artù. Mentiva.

- Ci fidiamo di lui. – rispose Neve, che la seguiva, un passo più indietro.

- Ciecamente. – ribadì Azzurro, come se ce ne fosse bisogno.

- Questi modi di dire li hai imparati alla scuola per pastori? - Dopo la divergenza di opinioni che avevano avuto a riguardo, Regina si chiedeva che cosa fosse realmente successo mentre erano via. Non erano stati molto... chiari su come l’ex proprietario del Seggio Periglioso avesse cercato di raggirarli tutti. Doveva essere una cosa molto seria. Oppure avevano battuto la testa. - Come fate ad essere sicuri di potervi fidare?

- Siamo bravi a giudicare le persone. – rispose Azzurro. – E non faremmo mai niente che possa nuocere ad Emma.

Nemmeno io, per questo mi domando se sia giusto dare il pugnale a quell’uomo, idiota, pensò Regina. Le tornò alla mente l’immagine di Emma sdraiata sulla panca, schiacciata dall’oscurità, sofferente.

Era insopportabile, quindi schiaffò un coperchio sopra quei pensieri.

Il tronco cavo in cui aveva nascosto il pugnale era davanti a lei. Era coperto di muschio, profondo e in una zona pressoché inesplorata del bosco. Nessuno passava mai da quelle parti, se ne era assicurata. Ed era circondato da una barriera magica che riconosceva solo la persona che aveva eseguito l’incantesimo di protezione.

Estrasse l’arma dell’Oscuro, avvolta in un panno. Neve tese la mano per prenderlo.

Regina si ritrasse. – Siete davvero convinti che affidare l’unica cosa che possa controllare vostra figlia ad Artù sia la soluzione migliore?

- Sei forse dura di comprendonio? – disse Neve, in tono sprezzante. La guardò dritta negli occhi con aria accusatrice. – Dammi quel pugnale...

Un alone giallognolo avvolse sia lei che Azzurro, congelandoli nell’atto di scagliarsi contro di lei e prenderle il pugnale con la forza, se fosse stato necessario.

Emma sostava a pochi metri da loro, una mano che ancora sfavillava.

- Ma che fai? – disse Regina, sbigottita. – Ora non ti fai problemi ad usare la magia nera?

- Non ho avuto scelta. Sono prigionieri di un incantesimo di Artù. Vuole che consegnino il pugnale a lui per ricomporre Excalibur. – spiegò.

- Ricomporre?

- Una volta erano un’unica arma. Sono stati separati moltissimo tempo fa.

- Che succede se vengono riuniti?

- La userà per uccidere Merlino. Inutile che ti dica quali sarebbero le conseguenze. – Emma era così risoluta che Regina non poté fare a meno di preoccuparsi. Excalibur? Excalibur parte del pugnale? Separati molto tempo fa?

- Come faccio a sapere che non è l’oscurità dentro di te a parlare?

- È vero. – Emma rispose senza esitare. – Non abbiamo molto tempo. Artù li sta aspettando.

Dal folto della boscaglia emerse un’altra figura. Regina sollevò una mano, preparandosi a colpire, ma subito si accorse che era Lily. L’amica di Emma osservò gli Azzurri, ancora bloccati dalla magia.

- Mi piacciono molto di più così. – commentò, appoggiando la mano sull’elsa di una spada, che spuntava dal fodero appeso alla cintura.

- Che ci fai tu qui? Chi ti ha dato una spada? – chiese Regina, sentendosi come chi piomba giù dalle nuvole all’improvviso.

- Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. E la spada gliel’ho data io. – rispose Emma.

- Ha bisogno di una spada?

- Sì. – Lily le si rivolse usando un tono caustico. – Considerando che non sono ancora molto brava con... la magia e tutto il resto... direi di sì.

- Tua madre lo sa?

- Lascia perdere mia madre. Hai sentito Emma, no? Abbiamo poco tempo. – Lily si voltò per incamminarsi.

- Aspettate un momento! – Regina allungò una mano, posandola sul braccio di Emma. – Artù è il re. Vuoi davvero opporti a tutto il regno?

- Dobbiamo liberare Merlino e fermarlo. E anche aiutare i miei genitori! – esclamò Emma.

- Ottimo piano. Peccato che non sappiamo come farlo uscire da quell’albero. – Regina notò che Lily stava roteando gli occhi. La ignorò. Non era di Lily che doveva preoccuparsi.

- Lo sappiamo, invece. Magia nera. – Emma lo disse senza alcuna traccia di paura.

- No. Non puoi continuare ad usarla. – Regina sentiva il cuore battere all’impazzata, per quanto cercasse di controllare la propria voce. Era convinta che Emma non si sarebbe fermata e che ogni obiezione fosse inutile. Ma doveva dire qualcosa. Doveva almeno provarci.

- Sono pronta a correre il rischio.

Lily sorrise, soddisfatta di quella sicurezza. Era innegabile che la figlia di Malefica amasse quella situazione. In effetti, amava il pericolo legato a quel piano. Amava il fatto che il piano fosse di Emma e che Emma l’avesse coinvolta. Il filo rosso che le legava appariva sempre più stretto. Così come sempre più oscura appariva la Salvatrice...

- Stai attenta, Emma. – aggiunse Regina, cercando il contatto visivo con lei. Non riuscì ad individuare nessuna traccia di timore, in lei, il che non la stupì. Scorse, però, alcuni segreti, in cui non avrebbe potuto penetrare. Per quanto ormai la conoscesse, l’Oscuro era in grado di schermarsi con maestria. – Conosco la magia nera. Sai dove mi ha condotta.

Lei sembrò rifletterci, ma non rimase in silenzio a lungo. – Con tutto il rispetto... io non sono te.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Ecco qua. – disse Emma, posando il vassoio davanti a Gold e liberandolo dalle corde che lo tenevano saldamente ancorato alle sbarre della cella. – Devi mangiare. Dovrai essere in forze se vuoi estrarre la spada.

Lui si massaggiò i polsi. Aveva passato ore legato a quella gabbia, nei sotterranei della casa dell’Oscuro. Era stanco e, sebbene non avesse ancora mangiato nulla da quando era stato svegliato dal suo sonno, non aveva per niente fame. – Non... non sarò in grado di farlo. Dovresti proprio lasciarmi andare.

Emma lo osservò, calma ed indifferente.

- Per favore... devo vedere Belle. – L’espressione sul suo viso era implorante. Era tornato ad essere l’uomo umile, la cui unica preoccupazione era filare e proteggere il suo unico figlio. L’uomo che aveva paura. L’uomo zoppo che non era capace di fare del male a nessuno.

- Non andrai da nessuna parte fino a quando non avrai estratto Excalibur per me. – Emma si appoggiò alla spada, sempre incastonata nella sua roccia.

Gold non credeva alle sue orecchie. Si sentiva ancora più frastornato di quando si era destato. – Hai così tanto potere... perché vuoi Excalibur?

- Dimmi, quando eri l’Oscuro pubblicizzavi i tuoi piani?

- I miei piani erano sempre nascosti. – ammise lui. – Ma le mie motivazioni no. Ogni volta che usavo la magia... mi dicevo che stavo facendo tutto per mio figlio. Per proteggerlo...

- Nobile.

- Ma anche se le mie intenzioni erano buone... l’ho perso comunque.

- Sono molto più forte di te. – precisò Emma, gelidamente.

Gold mosse un passo in avanti e barcollò. Alla ricerca di un appiglio per non cadere, si appoggiò alla roccia. – Beh, questo... non ha molta importanza. Più cercherai di giustificare ciò che fai... più li allontanerai. Credimi... finisci sempre per perdere le persone che ami.

Emma non si lasciò distrarre. Non aveva tempo per quei discorsi. – Merida!

La ragazza rispose al suo ordine. Non avrebbe mai potuto opporsi. Emma si era assicurata il suo cuore. – Sì, Oscuro.

- Levamelo di torno. Vai nella foresta e comincia. – Non si girò nemmeno, parlandole come si parla ad una semplice schiava.

- Per quanto tempo terrai il mio cuore e mi minaccerai? – domandò Merida.

- Fino a quando sarà necessario.

- Provaci. Intanto io sto pensando ad un modo per infrangere il tuo incantesimo.

Emma si chiese per quale motivo quella sciocca regina celtica continuasse a ribellarsi, pur sapendo che non era nella posizione per farlo. Evidentemente le cose che le diceva entravano in un orecchio e uscivano dall’altro. Forse i capelli erano troppo folti perché le parole potessero anche solo provare ad entrarle, nelle orecchie.

Merida si scagliò contro di lei ed Emma si voltò, stringendo il suo cuore pulsante in una morsa dolorosa. – Ora vedi di portarlo nella foresta. E trasformalo in un eroe.

Merida boccheggiò, gli occhi che sporgevano dalle orbite. Si diresse diligentemente verso Gold.

- E ricordati di una cosa, burattina. – precisò Emma, allentando la presa. – Io non ho solo il tuo cuore. Ho anche i tuoi ricordi. Tutti.

La ragazza la fissò con astio. Le sue spalle tremarono visibilmente.

- Io so che fine hanno fatto i tuoi fratelli. So che cos’è successo nel tuo regno. – Scandì ogni singola parola, quasi gliela stesse scolpendo nel cranio. Quasi stesse seguendo le pulsazioni del cuore. – So chi ha ucciso tuo padre.

- Chi? – sibilò Merida, furibonda.

- Beh, in un certo senso, conosci già una delle risposte a questa domanda. – disse Emma, stirando le labbra all’in su. – Tu. Quando hai sbagliato mira.

Vide, sul volto di Merida, come una luce interna, il lampo di una sofferenza profonda, che andava ben al di là del dolore fisico.

Gold era raggelato. Non osava muovere un muscolo. C’era troppa crudeltà, nella voce di Emma Swan. Lo paralizzava.

- Sai cosa potrei fare con questo cuore? – Ora l’Oscuro si spostò verso la ragazza. Quel misero uomo strisciò lungo le sbarre per allontanarsi da lei e, ad un certo punto, cadde, emettendo un gemito. – Potrei usarlo in molti modi diversi.

Merida la guardò, impotente, mentre si avvicinava. Mentre la trafiggeva con il suo sguardo verde.

- Conoscevo un uomo, una volta. Lui era... una persona pura. Buona. – Ora la sua voce era un po’ più dolce. Ma non smise di avanzare. Costrinse Merida contro le sbarre della prigione. – Era una persona... tormentata. E lo sai perché? Perché la Regina Cattiva possedeva il suo cuore. Non aveva più una volontà, perché lei... lo controllava.

- Io non... – prese a dire Merida.

- E l’ha ucciso, sai? L’ha ucciso perché alla fine... grazie a me, il suo giocattolo non rispondeva più ai comandi. Il giocattolo si era stufato di essere un cucciolo nelle mani di una donna che l’aveva privato della volontà. Della capacità di decidere.

E quella donna sei tu,adesso?, avrebbe voluto dire Merida, ma ovviamente aveva la lingua annodata.

- L’ha ucciso. – ribadì Emma. Strinse una sbarra con la mano libera, protendendosi verso il suo viso. – Ma io posso essere più generosa. Io sarò generosa, se tu smetterai di opporti. Pensaci: soffriresti di meno. E alla fine avresti una ricompensa: il tuo cuore e i tuoi ricordi. Nonché la vendetta. È un ottimo accordo, dal mio punto di vista. Sono sicura che anche l’ex Oscuro concorda.

Gold non si era ancora rialzato. Non disse niente.

- In caso contrario, non avrai un bel niente. Non avrai nemmeno la morte, te lo assicuro. – Si protese ancora di più, fino a quando non le schiacciò le labbra contro il padiglione dell’orecchio sinistro. – Sarai la mia burattina per sempre. Non rivedrai mai più Dunbroch. Né tua madre. Né i tuoi adorati fratelli. Vivrai sempre al mio fianco.

Merida deglutì, ma aveva la gola riarsa. Premette una mano contro la spalla dell’Oscuro, ma senza respingerla. Non era in grado di farlo, con lei che continuava a stringere il suo cuore. Inalò l’odore emanato da quella strega. Era un odore intenso, molto forte e tenebroso, ma non avrebbe saputo definirlo. Era attraente e, al tempo stesso, era terribile.

Emma si allontanò. – Ora sbrigati. O hai altre obiezioni?

Merida scosse il capo. – No, Oscuro. Vado. Farò di quest’uomo un eroe, come chiedi.

 

***

 

Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

- Per prima cosa, dobbiamo capire come reagirà la pozione alla mia magia. Portami la fiala. – disse Emma, parlando rapidamente, con il libro aperto davanti a sé.

- Non farò un bel niente, almeno fino a quando non mi avrai detto come facevi a sapere che David e Mary Margaret erano incantati. – ribatté Regina.

Erano nella Torre di Merlino da alcuni minuti. Lungo il tragitto, Regina aveva cercato di parlarle, le aveva posto delle domande, ma lei non aveva mai aperto bocca.

Lily era all’esterno, sulle scale, a controllare che nessuno salisse.

- Non abbiamo tempo per questo. – disse Emma, ostinata.

- Trovalo.

Emma desistette. Avrebbe perso ancora più tempo se non avesse risposto a quelle domande. – Sono stata nelle segrete. Ho parlato con quel mago... Knubbin.

- Quello che ha incantato la spada di Percival e la collana? – la interruppe subito Regina, sconcertata. – Hai forse perso il senno, Emma?

- Non preoccuparti. Gli ho solo chiesto qualche consiglio. Non è così inutile come appare. Sa fare molte cose.

- Tra le quali, incantare oggetti.

Emma prese l’acchiappasogni. – Ecco. Ho usato questo per scoprire i piani di Artù. Knubbin mi ha fatto notare quanto siano importanti i ricordi.

Regina ebbe il sentore che la situazione fosse ben peggiore di quanto si aspettasse. – Emma, è magia nera!

- Lo so.

- Questi affari non catturano solo i sogni.

- Lo so. – ripeté Emma.

- E devi sventolarlo sopra la testa di una persona per catturare i suoi ricordi. – Non parlava solo ad Emma, in realtà. Ripeteva cose che aveva sentito a sua volta. Immaginava che l’Oscuro avesse indovinato quasi subito la funzione degli acchiappasogni. E l’acchiappasogni era un oggetto assai caro ad Emma. Era a sua volta un ricordo. Di Neal.

- Non l’ho fatto. – replicò di nuovo. – Questa magia è più forte e più imprevedibile di qualsiasi altra magia che io abbia mai usato. L’immagine appare... e basta. Mi ha mostrato ciò che ha fatto Artù.

Più forte e più imprevedibile.

No, c’era davvero qualcosa di sgradevole, in quei discorsi. C’era qualcosa di inquietante nella voce di Emma. Era più bassa. Più cupa. Più... vecchia. I suoi occhi sembravano più vecchi. Più verdi. Simili a quelli di Neve, ma anche totalmente differenti.

Non me ne starò qui ad appoggiare tutto questo, vero? Condurrà Emma dove non dovrebbe condurla. L’oscurità la divorerà.

- Senti, andrà tutto bene. – aggiunse Emma. – L’acchiappasogni mi ha mostrato anche un ricordo che ci aiuterà. Un ricordo di Merlino.

Regina non aveva nemmeno il tempo di contrastare le sue idee.

- Merlino ha pianto... per la perdita dell’unico grande amore della sua vita, giusto un attimo prima che l’Oscuro lo intrappolasse nell’albero... usando proprio una delle sue lacrime.

Colta da un’illuminazione, Regina finalmente capì. – Emma, ci siamo.

Emma lasciò che fosse lei a parlare. Sapeva benissimo che cos’avrebbe detto dopo.

- Alcune volte gli incantesimi sono come i morsi dei serpenti. Puoi creare l’antidoto... con il veleno. Se la lacrima di un amore perduto ha intrappolato Merlino... un’altra potrebbe liberarlo. – Regina accennò un sorriso. – Allora, che ne dici? Andiamo a prenderci questa lacrima?

 

 

“Quanti anni hai, ragazzo?”

“Tredici, signore”.

“E non sai usare una spada né andare a cavallo, vero? Che razza di scudiero saresti, tu?”.

“Non sono uno scudiero, signore. Sono uno scrittore”.

Henry sferrava manrovesci e affondi con la spada. Era pesante, ormai il braccio gli doleva, ma non voleva smettere.

“Uno scrittore? Dimmi, ragazzo... quando questo regno sarà attaccato dagli orchi, proteggerai mia figlia con la tua penna? Violet apparterrà a qualcuno che diventerà cavaliere. Un eroe in grado di capire questo mondo. Qualcuno come lei...”

Immaginava che rami e alberi fossero orchi venuti a rapire Violet e ad incendiare il regno di Artù. Lui era un cavaliere. Un eroe pronto a tutto pur di salvare la principessa in pericolo. Lui era uno scrittore, ma in quella storia era anche un combattente.

Perse la presa sulla spada, impacciato dal mantello e per poco non si ferì al polpaccio. L’arma cadde.

Disarmato dal nulla. Sir Morgan aveva ragione.

- Henry, attento! – esclamò Regina.

Le sue madri si avvicinarono, entrambe con un’espressione perplessa e stupita dipinta dal viso. Henry notò di nuovo lo strano contrasto dei loro abiti. Il bianco di quello di Emma, che sembrava rappresentare la sua essenza prima di diventare l’Oscuro, l’essenza dell’eroe che era andato a prendere a Boston e che non credeva in tutte quelle storie sulla Regina Cattiva e sulla maledizione che aveva lanciato. E il rosso... di Regina. Gli faceva pensare al fuoco, anche se era un rosso intenso. Sanguigno.

- Mamme! Sto entrando nello spirito di Camelot! Sto... provando a capire questo mondo. – si giustificò, sorridendo nella maniera più disinvolta possibile.

- Duellando? – chiese Emma.

- Sir Morgan... il padre di Violet. Mi ha dato qualche consiglio per adattarmi. Tutto qui. Solo che... non so se sarò mai bravo in questo cose.

- Oh, beh... se non lo sei, non lo sei. – osservò Emma. – Cambiare per qualcuno non funziona mai. Sai... a me piaceva tuo padre perché lui era sempre se stesso.

Già, immaginava che suo padre non avesse avuto bisogno di una spada. Era sicuro che bastassero i suoi modi, il suo sorriso, la sua imprevedibilità.

- Sì, ma forse... forse potrei essere meglio di ciò che sono. – replicò Henry. Poi guardò Regina. – Tu non staresti con Robin se non fossi cambiata.

- È vero. – confermò Regina. – Ma tu pensi davvero che una ragazza come Violet non possa innamorarsi di un ragazzo qualsiasi?

Henry tentennò.

- Ricordi quando ti ho parlato di Daniel? – continuò Regina.

- Sì. Il tuo primo amore.

- Mmm. Lui non ha fatto colpo su di me perché si comportava come tutti gli altri. Ma perché era... diverso. Unico.

Emma sorrise, intenerita dalle sfumature nella voce di Regina. Non era difficile immaginare come avesse fatto Daniel a conquistarla. E riusciva anche ad immaginare... come avesse fatto Regina a conquistare lui. Si rivolse di nuovo al figlio. – Henry, a Camelot tu sei uno straniero misterioso proveniente da una terra lontana. È una cosa positiva.

Henry si sentiva sollevato. Non si era mai sentito così sollevato da quando era arrivato in quel regno. E gli era appena venuta un’idea carina. Un’idea molto più che carina. – Ci lavorerò su. Grazie. Devo... andare a fare una cosa.

Emma lo guardò correre via e si disse che era veramente cresciuto, suo figlio. Ricordava ancora il bambino di dieci anni che si era presentato alla sua porta per condurla a Storybrooke. A casa. Da suoi genitori. E da Regina.

“Allora, che ne dici? Andiamo a prenderci questa lacrima?”

- Emma.

Si voltò.

- Credo di sapere dove possiamo prendere l’ingrediente per liberare Merlino. – Regina si chiese come avesse fatto a non pensarci prima. – Da me.

 

 

- Okay, Regina. Questa sarà un’esperienza molto intensa. Ultima chance per tirarsi indietro. – disse Emma, reggendo l’acchiappasogni.

- Posso farcela. – rispose Regina.

In realtà non era pronta. Non lo era per niente. Aveva la bocca secca. Una morsa gelida le serrava la lo stomaco. I suoi occhi guizzavano da tutte le parti, alla ricerca di un punto su cui fissarsi. Alla fine guardò Emma.

Lei aveva cercato di dissuaderla. Le aveva ricordato quanto potesse essere doloroso rivangare nel passato, soprattutto per lei. Il suo passato era pesante. Era pieno di memorie terribili. Daniel. Sua madre. Avrebbero potuto trovare un’altra soluzione. Emma poteva scrutare nella mente di ogni abitante del regno. Se fosse stato necessario, l’avrebbe fatto. Ma Regina non voleva che usasse ripetutamente la magia.

Emma si sedette di fronte a lei. Benché la giornata fosse soltanto fresca, nel caminetto ardeva un bel fuoco, e la camera, con i suoi specchi, il suo letto con le coperte arabescate e gli arazzi, era profumata e accogliente, sicura. Perfetta per un incantesimo.

Lo sguardo di Regina non avrebbe potuto apparire più trasparente di così. Emma riusciva a distinguere chiaramente il caldo nocciola delle sue iridi e il nero delle pupille. Occhi molto angosciati, che parevano ancora più vividi nel contrasto con la morbida pelle color caramello.

Le passò l’acchiappasogni. Regina respirò profondamente.

- Guarda nel cerchio. – disse Emma. Dopodiché agitò una mano.

L’oggetto sfavillò e all’interno del cerchio apparvero le immagini. I ricordi di Regina.

 

Cora dava le spalle al portone di una stalla. Regina e Daniel erano di fronte a lei.

“Quindi questa è la tua decisione?”, chiese Cora. “Ti renderà felice?”

“Lo sono già”, rispose Regina.

“E dunque chi sono io per fermarvi?”.

Regina abbracciò sua madre, grata che avesse capito. “Grazie, madre”.

“Daniel”. Cora prese in disparte il giovane stalliere. “Se volete costruire una vita insieme, una famiglia, allora c’è una lezione importante che devi imparare. Su cosa significa essere un genitore”.

Daniel ascoltava, attento.

“Devi sempre fare ciò che è meglio per i tuoi figli”. E detto ciò allungò una mano, affondandola nel petto del ragazzo.

Gli strappò il cuore e lo ridusse in cenere.

“Madre! No!”, urlò Regina, accorrendo.

Il corpo di Daniel si accasciò senza vita e Regina lo strinse tra le braccia...

 

Emma era orripilata. Fino a quel momento aveva avuto solo una vaga idea di come dovesse essere stato, per Regina, stringere tra le braccia il corpo morto del suo grande amore. Aveva solo una vaga idea di quanto dolore avesse provato. Di quanto fosse stata grande la sua sofferenza. Mentre i ricordi scorrevano davanti ai suoi occhi, si era sentita quasi in dovere di avvertire quella ragazza, ancora innocente e così fiduciosa, ancora inconsapevole di ciò che l’aspettava. Si era sentita quasi in dovere di urlarle di andarsene, di scappare via, perché la situazione era palesemente ingannevole, al punto tale da risultare terrificante.

- Mi dispiace... – mormorò, ancora incapace di riprendersi da ciò che aveva visto.

La voce di Regina suonò rotta, fuori controllo. Non era mai stato così estenuante ricordare qualcosa. Mai. – È come se stesse accadendo tutto di nuovo.

Emma provò il forte e improvviso impulso di stringere Regina. Di stringerla per rassicurarla.

Per un pelo non si lasciò sfuggire la lacrima che stava rotolando lungo la sua guancia. Si protese con la piccola fiala di vetro e la ghermì prima che potesse cadere.

- Ce l’ho. – disse, osservando la minuscola goccia. – Grazie. Non sapevo cos’avessi provato, quanto fosse stato difficile per te...

- L’hai visto anche tu? – chiese Regina.

- Mi dispiace tanto... come può una madre fare una cosa simile?

Accennò una risata amara. Era ancora molto tesa. Quasi senza fiato. – Pensava di farlo per il mio bene.

Emma strinse la fiala con la lacrima di Regina. Non parlò.

- Beh... almeno abbiamo la lacrima che ci serve. – osservò, schiarendosi la voce. Il suo cuore non si era ancora calmato.

- Sì...

- Bene.

La mano che reggeva l’acchiappasogni tremava visibilmente. Quel tremito la teneva in sua balia. Si sentiva atterrita. Era un ricordo ormai lontano, eppure riviverlo le aveva fatto riassaporare tutto l’orrore di quel momento. Orrore che le rotolava attraverso e serrava il suo cuore caldo con artigli gelidi. Spremendolo. Le trasmetteva l’impulso di alzarsi e darsela a gambe, fuggire lontano da quella stanza, da quell’acchiappasogni, da Emma, dalla lacrima nella fiala. Da tutto.

Poi avvertì un’improvvisa stretta. Forte e decisa. L’acchiappasogni era caduto, ma Emma non lo raccolse. Si limitò a stringerle la mano.

- Emma...

- Stai tremando. – disse. E non la guardava. Guardava le loro mani.

- Oh, è... non è niente. Sto bene. – Non sottrasse le dita a quelle dell’altra. In qualche modo inspiegabile la stretta la confortava. Il tremito si stava attenuando.

- Mi dispiace...

Regina sorrise. - Oggi sei molto propensa a dire che ti dispiace.

- È che... non avrei dovuto vedere. Questi sono i tuoi ricordi. Lui era...

“Lui non ha fatto colpo su di me perché si comportava come tutti gli altri. Ma perché era... diverso. Unico”.

Diverso. Unico. Ecco ciò che era Daniel. Una persona semplice. Uno stalliere. Non un cavaliere. Non un re e nemmeno un principe. Ma era diverso dagli altri.

- Stiamo facendo tutto questo insieme. – rispose Regina, sporgendosi un po’ in avanti. Fissandola con intenzione. Era sicura di parlare con Emma, adesso. Soltanto con Emma e non con la sua oscurità. Lo sguardo di lei, forse per via della luce, aveva assunto sfumature azzurrate. – Questa è stata... una mia scelta. Ed è per liberare Merlino... che libererà te. Non avrei voluto condividerli con nessun altro.

- Nemmeno con Robin? – La domanda le uscì spontaneamente. E non aveva ancora lasciato la sua mano.

Regina esitò alcuni istanti. – Lui sa di Daniel. Beh, sa... com’è morto.

Ma non l’ha visto, pensò Emma. Io l’ho visto, invece. L’ho vissuto... l’ho rivissuto con Regina.

Si rendeva conto che era stata un’esperienza strana. Non solo terribile, ma anche... intima. Aveva visto nel cuore di Regina. Nella sua mente. Aveva scrutato in un cerchio e visto l’inizio di tutto. L’inizio della sua trasformazione. Regina aveva condiviso una parte importante di sé, per quanto ci fossero arrivate perché era necessario...

“Lui non ha fatto colpo su di me perché si comportava come tutti gli altri. Ma perché era... diverso. Unico”.

Inaccettabile per te, vero maledetta?, pensò Emma, rivedendo Cora mentre affondava la propria mano nel petto del giovane. Se mai le fosse servita un’altra ragione per detestare la madre di Regina dal profondo del cuore, ora ce l’aveva. Lei era l’Oscuro, ormai. Poteva essere ben peggio di Cora se avesse permesso all’oscurità di prendere il sopravvento, eppure... eppure non poteva controllare il flusso di emozioni che stava provando. Per il suo bene? Davvero credevi di farlo per il suo bene? Mia madre ha fatto la cosa giusta, uccidendoti. Avresti dovuto soffrire molto di più. Io ti avrei fatta soffrire molto di più. Perché sono l’Oscuro.

- È meglio sbrigarsi. – osservò Regina, liberandola dalla sua stretta. – Dobbiamo liberare quel mago prima che qualcuno si accorga di ciò che stiamo facendo. Non che mi dispiaccia non sentire le voci dei tuoi genitori per un po’... ma non possiamo lasciarli in quelle condizioni a lungo.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Henry aveva convinto Emma a portarlo al castello sulla spiaggia, la costruzione in legno in cui lui si era rifugiato dopo essere fuggito di nuovo, il giorno dopo l’arrivo della Salvatrice a Storybrooke.

“Me l’hai lasciato in macchina”, le aveva detto quella volta, dopo averlo raggiunto ed essersi seduta accanto al bambino. Gli aveva dato il suo libro. Lui osservava... l’orizzonte. In realtà non proprio l’orizzonte, ma la torre dell’orologio. Un orologio le cui lancette non si erano ancora decise a muoversi. “È ancora fermo, eh?”

“Io speravo che portandoti qui sarebbero cambiate le cose...”, le aveva risposto. “Che la battaglia finale sarebbe iniziata”.

“Non combatterò nessuna battaglia”.

- Perché mi hai portata qui? – domandò Emma, prendendo posto accanto ad Henry. Un Henry decisamente cresciuto ormai. Non aveva più il libro con sé, ma aveva gli stessi occhi fiduciosi di allora.

- Beh, perché questo... è uno dei nostri posti. – disse Henry. Stava anche cercando di farle perdere tempo in modo che Regina potesse frugare in casa sua. – Ricordi?

- Sì, certo.

- Volevo che ricordassi... – ripeté lui, osservando il cielo e il mare calmo. – Volevo che ricordassi chi eri. E chi sei. La nostra missione.

- Operazione Cobra. – Emma si raddolcì.

- La nostra missione non è ancora finita.

Emma usò un tono indulgente. Gli mise una mano sulla spalla. – Henry... le cose sono diverse, adesso.

- Ma non devono esserlo per forza. Sono sicuro che la madre che ho conosciuto è lì, da qualche parte. Mostramela.

- Sono qui. Questa sono io.

Henry scrutò gli abiti neri e quei capelli bianchissimi, raccolti nella crocchia. Scrutò le labbra rosso sangue. Ripensò alla Emma che non credeva alle sue storie. La Emma che indossava una giacca rossa di pelle, un paio di jeans, magliette non proprio fresche di bucato e aveva quei lunghi capelli biondi. La Emma Swan che si comportava da dura. La luce. La Salvatrice. La speranza.

“Sei qui perché è il tuo destino. Restituirai a tutti il lieto fine”.

“La smetti con queste stupidaggini?”.

“Non sei costretta a fare la dura. Lo so che ti piaccio. Si vede. Cerchi di allontanarmi perché ti faccio sentire in colpa”.

- C’è una ragazza. – disse Henry, all’improvviso. – Lei... ecco, è carina.

- Ah.

- Violet. È la figlia di uno dei cavaliere di Artù. Sir Morgan.

Le faceva piacere che, nonostante non possedesse più i suoi ricordi, Henry avesse rivisto Violet e si fosse preso una... seconda cotta per lei. Sì, era davvero cresciuto. La cosa la inteneriva e, al tempo stesso, la sgomentava.

- Ci piacciono le stesse cose. – continuò Henry.

- Ovvero?

- Ho messo un po’ di musica e ha gradito. – Ora aveva un’aria molto compiaciuta.

- Che musica?

- Yaz.

- Quale canzone? – Lo sapeva già. Era una mossa che conosceva molto bene.

- Only you. – rispose, infatti, Henry.

“Che ne dici?”

“Carina”.

“Solo carina?”. Neal aveva appoggiato quasi senza accorgersene una mano sulla sua. “Adoro questa canzone”.

- Te l’ha insegnata tuo padre, questa mossa? – chiese.

- Diceva che funziona sempre.

Emma sorrise, malinconicamente. – Ha funzionato con me.

- È una bella canzone.

- Sì, lo è.

“Beh, spero di averti dimostrato di non essere un maniaco, come pensavi”, disse Neal, schiarendosi la voce.

“Direi che sei stato convincente”.

Si riscosse. – Beh, sono sicura che funzionerà anche con la tua ragazza.

- Non è la mia ragazza, veramente. Cioè, non ancora. E poi... sai, lei viene da un altro mondo. Suo padre... preferirà che lei stia con un cavaliere.

- E tu sei uno scrittore. La tua spada è la penna.

- Che non ho più. Non che me ne penta... ma forse dovrei... non so, entrare nello spirito di Camelot.

- Non è necessario essere cavalieri, Henry. Non ti serve una spada. Essere... qualcosa che non si è non è mai una buona idea.

Neal era sempre stato se stesso. Per questo le era piaciuto. Come Daniel. Unici e diversi, a loro modo. Speciali.

- Sei uno straniero che viene da una terra lontana. Questa terra. Dimostrale che viviamo in un posto interessante. – disse Emma. – Ci sono tante altre cose oltre alla musica.

- I film. – rispose Henry. – Certo. Potrei farle vedere... qualche film. “Commando”. Anzi, no, meglio ancora. “Harold e Maude”. È adatto ad un appuntamento, vero?

- Direi di sì.

 

 

L’incantesimo di protezione non aveva sorpreso Regina, dato che Lily l’aveva avvisata almeno di quello. Ma di certo la sorprese ciò che vide nei sotterranei di quella casa.

Una cella.

E una roccia. Con Excalibur incastonata in essa. La gemma rossa nel pomolo mandò un barbaglio sanguigno non appena loro si avvicinarono.

- Date un’occhiata... Excalibur è molto familiare, non trovate? – fece notare Uncino, scrutando la lunga lama ondulata che si perdeva nella roccia.

- Il pugnale. – Belle si chinò e osservò l’arma di Artù da vicino. – Lo stesso motivo. La stessa lama.

Lily allungò una mano per sfiorare l’elsa robusta di Excalibur. Immaginava che non fosse sicuro farlo, ma a spingerla era un impulso che veniva dal profondo. E poi era stanca di tutti quei misteri. Anche lei voleva altre risposte.

- No, aspetta. – disse Regina.

- Forse estrarla è la soluzione migliore. Guardiamola più da vicino. – suggerì Uncino.

- Fermo. – Aveva una brutta sensazione riguardo a quella spada. Non c’era nessun incantesimo di protezione su di essa. Eppure era una situazione estremamente sospetta. – Lo sto per dire e ancora non ci credo, ma... è una trappola. Potresti rischiare la vita.

- Non sapevo te ne importasse. – disse Uncino, sollevando un sopracciglio.

- Non mi importa. Ma in questo momento potresti anche essere utile. Più o meno. E tu, anche. – aggiunse, rivolta a Lily.

Belle aggirò la roccia e raccolse delle corde da terra. Il cuore spiccò un balzo nel suo petto. – Lui è stato qui. Tremotino.

- Cosa vuole Emma da Tremotino? – domandò Lily. – E a cosa serve questa spada? A parte darle più potere... ma quello ce l’ha già.

- Suppongo a nulla di buono, a giudicare dai nostri ricordi perduti. – osservò Robin.

Il cellulare di Regina trillò. Quello era il segnale. Aveva chiesto ad Henry di avvisarla non appena lui ed Emma si fossero trovati sulla via del ritorno. – Non abbiamo tempo. Stanno tornando.

Corsero di sopra. Emma aveva preso il maggiolino giallo, quindi ci avrebbero messo alcuni minuti. Avrebbe tanto voluto perquisire il resto della casa, ma comprendeva fin troppo bene che suo figlio non poteva trattenere il Signore Oscuro più del dovuto e senza risultare sospetto.

Nel dirigersi verso l’uscita, Lily urtò un tavolino vicino alle scale e una scatola, un portaoggetti esagonale, cadde sul pavimento, aprendosi.

- Ehi, stai attenta. Non deve capire che siamo stati qui! – esclamò Regina.

Lily la ignorò bellamente e recuperò l’oggetto uscito dalla scatola. Un acchiappasogni. Ne aveva visto uno nell’appartamento di quel Neal Cassidy, a New York, dove avevano trovato l’uomo delle foreste in compagnia di una donna che credeva sua moglie e che si era rivelata una strega invidiosa e piena di astio verso la sorella.

E nel suo sogno. Ne aveva visti tanti, nel suo sogno.

- Che cos’è quello? – domandò Robin, avvicinandosi.

- Un acchiappasogni. – rispose Uncino. – Baelfire gliene ha regalato uno, molto tempo fa. Solo che questo... sembra diverso.

- Baelfire? – domandò Lily.

- Neal. – disse Regina, prendendo l’acchiappasogni dalle mani di Lily. Le era bastato vederlo per capire. Non aveva idea del perché ci fosse un acchiappasogni in una scatola, posata così casualmente su un qualsiasi tavolino, ma almeno aveva una vaga idea di ciò che era accaduto a Camelot. – Baelfire era il suo vero nome nella Foresta Incantata. E questo... non è solo un oggetto folkloristico. Se impregnato di magia può essere molto potente. Adesso... So come ha fatto Emma a rubarci i ricordi.

 

***

 

Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

- Fallo, Emma. Artù potrebbe arrivare da un momento all’altro. – la incitò Regina. Era calata la notte, il castello era pressoché silenzioso, ma non lo sarebbe stato per molto. L’albero in cui era intrappolato Merlino incombeva alle loro spalle e aveva l’impressione non molto gradevole che le stesse osservando. Che si aspettasse molto da loro. Che fosse impaziente, anche. – Che fine ha fatto Lily?

- Controlla la situazione. Non preoccuparti. – Emma prese gli ingredienti. Versò le pozioni che aveva preparato e le rimescolò. Doveva stare attenta con il dosaggio, ma non fu un problema. Sapeva benissimo come muoversi. Un’altra di quelle cose che si comprendono subito, senza bisogno di leggere più volte un libro di magia.

- Ed ecco l’ultimo ingrediente. La lacrima. – disse Regina, passandole la piccola ampolla.

Emma la prese con cautela e lasciò cadere la lacrima nell’intruglio. La magia si attivò e si levò una nuvola di fumo grigio violetto, che salì verso l’alto. Se l’incantesimo avesse funzionato, Emma avrebbe dovuto dirigerlo verso l’albero perché agisse in modo da liberare Merlino dalla sua prigione. Provava un senso di eccitazione e di trepidazione. Il desiderio di usare la magia, di alimentare il potere, era talmente forte da scagliare il suo cuore al galoppo. La sua mente era all’erta.

Tuttavia l’incantesimo si dissolse. Si ritirò e scomparve, lasciando Regina a fissare, perplessa, il contenuto dell’ampolla.

- Avrebbe dovuto funzionare. – disse Regina. – Perché non ha funzionato?!

- Regina... è semplice.

Lei sollevò lo sguardo, fissandola. Non capiva.

- Il tuo dolore non era abbastanza forte.

- Che cosa?! – gridò Regina, costernata da quell’affermazione.

- No, no, era vero. – precisò Emma, in fretta. Con un certo disagio si rivolse a lei. – Ma c’è Robin adesso... sei andata avanti. Sei guarita.

Regina avrebbe dovuto pensarci. Rivivere la morte di Daniel l’aveva fatta sentire a pezzi, ma era accaduto molti anni prima. Erano successe molte cose da allora. Era...

- Ehi! Scusate, sono in ritardo. – disse Henry, raggiungendole. Vide che l’albero era ancora intatto e aggrottò la fronte. – Cosa è andato storto?

- Credo... manchi un ingrediente. – rispose Emma, pensosa.

Regina osservò Henry. Il ragazzino era rosso in viso, quasi fosse reduce da una lunga corsa. Aveva i capelli un po’ scompigliati e l’aria vagamente assente.

- Cos’è successo, Henry? – domandò, ansiosa.

- Oh, niente. – rispose lui, lisciandosi pieghe inesistenti sulla giubba. – Tutto bene.

- Sembri... compiaciuto. C’entra quella ragazza?

Emma lanciò un’occhiata ad Henry, mentre la mano destra frugava in una tasca interna del mantello. Strinse qualcosa nel pugno.

- Violet... oh, lei è... le è piaciuto il Granny’s. E anche le lasagne. – ammise Henry, diventando ancora più rosso.

- Bene. – disse Regina, sorridendogli.

- Mi ha dato un bacio. – continuò.

Emma si voltò di scatto, spalancando gli occhi.

- Lei... cosa?! – domandò Regina, sicura di aver capito male.

Mi ha dato un bacio.

Non poteva averlo detto davvero, giusto?  Insomma, d’accordo, ad Henry piaceva quella ragazzina, ma suo figlio era un bambino...

- Un bacio sulla guancia. – sentenziò Henry, toccandosi la guancia sinistra.

- Beh, naturalmente!

- Perché stai gridando, mamma? Sei arrabbiata?

Regina stava per rispondere che lei non era affatto arrabbiata. Il punto non era la rabbia, il punto era che Henry era cresciuto senza che lei se ne rendesse veramente conto. Da quando era diventato così alto, ad esempio? Quand’era successo?

- Fermi! – Artù piombò in cortile, seguito da alcuni cavalieri, tutti in armatura e con le spade sguainate. Pronti a dare battaglia. Il re era furioso. Ben consapevole che avevano cercato di ingannarlo. – State lontani dall’albero. Non ve lo chiederò due volte.

Era arrivato prima di quanto si aspettassero.

- Voi e la vostra gente mi avete mentito fin dall’inizio. – dichiarò Artù. – Tu non sei la Salvatrice. Sei un’imbrogliona!

Regina si chiedeva come avessero fatto a non vedere quanto fosse folle quell’uomo. Non era solo furibondo per essere stato raggirato. La sua voce era carica di odio. Odio represso che finalmente trovava libero sfogo. Nei suoi occhi c’erano cose terribili. La maschera era definitivamente caduta.

- Fatevi avanti, allora. – rispose Regina. – Provate ancora a chiamarmi imbrogliona...

- Vi abbiamo accolti. – continuò il re, come se non l’avesse neppure sentita. – Vi abbiamo accolti e festeggiati e in cambio... avete portato il Signore Oscuro nel mio regno! Avete messo in pericolo la mia gente! E oltre all’Oscuro, avete portate anche una ragazzina incontrollabile che ha ucciso uno dei miei uomini più fidati e valorosi!

Regina lo osservò con aria di sfida. – Un uomo fidato e valoroso che ha cercato di uccidere me.

- Perché aveva capito che razza di strega siete! Datemi il pugnale! – ordinò Artù, tendendo la mano.

- Lo vuoi? – chiese lei. Formò una sfera di fuoco con la magia. – Vieni a prendertelo!

Emma non perse tempo a fronteggiare Artù. Avrebbe potuto liberarsene con poche, semplici parole, ma Regina se la sarebbe cavata. Indietreggiò di un paio passi, cercando di catturare i pensieri, di tenersi aggrappata al piano originale. Poi corse verso l’ampolla che aveva lasciato sul cornicione di pietra e aprì la piccola fiala. Quella di riserva.

Regina scagliò fiamme contro Artù e i suoi uomini. Non riusciva a vedere che cosa stesse combinando Emma.

Infine arrivò anche il drago. Si precipitò giù dal cielo, con tutta la sua enorme mole. Spalancò le fauci e gettò una scia infuocata sul re. Lui si affrettò a farsi da parte, mentre i suoi uomini gridavano e si sparpagliavano. Artù iniziò ad estrarre Excalibur dal fodero, ma prima che potesse sguainarla la lunga coda del drago lo colpì al petto, spedendolo gambe all’aria. Batté forte la testa sui ciottoli del cortile e vide tutte le stelle del firmamento.

Il drago atterrò vicino ad Henry e Regina. Eruttò un’altra fiammata. I cavalieri indietreggiarono ancora di più. Due di loro presero il re per le braccia, aiutandolo ad alzarsi.

- Dove ti eri cacciata? Emma aveva detto che stavi controllando la situazione... – esclamò Regina. Poi si concentrò meglio sul drago e si accorse che non era Lily. Era Malefica.

Vi fu uno sfavillio improvviso, poi un rumore simile a vento rinchiuso in una bottiglia che si libera non appena viene tolto il tappo.

La magia si levò più alta e potente, bianca e nera, ombre e luci unite nella stessa onda. Un turbine portentoso avvolse Emma, che sorrise, concentrando il potere nelle proprie mani e dirigendolo verso il grande albero. Era una sensazione incredibile. I capelli si sparsero intorno al suo viso, in una tempesta dorata. Il suo sguardo si accese.

Regina ed Henry si ripararono gli occhi con le braccia e vennero catapultati a terra dalla forza che stava artigliando la prigione di Merlino, abbracciandola completamente. Artù e i cavalieri si allontanarono il più possibile.

La tormenta avvolse l’albero e illuminò a giorno il cortile e il castello di Camelot.

Era difficile controllare tutto quel potere, ma con un’ultima spinta, un ultimo, immane sforzo, Emma riuscì a liberarsene, lasciando che esplodesse.

Malefica riassunse le sue sembianze umane.

L’albero era svanito. Accasciato in mezzo al cortile c’era un uomo in una lunga tunica da mago e con un cappuccio sulla testa. La figura piegata si alzò in piedi, lentamente. Era un uomo alto e robusto, che emanava un potere ben più antico dell’incantesimo che aveva usato perché potesse uscire dalla trappola in cui l’aveva rinchiuso l’Oscuro.

Henry stesso non avrebbe saputo dire che cosa si aspettasse. Quando aveva visto La Spada nella Roccia, anni prima, Merlino era un mago vestito di azzurro, con una lunga barba candida, anziano ed esilarante, che istruiva un ragazzino di nome Semola, ovvero Artù, e occasionalmente partiva per Honolulu. In altri film era un vecchio con un lungo bastone, estremamente potente e fisicamente forte nonostante l’età avanzata. Un druido che tutti temevano. Secondo alcune storie era il figlio di una donna mortale e di un demone, il che gli conferiva doti eccezionali e la possibilità di vivere più a lungo di un uomo comune.

Ma quando quel Merlino abbassò il cappuccio, mostrando per la prima volta il suo viso, si accorse che non era affatto vecchio. Non appariva vecchio, per lo meno. E non aveva una lunga barba bianca, il volto scavato dalle rughe o gli occhi infossati. Sembrava un giovane uomo nel fiore degli anni, con la pelle scura, la bocca grande che si aprì in un sorriso gentile e decisamente sollevato, non appena vide Emma di fronte a sé. I capelli erano neri e molto corti.

- Ti stavo aspettando. – disse il mago. – Emma.

Lei ebbe l’impressione che vi fosse qualcosa di familiare in Merlino, ma lì per lì non le riuscì di individuare che cosa fosse.

- E tu... – disse, poi, voltandosi verso Artù, ancora stordito dalla botta in testa. Lo guardava severamente. – Il bambino che doveva diventare re. La mia grande speranza.

Artù accennò un sorriso.

- Quanto mi hai deluso! – concluse Merlino. Parlava come un padre intento a rimproverare il figlio che aveva appena commesso la più grave delle bravate, invece di seguire i suoi insegnamenti.

- Io ho deluso te? – L’ira del sovrano era palpabile. Era basito. Quasi il mago gli stesse narrando favolette. – Tu mi hai dato false profezie! Mi hai spedito in una missione impossibile! Hai rovinato la mia vita!

Sfoderò Excalibur, più per istinto che per altro. Malefica puntò il lungo scettro contro il sovrano.

- Mettila via, Artù. Lo sai che quella spada spezzata non può farmi niente. – Merlino aveva un’aria annoiata.

Il re aveva una gran voglia di mettergli le mani al collo. Ma era chiaro che non aveva chance. – Non finisce qui!

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Se Emma l’ha usato per portarci via i ricordi... – disse Regina, occhieggiando l’acchiappasogni nel salone di casa sua. – Forse può dirci che cos’è accaduto a Camelot.

Robin osservò la rete intrecciata nel cerchio di salice. – Beh, che cosa stiamo aspettando?

Regina non aveva idea di che cosa aspettarsi.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

“Non sono venuta qui per combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete fatto, sarete puniti”.

- Hai paura di quello che potresti scoprire, vero? – chiese lui, vedendola esitare.

- Emma era sicura di avere un buon motivo per comportarsi così come si è comportata. Chissà cosa ci è successo laggiù.

“Siete andati a Camelot per salvarmi dall’oscurità. E avete fallito”.

“Avete fallito”.

- Ma c’è soltanto un modo per scoprirlo, no? – disse Robin.

Regina aveva bisogno di sapere. Qualunque cosa fosse, ne aveva bisogno. Se davvero aveva fallito, avrebbe affrontato quel fallimento. Avrebbe cercato di rimediare. Avrebbe trovato un modo per recuperare Emma, perché un modo doveva esserci.

Agitò una mano davanti all’acchiappasogni e il cerchio interno si illuminò, mostrando i ricordi.

 “Siete pronte?”

“Sì. Tra poco avrò l’ingrediente”.

“Dov’è Regina?”

- Sono... i ricordi di Emma? – domandò Robin, perplesso.

- No... – Regina avvicinò l’acchiappasogni al viso. – Sono di Lily.

 

“Dov’è Regina?”, disse Lily, avvicinandosi e osservando gli ingredienti che Emma stava disponendo davanti a sé.

“Pensavo avesse bisogno di un attimo per riprendersi. Dopo quello che abbiamo dovuto fare...”.

“Dopo quello che lei ha voluto fare, forse”.

“Ma libereremo Merlino insieme. È per questo che siamo qui”.

Il fuoco ardeva nel camino. Lo specchio appeso sopra ad un cassettone rimandava l’immagine di Emma e di Lily, vicine.

“D’accordo. Ma esattamente il piano qual è? Come agirà la lacrima di Regina?”.

Emma cercò di spiegarglielo a grandi linee. Non era semplice. Il potere sarebbe stato enorme.

“E tu sei sicura di farcela?”, chiese la ragazza. “Insomma, se non sbaglio... sarebbe magia nera. Potrebbe...”

“Spingermi verso il baratro. Lo so bene. Ma ho scelta?”. Emma continuava a non guardare Lily. I capelli le spiovevano sul volto, nascondendone una parte. “Se la lacrima di Regina funzionerà, Merlino uscirà dalla sua prigione e potrà aiutare me”.

Lily avrebbe voluto vederla meglio, perché la testa le diceva, in modo sommesso e perentorio, che stava per succedere qualcosa lì. Qualcosa che non era previsto. E non vedere gli occhi di Emma la riempiva di disagio.

“Se?”, rispose Lily. “Perché ho l’impressione che tu non sia così sicura che funzionerà?”

Emma non rispose.

“Emma?”. La prese per un polso, costringendola a smettere di spostare gli oggetti da una parte all’altra e senza scopo. “Che cosa stai tramando?”

“Solo un piano alternativo”. Alzò la testa, fissandola per la prima volta.

“Piano alternativo? Che cosa intendi? Perché quella lacrima non dovrebbe funzionare?”

“Perché il dolore di Regina non è un dolore recente. È vecchio. Risale a molto tempo fa. Sono successe troppe cose. Ha incontrato Robin...”

“Se la pensi in questo modo, perché non ne hai parlato con Regina? Sei stata tu a cacciarla via, non era lei che voleva riflettere. Sei tu quella che aveva bisogno di riflettere!”

“In effetti sì. Sto per fare qualcosa di terribile, ma lo farò. Perché non abbiamo tempo. L’oscurità... non mi sta lasciando scelta, Lily”.

“Che cos’hai in mente?”

Emma glielo disse. Era inutile nasconderlo a Lily, tanto non avrebbe potuto fermarla ed era convinta che non avrebbe avvertito nessuno. La conosceva.

“Quindi tu vuoi strappare il cuore di una tredicenne, la ragazzina che piace a tuo figlio... perché spezzi il suo, di cuore? Dico, ma sei impazzita? Questo non è da te, Emma”.

“Tutto quello che intendo fare, lo farò anche per il bene di Henry. Di tutti”.

“Ma tu sei la Salvatrice, no? Tu sei superiore a tutto questo”.

Emma andò molto vicino a Lily. “Sono la Salvatrice, ma sono anche l’Oscuro. E ho bisogno di Merlino. Il piano di riserva è necessario. Devo coprirmi le spalle. Non possiamo fallire e riprovare perché non avremo un altro momento per riprovare. Artù sta aspettando che i miei genitori riportino il pugnale. Se non sospetta ancora niente, inizierà molto presto”.

Si allontanò da lei, dirigendosi verso l’uscita.

“Sai una cosa, io so che cosa vuol dire lottare contro l’oscurità. L’ho sempre dovuto fare”, disse Lily, costringendola a fermarsi. “Tutta la mia vita è stata oscura e tu lo sai bene. Non sarà mai come la cosa che si è impossessata di te... ma mi ha fatto fare delle cose. Non mi permetteva... di controllarmi. L’Oscuro sta facendo lo stesso con te. Se lo ascolti, perderai il controllo”.

“È tutto inutile!”, gridò Emma. Reggeva ancora l’acchiappasogni. I suoi occhi dardeggiavano. La sue espressione era la stessa che Lily aveva visto il giorno in cui Emma l’aveva trovata, il giorno in cui avevano lottato, il giorno in cui Emma aveva puntato la sua pistola contro di lei, preparandosi ad ucciderla. “Lui è sempre qui, non capisci? Mi parla. Mi parla continuamente. È qui ed è nella mia testa. Lo vedo...”

“Chi?”

“Tremotino. O qualcuno che ha assunto le sue sembianze. Non fa altro che parlarmi. Mi istiga. Ed io non riesco a non ascoltarlo”.

Istintivamente Lily si guardò intorno. La stanza era vuota, escluse loro due. Ma sapeva che qualcosa c’era. Qualcosa che poteva vedere solo Emma, ma che persino lei poteva percepire vagamente. Come una presenza sempre fuori dal suo campo visivo.

“Emma”, disse Lily. Non c’erano più obiezioni, ormai. “Una volta mi hai detto di fare scelte migliori. Ed io ti ho risposto che ci provavo... ma qualsiasi decisione prendessi mi si rivoltava sempre contro”.

Emma continuò a fissarla.

“Ancora adesso succede. Penso di fare la cosa giusta e invece mi ritrovo nei pasticci”. Lily pensava che lei la stesse anche ascoltando, adesso. Che la stesse ascoltando attentamente. Come se si fosse appena ricordata di qualcosa. “Ma tu sei sempre stata diversa, Emma. Mi hai detto di fare scelte migliori e allora falla tu, una scelta migliore, questa volta”.

Emma non le diede il tempo di continuare. Sollevò l’acchiappasogni. “Sì. Hai ragione. Guarda nel cerchio”.

Lily guardò. Non perché volesse guardare davvero, ma la richiesta di Emma la spinse a farlo. E quando le immagini iniziarono a comparire, non poté più distogliere lo sguardo.

 

Per alcuni assurdi momenti, i ricordi si tuffarono in altri ricordi.

Regina si immerse, sconvolta, nei ricordi di Lily. E Lily, nel passato, si immerse nei propri.

 

Una ragazzina sola in un supermercato che pensa di passare inosservata infilandosi della roba sotto la giacca.

Un’altra ragazzina sola in un supermercato e che la sa lunga.

Una guardia: “Cos’hai lì?”

Lily, appena quindicenne, che la salva, perché ha una carta di credito e rubando un pezzo di plastica ‘puoi fare tutto quello che vuoi’.

Una corsa per sfuggire ad un uomo in auto.

“Io mi chiamo Emma”.

“Lily. Grazie dell’aiuto”.

“Mi hai coperto le spalle. E io ho coperto le tue”.

Lily ed Emma sedute sul prato, davanti ad un lago.

“Sono troppo grande. Ho perso la mia occasione. Non aveva senso restare lì solo per continuare a sentirmi...”

“Invisibile?”

Nessuna risposta da parte di Emma. Ma è la risposta giusta.

“So che cosa vuol dire vivere in un posto dove nessuno sembra essere in grado di capirti”, dice Lily.

“Eri in una casa famiglia? L’uomo che ti stava inseguendo... era dei servizi sociali? Voleva riportarti a casa?”

“Sì”.

“Cosa pensi di fare?”

Quelle ragazzine che fanno irruzione in una grande e bella casa sul lago, che la gente di solito usa solo d’estate.

“Ehi, cos’hai sul polso?”

Lily le mostrò la sua stella. “Non so cos’è successo... ce l’ho sempre avuta. Mi piace pensare che sia una specie di simbolo in stile... Harry Potter, più o meno”.

“Come se tu fossi... unica e speciale”.

“Lo so, è stupido”.

“No, non è vero”.

Lily che disegna una stella sul polso di Emma con un pennarello. “Okay... allora sei speciale anche tu”.

“Grazie.

Lily ed Emma che si divertono a riprendersi con una telecamera. Il ritratto della spensieratezza.

“Promettiamoci di restare amiche. Qualsiasi cosa accada non ci sarà niente che non potremo superare”.

“Okay, sì. Promesso”.

Un uomo che entra in casa, di notte, mentre loro dormono.

“Lily?”

Emma che afferra la prima cosa che le capita a tiro per difendere la sua nuova amica. “Non ti avvicinare! Non ci riporterai in una casa famiglia”.

L’uomo, appena visibile dietro la luce emanata dalla potente torcia elettrica. “Tesoro, che sciocchezze hai raccontato a questa ragazza?”

La luce. La luce sembra colpire le bugie di Lily. La colpisce dritta in faccia.

“Che sta succedendo? Lily?”

“Dille la verità. Sono suo padre. Torniamo a casa. Tua madre è disperata”.

La luce colpisce Lily. La consapevolezza colpisce Emma come un getto d’acqua gelata.

Lily in attesa sull’auto del padre. Emma che sta per essere riportata in casa famiglia.

“Emma!”

Sulle prime nemmeno si gira. Non vuole.

“Emma! Emma!”

Tre volte. Come Henry quando l’aveva invocata al molo.

“Non preoccuparti. È arrabbiato perché ho usato la carta di credito”. Scrive qualcosa su un pezzo di carta. “Quando la situazione si calma, vieni a cercarmi. Scapperemo insieme”.

“Mi hai presa in giro”.

“Mi dispiace tanto. So di aver mentito sulla mia famiglia. Ma per il resto ti ho sempre detto la verità. Io odio la mia casa. Io lì mi sento invisibile”. Lily è sull’orlo delle lacrime. “Sono proprio come te. Davvero! Ero un’orfana finché questa famiglia mi ha adottata. Quella non è casa mia. Lo avevi promesso. Amiche per sempre. Qualsiasi cosa accada”.

Quella di Lily è una supplica. Tende il foglio di carta, ma ciò che importa sono i suoi occhi. È il modo in cui la guarda.

Emma non le risponde. Le volta le spalle. Le volta le spalle e si cancella la stella con il pollice. Con decisione. Con rabbia. Ignora le grida di Lily e le sue lacrime.

Tempo dopo. Lily nascosta in un garage e ricercata dalla polizia.

“Emma è stata la prima persona che mi abbia capita veramente, sapete? Come se fosse stato il destino a farci incontrare”.

E...

“Da quando sei andata via tutta la mia vita è andata a rotoli. Qualunque cosa faccia va per il verso sbagliato”.

“E sarebbe colpa mia? Perché non provi a fare scelte migliori?”

“Ci provo. Lo giuro. Ma ogni volta che lo faccio, tutto mi si ritorce contro. È come se avessi una maledizione”.

“Che stupidaggine!”

“È vero. È come se tutta la mia vita fosse oscura e quando ci sei tu... diventa più luminosa”.

E...

“Emma, ti prego, non lasciarmi sola. Ti sto supplicando. Ti prego, aiutami!”.

“Non mi va più di aiutarti, Lily. Sto molto meglio da sola”.

 

Nel presente di Camelot, Lily riemerse dai suoi ricordi, paonazza. Emma mise da parte l’acchiappasogni e la costrinse in ginocchio. Poi strinse nel pugno i suoi capelli e fece in modo che piegasse la testa all’indietro. Usò una piccola ampolla per raccogliere una delle lacrime che stavano scivolando lungo le sue guance.

“Vedi, Lily, mi dispiace molto. Avrei dovuto pensarci prima. Il dolore di Regina è... vero. È un dolore terribile. Ma potrebbe non essere sufficiente. Non posso correre questo rischio. Non ho più tempo, ormai”. Chiuse l’ampolla, ma continuò a trattenere Lily, il cui respiro sembrava quasi un singhiozzo. Tentò di alzarsi, ma le gambe erano come liquefatte e la sua mente era tutta un turbine di pensieri che non riusciva ad afferrare.“Il tuo dolore, invece... è ancora molto reale. Per quanto tu sia andata avanti, non sei mai guarita. Perché nessuno ti ha aiutata a guarire. Ma adesso... aiuterai me. Libererai Merlino. E mi salverai”.

 

______________________

 

 

Angolo autrice:

 
Buonsalve!

Mi scuso per l’estrema lunghezza del capitolo, ma essendo “Dreamcatcher” (5x05) l’episodio che più ho amato di questa 5A, ho voluto approfondire tutto quanto.


   
 
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