Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: TonyCocchi    19/02/2016    0 recensioni
Raccolta di episodi AU ispirati al film Pearl Harbor (2001), in cui i vari personaggi di Attacco dei Giganti diventano soldati e civili americani durante l’attacco a sorpresa dei giapponesi alla base americana durante la Seconda Guerra Mondiale. Eren, Mikasa, Levi e tanti altri si incrociano con una delle pagine più tragiche della storia: tanta drammaticità, tantissima azione… e anche qualche pairing che non guasta mai!
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Hanji Zoe, Mikasa Ackerman, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Ciao a tutti, ci si rivede! Contenti? Spero di si, perché significherebbe che questa storia finora vi è piaciuta e bramate il continuo! ^__^

Benché avessi già da parte almeno la parte iniziale di questo capitolo, che preannuncio sarà abbastanza breve, sono successe un po’ di cose negli ultimi tempi per cui non ho potuto mettermi nuovamente a scrivere anche dopo che ho superato l’esame, così il tempo è passato e questa fic è rimasta a lungo in sospeso. A dirla tutta, complice appunto il tempo passato, non sento più la stessa ispirazione che avevo prima al riguardo: mi auguro di riuscire a recuperarla, e intanto approfitto di un “recupero” di idee venutomi facendomi la doccia (si, c’è chi sotto la doccia ci canta e chi pensa a cosa scrivere XD), per completare questo quinto capitolo! L’azione e la concitazione sono terminate, ma questa fanfic ha ancora molte emozioni da offrire, fidatevi!

Pur essendo di due episodi più brevi del solito, spero vi piaccia! Buona lettura a tutti!

 

 

 

L’attacco durò in tutto un’ora e mezza. Soltanto un’infinita ora e mezza, tanto bastò per spezzare tremila vite.

I giapponesi avevano in realtà previsto un’ulteriore ondata, ma ormai gli americani erano riusciti ad organizzarsi, la loro contraerea si era fatta più efficace e combattiva, e preferirono non rischiare di perdere più aerei del dovuto per una vittoria schiacciante: la potenza statunitense nel Pacifico era stata messa in ginocchio.

Passato il lampo, col suo carico di distruzione, il rombo degli aerei nipponici andò a perdersi lontano, nell’orizzonte dell’oceano azzurro, oltre le coltri di nuvole e fumo.

Ma la giornata, e i suoi strazi, erano ben lungi dal finire.

Feriti avrebbero continuato a chiedere aiuto e a morire nelle ore successive, sopravvissuti avrebbero continuato a veder morire amici e chiedersene il perché. Ora che erano andati via, che la guerra aveva detto loro “arrivederci”, adesso cominciava il dramma, e le lacrime a sgorgare copiose.

Ma non tutte sarebbero state dolorose d’addii: la quiete ritrovata, sarebbe stata anche il regno degli abbracci, del ricongiungersi, del rimboccarsi le maniche insieme, più uniti di prima, per sopportare i duri giorni a venire.

 

Appena aprì la capote di vetro dell’abitacolo, la prima cosa che sentì furono fischi estatici ed acclamazioni; un’atmosfera che non poteva essere più distante dai suoi sentimenti in quel momento, ma gli uomini avevano passato un brutto quarto d’ora, e non avrebbe fatto certo lui da guastafeste.

“Capitano Ackerman, è stato grande!”
“L’ho vista in azione!”

“Gliele ha cantate a quei fottuti bastardi!”

Spense i motori, lasciando che il P-40 si godesse il meritato riposo nell’hangar, uno dei pochi ancora interi nell’aereoporto devastato.

Col solito fare distaccato, scese tra i suoi ammiratori, non riservando loro che qualche cenno d’assenso: sciocchi, festeggiare come fosse appena finita quando in realtà non era che l’inizio. L’America, che fino a quel momento aveva rifiutato di unirsi alle danze ora c’era dentro fino al collo, e quanti di quelli che erano adesso attorno a lui, negli anni a venire, sarebbero divenuti i numeri della mondiale, immane tragedia del loro tempo.

Attraversò quella piccola calca con indifferenza, finché non notò, oltre corpi, volti e sguardi, quella coda di capelli castano rossicci, aspettarlo discreta, quasi nascosta: di certo non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di correre da lui facendosi largo tra tutti gli ostacoli, sapeva bene che stava a lui andare da lei.

“Visto? Te l’ho riportato tutto intero come volevi, contenta, Quattrocchi?”

Angy l’aereo non lo guardò neanche un attimo.

“Ti è andata bene, Tappo.”

“Non oso pensare che mi avresti fatto altrimenti.”

“Puoi dirlo forte!” –esclamò, un po’ ridendo e un po’ stringendo gli occhi che pizzicavano.

“Non provare a commuoverti, eh?”
“Bada o come parli, ho una chiave inglese nella tasca e nessuna paura di usarla!”

Levi alzò le mani in segno di resa e si voltò, sottraendo in fretta uno dei suoi rari sorrisi agli occhi della meccanica, ai cui quattrocchi non era però sfuggito.

“Soldato, procurami un veicolo. Voglio andare subito alla rada.”
“Sissignore!”

I due scrutarono in lontananza nella direzione della base navale, dalla quale colonne di fumo nero più nero della pece si innalzavano ad indicarla come bandiere. Era giunto per quei poveracci che avevano visto l’inferno in terra il momento del riposo, per i piani alti di tirare le somme, per tutti di affrontare la parte più dura della giornata e quel che aveva in serbo: una parte di essi avrebbe trovato di che renderla un po’ meno disastrosa, per un’altra parte, tanti altri, sarebbe peggiorata ancora.

 

 

Sembrava essere diventato tutto così silenzioso adesso, in confronto alle ore appena conclusesi. Forse le orecchie, esauste, sfibrate come ogni altra loro parte, si erano chiuse a tutti i suoni, delle ultime esplosioni, del crollare di strutture, degli idranti che cercavano di spegnere gli incendi, dei mezzi di soccorso, delle grida d’aiuto.

Berthold non sentiva più niente, solo il proprio respiro appesantito, mentre, appena uscito dall’acqua, trascinava i piedi sulla sabbia della spiaggia, sabbia bianca annerita dai fumi, dai carburanti riversati in acqua, dalla cappa che soffocava nella sua ombra quasi tutta la rada, oscurando la bella giornata che si svolgeva ovunque men che lì.

Si tolse di dosso il giubbotto di salvataggio e ci si sedette sopra come su un cuscino. I suoi respiri erano lunghi, il suo sguardo vacuo rivolto in direzione della riva e delle navi ribaltate o fatte a pezzi.

Il passaggio di un cagnetto spaventato lo ridestò un attimo dal torpore, e un genuino sorriso gli tornò per qualche secondo nell’accarezzarlo. Poi l’innocente animale zampettò via, mentre dal bagnasciuga proveniva il rumore di passi pesanti che avanzavano nelle acque basse come in denso fango.

Reiner grugnì intimandosi un ultimo sforzo, rassettandosi sulle prestanti spalle il marinaio ferito che aveva cercato di trarre in salvo a nuoto. Arrivato all’asciutto, il biondo lo adagiò sulla sabbia e poté riposarsi un attimo, appoggiandosi alle ginocchia.

“Ehi” –lo chiamò- “Sei in salvo adesso.”

Si drizzò e non sentendolo rispondere, gli stuzzicò lo spalla con lo stivale.

“Ehi, mi hai sentito? Ce l’hai fatta, alzati.”

Continuò a non dargli retta.

“Ehi…”

Troppo del suo sangue aveva insaporito l’acqua salata della rada in quel tratto in cui l’aveva trasportato a nuoto: il suo sforzo era stato vano.

Reiner si passò le mani sulla faccia e lo lasciò lì; era nelle condizioni di non voler sollevare neppure uno stuzzicadenti. Raggiunse in silenzio Berthold, buttò via il giubbotto gonfiabile e si sedette al suo fianco, lasciandosi andare a un rumoroso, liberatorio sospiro.

Bert lo stava osservando con la coda dell’occhio. Quasi gli sembrava di sentirlo, chiuso nel silenzio del suo pensieroso broncio, riflettere sull’inutilità delle sue spacconerie e della sua forza smisurata dopo essersi spompato per trascinare a riva quel poveraccio senza che fosse servito ad alcunché; di certo non lo aiutava l’aver lasciato il suo cadavere a qualche metro lì davanti in bella mostra davanti i loro occhi. Sembrava star lì come un monito: quante cose c’erano ben più grandi di lui, oltre la sua portata di uomo qualunque, per le quali tutto il suo ardore e la sua diligenza potevano fare ben poco. Per una persona come il suo amico non v’era niente di peggio al mondo che vedere i propri sforzi non essere ripagati.

Quando non ne poté più della frustrazione, si frugò nella tasca dei pantaloni e tirò fuori un pacchetto di sigarette e un accendino: portò una stecca tra le labbra e poi tentò più e più volte di far accendere una scintilla, prima di rendersi conto che tanto l’accendino quanto il suo tabacco erano fradici d’acqua. Tanti saluti alla nicotina di consolazione.

Borbottando a fior di labbra tirò via il pacchetto sulla sabbia e si mise disteso sui gomiti.

I due compagni rimasero in silenzio a guardare le lance di soccorso occuparsi di tirare a bordo tutti i marinai che ancora non avevano raggiunto la riva. Almeno alcune di esse, altre avevano il compito di raccogliere tutti gli innumerevoli cadaveri che galleggiavano nella rada: quei figli di puttana non avevano avuto pietà nemmeno di quelli finiti fuori bordo, tranciandoli a mitragliate, inclusi molti della loro nave.

Sembravano ignorarsi a vicenda, ma in quel mutuo silenzio riuscivano a leggere il sollievo proprio e dell’altro di essere ancora vivi a quel punto della giornata.

“Porca miseria… Come è potuto accadere?” –si domandò basito Reiner, continuando a guardare davanti a sé.

“Non eravamo preparati: credevamo di poter entrare in guerra quando ci pareva più comodo, e invece…”

“Si, ma qualcuno avrebbe potuto accorgersene! Avrebbe potuto dare l’allarme…”
“Reiner, non serve a nulla adesso…”
“Si… Hai ragione suppongo…”

Guardò con rimpianto il suo pacchetto di Lucky Strike zuppo e sospirò di nuovo.

Berthold pensò a cosa dire in modo da continuare il discorso e distrarlo un po’: “Ce l’abbiamo fatta almeno per oggi, eh?”
L’altro sogghignò e annuì sotto le palpebre appesantite dalla stanchezza.

“Meno male che c’eri tu, amico: sono certo che è solo grazie a te che sono riuscito a cavarmela.” –ammise il gigante bruno, per nulla pronto di spirito al momento in cui tutto era cominciato.

“Andiamo, Bert, non fare certi discorsi! Sei un tipo in gamba, io lo so! Devi solo… cercare di essere un po’ meno “fessacchiotto”, ecco.”

Stavolta fu Berthold ad esibire uno stanco sorrisetto: “Si trattasse solo di quello! Prima, sulla nave, avevo già belle che condannate delle persone che ancora potevano salvarsi. E alla fine ce l’hanno fatta, perché tu eri lì a intestardirti sulla cosa giusta da fare.”
“Ehi…” –gli mollò un affettuoso colpo alla spalla- “Chi c’era lì ad aiutarmi? Se non sbaglio senza di lui non ce l’avrei mai fatta.”

Il timido Berthold fece del suo meglio per non apparire troppo lusingato.

“Probabilmente senza di lui sarei crepato affogato nel tentativo, troppo stupido per lasciar perdere. La cosa giusta da fare, hai detto? Sarebbe stata trascinarmi via da lì… Chi l’avrebbe mai detto che quel bastardo avrebbe fatto una scelta ancora più giusta?”

A quel punto non gli restò che godersi il bello spettacolo di Berthold, colmo d’imbarazzo, passarsi nervosamente una mano dietro il collo. Era un grande, e nemmeno se ne accorgeva, ma un giorno il mondo l’avrebbe riconosciuto, ne era certo.

“Grazie, Reiner.”

“Che ne dici di sdebitarti trovandomi delle sigarette asciutte?”

Berthold rise, prima che un pensiero, che latente in lui l’aveva accompagnato senza un attimo di tregua fino a quel momento, si ridestasse.

Si rimise in piedi: “Te le troverò, amico, ma adesso voglio andare da lei.”

“Si, capisco. Aspettami, vengo con te.”

Si rialzò, sgranchì le spalle e si avviò dietro i lunghi passi del bruno.

 

 

 

Il nostro Berthold sembra avere fretta di ricongiungersi a qualcuno, come del resto molti altri, ansiosi di rivedere tutti interi i propri cari: gli ultimi capitoli di questa AU saranno incentrati sul ricongiungersi dei sopravvissuti, forse un po’ meno trascinanti, ma senza di essi questa storia non potrebbe dirsi completa. I fan come me di Levi e Hanji direi hanno già avuto la loro parte XD Adesso è giusto si torni a vedere tutti gli altri, no?

Spero di riuscire ad aggiornare presto ^__^ Alla prossima!

  
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