9
“Chi
combatte i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un
mostro.
Quando
guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarda
dentro di te”
[Friedrich
Nietzesche]
Camelot. Quattro settimane prima
della maledizione.
“Tu...”.
La voce del mago era
incrinata. Piena di rabbia e di dolore. Un dolore acutissimo.
“L’hai distrutta.
L’unica donna che io abbia mai amato...”
La
figura incappucciata e protetta
dalla maschera dorata non disse niente. I buchi che rappresentavano gli
occhi
lo scrutavano.
“Ed
ora... io distruggerò te”,
sentenziò Merlino. Alzò il pugnale sopra la
testa, pronto a colpirlo.
Il
pugnale scintillò, minaccioso.
Le
mani di Merlino lo stringeva
saldamente, eppure tremavano. Il tremito divenne più
incontrollabile. Il mago guardò
la maschera, sconvolto.
“Mio
Dio...”, mormorò. Infine
crollò sul prato, come schiacciato da una forza molto
più grande di lui.
La
figura si mosse ad una velocità
sorprendente, prese il pugnale, puntandolo alla gola del mago e lo
costrinse a
sollevare il capo. Alla luce della luna, il viso di Merlino era
sofferente. Una
lacrima scivolò sulla sua guancia.
“Mi
manca...”
L’Oscuro
usò la lama del pugnale
per raccogliere quell’unica goccia. L’arma
rilucette, violacea e vagamente
viva. Pregna di una nuova magia.
Poi
lo intrappolò. Merlino osservò
impotente le radici dell’albero cingere i suoi piedi, i
polpacci, le gambe, il
torso. L’albero crebbe, inglobandolo. Lui divenne parte del
suo tronco e dei
suoi rami, che si protesero verso il cielo nero e si riempirono di
foglie
verdi.
Emma
riemerse dalle memorie del mago che avrebbe potuto salvarla,
liberandola
dall’oscurità.
Gli
ultimi barbagli di quei ricordi brillarono nel cerchio di salice. Le
piume
d’uccello che decoravano l’acchiappasogni
ondeggiarono pigramente.
La
lacrima. Quell’unica, semplice lacrima.
E
il pugnale.
E
l’amore.
-Tutto
questo è assurdo. – commentò Lily.
Emma
aveva voluto che fosse presente. Lily aveva avuto la
possibilità di udire la
voce di Merlino ed il suo Apprendista aveva scagliato la maledizione
che
l’aveva influenzata per tutta la vita. Inoltre, le sembrava
semplicemente
giusto che fosse lì, con lei. Che vedesse ciò che
avrebbe permesso loro di
liberare Merlino.
-
Questi sono davvero i ricordi del mago più potente del
reame? – Era incredula.
– Mi stai dicendo che l’Oscuro è
riuscito ad intrappolarlo, anche se lui lo
controllava con il pugnale... perché era distratto
dall’amore per una donna?
-
Era umano. – sentenziò Emma, continuando a
scrutare la rete
dell’acchiappasogni, seriamente.
-
Era Merlino. Anzi, è.
– disse Lily,
rivolgendo un’occhiata all’albero. Le foglie,
spinte dalla brezza, danzavano e
vibravano. La lunga ombra proiettata dalla prigione di Merlino si
stagliava al
suolo e sembrava in attesa di qualcosa.
-
E quello era l’Oscuro.
-
Adesso che cosa dovremmo fare?
-
Semplice. – Emma mise via l’acchiappasogni. Le
ombre avevano reso gli occhi di
Emma duri e stranamente freddi. – Abbiamo bisogno di una
lacrima.
-
Siete sicuri che dare il pugnale ad Artù sia la soluzione
migliore per aiutare
Emma? – domandò Regina, facendosi largo tra i rami
bassi e i cespugli, verso il
luogo in cui aveva nascosto il pugnale. Stava ancora cercando di
riprendersi
dalla sorpresa. Quando era rientrata, dopo il suo... volo notturno con
Malefica, aveva trovato Robin con gli Azzurri, che a loro volta era
appena
tornati. Lancillotto era stato rinchiuso nelle segrete, dove meritava
di stare,
secondo loro e secondo Artù. Mentiva.
-
Ci fidiamo di lui. – rispose Neve, che la seguiva, un passo
più indietro.
-
Ciecamente. – ribadì Azzurro, come se ce ne fosse
bisogno.
-
Questi modi di dire li hai imparati alla scuola per pastori? - Dopo la
divergenza di opinioni che avevano avuto a riguardo, Regina si chiedeva
che
cosa fosse realmente successo mentre erano via. Non erano stati
molto... chiari
su come l’ex proprietario del Seggio Periglioso avesse
cercato di raggirarli
tutti. Doveva essere una cosa molto seria. Oppure avevano battuto la
testa. -
Come fate ad essere sicuri di potervi fidare?
-
Siamo bravi a giudicare le persone. – rispose Azzurro.
– E non faremmo mai
niente che possa nuocere ad Emma.
Nemmeno
io, per questo mi domando
se sia giusto dare il pugnale a quell’uomo, idiota, pensò
Regina. Le tornò alla mente l’immagine di Emma
sdraiata sulla panca,
schiacciata dall’oscurità, sofferente.
Era
insopportabile, quindi schiaffò un coperchio sopra quei
pensieri.
Il
tronco cavo in cui aveva nascosto il pugnale era davanti a lei. Era
coperto di
muschio, profondo e in una zona pressoché inesplorata del
bosco. Nessuno
passava mai da quelle parti, se ne era assicurata. Ed era circondato da
una
barriera magica che riconosceva solo la persona che aveva eseguito
l’incantesimo di protezione.
Estrasse
l’arma dell’Oscuro, avvolta in un panno. Neve tese
la mano per prenderlo.
Regina
si ritrasse. – Siete davvero convinti che affidare
l’unica cosa che possa
controllare vostra figlia ad Artù sia la soluzione migliore?
-
Sei forse dura di comprendonio? – disse Neve, in tono
sprezzante. La guardò
dritta negli occhi con aria accusatrice. – Dammi quel
pugnale...
Un
alone giallognolo avvolse sia lei che Azzurro, congelandoli
nell’atto di
scagliarsi contro di lei e prenderle il pugnale con la forza, se fosse
stato
necessario.
Emma
sostava a pochi metri da loro, una mano che ancora sfavillava.
-
Ma che fai? – disse Regina, sbigottita. – Ora non
ti fai problemi ad usare la
magia nera?
-
Non ho avuto scelta. Sono prigionieri di un incantesimo di
Artù. Vuole che
consegnino il pugnale a lui per ricomporre Excalibur. –
spiegò.
-
Ricomporre?
-
Una volta erano un’unica arma. Sono stati separati moltissimo
tempo fa.
-
Che succede se vengono riuniti?
-
La userà per uccidere Merlino. Inutile che ti dica quali
sarebbero le
conseguenze. – Emma era così risoluta che Regina
non poté fare a meno di
preoccuparsi. Excalibur? Excalibur parte del pugnale? Separati molto
tempo fa?
-
Come faccio a sapere che non è
l’oscurità dentro di te a parlare?
-
È vero. – Emma rispose senza esitare. –
Non abbiamo molto tempo. Artù li sta
aspettando.
Dal
folto della boscaglia emerse un’altra figura. Regina
sollevò una mano,
preparandosi a colpire, ma subito si accorse che era Lily.
L’amica di Emma
osservò gli Azzurri, ancora bloccati dalla magia.
-
Mi piacciono molto di più così. –
commentò, appoggiando la mano sull’elsa di
una spada, che spuntava dal fodero appeso alla cintura.
-
Che ci fai tu qui? Chi ti ha dato una spada? – chiese Regina,
sentendosi come
chi piomba giù dalle nuvole all’improvviso.
-
Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. E la spada
gliel’ho data io. –
rispose Emma.
-
Ha bisogno di una spada?
-
Sì. – Lily le si rivolse usando un tono caustico.
– Considerando che non sono
ancora molto brava con... la magia e tutto il resto... direi di
sì.
-
Tua madre lo sa?
-
Lascia perdere mia madre. Hai sentito Emma, no? Abbiamo poco tempo.
– Lily si
voltò per incamminarsi.
-
Aspettate un momento! – Regina allungò una mano,
posandola sul braccio di Emma.
– Artù è il re. Vuoi davvero opporti a
tutto il regno?
-
Dobbiamo liberare Merlino e fermarlo. E anche aiutare i miei genitori!
–
esclamò Emma.
-
Ottimo piano. Peccato che non sappiamo come farlo uscire da
quell’albero. –
Regina notò che Lily stava roteando gli occhi. La
ignorò. Non era di Lily che
doveva preoccuparsi.
-
Lo sappiamo, invece. Magia nera. – Emma lo disse senza alcuna
traccia di paura.
-
No. Non puoi continuare ad usarla. – Regina sentiva il cuore
battere
all’impazzata, per quanto cercasse di controllare la propria
voce. Era convinta
che Emma non si sarebbe fermata e che ogni obiezione fosse inutile. Ma
doveva
dire qualcosa. Doveva almeno provarci.
-
Sono pronta a correre il rischio.
Lily
sorrise, soddisfatta di quella sicurezza. Era innegabile che la figlia
di
Malefica amasse quella situazione. In effetti, amava il pericolo legato
a quel
piano. Amava il fatto che il piano fosse di Emma e che Emma
l’avesse coinvolta.
Il filo rosso che le legava appariva sempre più stretto.
Così come sempre più
oscura appariva la Salvatrice...
-
Stai attenta, Emma. – aggiunse Regina, cercando il contatto
visivo con lei. Non
riuscì ad individuare nessuna traccia di timore, in lei, il
che non la stupì.
Scorse, però, alcuni segreti, in cui non avrebbe potuto
penetrare. Per quanto
ormai la conoscesse, l’Oscuro era in grado di schermarsi con
maestria. –
Conosco la magia nera. Sai dove mi ha condotta.
Lei
sembrò rifletterci, ma non rimase in silenzio a lungo.
– Con tutto il
rispetto... io non sono te.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Ecco qua. – disse Emma, posando il vassoio davanti a Gold e
liberandolo dalle
corde che lo tenevano saldamente ancorato alle sbarre della cella.
– Devi
mangiare. Dovrai essere in forze se vuoi estrarre la spada.
Lui
si massaggiò i polsi. Aveva passato ore legato a quella
gabbia, nei sotterranei
della casa dell’Oscuro. Era stanco e, sebbene non avesse
ancora mangiato nulla
da quando era stato svegliato dal suo sonno, non aveva per niente fame.
–
Non... non sarò in grado di farlo. Dovresti proprio
lasciarmi andare.
Emma
lo osservò, calma ed indifferente.
-
Per favore... devo vedere Belle. – L’espressione
sul suo viso era implorante.
Era tornato ad essere l’uomo umile, la cui unica
preoccupazione era filare e
proteggere il suo unico figlio. L’uomo che aveva paura.
L’uomo zoppo che non
era capace di fare del male a nessuno.
-
Non andrai da nessuna parte fino a quando non avrai estratto Excalibur
per me.
– Emma si appoggiò alla spada, sempre incastonata
nella sua roccia.
Gold
non credeva alle sue orecchie. Si sentiva ancora più
frastornato di quando si
era destato. – Hai così tanto potere...
perché vuoi Excalibur?
-
Dimmi, quando eri l’Oscuro pubblicizzavi i tuoi piani?
-
I miei piani erano sempre nascosti. – ammise lui. –
Ma le mie motivazioni no.
Ogni volta che usavo la magia... mi dicevo che stavo facendo tutto per
mio
figlio. Per proteggerlo...
-
Nobile.
-
Ma anche se le mie intenzioni erano buone... l’ho perso
comunque.
-
Sono molto più forte di te. – precisò
Emma, gelidamente.
Gold
mosse un passo in avanti e barcollò. Alla ricerca di un
appiglio per non
cadere, si appoggiò alla roccia. – Beh, questo...
non ha molta importanza. Più
cercherai di giustificare ciò che fai... più li
allontanerai. Credimi...
finisci sempre per perdere le persone che ami.
Emma
non si lasciò distrarre. Non aveva tempo per quei discorsi.
– Merida!
La
ragazza rispose al suo ordine. Non avrebbe mai potuto opporsi. Emma si
era
assicurata il suo cuore. – Sì, Oscuro.
-
Levamelo di torno. Vai nella foresta e comincia. – Non si
girò nemmeno, parlandole
come si parla ad una semplice schiava.
-
Per quanto tempo terrai il mio cuore e mi minaccerai? –
domandò Merida.
-
Fino a quando sarà necessario.
-
Provaci. Intanto io sto pensando ad un modo per infrangere il tuo
incantesimo.
Emma
si chiese per quale motivo quella sciocca regina celtica continuasse a
ribellarsi, pur sapendo che non era nella posizione per farlo.
Evidentemente le
cose che le diceva entravano in un orecchio e uscivano
dall’altro. Forse i
capelli erano troppo folti perché le parole potessero anche
solo provare ad
entrarle, nelle orecchie.
Merida
si scagliò contro di lei ed Emma si voltò,
stringendo il suo cuore pulsante in
una morsa dolorosa. – Ora vedi di portarlo nella foresta. E
trasformalo in un
eroe.
Merida
boccheggiò, gli occhi che sporgevano dalle orbite. Si
diresse diligentemente
verso Gold.
-
E ricordati di una cosa, burattina. – precisò
Emma, allentando la presa. – Io
non ho solo il tuo cuore. Ho anche i tuoi ricordi. Tutti.
La
ragazza la fissò con astio. Le sue spalle tremarono
visibilmente.
-
Io so che fine hanno fatto i tuoi fratelli. So che
cos’è successo nel tuo
regno. – Scandì ogni singola parola, quasi gliela
stesse scolpendo nel cranio.
Quasi stesse seguendo le pulsazioni del cuore. – So chi ha
ucciso tuo padre.
-
Chi? – sibilò Merida, furibonda.
-
Beh, in un certo senso, conosci già una delle risposte a
questa domanda. –
disse Emma, stirando le labbra all’in su. – Tu.
Quando hai sbagliato mira.
Vide,
sul volto di Merida, come una luce interna, il lampo di una sofferenza
profonda, che andava ben al di là del dolore fisico.
Gold
era raggelato. Non osava muovere un muscolo. C’era troppa
crudeltà, nella voce
di Emma Swan. Lo paralizzava.
-
Sai cosa potrei fare con questo cuore? – Ora
l’Oscuro si spostò verso la
ragazza. Quel misero uomo strisciò lungo le sbarre per
allontanarsi da lei e,
ad un certo punto, cadde, emettendo un gemito. – Potrei
usarlo in molti modi
diversi.
Merida
la guardò, impotente, mentre si avvicinava. Mentre la
trafiggeva con il suo
sguardo verde.
-
Conoscevo un uomo, una volta. Lui era... una persona pura. Buona.
– Ora la sua
voce era un po’ più dolce. Ma non smise di
avanzare. Costrinse Merida contro le
sbarre della prigione. – Era una persona... tormentata. E lo
sai perché? Perché
la Regina Cattiva possedeva il suo cuore. Non aveva più una
volontà, perché
lei... lo controllava.
-
Io non... – prese a dire Merida.
-
E l’ha ucciso, sai? L’ha ucciso perché
alla fine... grazie a me, il suo
giocattolo non rispondeva più ai comandi. Il giocattolo si
era stufato di
essere un cucciolo nelle mani di una donna che l’aveva
privato della volontà.
Della capacità di decidere.
E
quella donna sei tu,adesso?, avrebbe
voluto dire Merida, ma ovviamente aveva la lingua annodata.
-
L’ha ucciso. – ribadì Emma. Strinse una
sbarra con la mano libera,
protendendosi verso il suo viso. – Ma io posso essere
più generosa. Io sarò
generosa, se tu smetterai di
opporti. Pensaci: soffriresti di meno. E alla fine avresti una
ricompensa: il
tuo cuore e i tuoi ricordi. Nonché la vendetta. È
un ottimo accordo, dal mio
punto di vista. Sono sicura che anche l’ex Oscuro concorda.
Gold
non si era ancora rialzato. Non disse niente.
-
In caso contrario, non avrai un bel niente. Non avrai nemmeno la morte,
te lo
assicuro. – Si protese ancora di più, fino a
quando non le schiacciò le labbra
contro il padiglione dell’orecchio sinistro. –
Sarai la mia burattina per
sempre. Non rivedrai mai più Dunbroch. Né tua
madre. Né i tuoi adorati
fratelli. Vivrai sempre al mio fianco.
Merida
deglutì, ma aveva la gola riarsa. Premette una mano contro
la spalla
dell’Oscuro, ma senza respingerla. Non era in grado di farlo,
con lei che
continuava a stringere il suo cuore. Inalò l’odore
emanato da quella strega. Era
un odore intenso, molto forte e tenebroso, ma non avrebbe saputo
definirlo. Era
attraente e, al tempo stesso, era terribile.
Emma
si allontanò. – Ora sbrigati. O hai altre
obiezioni?
Merida
scosse il capo. – No, Oscuro. Vado. Farò di
quest’uomo un eroe, come chiedi.
***
Camelot.
Quattro settimane prima
della maledizione.
-
Per prima cosa, dobbiamo capire come reagirà la pozione alla
mia magia. Portami
la fiala. – disse Emma, parlando rapidamente, con il libro
aperto davanti a sé.
-
Non farò un bel niente, almeno fino a quando non mi avrai
detto come facevi a
sapere che David e Mary Margaret erano incantati. –
ribatté Regina.
Erano
nella Torre di Merlino da alcuni minuti. Lungo il tragitto, Regina
aveva
cercato di parlarle, le aveva posto delle domande, ma lei non aveva mai
aperto
bocca.
Lily
era all’esterno, sulle scale, a controllare che nessuno
salisse.
-
Non abbiamo tempo per questo. – disse Emma, ostinata.
-
Trovalo.
Emma
desistette. Avrebbe perso ancora più tempo se non avesse
risposto a quelle
domande. – Sono stata nelle segrete. Ho parlato con quel
mago... Knubbin.
-
Quello che ha incantato la spada di Percival e la collana? –
la interruppe
subito Regina, sconcertata. – Hai forse perso il senno, Emma?
-
Non preoccuparti. Gli ho solo chiesto qualche consiglio. Non
è così inutile
come appare. Sa fare molte cose.
-
Tra le quali, incantare oggetti.
Emma
prese l’acchiappasogni. – Ecco. Ho usato questo per
scoprire i piani di Artù. Knubbin
mi ha fatto notare quanto siano importanti i ricordi.
Regina
ebbe il sentore che la situazione fosse ben peggiore di quanto si
aspettasse. –
Emma, è magia nera!
-
Lo so.
-
Questi affari non catturano solo i sogni.
-
Lo so. – ripeté Emma.
-
E devi sventolarlo sopra la testa di una persona per catturare i suoi
ricordi.
– Non parlava solo ad Emma, in realtà. Ripeteva
cose che aveva sentito a sua
volta. Immaginava che l’Oscuro avesse indovinato quasi subito
la funzione degli
acchiappasogni. E l’acchiappasogni era un oggetto assai caro
ad Emma. Era a sua
volta un ricordo. Di Neal.
-
Non l’ho fatto. – replicò di nuovo.
– Questa magia è più forte e
più
imprevedibile di qualsiasi altra magia che io abbia mai usato.
L’immagine
appare... e basta. Mi ha mostrato ciò che ha fatto
Artù.
Più
forte e più imprevedibile.
No,
c’era davvero qualcosa di sgradevole, in quei discorsi.
C’era qualcosa di
inquietante nella voce di Emma. Era più bassa.
Più cupa. Più... vecchia.
I suoi occhi sembravano più
vecchi. Più verdi. Simili a quelli di Neve, ma anche
totalmente differenti.
Non
me ne starò qui ad appoggiare
tutto questo, vero? Condurrà Emma dove non dovrebbe
condurla. L’oscurità la
divorerà.
-
Senti, andrà tutto bene. – aggiunse Emma.
– L’acchiappasogni mi ha mostrato
anche un ricordo che ci aiuterà. Un ricordo di Merlino.
Regina
non aveva nemmeno il tempo di contrastare le sue idee.
-
Merlino ha pianto... per la perdita dell’unico grande amore
della sua vita,
giusto un attimo prima che l’Oscuro lo intrappolasse
nell’albero... usando proprio
una delle sue lacrime.
Colta
da un’illuminazione, Regina finalmente capì.
– Emma, ci siamo.
Emma
lasciò che fosse lei a parlare. Sapeva benissimo che
cos’avrebbe detto dopo.
-
Alcune volte gli incantesimi sono come i morsi dei serpenti. Puoi
creare
l’antidoto... con il veleno. Se la lacrima di un amore
perduto ha intrappolato
Merlino... un’altra potrebbe liberarlo. – Regina
accennò un sorriso. – Allora,
che ne dici? Andiamo a prenderci questa lacrima?
“Quanti
anni hai, ragazzo?”
“Tredici,
signore”.
“E
non sai usare una spada né
andare a cavallo, vero? Che razza di scudiero saresti, tu?”.
“Non
sono uno scudiero, signore.
Sono uno scrittore”.
Henry
sferrava manrovesci e affondi con la spada. Era pesante, ormai il
braccio gli
doleva, ma non voleva smettere.
“Uno
scrittore? Dimmi, ragazzo...
quando questo regno sarà attaccato dagli orchi, proteggerai
mia figlia con la
tua penna? Violet apparterrà a qualcuno che
diventerà cavaliere. Un eroe in
grado di capire questo mondo. Qualcuno come lei...”
Immaginava
che rami e alberi fossero orchi venuti a rapire Violet e ad incendiare
il regno
di Artù. Lui era un cavaliere. Un eroe pronto a tutto pur di
salvare la
principessa in pericolo. Lui era uno scrittore, ma in quella storia era
anche
un combattente.
Perse
la presa sulla spada, impacciato dal mantello e per poco non si
ferì al
polpaccio. L’arma cadde.
Disarmato
dal nulla. Sir Morgan aveva ragione.
-
Henry, attento! – esclamò Regina.
Le
sue madri si avvicinarono, entrambe con un’espressione
perplessa e stupita
dipinta dal viso. Henry notò di nuovo lo strano contrasto
dei loro abiti. Il
bianco di quello di Emma, che sembrava rappresentare la sua essenza
prima di
diventare l’Oscuro, l’essenza dell’eroe
che era andato a prendere a Boston e
che non credeva in tutte quelle storie sulla Regina Cattiva e sulla
maledizione
che aveva lanciato. E il rosso... di Regina. Gli faceva pensare al
fuoco, anche
se era un rosso intenso. Sanguigno.
-
Mamme! Sto entrando nello spirito di Camelot! Sto... provando a capire
questo
mondo. – si giustificò, sorridendo nella maniera
più disinvolta possibile.
-
Duellando? – chiese Emma.
-
Sir Morgan... il padre di Violet. Mi ha dato qualche consiglio per
adattarmi.
Tutto qui. Solo che... non so se sarò mai bravo in questo
cose.
-
Oh, beh... se non lo sei, non lo sei. – osservò
Emma. – Cambiare per qualcuno
non funziona mai. Sai... a me piaceva tuo padre perché lui
era sempre se
stesso.
Già,
immaginava che suo padre non avesse avuto bisogno di una spada. Era
sicuro che
bastassero i suoi modi, il suo sorriso, la sua
imprevedibilità.
-
Sì, ma forse... forse potrei essere meglio di ciò
che sono. – replicò Henry.
Poi guardò Regina. – Tu non staresti con Robin se
non fossi cambiata.
-
È vero. – confermò Regina. –
Ma tu pensi davvero che una ragazza come Violet
non possa innamorarsi di un ragazzo qualsiasi?
Henry
tentennò.
-
Ricordi quando ti ho parlato di Daniel? – continuò
Regina.
-
Sì. Il tuo primo amore.
-
Mmm. Lui non ha fatto colpo su di me perché si comportava
come tutti gli altri.
Ma perché era... diverso. Unico.
Emma
sorrise, intenerita dalle sfumature nella voce di Regina. Non era
difficile
immaginare come avesse fatto Daniel a conquistarla. E riusciva anche ad
immaginare... come avesse fatto Regina a conquistare lui. Si rivolse di
nuovo
al figlio. – Henry, a Camelot tu sei uno straniero misterioso
proveniente da
una terra lontana. È una cosa positiva.
Henry
si sentiva sollevato. Non si era mai sentito così sollevato
da quando era
arrivato in quel regno. E gli era appena venuta un’idea
carina. Un’idea molto
più che carina. – Ci lavorerò su.
Grazie. Devo... andare a fare una cosa.
Emma
lo guardò correre via e si disse che era veramente
cresciuto, suo figlio. Ricordava
ancora il bambino di dieci anni che si era presentato alla sua porta
per
condurla a Storybrooke. A casa. Da suoi genitori. E da Regina.
“Allora,
che ne dici? Andiamo a
prenderci questa lacrima?”
-
Emma.
Si
voltò.
-
Credo di sapere dove possiamo prendere l’ingrediente per
liberare Merlino. –
Regina si chiese come avesse fatto a non pensarci prima. – Da
me.
-
Okay, Regina. Questa sarà un’esperienza molto
intensa. Ultima chance per
tirarsi indietro. – disse Emma, reggendo
l’acchiappasogni.
-
Posso farcela. – rispose Regina.
In
realtà non era pronta. Non lo era per niente. Aveva la bocca
secca. Una morsa
gelida le serrava la lo stomaco. I suoi occhi guizzavano da tutte le
parti,
alla ricerca di un punto su cui fissarsi. Alla fine guardò
Emma.
Lei
aveva cercato di dissuaderla. Le aveva ricordato quanto potesse essere
doloroso
rivangare nel passato, soprattutto per lei. Il suo passato era pesante.
Era
pieno di memorie terribili. Daniel. Sua madre. Avrebbero potuto trovare
un’altra soluzione. Emma poteva scrutare nella mente di ogni
abitante del
regno. Se fosse stato necessario, l’avrebbe fatto. Ma Regina
non voleva che
usasse ripetutamente la magia.
Emma
si sedette di fronte a lei. Benché la giornata fosse
soltanto fresca, nel
caminetto ardeva un bel fuoco, e la camera, con i suoi specchi, il suo
letto
con le coperte arabescate e gli arazzi, era profumata e accogliente,
sicura.
Perfetta per un incantesimo.
Lo
sguardo di Regina non avrebbe potuto apparire più
trasparente di così. Emma
riusciva a distinguere chiaramente il caldo nocciola delle sue iridi e
il nero
delle pupille. Occhi molto angosciati, che parevano ancora
più vividi nel
contrasto con la morbida pelle color caramello.
Le
passò l’acchiappasogni. Regina respirò
profondamente.
-
Guarda nel cerchio. – disse Emma. Dopodiché
agitò una mano.
L’oggetto
sfavillò e all’interno del cerchio apparvero le
immagini. I ricordi di Regina.
Cora
dava le spalle al portone di
una stalla. Regina e Daniel erano di fronte a lei.
“Quindi
questa è la tua
decisione?”, chiese Cora. “Ti renderà
felice?”
“Lo
sono già”, rispose Regina.
“E
dunque chi sono io per
fermarvi?”.
Regina
abbracciò sua madre, grata
che avesse capito. “Grazie, madre”.
“Daniel”.
Cora prese in disparte il
giovane stalliere. “Se volete costruire una vita insieme, una
famiglia, allora
c’è una lezione importante che devi imparare. Su
cosa significa essere un
genitore”.
Daniel
ascoltava, attento.
“Devi
sempre fare ciò che è meglio
per i tuoi figli”. E detto ciò allungò
una mano, affondandola nel petto del
ragazzo.
Gli
strappò il cuore e lo ridusse
in cenere.
“Madre!
No!”, urlò Regina,
accorrendo.
Il
corpo di Daniel si accasciò
senza vita e Regina lo strinse tra le braccia...
Emma
era orripilata. Fino a quel momento aveva avuto solo una vaga idea di
come
dovesse essere stato, per Regina, stringere tra le braccia il corpo
morto del
suo grande amore. Aveva solo una vaga idea di quanto dolore avesse
provato. Di
quanto fosse stata grande la sua sofferenza. Mentre i ricordi
scorrevano
davanti ai suoi occhi, si era sentita quasi in dovere di avvertire
quella
ragazza, ancora innocente e così fiduciosa, ancora
inconsapevole di ciò che
l’aspettava. Si era sentita quasi in dovere di urlarle di
andarsene, di
scappare via, perché la situazione era palesemente
ingannevole, al punto tale da
risultare terrificante.
-
Mi dispiace... – mormorò, ancora incapace di
riprendersi da ciò che aveva
visto.
La
voce di Regina suonò rotta, fuori controllo. Non era mai
stato così estenuante
ricordare qualcosa. Mai. – È come se stesse
accadendo tutto di nuovo.
Emma
provò il forte e improvviso impulso di stringere Regina. Di
stringerla per
rassicurarla.
Per
un pelo non si lasciò sfuggire la lacrima che stava
rotolando lungo la sua
guancia. Si protese con la piccola fiala di vetro e la
ghermì prima che potesse
cadere.
-
Ce l’ho. – disse, osservando la minuscola goccia.
– Grazie. Non sapevo
cos’avessi provato, quanto fosse stato difficile per te...
-
L’hai visto anche tu? – chiese Regina.
-
Mi dispiace tanto... come può una madre fare una cosa simile?
Accennò
una risata amara. Era ancora molto tesa. Quasi senza fiato. –
Pensava di farlo
per il mio bene.
Emma
strinse la fiala con la lacrima di Regina. Non parlò.
-
Beh... almeno abbiamo la lacrima che ci serve. –
osservò, schiarendosi la voce.
Il suo cuore non si era ancora calmato.
-
Sì...
-
Bene.
La
mano che reggeva l’acchiappasogni tremava visibilmente. Quel
tremito la teneva
in sua balia. Si sentiva atterrita. Era un ricordo ormai lontano,
eppure
riviverlo le aveva fatto riassaporare tutto l’orrore di quel
momento. Orrore
che le rotolava attraverso e serrava il suo cuore caldo con artigli
gelidi.
Spremendolo. Le trasmetteva l’impulso di alzarsi e darsela a
gambe, fuggire
lontano da quella stanza, da quell’acchiappasogni, da Emma,
dalla lacrima nella
fiala. Da tutto.
Poi
avvertì un’improvvisa stretta. Forte e decisa.
L’acchiappasogni era caduto, ma
Emma non lo raccolse. Si limitò a stringerle la mano.
-
Emma...
-
Stai tremando. – disse. E non la guardava. Guardava le loro
mani.
-
Oh, è... non è niente. Sto bene. – Non
sottrasse le dita a quelle dell’altra.
In qualche modo inspiegabile la stretta la confortava. Il tremito si
stava
attenuando.
-
Mi dispiace...
Regina
sorrise. - Oggi sei molto propensa a dire che ti dispiace.
-
È che... non avrei dovuto vedere. Questi sono i tuoi
ricordi. Lui era...
“Lui
non ha fatto colpo su di me
perché si comportava come tutti gli altri. Ma
perché era... diverso. Unico”.
Diverso.
Unico. Ecco ciò che era Daniel. Una persona semplice. Uno
stalliere. Non un
cavaliere. Non un re e nemmeno un principe. Ma era diverso dagli altri.
-
Stiamo facendo tutto questo insieme. – rispose Regina,
sporgendosi un po’ in
avanti. Fissandola con intenzione. Era sicura di parlare con Emma,
adesso.
Soltanto con Emma e non con la sua oscurità. Lo sguardo di
lei, forse per via
della luce, aveva assunto sfumature azzurrate. – Questa
è stata... una mia
scelta. Ed è per liberare Merlino... che libererà
te. Non avrei voluto
condividerli con nessun altro.
-
Nemmeno con Robin? – La domanda le uscì
spontaneamente. E non aveva ancora
lasciato la sua mano.
Regina
esitò alcuni istanti. – Lui sa di Daniel. Beh,
sa... com’è morto.
Ma
non l’ha visto, pensò
Emma. Io l’ho visto, invece.
L’ho
vissuto... l’ho rivissuto con Regina.
Si
rendeva conto che era stata un’esperienza strana. Non solo
terribile, ma
anche... intima. Aveva visto nel cuore di Regina. Nella sua mente.
Aveva
scrutato in un cerchio e visto l’inizio di tutto.
L’inizio della sua
trasformazione. Regina aveva condiviso una parte importante di
sé, per quanto
ci fossero arrivate perché era necessario...
“Lui
non ha fatto colpo su di me
perché si comportava come tutti gli altri. Ma
perché era... diverso. Unico”.
Inaccettabile
per te, vero
maledetta?, pensò
Emma, rivedendo Cora mentre
affondava la propria mano nel petto del giovane. Se mai le fosse
servita
un’altra ragione per detestare la madre di Regina dal
profondo del cuore, ora
ce l’aveva. Lei era l’Oscuro, ormai. Poteva essere
ben peggio di Cora se avesse
permesso all’oscurità di prendere il sopravvento,
eppure... eppure non poteva
controllare il flusso di emozioni che stava provando. Per
il suo bene? Davvero credevi di farlo per il suo bene? Mia madre ha
fatto la cosa giusta, uccidendoti. Avresti dovuto soffrire molto di
più. Io ti
avrei fatta soffrire molto di più. Perché sono
l’Oscuro.
-
È meglio sbrigarsi. – osservò Regina,
liberandola dalla sua stretta. – Dobbiamo
liberare quel mago prima che qualcuno si accorga di ciò che
stiamo facendo. Non
che mi dispiaccia non sentire le voci dei tuoi genitori per un
po’... ma non
possiamo lasciarli in quelle condizioni a lungo.
***
Storybrooke.
Oggi.
Henry
aveva convinto Emma a portarlo al castello sulla spiaggia, la
costruzione in
legno in cui lui si era rifugiato dopo essere fuggito di nuovo, il
giorno dopo
l’arrivo della Salvatrice a Storybrooke.
“Me
l’hai lasciato in macchina”, le
aveva detto quella volta, dopo averlo raggiunto ed essersi seduta
accanto al
bambino. Gli aveva dato il suo libro. Lui osservava...
l’orizzonte. In realtà
non proprio l’orizzonte, ma la torre dell’orologio.
Un orologio le cui lancette
non si erano ancora decise a muoversi. “È ancora
fermo, eh?”
“Io
speravo che portandoti qui
sarebbero cambiate le cose...”, le aveva risposto.
“Che la battaglia finale
sarebbe iniziata”.
“Non
combatterò nessuna battaglia”.
-
Perché mi hai portata qui? – domandò
Emma, prendendo posto accanto ad Henry. Un
Henry decisamente cresciuto ormai. Non aveva più il libro
con sé, ma aveva gli
stessi occhi fiduciosi di allora.
-
Beh, perché questo... è uno dei nostri posti.
– disse Henry. Stava anche
cercando di farle perdere tempo in modo che Regina potesse frugare in
casa sua.
– Ricordi?
-
Sì, certo.
-
Volevo che ricordassi... – ripeté lui, osservando
il cielo e il mare calmo. –
Volevo che ricordassi chi eri. E chi sei. La nostra missione.
-
Operazione Cobra. – Emma si raddolcì.
-
La nostra missione non è ancora finita.
Emma
usò un tono indulgente. Gli mise una mano sulla spalla.
– Henry... le cose sono
diverse, adesso.
-
Ma non devono esserlo per forza. Sono sicuro che la madre che ho
conosciuto è
lì, da qualche parte. Mostramela.
-
Sono qui. Questa sono io.
Henry
scrutò gli abiti neri e quei capelli bianchissimi, raccolti
nella crocchia.
Scrutò le labbra rosso sangue. Ripensò alla Emma
che non credeva alle sue
storie. La Emma che indossava una giacca rossa di pelle, un paio di
jeans,
magliette non proprio fresche di bucato e aveva quei lunghi capelli
biondi. La
Emma Swan che si comportava da dura. La luce. La Salvatrice. La
speranza.
“Sei
qui perché è il tuo destino.
Restituirai a tutti il lieto fine”.
“La
smetti con queste
stupidaggini?”.
“Non
sei costretta a fare la dura.
Lo so che ti piaccio. Si vede. Cerchi di allontanarmi perché
ti faccio sentire
in colpa”.
-
C’è una ragazza. – disse Henry,
all’improvviso. – Lei... ecco, è carina.
-
Ah.
-
Violet. È la figlia di uno dei cavaliere di Artù.
Sir Morgan.
Le
faceva piacere che, nonostante non possedesse più i suoi
ricordi, Henry avesse
rivisto Violet e si fosse preso una... seconda cotta per lei.
Sì, era davvero
cresciuto. La cosa la inteneriva e, al tempo stesso, la sgomentava.
-
Ci piacciono le stesse cose. – continuò Henry.
-
Ovvero?
-
Ho messo un po’ di musica e ha gradito. – Ora aveva
un’aria molto compiaciuta.
-
Che musica?
-
Yaz.
-
Quale canzone? – Lo sapeva già. Era una mossa che
conosceva molto bene.
-
Only you. – rispose, infatti, Henry.
“Che
ne dici?”
“Carina”.
“Solo
carina?”. Neal aveva
appoggiato quasi senza accorgersene una mano sulla sua.
“Adoro questa canzone”.
-
Te l’ha insegnata tuo padre, questa mossa? – chiese.
-
Diceva che funziona sempre.
Emma
sorrise, malinconicamente. – Ha funzionato con me.
-
È una bella canzone.
-
Sì, lo è.
“Beh,
spero di averti dimostrato di
non essere un maniaco, come pensavi”, disse Neal,
schiarendosi la voce.
“Direi
che sei stato convincente”.
Si
riscosse. – Beh, sono sicura che funzionerà anche
con la tua ragazza.
-
Non è la mia ragazza, veramente. Cioè, non
ancora. E poi... sai, lei viene da
un altro mondo. Suo padre... preferirà che lei stia con un
cavaliere.
-
E tu sei uno scrittore. La tua spada è la penna.
-
Che non ho più. Non che me ne penta... ma forse dovrei...
non so, entrare nello
spirito di Camelot.
-
Non è necessario essere cavalieri, Henry. Non ti serve una
spada. Essere...
qualcosa che non si è non è mai una buona idea.
Neal
era sempre stato se stesso. Per questo le era piaciuto. Come Daniel.
Unici e
diversi, a loro modo. Speciali.
-
Sei uno straniero che viene da una terra lontana. Questa terra.
Dimostrale che
viviamo in un posto interessante. – disse Emma. –
Ci sono tante altre cose
oltre alla musica.
-
I film. – rispose Henry. – Certo. Potrei farle
vedere... qualche film.
“Commando”. Anzi, no, meglio ancora.
“Harold e Maude”. È adatto ad un
appuntamento, vero?
-
Direi di sì.
L’incantesimo
di protezione non aveva sorpreso Regina, dato che Lily
l’aveva avvisata almeno
di quello. Ma di certo la sorprese ciò che vide nei
sotterranei di quella casa.
Una
cella.
E
una roccia. Con Excalibur incastonata in essa. La gemma rossa nel
pomolo mandò
un barbaglio sanguigno non appena loro si avvicinarono.
-
Date un’occhiata... Excalibur è molto familiare,
non trovate? – fece notare
Uncino, scrutando la lunga lama ondulata che si perdeva nella roccia.
-
Il pugnale. – Belle si chinò e osservò
l’arma di Artù da vicino. – Lo stesso
motivo. La stessa lama.
Lily
allungò una mano per sfiorare l’elsa robusta di
Excalibur. Immaginava che non
fosse sicuro farlo, ma a spingerla era un impulso che veniva dal
profondo. E
poi era stanca di tutti quei misteri. Anche lei voleva altre risposte.
-
No, aspetta. – disse Regina.
-
Forse estrarla è la soluzione migliore. Guardiamola
più da vicino. – suggerì
Uncino.
-
Fermo. – Aveva una brutta sensazione riguardo a quella spada.
Non c’era nessun
incantesimo di protezione su di essa. Eppure era una situazione
estremamente
sospetta. – Lo sto per dire e ancora non ci credo, ma...
è una trappola.
Potresti rischiare la vita.
-
Non sapevo te ne importasse. – disse Uncino, sollevando un
sopracciglio.
-
Non mi importa. Ma in questo momento potresti anche essere utile.
Più o meno. E
tu, anche. – aggiunse, rivolta a Lily.
Belle
aggirò la roccia e raccolse delle corde da terra. Il cuore
spiccò un balzo nel
suo petto. – Lui è stato qui. Tremotino.
-
Cosa vuole Emma da Tremotino? – domandò Lily.
– E a cosa serve questa spada? A
parte darle più potere... ma quello ce l’ha
già.
-
Suppongo a nulla di buono, a giudicare dai nostri ricordi perduti.
– osservò
Robin.
Il
cellulare di Regina trillò. Quello era il segnale. Aveva
chiesto ad Henry di
avvisarla non appena lui ed Emma si fossero trovati sulla via del
ritorno. –
Non abbiamo tempo. Stanno tornando.
Corsero
di sopra. Emma aveva preso il maggiolino giallo, quindi ci avrebbero
messo alcuni
minuti. Avrebbe tanto voluto perquisire il resto della casa, ma
comprendeva fin
troppo bene che suo figlio non poteva trattenere il Signore Oscuro
più del
dovuto e senza risultare sospetto.
Nel
dirigersi verso l’uscita, Lily urtò un tavolino
vicino alle scale e una
scatola, un portaoggetti esagonale, cadde sul pavimento, aprendosi.
-
Ehi, stai attenta. Non deve capire che siamo stati qui! –
esclamò Regina.
Lily
la ignorò bellamente e recuperò
l’oggetto uscito dalla scatola. Un
acchiappasogni. Ne aveva visto uno nell’appartamento di quel
Neal Cassidy, a
New York, dove avevano trovato l’uomo delle foreste in
compagnia di una donna
che credeva sua moglie e che si era rivelata una strega invidiosa e
piena di
astio verso la sorella.
E
nel suo sogno. Ne aveva visti tanti, nel suo sogno.
-
Che cos’è quello? – domandò
Robin, avvicinandosi.
-
Un acchiappasogni. – rispose Uncino. – Baelfire
gliene ha regalato uno, molto
tempo fa. Solo che questo... sembra diverso.
-
Baelfire? – domandò Lily.
-
Neal. – disse Regina, prendendo l’acchiappasogni
dalle mani di Lily. Le era
bastato vederlo per capire. Non aveva idea del perché ci
fosse un
acchiappasogni in una scatola, posata così casualmente su un
qualsiasi
tavolino, ma almeno aveva una vaga idea di ciò che era
accaduto a Camelot. –
Baelfire era il suo vero nome nella Foresta Incantata. E questo... non
è solo
un oggetto folkloristico. Se impregnato di magia può essere
molto potente.
Adesso... So come ha fatto Emma a rubarci i ricordi.
***
Camelot.
Quattro settimane prima
della maledizione.
-
Fallo, Emma. Artù potrebbe arrivare da un momento
all’altro. – la incitò
Regina. Era calata la notte, il castello era pressoché
silenzioso, ma non lo
sarebbe stato per molto. L’albero in cui era intrappolato
Merlino incombeva
alle loro spalle e aveva l’impressione non molto gradevole
che le stesse
osservando. Che si aspettasse molto da loro. Che fosse impaziente,
anche. – Che
fine ha fatto Lily?
-
Controlla la situazione. Non preoccuparti. – Emma prese gli
ingredienti. Versò
le pozioni che aveva preparato e le rimescolò. Doveva stare
attenta con il
dosaggio, ma non fu un problema. Sapeva benissimo come muoversi.
Un’altra di
quelle cose che si comprendono subito, senza bisogno di leggere
più volte un
libro di magia.
-
Ed ecco l’ultimo ingrediente. La lacrima. – disse
Regina, passandole la piccola
ampolla.
Emma
la prese con cautela e lasciò cadere la lacrima
nell’intruglio. La magia si
attivò e si levò una nuvola di fumo grigio
violetto, che salì verso l’alto. Se
l’incantesimo avesse funzionato, Emma avrebbe dovuto
dirigerlo verso l’albero
perché agisse in modo da liberare Merlino dalla sua
prigione. Provava un senso
di eccitazione e di trepidazione. Il desiderio di usare la magia, di
alimentare
il potere, era talmente forte da scagliare il suo cuore al galoppo. La
sua
mente era all’erta.
Tuttavia
l’incantesimo si dissolse. Si ritirò e scomparve,
lasciando Regina a fissare,
perplessa, il contenuto dell’ampolla.
-
Avrebbe dovuto funzionare. – disse Regina. –
Perché non ha funzionato?!
-
Regina... è semplice.
Lei
sollevò lo sguardo, fissandola. Non capiva.
-
Il tuo dolore non era abbastanza forte.
-
Che cosa?! – gridò Regina, costernata da
quell’affermazione.
-
No, no, era vero. – precisò Emma, in fretta. Con
un certo disagio si rivolse a
lei. – Ma c’è Robin adesso... sei andata
avanti. Sei guarita.
Regina
avrebbe dovuto pensarci. Rivivere la morte di Daniel l’aveva
fatta sentire a
pezzi, ma era accaduto molti anni prima. Erano successe molte cose da
allora.
Era...
-
Ehi! Scusate, sono in ritardo. – disse Henry, raggiungendole.
Vide che l’albero
era ancora intatto e aggrottò la fronte. – Cosa
è andato storto?
-
Credo... manchi un ingrediente. – rispose Emma, pensosa.
Regina
osservò Henry. Il ragazzino era rosso in viso, quasi fosse
reduce da una lunga
corsa. Aveva i capelli un po’ scompigliati e l’aria
vagamente assente.
-
Cos’è successo, Henry? –
domandò, ansiosa.
-
Oh, niente. – rispose lui, lisciandosi pieghe inesistenti
sulla giubba. – Tutto
bene.
-
Sembri... compiaciuto. C’entra quella ragazza?
Emma
lanciò un’occhiata ad Henry, mentre la mano destra
frugava in una tasca interna
del mantello. Strinse qualcosa nel pugno.
-
Violet... oh, lei è... le è piaciuto il
Granny’s. E anche le lasagne. – ammise
Henry, diventando ancora più rosso.
-
Bene. – disse Regina, sorridendogli.
-
Mi ha dato un bacio. – continuò.
Emma
si voltò di scatto, spalancando gli occhi.
-
Lei... cosa?! –
domandò Regina,
sicura di aver capito male.
Mi
ha dato un bacio.
Non
poteva averlo detto davvero, giusto?
Insomma, d’accordo, ad Henry piaceva quella
ragazzina, ma suo figlio era
un bambino...
-
Un bacio sulla guancia. –
sentenziò
Henry, toccandosi la guancia sinistra.
-
Beh, naturalmente!
-
Perché stai gridando, mamma? Sei arrabbiata?
Regina
stava per rispondere che lei non era affatto arrabbiata. Il punto non
era la
rabbia, il punto era che Henry era cresciuto senza che lei se ne
rendesse
veramente conto. Da quando era diventato così alto, ad
esempio? Quand’era
successo?
-
Fermi! – Artù piombò in cortile,
seguito da alcuni cavalieri, tutti in armatura
e con le spade sguainate. Pronti a dare battaglia. Il re era furioso.
Ben
consapevole che avevano cercato di ingannarlo. – State
lontani dall’albero. Non
ve lo chiederò due volte.
Era
arrivato prima di quanto si aspettassero.
-
Voi e la vostra gente mi avete mentito fin dall’inizio.
– dichiarò Artù. – Tu
non sei la Salvatrice. Sei un’imbrogliona!
Regina
si chiedeva come avessero fatto a non vedere quanto fosse folle
quell’uomo. Non
era solo furibondo per essere stato raggirato. La sua voce era carica
di odio.
Odio represso che finalmente trovava libero sfogo. Nei suoi occhi
c’erano cose
terribili. La maschera era definitivamente caduta.
-
Fatevi avanti, allora. – rispose Regina. – Provate
ancora a chiamarmi
imbrogliona...
-
Vi abbiamo accolti. – continuò il re, come se non
l’avesse neppure sentita. –
Vi abbiamo accolti e festeggiati e in cambio... avete portato il
Signore Oscuro
nel mio regno! Avete messo in pericolo la mia gente! E oltre
all’Oscuro, avete
portate anche una ragazzina incontrollabile che ha ucciso uno dei miei
uomini
più fidati e valorosi!
Regina
lo osservò con aria di sfida. – Un uomo fidato e
valoroso che ha cercato di
uccidere me.
-
Perché aveva capito che razza di strega siete! Datemi il
pugnale! – ordinò
Artù, tendendo la mano.
-
Lo vuoi? – chiese lei. Formò una sfera di fuoco
con la magia. – Vieni a
prendertelo!
Emma
non perse tempo a fronteggiare Artù. Avrebbe potuto
liberarsene con poche,
semplici parole, ma Regina se la sarebbe cavata.
Indietreggiò di un paio passi,
cercando di catturare i pensieri, di tenersi aggrappata al piano
originale. Poi
corse verso l’ampolla che aveva lasciato sul cornicione di
pietra e aprì la
piccola fiala. Quella di riserva.
Regina
scagliò fiamme contro Artù e i suoi uomini. Non
riusciva a vedere che cosa
stesse combinando Emma.
Infine
arrivò anche il drago. Si precipitò
giù dal cielo, con tutta la sua enorme
mole. Spalancò le fauci e gettò una scia
infuocata sul re. Lui si affrettò a
farsi da parte, mentre i suoi uomini gridavano e si sparpagliavano.
Artù iniziò
ad estrarre Excalibur dal fodero, ma prima che potesse sguainarla la
lunga coda
del drago lo colpì al petto, spedendolo gambe
all’aria. Batté forte la testa
sui ciottoli del cortile e vide tutte le stelle del firmamento.
Il
drago atterrò vicino ad Henry e Regina. Eruttò
un’altra fiammata. I cavalieri
indietreggiarono ancora di più. Due di loro presero il re
per le braccia,
aiutandolo ad alzarsi.
-
Dove ti eri cacciata? Emma aveva detto che stavi controllando la
situazione...
– esclamò Regina. Poi si concentrò
meglio sul drago e si accorse che non era
Lily. Era Malefica.
Vi
fu uno sfavillio improvviso, poi un rumore simile a vento rinchiuso in
una
bottiglia che si libera non appena viene tolto il tappo.
La
magia si levò più alta e potente, bianca e nera,
ombre e luci unite nella
stessa onda. Un turbine portentoso avvolse Emma, che sorrise,
concentrando il
potere nelle proprie mani e dirigendolo verso il grande albero. Era una
sensazione incredibile. I capelli si sparsero intorno al suo viso, in
una
tempesta dorata. Il suo sguardo si accese.
Regina
ed Henry si ripararono gli occhi con le braccia e vennero catapultati a
terra
dalla forza che stava artigliando la prigione di Merlino,
abbracciandola
completamente. Artù e i cavalieri si allontanarono il
più possibile.
La
tormenta avvolse l’albero e illuminò a giorno il
cortile e il castello di
Camelot.
Era
difficile controllare tutto quel potere, ma con un’ultima
spinta, un ultimo,
immane sforzo, Emma riuscì a liberarsene, lasciando che
esplodesse.
Malefica
riassunse le sue sembianze umane.
L’albero
era svanito. Accasciato in mezzo al cortile c’era un uomo in
una lunga tunica
da mago e con un cappuccio sulla testa. La figura piegata si
alzò in piedi,
lentamente. Era un uomo alto e robusto, che emanava un potere ben
più antico
dell’incantesimo che aveva usato perché potesse
uscire dalla trappola in cui
l’aveva rinchiuso l’Oscuro.
Henry
stesso non avrebbe saputo dire che cosa si aspettasse. Quando aveva
visto La Spada nella Roccia, anni
prima,
Merlino era un mago vestito di azzurro, con una lunga barba candida,
anziano ed
esilarante, che istruiva un ragazzino di nome Semola, ovvero
Artù, e
occasionalmente partiva per Honolulu. In altri film era un vecchio con
un lungo
bastone, estremamente potente e fisicamente forte nonostante
l’età avanzata. Un
druido che tutti temevano. Secondo alcune storie era il figlio di una
donna
mortale e di un demone, il che gli conferiva doti eccezionali e la
possibilità
di vivere più a lungo di un uomo comune.
Ma
quando quel Merlino
abbassò il
cappuccio, mostrando per la prima volta il suo viso, si accorse che non
era
affatto vecchio. Non appariva
vecchio, per lo meno. E non aveva una lunga barba bianca, il volto
scavato
dalle rughe o gli occhi infossati. Sembrava un giovane uomo nel fiore
degli
anni, con la pelle scura, la bocca grande che si aprì in un
sorriso gentile e
decisamente sollevato, non appena vide Emma di fronte a sé.
I capelli erano
neri e molto corti.
-
Ti stavo aspettando. – disse il mago. – Emma.
Lei
ebbe l’impressione che vi fosse qualcosa di familiare in
Merlino, ma lì per lì
non le riuscì di individuare che cosa fosse.
-
E tu... – disse, poi, voltandosi verso Artù,
ancora stordito dalla botta in
testa. Lo guardava severamente. – Il bambino che doveva
diventare re. La mia
grande speranza.
Artù
accennò un sorriso.
-
Quanto mi hai deluso! – concluse Merlino. Parlava come un
padre intento a
rimproverare il figlio che aveva appena commesso la più
grave delle bravate,
invece di seguire i suoi insegnamenti.
-
Io ho deluso te? – L’ira del sovrano era palpabile.
Era basito. Quasi il mago
gli stesse narrando favolette. – Tu mi hai dato false
profezie! Mi hai spedito
in una missione impossibile! Hai rovinato la mia vita!
Sfoderò
Excalibur, più per istinto che per altro. Malefica
puntò il lungo scettro contro
il sovrano.
-
Mettila via, Artù. Lo sai che quella spada spezzata non
può farmi niente. –
Merlino aveva un’aria annoiata.
Il
re aveva una gran voglia di mettergli le mani al collo. Ma era chiaro
che non
aveva chance. – Non finisce qui!
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Se Emma l’ha usato per portarci via i ricordi... –
disse Regina, occhieggiando
l’acchiappasogni nel salone di casa sua. – Forse
può dirci che cos’è accaduto a
Camelot.
Robin
osservò la rete intrecciata nel cerchio di salice.
– Beh, che cosa stiamo
aspettando?
Regina
non aveva idea di che cosa aspettarsi.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
“Non
sono venuta qui per
combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete fatto, sarete
puniti”.
-
Hai paura di quello che potresti scoprire, vero? – chiese
lui, vedendola
esitare.
-
Emma era sicura di avere un buon motivo per comportarsi così
come si è
comportata. Chissà cosa ci è successo
laggiù.
“Siete
andati a Camelot per
salvarmi dall’oscurità. E avete fallito”.
“Avete
fallito”.
-
Ma c’è soltanto un modo per scoprirlo, no?
– disse Robin.
Regina
aveva bisogno di sapere. Qualunque cosa fosse, ne aveva bisogno. Se
davvero
aveva fallito, avrebbe affrontato quel fallimento. Avrebbe cercato di
rimediare. Avrebbe trovato un modo per recuperare Emma,
perché un modo doveva
esserci.
Agitò
una mano davanti all’acchiappasogni e il cerchio interno si
illuminò, mostrando
i ricordi.
“Siete
pronte?”
“Sì.
Tra poco avrò l’ingrediente”.
“Dov’è
Regina?”
-
Sono... i ricordi di Emma? – domandò Robin,
perplesso.
-
No... – Regina avvicinò l’acchiappasogni
al viso. – Sono di Lily.
“Dov’è
Regina?”, disse Lily,
avvicinandosi e osservando gli ingredienti che Emma stava disponendo
davanti a
sé.
“Pensavo
avesse bisogno di un
attimo per riprendersi. Dopo quello che abbiamo dovuto
fare...”.
“Dopo
quello che lei ha voluto fare,
forse”.
“Ma
libereremo Merlino insieme. È
per questo che siamo qui”.
Il
fuoco ardeva nel camino. Lo
specchio appeso sopra ad un cassettone rimandava l’immagine
di Emma e di Lily,
vicine.
“D’accordo.
Ma esattamente il piano
qual è? Come agirà la lacrima di
Regina?”.
Emma
cercò di spiegarglielo a
grandi linee. Non era semplice. Il potere sarebbe stato enorme.
“E
tu sei sicura di farcela?”,
chiese la ragazza. “Insomma, se non sbaglio... sarebbe magia
nera. Potrebbe...”
“Spingermi
verso il baratro. Lo so
bene. Ma ho scelta?”. Emma continuava a non guardare Lily. I
capelli le
spiovevano sul volto, nascondendone una parte. “Se la lacrima
di Regina
funzionerà, Merlino uscirà dalla sua prigione e
potrà aiutare me”.
Lily
avrebbe voluto vederla meglio,
perché la testa le diceva, in modo sommesso e perentorio,
che stava per
succedere qualcosa lì. Qualcosa che non era previsto. E non
vedere gli occhi di
Emma la riempiva di disagio.
“Se?”,
rispose Lily. “Perché ho
l’impressione che tu non sia così sicura che
funzionerà?”
Emma
non rispose.
“Emma?”.
La prese per un polso,
costringendola a smettere di spostare gli oggetti da una parte
all’altra e
senza scopo. “Che cosa stai tramando?”
“Solo
un piano alternativo”. Alzò
la testa, fissandola per la prima volta.
“Piano
alternativo? Che cosa
intendi? Perché quella lacrima non dovrebbe
funzionare?”
“Perché
il dolore di Regina non è
un dolore recente. È vecchio. Risale a molto tempo fa. Sono
successe troppe
cose. Ha incontrato Robin...”
“Se
la pensi in questo modo, perché
non ne hai parlato con Regina? Sei stata tu a cacciarla via, non era
lei che
voleva riflettere. Sei tu quella che aveva bisogno di
riflettere!”
“In
effetti sì. Sto per fare
qualcosa di terribile, ma lo farò. Perché non
abbiamo tempo. L’oscurità... non
mi sta lasciando scelta, Lily”.
“Che
cos’hai in mente?”
Emma
glielo disse. Era inutile
nasconderlo a Lily, tanto non avrebbe potuto fermarla ed era convinta
che non
avrebbe avvertito nessuno. La conosceva.
“Quindi
tu vuoi strappare il cuore
di una tredicenne, la ragazzina che piace a tuo figlio...
perché spezzi il suo,
di cuore? Dico, ma sei impazzita? Questo non è da te,
Emma”.
“Tutto
quello che intendo fare, lo
farò anche per il bene di Henry. Di tutti”.
“Ma
tu sei la Salvatrice, no? Tu
sei superiore a tutto questo”.
Emma
andò molto vicino a Lily.
“Sono la Salvatrice, ma sono anche l’Oscuro. E ho
bisogno di Merlino. Il piano
di riserva è necessario. Devo coprirmi le spalle. Non
possiamo fallire e
riprovare perché non avremo un altro momento per riprovare.
Artù sta aspettando
che i miei genitori riportino il pugnale. Se non sospetta ancora
niente,
inizierà molto presto”.
Si
allontanò da lei, dirigendosi
verso l’uscita.
“Sai
una cosa, io so che cosa vuol
dire lottare contro l’oscurità. L’ho
sempre dovuto fare”, disse Lily,
costringendola a fermarsi. “Tutta la mia vita è
stata oscura e tu lo sai bene.
Non sarà mai come la cosa che si è impossessata
di te... ma mi ha fatto fare
delle cose. Non mi permetteva... di controllarmi. L’Oscuro
sta facendo lo
stesso con te. Se lo ascolti, perderai il controllo”.
“È
tutto inutile!”, gridò Emma.
Reggeva ancora l’acchiappasogni. I suoi occhi dardeggiavano.
La sue espressione
era la stessa che Lily aveva visto il giorno in cui Emma
l’aveva trovata, il
giorno in cui avevano lottato, il giorno in cui Emma aveva puntato la
sua
pistola contro di lei, preparandosi ad ucciderla. “Lui
è sempre qui, non capisci?
Mi parla. Mi parla continuamente. È qui ed è
nella mia testa. Lo vedo...”
“Chi?”
“Tremotino.
O qualcuno che ha
assunto le sue sembianze. Non fa altro che parlarmi. Mi istiga. Ed io
non
riesco a non ascoltarlo”.
Istintivamente
Lily si guardò
intorno. La stanza era vuota, escluse loro due. Ma sapeva che qualcosa
c’era.
Qualcosa che poteva vedere solo Emma, ma che persino lei poteva
percepire
vagamente. Come una presenza sempre fuori dal suo campo visivo.
“Emma”,
disse Lily. Non c’erano più
obiezioni, ormai. “Una volta mi hai detto di fare scelte
migliori. Ed io ti ho
risposto che ci provavo... ma qualsiasi decisione prendessi mi si
rivoltava
sempre contro”.
Emma
continuò a fissarla.
“Ancora
adesso succede. Penso di
fare la cosa giusta e invece mi ritrovo nei pasticci”. Lily
pensava che lei la
stesse anche ascoltando, adesso. Che la stesse ascoltando attentamente.
Come se
si fosse appena ricordata di qualcosa. “Ma tu sei sempre
stata diversa, Emma. Mi
hai detto di fare scelte migliori e allora falla tu, una scelta
migliore,
questa volta”.
Emma
non le diede il tempo di
continuare. Sollevò l’acchiappasogni.
“Sì. Hai ragione. Guarda nel cerchio”.
Lily
guardò. Non perché volesse
guardare davvero, ma la richiesta di Emma la spinse a farlo. E quando
le
immagini iniziarono a comparire, non poté più
distogliere lo sguardo.
Per
alcuni assurdi momenti, i
ricordi si tuffarono in altri ricordi.
Regina
si immerse, sconvolta, nei
ricordi di Lily. E Lily, nel passato, si immerse nei propri.
Una
ragazzina sola in un supermercato
che pensa di passare inosservata infilandosi della roba sotto la giacca.
Un’altra
ragazzina sola in un
supermercato e che la sa lunga.
Una
guardia: “Cos’hai lì?”
Lily,
appena quindicenne, che la
salva, perché ha una carta di credito e rubando un pezzo di
plastica ‘puoi fare
tutto quello che vuoi’.
Una
corsa per sfuggire ad un uomo
in auto.
“Io
mi chiamo Emma”.
“Lily.
Grazie dell’aiuto”.
“Mi
hai coperto le spalle. E io ho
coperto le tue”.
Lily
ed Emma sedute sul prato,
davanti ad un lago.
“Sono
troppo grande. Ho perso la
mia occasione. Non aveva senso restare lì solo per
continuare a sentirmi...”
“Invisibile?”
Nessuna
risposta da parte di Emma.
Ma è la risposta giusta.
“So
che cosa vuol dire vivere in un
posto dove nessuno sembra essere in grado di capirti”, dice
Lily.
“Eri
in una casa famiglia? L’uomo
che ti stava inseguendo... era dei servizi sociali? Voleva riportarti a
casa?”
“Sì”.
“Cosa
pensi di fare?”
Quelle
ragazzine che fanno
irruzione in una grande e bella casa sul lago, che la gente di solito
usa solo
d’estate.
“Ehi,
cos’hai sul polso?”
Lily
le mostrò la sua stella. “Non
so cos’è successo... ce l’ho sempre
avuta. Mi piace pensare che sia una specie
di simbolo in stile... Harry Potter, più o meno”.
“Come
se tu fossi... unica e
speciale”.
“Lo
so, è stupido”.
“No,
non è vero”.
Lily
che disegna una stella sul
polso di Emma con un pennarello. “Okay... allora sei speciale
anche tu”.
“Grazie.
Lily
ed Emma che si divertono a
riprendersi con una telecamera. Il ritratto della spensieratezza.
“Promettiamoci
di restare amiche.
Qualsiasi cosa accada non ci sarà niente che non potremo
superare”.
“Okay,
sì. Promesso”.
Un
uomo che entra in casa, di
notte, mentre loro dormono.
“Lily?”
Emma
che afferra la prima cosa che
le capita a tiro per difendere la sua nuova amica. “Non ti
avvicinare! Non ci
riporterai in una casa famiglia”.
L’uomo,
appena visibile dietro la
luce emanata dalla potente torcia elettrica. “Tesoro, che
sciocchezze hai
raccontato a questa ragazza?”
La
luce. La luce sembra colpire le
bugie di Lily. La colpisce dritta in faccia.
“Che
sta succedendo? Lily?”
“Dille
la verità. Sono suo padre.
Torniamo a casa. Tua madre è disperata”.
La
luce colpisce Lily. La
consapevolezza colpisce Emma come un getto d’acqua gelata.
Lily
in attesa sull’auto del padre.
Emma che sta per essere riportata in casa famiglia.
“Emma!”
Sulle
prime nemmeno si gira. Non
vuole.
“Emma!
Emma!”
Tre
volte. Come Henry quando
l’aveva invocata al molo.
“Non
preoccuparti. È arrabbiato
perché ho usato la carta di credito”. Scrive
qualcosa su un pezzo di carta.
“Quando la situazione si calma, vieni a cercarmi. Scapperemo
insieme”.
“Mi
hai presa in giro”.
“Mi
dispiace tanto. So di aver
mentito sulla mia famiglia. Ma per il resto ti ho sempre detto la
verità. Io
odio la mia casa. Io lì mi sento invisibile”. Lily
è sull’orlo delle lacrime.
“Sono proprio come te. Davvero! Ero un’orfana
finché questa famiglia mi ha
adottata. Quella non è casa mia. Lo avevi promesso. Amiche
per sempre.
Qualsiasi cosa accada”.
Quella
di Lily è una supplica.
Tende il foglio di carta, ma ciò che importa sono i suoi
occhi. È il modo in
cui la guarda.
Emma
non le risponde. Le volta le
spalle. Le volta le spalle e si cancella la stella con il pollice. Con
decisione. Con rabbia. Ignora le grida di Lily e le sue lacrime.
Tempo
dopo. Lily nascosta in un
garage e ricercata dalla polizia.
“Emma
è stata la prima persona che
mi abbia capita veramente, sapete? Come se fosse stato il destino a
farci
incontrare”.
E...
“Da
quando sei andata via tutta la
mia vita è andata a rotoli. Qualunque cosa faccia va per il
verso sbagliato”.
“E
sarebbe colpa mia? Perché non
provi a fare scelte migliori?”
“Ci
provo. Lo giuro. Ma ogni volta
che lo faccio, tutto mi si ritorce contro. È come se avessi
una maledizione”.
“Che
stupidaggine!”
“È
vero. È come se tutta la mia
vita fosse oscura e quando ci sei tu... diventa più
luminosa”.
E...
“Emma,
ti prego, non lasciarmi
sola. Ti sto supplicando. Ti prego, aiutami!”.
“Non
mi va più di aiutarti, Lily.
Sto molto meglio da sola”.
Nel
presente di Camelot, Lily
riemerse dai suoi ricordi, paonazza. Emma mise da parte
l’acchiappasogni e la
costrinse in ginocchio. Poi strinse nel pugno i suoi capelli e fece in
modo che
piegasse la testa all’indietro. Usò una piccola
ampolla per raccogliere una
delle lacrime che stavano scivolando lungo le sue guance.
“Vedi,
Lily, mi dispiace molto. Avrei
dovuto pensarci prima. Il dolore di Regina è... vero.
È un dolore terribile. Ma
potrebbe non essere sufficiente. Non posso correre questo rischio. Non
ho più
tempo, ormai”. Chiuse l’ampolla, ma
continuò a trattenere Lily, il cui respiro
sembrava quasi un singhiozzo. Tentò di alzarsi, ma le gambe
erano come
liquefatte e la sua mente era tutta un turbine di pensieri che non
riusciva ad
afferrare.“Il tuo dolore, invece... è ancora molto
reale. Per quanto tu sia
andata avanti, non sei mai guarita. Perché nessuno ti ha
aiutata a guarire. Ma
adesso... aiuterai me. Libererai Merlino. E mi salverai”.
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Angolo
autrice:
Buonsalve!