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Autore: pervinca anthea    19/02/2016    3 recensioni
« Io sono Octavia, e tu? Tu, come ti chiami? »
La sua voce mi parve ovattata, come se con gli anni, come le fotografie, anch'essa si fosse sbiadita.
Eppure, niente della mia infanzia risultava limpido come quel ricordo.
L'avevo tenuta sempre in mente, e nel cuore, quella mattina in cui avevo scorto, tra le tante testoline colorate e variopinte del parco, quella di una bambina magrolina, dal volto spigoloso, quasi fosse stato scolpito nella roccia, avvolta in un vestitino rosso scambiato che mi aveva fatto storcere il naso da lontano.
[ During!Mockingkay ~ Octavia/Flavius!friendship ]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Flavius, Octavia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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« Io sono Octavia, e tu? Tu, come ti chiami? »
La sua voce mi parve ovattata, come se con gli anni, come le fotografie, anch'essa si fosse sbiadita. 
Eppure, niente della mia infanzia risultava limpido come quel ricordo. 
L'avevo tenuta sempre in mente, e nel cuore, quella mattina in cui avevo scorto, tra le tante testoline colorate e variopinte del parco, quella di una bambina magrolina, dal volto spigoloso, quasi fosse stato scolpito nella roccia, avvolta in un vestitino rosso scambiato che mi aveva fatto storcere il naso da lontano. 
Ricordavo la risata dei bambini presenti, il cigolio delle altalene, ogni foglia adagiata su quel prato autunnale. 
Passo dopo passo, riuscì a scorgere meglio la sua mascella lievemente squadrata, tipica delle antiche statue scolpite nel marmo, e i capelli bruni tenuti legati ai due lati opposti della testa da due elastici dello stesso colore del vestitino.
Pensai che almeno un accostamento decente lo aveva fatto. 
Schiusi la bocca, intenzionato più che mai a disobbedire alla mamma, a sbatterle in faccia quanto di cattivo gusto fosse il suo vestitino, ignorando le norme di buona educazione che mi erano state impartite e che, evidentemente, lei aveva già assimilato alla perfezione. 
« Vuoi essere mio amico? », chiese, anticipando qualsiasi mia risposta alla sua prima domanda, probabilmente notando l’imbarazzo che aveva suscitato in me con quelle domande così contrastantialle mie iniziali intenzioni. 
Probabilmente, dovevo aver annuito senza neanche rendermene conto, perché un attimo dopo lei stava già scorrazzando per il parco, in attesa che io la andassi a prendere. 
La rincorsi, e la presi, capendo solo in seguito che non ero stato io a correre veloce ma che fosse stata lei a farsi prendere, a farmi vincere. 
« Io sono Flavius », le avevo detto, con un tono di voce che, a risentirlo adesso, mi sembra ben più che snervante, prima che mia madre mi trascinasse via di peso, sorridendole ed imprimendo nella mente quello che lei mi ricambiò. Ci ripensai per tutta la sera, ed il mattino seguente, fino a che, il pomeriggio, non la rividi, al solito posto e con il solito sorriso. Giocammo anche quel giorno, e così come tutti quelli a venire, promettendo a me stesso che nessuno avrebbe potuto toglierle quel sorriso. Nessuno.
Ma adesso, adesso che la sentivo urlare, piangere, implorare, nessuna promessa aveva più un senso. 
Inutili erano le torture dei miei aguzzini, così come gli insulti e le infezioni nel quale incorrevano le mie ferite non curate.
Ero già morto, comunque.
Già da quando Octavia, per la prima volta, aveva urlato, in preda al dolore infertogli, il mio nome, senza che io avessi potuto fare nulla per salvarla.
   
 
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