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Autore: xbondola    24/02/2016    1 recensioni
Cosa fare quando ci si rende conto di essere innamorati del proprio migliore amico? Restare in bilico non è possibile, si sa: prima o poi, si cade, e Thomas deve fare una scelta.
Thomas sentì lo stomaco stringersi in una morsa, richiuse lo sportello e si allontanò. Sbuffando, si gettò sul divano accanto a Winston, e si massaggiò le tempie. L'immagine di Newt che con un dito si accarezzava la pelle nuda, adagiato contro il muro della stanza dei genitori di Minho, gli si era attaccata sotto le palpebre: Thomas chiudeva gli occhi e lui era lì, languido, gli occhi lucidi, non consapevole dell'effetto che aveva sul suo migliore amico.
Thomas batté un piede sul pavimento e si lasciò sfuggire un gemito di frustrazione.
Non poteva restare lì.
Quella consapevolezza lo colpì all'improvviso, come un pugno, e lo costrinse ad alzarsi. Si diresse verso la stanza di Minho, raccolse le sue scarpe dal pavimento, se le infilò ai piedi e uscì di casa senza avvertire nessuno.

Storia pubblicata anche su WATTPAD con lo stesso titolo.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Minho, Newt, Newt/Thomas, Thomas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II


Thomas si rigirò sulla coperta, gli occhi aperti fissi sulla parete che aveva di fronte. Minho, sdraiato accanto a lui, gli diede un calcio sul fianco, strappandogli un gemito di dolore. « Porca troia », rantolò Thomas, rotolando di lato. Si ritrovò con la faccia appiccicata alla moquette. La polvere gli solleticò le narici, Thomas chiuse gli occhi e si concentrò per evitare di starnutire; non voleva svegliare Newt e Minho, ancora addormentati, le bocche socchiuse e il respiro pesante.
Thomas si alzò in piedi a fatica. Tutto davanti a lui si fece bianco per un attimo e dovette appoggiarsi alla scrivania ingombra di Minho per non cadere.
Non aveva chiuso occhio. Sentiva la stanchezza come un peso sul cuore: gli schiacciava i polmoni, gli impediva di respirare. Deglutì e si passò una mano sul viso. Lanciò un'occhiata a Minho, sdraiato scompostamente, gambe e braccia divaricate; poi osservò Newt, prono, le braccia infilate sotto il cuscino. Era voltato nella sua direzione, la nuca illuminata da un timido fascio di luce proveniente dalla finestra alle sue spalle. Thomas distolse lo sguardo, a disagio, e uscì dalla stanza.
La casa di Minho sembrava deserta. Erano ancora - Thomas controllò il suo cellulare - le otto del mattino. La pallida luce del sole illuminava l'ampio salotto, definendone a malapena i colori. Winston russava sommessamente, riverso sul divano, un braccio che pendeva fino a sfiorare il pavimento. 
Thomas si diresse verso la zona cucina e aprì la dispensa: al suo interno, disposti senza un preciso ordine, c'erano snack pronti, merendine e una busta di patatine al formaggio. Thomas sentì lo stomaco stringersi in una morsa, richiuse lo sportello e si allontanò. Sbuffando, si gettò sul divano accanto a Winston, e si massaggiò le tempie. L'immagine di Newt che con un dito si accarezzava la pelle nuda, adagiato contro il muro della stanza dei genitori di Minho, gli si era attaccata sotto le palpebre: Thomas chiudeva gli occhi e lui era lì, languido, gli occhi lucidi, non consapevole dell'effetto che aveva sul suo migliore amico.
Thomas batté un piede sul pavimento e si lasciò sfuggire un gemito di frustrazione.
Non poteva restare lì.
Quella consapevolezza lo colpì all'improvviso, come un pugno, e lo costrinse ad alzarsi. Si diresse verso la stanza di Minho, raccolse le sue scarpe dal pavimento, se le infilò ai piedi e uscì di casa senza avvertire nessuno.
L'aria fresca del mattino gli solleticò le guance e gli attraversò la stoffa leggera della camicia, facendolo rabbrividire. Thomas si strinse le braccia al petto e continuò a camminare spedito. Le strade erano quasi deserte e Thomas ne fu grato: era in condizioni pietose, si sentiva sporco e confuso, non ci teneva a restare impresso nella memoria di qualche passante come "lo strano tipo con le occhiaie e gli abiti sgualciti incontrato oggi".
Inciampò in una crepa e cadde in avanti, appesantito dal sonno e dalla stanchezza. Si ferì i palmi delle mani e le ginocchia, ma saltò subito in piedi e si guardò intorno: non c'era anima viva. Sospirò e soffiò delicatamente sulla ferita aperta. Bruciava.
« Dannazione! », sbottò. Aumentò l'andatura. Il dolore gli aveva schiarito la mente: non la sentiva più così ovattata, distante da tutto il resto, ma il peso al centro del suo petto non accennava a diminuire, così come la confusione che gli montava dentro come una tempesta.
Thomas si concentrò sul dolore fisico. Diamine, voleva farsi una doccia e chiudere gli occhi per il resto della settimana.

Tre ore dopo, Thomas si gettò sul suo letto, esausto. Era tornato a casa, aveva evitato le domande di sua madre, si era fatto una doccia veloce. Ora voleva solo dormire.
Chiuse gli occhi. Aveva la testa pesante. 
Il suo cellulare vibrò. Thomas si sporse per raggiungere il comodino e lesse:

1 NUOVO MESSAGGIO

Da: Newt

Thomas ebbe un tuffo al cuore, ma si limitò a bloccare il cellulare e ad accasciarsi sul cuscino. Si addormentò subito.

Thomas ansima. I brividi lo avvolgono come una seconda pelle, lo accarezzano, lo mordono. Sono sussurri sulle sue braccia, sulla sua schiena e dentro di lui: gli annodano lo stomaco, i polmoni, il basso ventre. Farfalle sottopelle battono le ali a un ritmo frenetico.
Newt non lo guarda. È seduto, il corpo premuto contro il suo petto, le labbra contro il suo collo. Gli lascia baci umidi sulla pelle calda, bollente. Thomas lo sente tremare e vorrebbe stringerlo a sé, ma ha le mani bloccate lungo i fianchi, non riesce a muoversi, non riesce a respirare.
Newt è ovunque, dentro di lui, fuori di lui, sulle pareti della sua stanza, sui vestiti sparsi sul pavimento. Il suo profumo satura l'aria.
Dita, mani, anime che s'intrecciano. I loro corpi sono screziati di sole; ferite di luce si aprono sulla pelle, bruciano, e fa sempre più caldo, il mondo è sempre più confuso, le immagini sempre più sfocate. C'è solo Newt e ci sono le sue mani, c'è il suo tocco e c'è il suo respiro.
Il cuore di Thomas accelera.

Thomas aprì gli occhi. Aveva i capelli appiccicati alla fronte madida, gli abiti impregnati di sudore. Restò immobile per qualche secondo, tentò di rallentare il proprio respiro, di regolarizzare il battito del suo cuore. Si passò una mano sul viso e allungò un braccio verso il comodino. Sbloccò il cellulare e osservò lo schermo: sotto l'orologio, che segnava le 18:27, campeggiava la scritta:

NUOVI MESSAGGI

Thomas aprì la cartella dei messaggi in arrivo: uno dei tre era semplice spam, gli altri due erano di Newt.

Dove cacchio sei finito, pive?

E poi, molte ore dopo:

Tommy, stai bene? :(
Dobbiamo parlare.

Thomas bloccò il cellulare senza rispondere. Tornò a sdraiarsi sul letto, gli occhi chiusi rivolti al soffitto.
"Dobbiamo parlare", gli aveva scritto Newt. Thomas sentì le viscere contorcersi e si coprì il viso con le braccia. Non osava pensare a ciò che il ragazzo avrebbe potuto dirgli non appena si fossero visti.
Si alzò a sedere e sbloccò il telefono. Decise che non poteva far finta di nulla.

Stavo dormendo, scusa... di che dobbiamo parlare?

Digitò e inviò il messaggio con mani tremanti, lasciò il telefono sul letto e uscì dalla stanza.
Tornò mezz'ora dopo. Il led del cellulare lampeggiava.

1 NUOVO MESSAGGIO

Da: Newt

Di ieri sera.
Posso passare a casa?

Thomas strinse i denti. Cominciava a sudare freddo. Scrisse e inviò un nuovo messaggio con mani tremanti:

Non mi sento molto bene. Ci vediamo domani a scuola, okay? A domani.

Lasciò il cellulare in carica per tutta la serata. Non controllò messaggi e notifiche neanche prima di dormire, disattivò vibrazione e suoneria.
Andò a letto presto, ma riuscì ad addormentarsi solo qualche ora prima dell'alba.

L'indomani, Thomas era già in piedi prima del suono della sveglia. Si sentiva lo stomaco in subbuglio, come gli succedeva nelle notti che precedevano un avvenimento importante, una gita con gli amici o un concerto dei suoi gruppi preferiti.
Si lavò e si vestì. Passò un'eternità a osservare la sua immagine allo specchio: aveva gli occhi infossati, contornati di scuro, le labbra screpolate, i capelli appena asciugati sparati in tutte le direzioni.
Sbuffò e si massaggiò la nuca. « Se il buon giorno si vede dal mattino... farei meglio a chiudermi in camera », borbottò.

Thomas avanzò lungo il corridoio gremito di studenti, lo sguardo basso. Avrebbe preferito di gran lunga restare a letto, quel giorno, fingersi malato, rifilare a sua madre una scusa qualunque. Lasciare il proprio letto caldo significava abbandonare il suo unico rifugio, affrontare i problemi. 
Significava affrontare Newt.
Thomas entrò in classe prima del suono della campanella. Occupò l'ultimo banco in fondo all'aula quasi deserta, accanto alla finestra. Il cielo all'esterno era limpido. Un brusio leggero aleggiava nella stanza.
« Thomas! » Minho si avvicinò al ragazzo, un sorriso stampato sul volto. « Sei ancora vivo! »
« Già, mi spiace deluderti », replicò Thomas, scrollando le spalle.
Minho ridacchiò e gettò lo zaino sul banco accanto a quello dell'amico. « Te la sei data a gambe, ieri mattina, eh, pive? »
« Una casa piena di adolescenti pronti a svegliarsi con i postumi di una sbornia. Che peccato essermela persa! »
« A maggior ragione, saresti dovuto restare per aiutarci a rimettere in ordine ».
Thomas gli mostrò il dito medio. Quando sentì Minho ridere, aggiunse: « Prendila come una vendetta per esserti dimenticato di me, sabato ».
« Mi dispiace, amico ». Minho si stiracchiò, allungando le braccia verso l'alto. « Avrei dovuto immaginare che sarebbe andata a finire così ».
« Non è un problema ». Era la verità. A Thomas non poteva fregare di meno: la sua mente viaggiava su di un binario del tutto diverso, quello che conduceva alla camera di Minho, illuminata a malapena, e al corpo di Newt disteso sul suo letto, gli occhi chiusi, il respiro regolare, come se dormisse...
« Ehi, Tommy! », disse qualcuno. Thomas sentì lo stomaco chiudersi e si raddrizzò sulla sedia. Newt gli si avvicinò, facendosi scivolare la borsa a tracolla via dalla spalla. La poggiò sul banco davanti al suo, ma si sedette in modo da non dargli le spalle. « Tutto a posto? »
Thomas alzò lo sguardo dal suo zaino e annuì. « Tutto a posto ». Newt sorrideva, ma i suoi occhi scuri erano velati da un filo di preoccupazione. Thomas tornò a guardare altrove e si sistemò meglio sulla sedia, a disagio.
Minho scoppiò a ridere. Rideva così forte che dovette piegarsi sulla superficie del banco, ansimando per riprendere fiato tra un accesso di risa e l'altro. 
Il sorriso sul volto di Newt si allargò, i suoi occhi ridotti a due fessure erano puntati su Minho, ora. « Che cacchio ti prende? »
« No, è che... » rise ancora. « Sto pensando a Winston... quando si è svegliato e si è guardato allo specchio e ha visto la sua faccia conciata in quel modo! » Thomas e Newt risero e Minho, una volta che si fu calmato, continuò: « Io credevo che ci sarebbero state delle vittime. Era una furia, cacchio ».
Newt scosse la testa. « Ho temuto per la mia incolumità », disse. « Ricordavo vagamente di aver fatto quello che ho fatto ». Thomas gli lanciò un'occhiata di sottecchi, ma tornò a osservare fuori dalla finestra quando si rese conto che gli occhi di Newt erano fissi su di lui.
La professoressa di chimica fece il suo ingresso, salvandolo, almeno per il momento, da quella spinosa situazione.

« Tommy! » La voce di Newt lo raggiunse dal fondo del corridoio. Thomas finse di non averla sentita e continuò a camminare a passo spedito verso il suo armadietto, ma una mano lo afferrò per un braccio. « Dannazione, Tommy! Cosa caspio ti prende, all'improvviso? »
« Eh? Niente », mentì. « Stavo andando all'armadietto ».
Newt fece una smorfia, ma lasciò la presa e scosse la testa. « Ti accompagno ».
Thomas si trattenne dal dirgli che non era necessario e insieme si mossero lungo il corridoio affollato.
« Ti stai comportando in modo strano, pive ». Newt incrociò le braccia al petto. Quando Thomas si fermò accanto al suo armadietto, Newt fece altrettanto, appoggiandosi con un fianco agli sportelli metallici rimasti chiusi. « È da domenica che non ti fai sentire », aggiunse. « È successo qualcosa? »
Thomas infilò alcuni libri nello zaino e scosse la testa. « Non è successo niente ».
Newt lo squadrò per un attimo, accigliato. « Sabato abbiamo detto o fatto qualcosa di male? »
Thomas chiuse l'armadietto. « No, niente del genere », rispose.
« Se ho fatto o detto qualcosa di stupido, Tommy, ti do il permesso di sbattermi la testa contro questi fottuti armadietti fino a quando riterrai necessario ».
Thomas sorrise, poi tornò serio e si strinse nelle spalle. « Davvero, non hai fatto niente di stupido... a parte attentare alla tua vita con lo scherzo del pennarello, ovviamente ».
Newt rise e si passò una mano sul viso e tra i capelli biondi. « Bene così », disse. « Ne sarebbe valsa la pena, comunque ».
« Oh, certo. Una morte onorevole, senza dubbio ».
« Degna di un samurai ». Newt si leccò le labbra. Il suo volto tornò serio. « A proposito di sabato », cominciò, scatenando in Thomas una forte sensazione di disagio, « è da domenica che ho come la sensazione di doverti parlare, ma non ricordo perché ».
Thomas inarcò le sopracciglia. « Non ricordi », disse. Non era una domanda.
« Non proprio. Non ho bevuto come una dannata spugna fino a dimenticare il mio nome - scrollò le spalle - solo che ho difficoltà a riportare alla mente alcune cose. Tu eri sobrio, pensavo che potessi aiutarmi ».
Thomas sospirò. Si sentiva molto più leggero, ora che Newt aveva ammesso di non ricordare nulla del loro discorso. Sorrise e si strinse nelle spalle. « Mi dispiace, ma non mi pare sia successo niente di straordinario, sabato », disse. « Avete fatto qualche gioco per ubriaconi, poi abbiamo giocato tutti insieme a qualcos'altro e siamo andati a dormire. Dopo lo scherzo che hai fatto a Winston ».
Newt sembrò deluso per un attimo, poi la sua espressione tornò neutrale. Annuì e si grattò la nuca. « Bene così, immagino ».
« Bene così », sospirò Thomas. « Ora, se vuoi scusarmi... tu avrai anche un'ora di buco, ma io devo correre a lezione ».
« A dopo, Tommy! »
Thomas gli rispose con un cenno della mano e si allontanò.

Thomas entrò nell'aula di inglese e si guardò intorno: la sua postazione preferita, in fondo alla stanza, era stata occupata da una figura familiare. Thomas le si avvicinò. « Ehi, Brenda! », la salutò. La ragazza alzò gli occhi dal suo libro di letteratura e gli sorrise. « Ciao », disse.
Thomas si sedette al banco libero davanti a quello dell'amica e si voltò verso di lei. « Come va? »
« Va. Non ho studiato un cazzo, per la lezione di oggi. Tentavo di rimediare ». Indicò con un cenno del capo il libro che teneva tra le mani. « A te? Domenica sei sparito nel nulla. Minho cominciava a pensare al peggio ».
Thomas fece una smorfia divertita. « Sono tornato a casa presto. Ero stanco. Non sono riuscito a chiudere occhio ».
« Scomodo? »
« Qualcosa del genere ». Thomas si massaggiò il fianco: gli si era formato un piccolo livido, lì dove Minho lo aveva colpito.
Brenda si passò una mano tra i capelli scuri e tornò a leggere. « È assolutamente impossibile che io riesca a studiare questa roba in dieci minuti ».
« Pensi che la professoressa abbia intenzione di fare qualche domanda alla classe? » Thomas non era in una situazione migliore della sua.
« Non lo so. Nel caso dovesse farlo, corro in bagno, tu dille che ho avuto forti conati di vomito o roba del genere ».
La professoressa di letteratura inglese fece il suo ingresso, mettendo fine al mormorio che animava l'aula con un semplice: « Buongiorno, ragazzi ».
Thomas aprì il suo quaderno di appunti, determinato a seguire la spiegazione del giorno.
Ben presto, la sua mano cominciò a tracciare disegni astratti ai margini del foglio, poi negli angoli, infine tra gli appunti stessi, che occupavano a malapena un quarto di pagina.
La voce dell'insegnante si spense. La triste aula scolastica sparì. C'era solo il suo quaderno, la penna che tracciava ghirigori d'inchiostro, il dolore che sentiva alle dita a causa della pressione che esercitavano sullo stilo.
Newt non ricordava nulla di ciò che era successo. Non ricordava la sua imbarazzante dichiarazione, non sapeva nulla della confusione che gli tormentava il sonno e la veglia.
Thomas, però, ricordava ogni cosa: l'imbarazzo, lo stupore; e ricordava Newt, a torso nudo, che con un dito si accarezzava la pelle nuda, lo sterno e poi giù, fino all'orlo dei pantaloni...
Thomas si riscosse e si raddrizzò sulla sedia. Si guardò intorno, animato dalla paura irrazionale che qualcuno potesse aver capito ciò a cui stava pensando. Nessuno sembrava prestargli attenzione e lui si voltò verso Brenda. « Tu ricordi qualcosa di sabato sera? », le chiese sottovoce.
Lei annuì. « Più o meno tutto », disse in un sussurro. « Anche se ho dei ricordi piuttosto confusi ».
« Del tipo? »
Brenda scrollò le spalle. « Ci divertivamo. Abbiamo bevuto, giocato... e a un certo punto devo aver detto qualcosa di molto imbarazzante riguardo Minho, ma ho rimosso completamente ».
« Ricordi anche la domanda che avevi fatto a Newt? »
Brenda aggrottò le sopracciglia. « Se anche fosse, non te la direi, Thomas. Sono le regole del gioco, smettila di pensarci ».
« Volevo solo... ah, lascia stare ». Le diede le spalle e tornò a scarabocchiare distrattamente sul quaderno. Era chiaro: Brenda non aveva intenzione di rivelargli nulla. Thomas pensò che avrebbe dovuto escogitare qualcosa per farle cambiare idea. Poi si chiese perché si sentisse tanto in dovere di scoprire la verità a proposito di quella maledetta domanda.
Semplice curiosità, rispose a sé stesso. Chiunque, nei miei panni, vorrebbe fare lo stesso.
Ma non ne era più tanto sicuro.

« Allora? Usciamo insieme? »
Thomas sgranò gli occhi e li fissò su Newt, che lo osservava da pochi centimetri di distanza, appoggiato come suo solito agli sportelli metallici degli armadietti, le braccia conserte.
« Cosa? », gli chiese Thomas.
Newt sorrise. « Dobbiamo andare da Minho per il progetto di storia », disse. « Ci andiamo insieme o devi prima passare da casa? »
Thomas si rilassò e scrollò le spalle. « No, andiamo insieme », rispose, sfilando il suo quaderno di storia dall'armadietto. 
Newt annuì. « Bene così ».
Si avviarono verso l'uscita. Minho era andato via un'ora prima, quel giorno, e nel parcheggio scolastico non c'era traccia della sua auto sgangherata, sempre pronta a offrire loro un passaggio. In ogni caso, non ci sarebbero voluti più di venti minuti a piedi.
« Come ti è andata oggi? », chiese Newt, spezzando il silenzio che aleggiava tra loro.
« Al solito. Sono un po' stressato per tutti i progetti da consegnare e i compiti da fare e tutto il resto ». Thomas si passò una mano tra i capelli scuri. « Te? »
« Sì, anch'io, e sono piuttosto distratto ». Sorrise e Thomas lo guardò con la coda dell'occhio: aveva abbassato lo sguardo. Gli si potevano vedere le ciglia: gli incorniciavano le palpebre e scendevano a sfiorargli gli zigomi.
« Cos'hai da pensare? »
« Un po' di cose ». Si grattò la nuca e si affrettò a cambiare argomento: « Mi fido di te, per oggi. Qualunque cosa Minho dica per convincerti, non farti trascinare a giocare ai videogames come l'ultima volta, ché poi mi tocca fare tutto il dannato lavoro da solo ».
Thomas rise. « È successo una volta ».
« L'unica volta in cui abbiamo collaborato per un progetto ».
« Vedrò di resistere alle mie tentazioni nel deserto ».
« Farai meglio a stampartelo in quel cervello rincaspiato che ti ritrovi, altrimenti ci spedirò te e Minho, nel dannato deserto ».
Thomas scoppiò a ridere. « No, ti prego, sono abbastanza sicuro che a un certo punto tenterebbe di mangiarmi ».
« Bene così! » Newt rise. « Però davvero, non ho intenzione di farmi il culo mentre voi ve la spassate. Chiaro? »
Thomas annuì. « Chiaro ».
Continuarono a camminare in silenzio. Thomas lo sentiva pesare tra loro come una coltre pronta a soffocarli: non era una semplice assenza di parole, come quelle che avevano condiviso milioni di volte. Adesso c'erano i segreti, le cose non dette, i ricordi offuscati dai fumi dell'alcool. Era tutto lì, compresso nello spazio che li separava, un'energia magnetica confusa e irrazionale, che generava attrazione e repulsione senza alcun criterio.
Thomas sbirciò verso Newt, poi tornò a guardare davanti a sé. Quando erano cambiate le cose, tra loro due? I silenzi si erano fatti pesanti, gli sguardi rapidi e colpevoli, i sorrisi enigmatici. Thomas si chiese per un istante se le cose non fossero andate sempre in questo modo, tra loro, senza che lui ne fosse pienamente consapevole.

« Prima di fare qualunque cosa », disse Minho ai due ragazzi, facendoli entrare in casa, « credo sia meglio mettere qualcosa sotto ai denti ».
« Tu cucini? », gli chiese Thomas. Lanciò un'occhiata a Newt, che scrollò le spalle e sorrise.
Tanto per cambiare, i genitori di Minho non erano a casa. Sarebbero tornati quella sera.
Minho si avvicinò al frigorifero e lo aprì. « So fare i sandwich », disse.
« Tutti sanno preparare i sandwich, Minho », lo apostrofò Newt, i gomiti appoggiati su un ripiano della cucina. 
« Alcuni meglio di altri ».
Newt scosse la testa e si allontanò, gettandosi sul divano, accanto a Thomas. Lo osservò per un istante, poi appoggiò la testa ai cuscini imbottiti dello schienale e cominciò a fissare il soffitto.
Mangiarono lì, nel salotto, guardando vecchi episodi dei Simpson in TV. Quando arrivò il momento di mettersi al lavoro, si spostarono in camera di Minho, accesero il suo portatile e cominciarono la loro ricerca di storia. Terminarono prima del tramonto, poi sentirono un'auto parcheggiare nel vialetto e il rumore delle chiavi che giravano nella serratura farsi strada nell'ingresso. 
« Sono tornati i miei », sbuffò Minho, alzandosi dal letto. « È finita la pacchia ».
Thomas afferrò il cellulare per vedere l'ora. Non erano ancora le sette e sullo sfondo campeggiava la scritta:

1 NUOVO MESSAGGIO 
Da: Brenda

Thomas sbloccò il cellulare.

Se ti interessa ancora della domanda, chiamami.

   
 
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