Ciao a tutti, ci si rivede! Contenti? Spero di si,
perché significherebbe che questa storia finora vi è piaciuta e bramate il
continuo! ^__^
Benché avessi già da parte almeno la parte
iniziale di questo capitolo, che preannuncio sarà abbastanza breve, sono
successe un po’ di cose negli ultimi tempi per cui non ho potuto mettermi
nuovamente a scrivere anche dopo che ho superato l’esame, così il tempo è
passato e questa fic è rimasta a lungo in sospeso. A dirla tutta, complice
appunto il tempo passato, non sento più la stessa ispirazione che avevo prima
al riguardo: mi auguro di riuscire a recuperarla, e intanto approfitto di un “recupero”
di idee venutomi facendomi la doccia (si, c’è chi sotto la doccia ci canta e
chi pensa a cosa scrivere XD), per completare questo quinto capitolo! L’azione e
la concitazione sono terminate, ma questa fanfic ha ancora molte emozioni da
offrire, fidatevi!
Pur essendo di due episodi più brevi del solito, spero
vi piaccia! Buona lettura a tutti!
L’attacco durò in tutto un’ora e mezza. Soltanto
un’infinita ora e mezza, tanto bastò per spezzare tremila vite.
I giapponesi avevano in realtà previsto
un’ulteriore ondata, ma ormai gli americani erano riusciti ad organizzarsi, la
loro contraerea si era fatta più efficace e combattiva, e preferirono non
rischiare di perdere più aerei del dovuto per una vittoria schiacciante: la
potenza statunitense nel Pacifico era stata messa in ginocchio.
Passato il lampo, col suo carico di distruzione,
il rombo degli aerei nipponici andò a perdersi lontano, nell’orizzonte
dell’oceano azzurro, oltre le coltri di nuvole e fumo.
Ma la giornata, e i suoi strazi, erano ben lungi
dal finire.
Feriti avrebbero continuato a chiedere aiuto e a
morire nelle ore successive, sopravvissuti avrebbero continuato a veder morire
amici e chiedersene il perché. Ora che erano andati via, che la guerra aveva
detto loro “arrivederci”, adesso cominciava il dramma, e le lacrime a sgorgare
copiose.
Ma non tutte sarebbero state dolorose d’addii: la
quiete ritrovata, sarebbe stata anche il regno degli abbracci, del
ricongiungersi, del rimboccarsi le maniche insieme, più uniti di prima, per
sopportare i duri giorni a venire.
Appena aprì la capote di vetro dell’abitacolo, la
prima cosa che sentì furono fischi estatici ed acclamazioni; un’atmosfera che
non poteva essere più distante dai suoi sentimenti in quel momento, ma gli
uomini avevano passato un brutto quarto d’ora, e non avrebbe fatto certo lui da
guastafeste.
“Capitano Ackerman, è stato grande!”
“L’ho vista in azione!”
“Gliele ha cantate a quei fottuti bastardi!”
Spense i motori, lasciando che il P-40 si godesse
il meritato riposo nell’hangar, uno dei pochi ancora interi nell’aereoporto
devastato.
Col solito fare distaccato, scese tra i suoi
ammiratori, non riservando loro che qualche cenno d’assenso: sciocchi,
festeggiare come fosse appena finita quando in realtà non era che l’inizio.
L’America, che fino a quel momento aveva rifiutato di unirsi alle danze ora
c’era dentro fino al collo, e quanti di quelli che erano adesso attorno a lui,
negli anni a venire, sarebbero divenuti i numeri della mondiale, immane
tragedia del loro tempo.
Attraversò quella piccola calca con indifferenza,
finché non notò, oltre corpi, volti e sguardi, quella coda di capelli castano
rossicci, aspettarlo discreta, quasi nascosta: di certo non gli avrebbe mai
dato la soddisfazione di correre da lui facendosi largo tra tutti gli ostacoli,
sapeva bene che stava a lui andare da lei.
“Visto? Te l’ho riportato tutto intero come
volevi, contenta, Quattrocchi?”
Angy l’aereo non lo guardò neanche un attimo.
“Ti è andata bene, Tappo.”
“Non oso pensare che mi avresti fatto altrimenti.”
“Puoi dirlo forte!” –esclamò, un po’ ridendo e un
po’ stringendo gli occhi che pizzicavano.
“Non provare a commuoverti, eh?”
“Bada o come parli, ho una chiave inglese nella tasca e nessuna paura di
usarla!”
Levi alzò le mani in segno di resa e si voltò,
sottraendo in fretta uno dei suoi rari sorrisi agli occhi della meccanica, ai
cui quattrocchi non era però sfuggito.
“Soldato, procurami un veicolo. Voglio andare
subito alla rada.”
“Sissignore!”
I due scrutarono in lontananza nella direzione
della base navale, dalla quale colonne di fumo nero più nero della pece si
innalzavano ad indicarla come bandiere. Era giunto per quei poveracci che
avevano visto l’inferno in terra il momento del riposo, per i piani alti di
tirare le somme, per tutti di affrontare la parte più dura della giornata e
quel che aveva in serbo: una parte di essi avrebbe trovato di che renderla un
po’ meno disastrosa, per un’altra parte, tanti altri, sarebbe peggiorata
ancora.
Sembrava essere diventato tutto così silenzioso
adesso, in confronto alle ore appena conclusesi. Forse le orecchie, esauste, sfibrate
come ogni altra loro parte, si erano chiuse a tutti i suoni, delle ultime
esplosioni, del crollare di strutture, degli idranti che cercavano di spegnere
gli incendi, dei mezzi di soccorso, delle grida d’aiuto.
Berthold non sentiva più niente, solo il proprio respiro
appesantito, mentre, appena uscito dall’acqua, trascinava i piedi sulla sabbia
della spiaggia, sabbia bianca annerita dai fumi, dai carburanti riversati in
acqua, dalla cappa che soffocava nella sua ombra quasi tutta la rada, oscurando
la bella giornata che si svolgeva ovunque men che lì.
Si tolse di dosso il giubbotto di salvataggio e ci
si sedette sopra come su un cuscino. I suoi respiri erano lunghi, il suo
sguardo vacuo rivolto in direzione della riva e delle navi ribaltate o fatte a
pezzi.
Il passaggio di un cagnetto spaventato lo ridestò
un attimo dal torpore, e un genuino sorriso gli tornò per qualche secondo
nell’accarezzarlo. Poi l’innocente animale zampettò via, mentre dal bagnasciuga
proveniva il rumore di passi pesanti che avanzavano nelle acque basse come in
denso fango.
Reiner grugnì intimandosi un ultimo sforzo,
rassettandosi sulle prestanti spalle il marinaio ferito che aveva cercato di
trarre in salvo a nuoto. Arrivato all’asciutto, il biondo lo adagiò sulla
sabbia e poté riposarsi un attimo, appoggiandosi alle ginocchia.
“Ehi” –lo chiamò- “Sei in salvo adesso.”
Si drizzò e non sentendolo rispondere, gli stuzzicò
lo spalla con lo stivale.
“Ehi, mi hai sentito? Ce l’hai fatta, alzati.”
Continuò a non dargli retta.
“Ehi…”
Troppo del suo sangue aveva insaporito l’acqua
salata della rada in quel tratto in cui l’aveva trasportato a nuoto: il suo
sforzo era stato vano.
Reiner si passò le mani sulla faccia e lo lasciò
lì; era nelle condizioni di non voler sollevare neppure uno stuzzicadenti.
Raggiunse in silenzio Berthold, buttò via il giubbotto gonfiabile e si sedette
al suo fianco, lasciandosi andare a un rumoroso, liberatorio sospiro.
Bert lo stava osservando con la coda dell’occhio.
Quasi gli sembrava di sentirlo, chiuso nel silenzio del suo pensieroso broncio,
riflettere sull’inutilità delle sue spacconerie e della sua forza smisurata
dopo essersi spompato per trascinare a riva quel poveraccio senza che fosse
servito ad alcunché; di certo non lo aiutava l’aver lasciato il suo cadavere a
qualche metro lì davanti in bella mostra davanti i loro occhi. Sembrava star lì
come un monito: quante cose c’erano ben più grandi di lui, oltre la sua portata
di uomo qualunque, per le quali tutto il suo ardore e la sua diligenza potevano
fare ben poco. Per una persona come il suo amico non v’era niente di peggio al
mondo che vedere i propri sforzi non essere ripagati.
Quando non ne poté più della frustrazione, si
frugò nella tasca dei pantaloni e tirò fuori un pacchetto di sigarette e un
accendino: portò una stecca tra le labbra e poi tentò più e più volte di far
accendere una scintilla, prima di rendersi conto che tanto l’accendino quanto
il suo tabacco erano fradici d’acqua. Tanti saluti alla nicotina di
consolazione.
Borbottando a fior di labbra tirò via il pacchetto
sulla sabbia e si mise disteso sui gomiti.
I due compagni rimasero in silenzio a guardare le
lance di soccorso occuparsi di tirare a bordo tutti i marinai che ancora non
avevano raggiunto la riva. Almeno alcune di esse, altre avevano il compito di
raccogliere tutti gli innumerevoli cadaveri che galleggiavano nella rada: quei
figli di puttana non avevano avuto pietà nemmeno di quelli finiti fuori bordo,
tranciandoli a mitragliate, inclusi molti della loro nave.
Sembravano ignorarsi a vicenda, ma in quel mutuo
silenzio riuscivano a leggere il sollievo proprio e dell’altro di essere ancora
vivi a quel punto della giornata.
“Porca miseria… Come è potuto accadere?” –si
domandò basito Reiner, continuando a guardare davanti a sé.
“Non eravamo preparati: credevamo di poter entrare
in guerra quando ci pareva più comodo, e invece…”
“Si, ma qualcuno avrebbe potuto accorgersene!
Avrebbe potuto dare l’allarme…”
“Reiner, non serve a nulla adesso…”
“Si… Hai ragione suppongo…”
Guardò con rimpianto il suo pacchetto di Lucky
Strike zuppo e sospirò di nuovo.
Berthold pensò a cosa dire in modo da continuare
il discorso e distrarlo un po’: “Ce l’abbiamo fatta almeno per oggi, eh?”
L’altro sogghignò e annuì sotto le palpebre appesantite dalla stanchezza.
“Meno male che c’eri tu, amico: sono certo che è
solo grazie a te che sono riuscito a cavarmela.” –ammise il gigante bruno, per
nulla pronto di spirito al momento in cui tutto era cominciato.
“Andiamo, Bert, non fare certi discorsi! Sei un
tipo in gamba, io lo so! Devi solo… cercare di essere un po’ meno
“fessacchiotto”, ecco.”
Stavolta fu Berthold ad esibire uno stanco
sorrisetto: “Si trattasse solo di quello! Prima, sulla nave, avevo già belle
che condannate delle persone che ancora potevano salvarsi. E alla fine ce
l’hanno fatta, perché tu eri lì a intestardirti sulla cosa giusta da fare.”
“Ehi…” –gli mollò un affettuoso colpo alla spalla- “Chi c’era lì ad aiutarmi?
Se non sbaglio senza di lui non ce l’avrei mai fatta.”
Il timido Berthold fece del suo meglio per non
apparire troppo lusingato.
“Probabilmente senza di lui sarei crepato affogato
nel tentativo, troppo stupido per lasciar perdere. La cosa giusta da fare, hai
detto? Sarebbe stata trascinarmi via da lì… Chi l’avrebbe mai detto che quel
bastardo avrebbe fatto una scelta ancora più giusta?”
A quel punto non gli restò che godersi il bello
spettacolo di Berthold, colmo d’imbarazzo, passarsi nervosamente una mano
dietro il collo. Era un grande, e nemmeno se ne accorgeva, ma un giorno il
mondo l’avrebbe riconosciuto, ne era certo.
“Grazie, Reiner.”
“Che ne dici di sdebitarti trovandomi delle
sigarette asciutte?”
Berthold rise, prima che un pensiero, che latente
in lui l’aveva accompagnato senza un attimo di tregua fino a quel momento, si
ridestasse.
Si rimise in piedi: “Te le troverò, amico, ma
adesso voglio andare da lei.”
“Si, capisco. Aspettami, vengo con te.”
Si rialzò, sgranchì le spalle e si avviò dietro i
lunghi passi del bruno.
Il nostro Berthold sembra avere fretta di
ricongiungersi a qualcuno, come del resto molti altri, ansiosi di rivedere
tutti interi i propri cari: gli ultimi capitoli di questa AU saranno incentrati
sul ricongiungersi dei sopravvissuti, forse un po’ meno trascinanti, ma senza
di essi questa storia non potrebbe dirsi completa. I fan come me di Levi e
Hanji direi hanno già avuto la loro parte XD Adesso è giusto si torni a vedere
tutti gli altri, no?
Spero di riuscire ad aggiornare presto ^__^ Alla prossima!