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Autore: effe_95    25/02/2016    5 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
37. Congestione, Videocassette e Per incontrare me.


Gennaio

Igor aveva un mal di stomaco con i controfiocchi.
Sentiva la pizza piantata lì, all’altezza dello sterno come un blocco di cemento sempre più pesante, si portò una mano sulla parte dolorante e soffocò un brivido di freddo.
Era piuttosto sicuro fosse ormai vicina la mezzanotte, tirava un vento gelido, la neve ammucchiata sul marciapiede gli rallentava il passo, si strinse forte nel giubbotto pesante e nascose ancora di più la faccia sotto il cappello di lana.
<< Ci prendiamo un gelato? >>
Igor quasi sobbalzò quando sentì quelle parole, volse lo sguardo alla sua destra e incrociò gli occhi grandi e curiosi di Zoe, che lo osservava con la testa leggermente piegata di lato, un sorriso disteso sulle labbra sottili dipinte ancora di rosso e le mani nascoste nelle tasche del giaccone pesante.
<< Un gelato?! Ci saranno dieci gradi sotto zero come minimo! >>
Commentò accennando un tono di incredulità nella voce, al solo pensiero di mangiare altro la pizza si mosse fastidiosamente nello stomaco provocandogli una nausea terribile.
La cena di fine spettacolo era stata piacevole nonostante la mancanza di Beatrice ed Enea, nonostante l’atmosfera fosse stata un po’ tesa all’inizio, a quel punto però … Igor si domandava perché avesse avuto la brillante idea di proporsi di accompagnare Zoe a casa.
Alla fine, aveva solo colto un istinto spontaneo.
Non ci aveva pensato, non aveva pensato per la prima volta in vita sua.
<< Quando fa freddo il gelato ha un sapore migliore >>
Il commento di Zoe lo spiazzò, si lasciò scappare una risata incredula e scosse la testa, mentre lei afferrava con le dita il bordo della manica del suo giubbotto facendosi più vicina.
<< Davvero? Questa non l’avevo mai sentita! Piuttosto, mangiare il gelato quando fa freddo significa rischiare una congestione >>
Igor sospirò pesantemente quando Zoe gli tirò rigorosamente la manica della giacca.
<< Andiamo! Cioccolata? Panna? Banana? >> Lo stuzzicò lei pizzicandolo sul fianco.
<< Puffo e pistacchio >> Brontolò lui rivolgendole un’occhiataccia accompagnata da uno strano sorriso accennato agli angoli della bocca, Zoe ridacchiò divertita e lo strascinò verso il primo bar ancora aperto nonostante l’orario.
Dieci minuti dopo, camminavano lentamente uno accanto all’altro con un cono stretto tra le mani congelate e la gente ancora per strada che si girava a fissarli stranita.
Igor era piuttosto sicuro che avrebbe vomitato, lo stomaco ululava per la sofferenza e riempirlo con altro cibo non era sicuramente la soluzione migliore, ma non voleva dirlo a Zoe, non voleva che si preoccupasse inutilmente.
Stranamente, non voleva che lei smettesse di dire stupidaggini e di proporre cose assurde.
Quando aveva visto quella stessa sera, poche ore prima, reagire Enea in quel modo violento, quando aveva sentito montare la rabbia alle parole di quello sconosciuto, aveva provato una stranissima sensazione, una sensazione che non conosceva prima …
Una strana euforia che gli aveva fatto vibrare tutte le cellule.
<< Hai parlato con Telemaco dopo lo spettacolo? >>
Domandò Zoe pulendosi le mani dalle ultime briciole.
Igor mise in bocca il pezzo finale del cono e annuì leggermente, pulendosi a sua volta le mani, aveva le dita attaccate a causa del gelato che era colato lungo i bordi.
<< Oh, Igor guarda! Guarda che bello! >>
Zoe lo afferrò velocemente per il braccio e lo strattonò con euforia, facendogli talmente male che Igor si lasciò sfuggire un imprecazione non troppo silenziosa quando lei gli tirò la pelle con dei pizzicotti non troppo gentili.
La gioia di Zoe era stata causata da due montagne di neve raccolte all’interno del parco che stavano attraversando in quel momento, la ragazza le guardava con gli occhi luminosi e curiosi di una bambina, un sorriso a trentadue denti sulle labbra e le mani giunte come in preghiera, Igor ebbe una bruttissima sensazione quando Zoe si girò a guardarlo.
<< Arrampichiamoci! Vediamo chi riesce a salire sulla cima? >>
Igor trasalì e si passò distrattamente una mano sul braccio ancora dolorante.
<< Sei matta?! Prima di tutto, qualcuno avrà lavorato tutto il giorno per ripulire il parco da quella roba, e poi, ci verranno i geloni! Non abbiamo mica il necessario per … >>
<< Chi arriva per ultimo è un babbeo! >>
Zoe non lo fece nemmeno terminare la frase che si slanciò con impeto verso la montagnola di neve alta pochi metri, non appena tentò di scalarla sprofondò con i piedi fino alle ginocchia e strillò dalla sorpresa, ad Igor prese un colpo quando la vide affondare anche con la faccia, scattò verso di lei senza nemmeno rendersene conto …
Si arrampicò con fatica sul cumolo di neve affondando a sua volte in vari punti cedevoli, quando raggiunse Zoe, lei era riemersa e aveva la faccia tutta bagnata con alcuni cristalli di ghiaccio ancora incastrati nel cappello e sui capelli umidi.
Rideva come una bambina ed Igor era incredulo.
<< Non ti lascio mica arrivare per primo, sai? >>
Esclamò con un’allegria eccessiva, dandogli un altro pizzico sul braccio dolorante e continuando la scalata, Igor la guardò con la bocca spalancata e un’incredulità spiazzante sul viso, non sapeva se arrabbiarsi con lei o con se stesso per aver compiuto quell’atto sconsiderato senza riflettere.
Poi si rese conto che non gliene fregava niente.
<< Ah si? E’ vero che non sono molto atletico, ma sono maschio! Ho una dignità da difendere io! >> Sbottò con forza, e immediatamente dopo si aggrappò alla caviglia di Zoe e la tirò leggermente giù, facendola precipitare di qualche centimetro nella neve, la ragazza perse l’equilibrio e profondò con i palmi delle mani imbrattandosi tutti i guanti.
<< Ehi, sei un imbroglione! >> Strepitò agitando convulsamente le braccia ghiacciate.
<< In guerra tutto è lecito >> L’apostrofò Igor ridacchiando divertito, Zoe sorrise e lo osservò per alcuni istanti mentre tentava inutilmente di raggiungere la cima, non l’aveva mai visto ridere tanto, lasciarsi andare nonostante avesse i jeans zuppi di neve, i capelli umidi e le mani in stato di ipotermia imminente.
Sembrava un ragazzo completamente diverso, un ragazzo che aveva lasciato andare quei freni invisibili che lo avevano tenuto legato fino a quel momento, anche se solo per quell’istante, anche se solo per quel momento.
Aveva sempre saputo che dietro vi era molto di più, dietro quell’insicurezza, dietro quelle barriere si nascondeva un mondo che aveva tutta l’intenzione di far venire fuori.
<< Ah si? >> Si acquattò sulla neve come un gatto pronto a scattare, e quando balzò andò tutto storto, sprofondò con il piede, cadde bocconi afferrando Igor per una gamba e rotolarono entrambi fino a ritrovarsi nuovamente al punto di partenza, con la neve sparsa ovunque intorno, bagnati fino al midollo e il fiato corto.
Avevano entrambi le braccia spalancate nella posizione dell’angelo.
<< E’ stata la cosa più stupida che abbia mai fatto in tutta la mia vita >>
Commentò Igor con un filo di voce, ma nel silenzio nella notte che avanzava le parole risuonarono chiare e forti, e lui si rese conto per la prima volta che probabilmente era proprio vero, che Zoe lo aveva trascinato senza che lui ci riflettesse troppo …
E non era stato così male.
Non poteva essere stato un male se si sentiva scoppiare di vita.
La fitta allo stomaco arrivò inaspettata, l’adrenalina gli aveva fatto dimenticare il dolore per un breve momento, ma quando si tirò su con uno scatto repentino, non poté fare altro che piegarsi in avanti e vomitare.
<< Oddio Igor! Non ti senti bene?! >>
Zoe fu immediatamente al suo fianco, gli poggiò una mano sulla fronte e Igor si imbarazzò, si imbarazzò perché non voleva che lei lo vedesse rimettere, non era tra le prima cose che avrebbe voluto succedessero nella lista dei suoi desideri, si scostò leggermente e ripulì la bocca con della neve raccolta dal’ex cumulo.
<< La pizza … mi era rimasta la pizza sullo stomaco >>
Commentò distrattamente distogliendo lo sguardo quando Zoe, inginocchiata al suo fianco, lo guardò dritto in faccia, con occhi sgranati e le sopracciglia aggrottate.
<< E hai mangiato lo stesso il gelato?! Igor! Dovevi dirmelo, non avrei insistito così tanto, non mi sarei comportata come una bambina capricciosa … >>
Senza rendersene conto, nella foga del discorso, Zoe aveva afferrato il colletto del giubbotto di Igor e l’aveva costretto a far si che i loro visi fossero piuttosto vicini.
<< Hai visto? Te l’avevo detto che mi sarebbe venuta una congestione >>
Mormorò Igor cercando in tutti i modi di spostare il viso, era imbarazzato, aveva appena rimesso, la gola gli ardeva come fuoco e lo stomaco era ancora dolorante, non voleva che Zoe gli stesse così vicina … Si vergognava.
Tuttavia, quando lei sgranò gli occhi, che le si riempirono di lacrime, e cominciò a tremare, Igor fu costretto a sostenere lo sguardo e ad accigliarsi per la sorpresa.
<< Hai una congestione? Oddio, è tutta colpa mia … >>
<< Ehi, ehi Zoe! >> Esclamò Igor afferrandola per i polsi quando lei fece per prendere il cellulare borbottando di chiamare un’ambulanza e altre cose simili << Zoe, scherzavo, sto scherzando. Non starei certo così se avessi avuto davvero una congestione. Si tratta solo di una cattiva digestione, sta tranquilla >>.
Zoe si bloccò quando sentì quelle parole, con la bocca spalancata e gli occhi ancora lucidi, poi aggrottò le sopracciglia quando lui sorrise timidamente e gli mollò un cazzotto in testa.
<< Tu che fai uno scherzo del genere a me?! Si è capovolto il mondo? >>
<< Ahi >> Si limitò a commentare Igor, massaggiandosi la testa.
Ma non riusciva ad arrabbiarsi, non riusciva ad arrabbiarsi più, perché gli sembrava di essere stato stupido per tutta la sua vita fino a quel momento, perché gli sembrava di aver sbagliato tutto con Zoe, e tutto sommato perché era sollevato …
Era sollevato che alla fine lei non fosse solo ciò che aveva temuto.
Quel giorno, quando le aveva riversato addosso tutte quelle cattiverie, Igor aveva avuto paura ancora prima di quando fosse necessario averne, aveva avuto talmente paura di restare ferito, di lasciarsi scoprire, che aveva eretto una barriera piuttosto solida.
E quella sera, in quel momento, ringraziava con tutto il cuore quella ragazza che non si era arresa con lui nemmeno per un istante, anche se probabilmente non gliel’avrebbe mai detto.
<< Grazie >> La parola sussurrata da Zoe lo strappò dai suoi pensieri, si irrigidì quando lei appoggiò la fronte sulla sua, in quella posizione non poteva vederle gli occhi, ma percepiva il suo intenso odore alla vaniglia << Grazie … per esserti fidato di me, e per aver preso il gelato anche se stavi male >>.
Igor avrebbe voluto scostarla e rispondere in maniera evasiva, ma si trattenne.
<< Non … non sono bravo a fidarmi degli altri, faccio fatica ma … ma insomma, ho pensato che dopotutto sai davvero creare legami profondi >>
E se anche un giorno tu dovessi ferirmi, non ti direi nulla.
Non potrei dirti più nulla ormai.
<< Davvero? >>
Zoe sollevò la fronte e i loro nasi si toccarono, Igor trattenne il respiro e distolse immediatamente lo sguardo, allontanandola leggermente da se.
<< Adesso è meglio se torniamo a casa … sarà mezzanotte passata ormai >>
<< Igor … ti imbarazza starmi vicino perché hai vomitato? >>
La domanda diretta lo fece trasalire e arrossire violentemente, non rispose, ma anche se avesse voluto non ne sarebbe stato in grado, perché Zoe lo afferrò per il colletto della giacca, lo tirò verso di se e gli stampò un bacio a timbro sulle labbra.
Igor si portò le mani sulla bocca e diventò paonazzo.
<< Ma sei impazzita?! Non ho mica l’alito che profuma di rose dopo aver rimesso! >>
Quelle parole gli uscirono con spontaneità, senza controllo, e nell’imbarazzo più totale Igor si rese conto che con Zoe gli capitava spesso.
<< E io ho mangiato della pizza con la cipolla >>
Disse lei ridacchiando, e lo baciò di nuovo senza che Igor potesse replicare.
 
Cristiano avrebbe voluto alzarsi da quel divano, ma non ci riusciva.
Non riusciva a muovere nemmeno un muscolo, non riusciva ad avere il controllo del suo corpo, lo sentiva stanco, pesante, spossato, e non aveva importanza la sua volontà.
Non aveva importanza che cercasse di alzarsi con tutto se stesso, che cercasse di tirarsi in piedi per andare a mangiare qualcosa, per andare a fare una doccia, o semplicemente per controllare che le gambe funzionassero ancora.
Non aveva importanza perché tanto non ci riusciva.
Lasciò sprofondare maggiormente la faccia nel cuscino rabbrividendo di freddo, si rannicchiò maggiormente in posizione fetale e aprì gli occhi osservando con apatia quel macabro color viola malva del vecchio divano di famiglia.
L’odore d’alcool che ancora impregnava la stoffa aveva smesso di dargli fastidio parecchie ore prima, Cristiano trovò piuttosto ironica quella situazione, era rimasto bloccato proprio sul divano dove sua madre aveva passato gli ultimi anni della sua vita.
Stesa tra i cuscini, con le calze bucate e una bottiglia sempre tra le mani.
Cristiano non ricordava il profumo di sua madre, non ricordava il suo sorriso, non ricordava nessuna parola gentile, non ricordava proprio nulla, quello che restava della sua infanzia non era nient’altro che quella puzza d’alcool sbiadita.
<< Che stai facendo sul quel divano? >> Cristiano nemmeno sobbalzò o sollevò la testa quando la voce di Emanuele Serra ruppe il silenzio della stanza, lui se ne stava rinchiuso e steso su quel divano da due giorni, e suo padre se ne rendeva conto solo in quel momento.
<< C’è aria viziata qui dentro! Alzati, domani vengono a ritirare il divano per sostituirlo con uno nuovo … non voglio più sentire quella puzza d’alcool ovunque >>
Sarebbe finita lì probabilmente, Cristiano non avrebbe risposto, Emanuele se ne sarebbe fregato e la conversazione sarebbe terminata in quel preciso istante, ma una voce, una voce femminile che Cristiano aveva sentito gemere e strillare tante volte nello studio del padre attirò la sua attenzione e spezzò la sua apatia.
<< Si, il divano che ho scelto starà decisamente bene in questa stanza >>
La donna aveva una voce giuliva e fastidiosa, con un accento straniero, ed era già lontana quando la rabbia di Cristiano sgorgò rompendo una diga invisibile che aveva nel cuore.
Non gli importava che suo padre si scopasse quella tipa, non gli importava che la portasse a casa, né che perdesse il posto di sua madre, l’aveva già fatto da tempo ormai, ma non avrebbe permesso che quel poco che aveva ancora di lei venisse infangato.
Anche se si trattava di un sudicio divano vecchio d’anni che puzzava d’alcool.
<< Questo divano non si muove di qui, di alla tua puttana di giocare all’arredatrice da un’altra parte. Hai tanti soldi, no? Comprale una casa, così rompe altrove >>
Cristiano pronunciò quella frase con decisione, continuando a starsene steso sul divano sotto la sua coperta di plaid, quella che gli aveva fatto Marta quando era bambino cucendo insieme tanti pezzettini di stoffa dei suoi vestiti da neonato. Doveva sembrare patetico agli occhi di suo padre, con quel pigiama vecchio e consumato, i capelli arruffati e senza la forza nemmeno per tirarsi in piedi e guardarlo negli occhi.
Emanuele Serra fece qualche passo nella stanza con le sue scarpe firmate, ma Cristiano sapeva che non si sarebbe avvicinato troppo, non poteva vederlo, ma non faceva fatica ad immaginarlo in un completo gessato, con le braccia incrociate al petto e un sorriso ironico sulle labbra sottili, quel sorriso che Cristiano aveva ereditato alla perfezione.
<< Oh, ma come facciamo il sentimentale. Non trovi piuttosto, che la casa sia più tranquilla adesso? Ah, a proposito, non sei andato a scuola nemmeno oggi vero? Non usare la scusa di tua madre per saltarla >>
Anche quando rimase da solo nel salotto Cristiano non provò niente.
Perché, perché non provo nulla?
Perché?
Cosa c’è che non funziona nella mia testa?
<< Oh, accidenti! >>
Cristiano venne bruscamente strappato dai suoi pensieri quando un fracasso terribile spezzo il silenzio opprimente di quella stanza, saltò a sedere sul divano in tutta fretta e posò gli occhi sulla piccola figura di Marta, china sulla porta con le mani nei capelli per aver lasciato cadere due scatoloni pieni di roba su cui Cristiano non soffermò la propria attenzione nemmeno per un solo istante.
<< Cosa stai combinando Marta? >> Borbottò il ragazzo grattandosi la nuca.
<< Signorino?! Mi dispiace di averla svegliata … io … io ho visto il signor Emanuele uscire in compagnia di … si, insomma, ho pensato che fosse il momento giusto per … >>
Marta guardò con aria imbarazzata il disastro che aveva lasciato sul pavimento, arrossì e si chinò per raccogliere le cose, fu a quel punto che Cristiano prestò più attenzione e notò un mucchio di album fotografici, videocassette, vestiti, profumi e gioielli …
I gioielli di sua madre.
<< Lascia stare Marta, raccolgo io >>
Fu sorpreso lui stesso di quel pensiero, e senza nemmeno che se ne fosse reso conto aveva già poggiato i piedi scalzi sul tappeto freddo e si era tirato in piedi, il plaid era scivolato per terra, le gambe gli tremavano come se fossero fatte di gomma e sentiva la pesantezza partirgli da dietro la nuca e scendere fino alla punta dell’alluce.
<< Ma … signorino suo padre … >>
Marta lo guardò con occhi spalancati e aria timorosa, Cristiano avanzò verso di lei con passo strascicato e pesante, fino a chinarsi accanto a lei per toglierle la foto dalle mani.
<< Non mi intessa di quello che dice mio padre … lascia fare a me >>
Marta se ne andò facendo un leggero inchino con la testa, quando Cristiano rimase da solo nella stanza semibuia, si domandò perché avesse avuto l’impulso di curiosare tra le cose di sua madre. Sospirò pesantemente e cominciò a raccogliere gli abiti e a ripiegarli con cura nello scatolone, quando ebbe finito passò ad ispezionare le videocassette e gli album fotografici, probabilmente li avrebbe messi via senza badarvi troppo se non avesse letto su una delle cassette la scritta: Cristiano, 1 anno.
Non sapeva che avessero fatto dei video di quando era bambino.
Accigliandosi raccolse tutte le videocassette, gli album fotografici e si trascinò verso il televisore, appoggiò tutto il materiale sul tavolino, sistemò la ripresa nel registratore vecchio di anni e si mise seduto in posizione indiana sul soffice tappeto.
Sentì vagamente in lontananza il suono del campanello, ma non gli importava chi fosse.
Perché sua madre aveva tutte quelle cassette che lui non aveva mai visto?
Ne erano tantissime, e si fermavano più o meno a quando lui aveva l’età di sette anni.
Afferrò il telecomando e fece per schiacciare il tasto play quando la porta della stanza si aprì lentamente facendo riversare un fascio di luce nella stanza che lo illuminò in pieno.
Spostando gli occhi su Sonia, Cristiano non poté fare a meno di pensare che fosse proprio bella con quelle calze nere troppo trasparenti che gli mettevano in mostra le gambe lunghe e sinuose, la gonna rossa a tubino, quella maglietta che lasciava intravedere il reggiseno rosso in controluce e i lunghi capelli ricci e neri che ricadevano sulle spalle.
Non poteva arrabbiarsi, non poteva risponderle male, cacciarla.
Non poteva farlo se continuava a desiderarla in quel modo, sarebbe stato da ipocriti.
<< Cosa stai facendo qui dentro? Sono giorni che non ti fai vedere … >>
Commentò a mezza voce Sonia, mentre avanzava nella stanza, il rumore dei tacchi dei suoi stivaletti venne attutito quando passò sul tappeto fino a chinarsi accanto a lui.
Sonia profumava di vaniglia e qualcos’altro, accanto a lui sembrava un fiore fresco.
<< Ho trovato queste videocassette tra le vecchie cose di mia madre >> Sonia contrasse le sopracciglia quando sentì la voce di Cristiano roca e stanca << Le stavo per guardare, quindi adesso fa silenzio >>
Sollevando il braccio destro premette finalmente il pulsante play e il video partì sfrigolando leggermente, lasciando alcune macchie sullo schermo come se fosse molto vecchio, quando le immagini si fecero più chiare sullo schermo apparve un bambino, un bambino con una folta chioma di capelli scuri e selvaggi che stava giocando distrattamente con delle costruzioni, indossava solamente un pannolino un po’ ingombrante e una canottiera azzurra troppo grande per le sue spalle piccole.
Cristiano, che cosa stai facendo?”
Sia Cristiano che Sonia trasalirono quando sentirono la voce di Emanuele Serra, era meno roca, meno severa, era la voce di un ragazzo, la voce di un uomo che registrava con orgoglio suo figlio. Il bambino sollevò distrattamente la testa e puntò gli occhi da cerbiatto castani sulla telecamera, due occhi intelligenti che brillavano.
Cristiano, vieni a dare un bacio alla mamma?! “
Il Cristiano più adulto, quello che sedeva su un vecchio tappeto diciassette anni più grande, trasalì quando sentì quella voce fuori campo, lontana come se provenisse da un’altra stanza.
Era la voce di sua madre, una voce carica di vita, allegra.
Vide il se stesso di un anno tirarsi faticosamente in piedi con quelle gambe paffutelle ed instabili, lo vide incamminarsi con fatica lungo un corridoio familiare ed entrare nella cucina dove una bellissima donna in pantaloncini e canottiera stava cucinando qualcosa.
Cristiano non ricordava che sua madre fosse così bella.
Margherita Serra lasciò immediatamente andare ciò che stava facendo e si chinò per accogliere il figlio, lo prese tra le braccia e il bambino le afferrò immediatamente le guance con le mani paffutelle per darle un bacio.
“ Guarda com’è ubbidiente il mio bambino”
Margherita rise genuinamente, strinse Cristiano tra le braccia facendogli il solletico sul pancino e lui rise, rise tantissimo, fino a quando stanco non nascose la faccia sulla spalla della madre, stringendola forte.
La registrazione si interruppe in quel momento, lasciando lo schermo in blu.
<< C – Cristiano? >>
Il ragazzo trasalì quando Sonia allungò una mano e gli sfiorò una guancia trovandola bagnata, lui gliela scostò leggermente e si toccò il viso.
<< Ah >> Commentò risalendo con le dita fino agli occhi << Ah >> Lasciò cadere le mani sul pantalone e strinse forte la stoffa << Ahi >> Disse con voce strozzata passando a stringersi il petto all’altezza del cuore, Sonia aveva gli occhi velati di lacrime mentre lo vedeva chinarsi in avanti come se stesse invecchiando di colpo << Mamma … >> Cristiano strinse i denti e si lasciò cadere sulle ginocchia di Sonia << Mamma … >> Le bagnò la gonna di lacrime, mentre lei gli accarezzava con mani tremanti i capelli mossi e crespi << Torna qui … farò il bravo, te lo prometto … non urlerò più, mi prederò cura di te … ma torna. Torna! >>
Sonia trattenne a stento un singhiozzo, non doveva piangere, doveva essere forte.
<< Ci sono io qui, sta tranquillo >> Sussurrò con voce rotta.
Cristiano pianse fino a quando non si addormentò sulle sue gambe.
 
<< Vuoi stare fermo?! >>
<< Mi fai male maledizione! Togli immediatamente quelle manacce! >>
<< Ma … >>
<< Basta! >>
Beatrice allontanò immediatamente le mani quando Enea alzò la voce e batté con violenza le mani sullo sterzo della macchina, sospirò pesantemente e guardò con occhi stanchi quel fazzolettino sporco di sangue che aveva inutilmente tentato di passargli sul labbro spaccato.
<< Va bene … mi dispiace >>
Enea strinse forte le mani intorno al volante quando sentì quelle due parole sussurrate, sapeva benissimo che non avevano nulla a che fare con le sue ferite, vi era molto di più dietro, eppure in un certo senso le trovava assolutamente sbagliate.
Era mezzanotte passata e se ne stavano rinchiusi in quell’auto da ore ormai.
<< Beatrice, adesso devi … >>
<< Lo so! >>
La risposta di Beatrice fu talmente repentina e violenta che Enea sospirò pesantemente, lasciò andare la stretta intorno al volante e le nocche bianche ripresero colore, spostando lo sguardo oltre il finestrino incrociò le braccia al petto, sollevò le ginocchia e le appoggiò sul cruscotto assumendo una sorta di posizione fetale.
Beatrice era piuttosto sicura che Enea la stesse chiudendo fuori dai suoi pensieri.
<< Sei arrabbiato vero? Sei arrabbiato e stai sicuramente pensando che sono una stupida. Nella tua testa non fai altro che pensare:” Come ha fatto ad andare a letto con un tipo del genere? Mi fa proprio schifo!”, giusto? >>
Beatrice aveva pronunciato quelle parole con voce apatica, come se non le facessero nessun effetto, Enea si girò a guardarla e notò come impercettibilmente stesse stringendo il bordo della maglietta, le mani erano bianche per la tensione.
<< Sei davvero una scema, sai? >> Beatrice sussultò quando sentì quelle parole, strinse ancora più forte le mani e si accigliò << Che io sia arrabbiato mi sembra piuttosto ovvio! Non ho mai tirato tanti pugni in vita mia, è la prima volta che faccio a botte con qualcuno. Cos’è quella faccia? Non mi credi? >> Enea sollevò distrattamente una mano e pizzicò leggermente la guancia sinistra di Beatrice, lei lo guardava con gli occhi sgranati e le sopracciglia aggrottate << Non esserne sorpresa, non sono una persona violenta … ma … ma non ho mai pensato che tu mi facessi schifo. Non potrei pensarlo mai, perché tu l’hai fatto invece? >>
Il pizzico di Enea si sciolse lentamente e si trasformò in una rude carezza, accennata giusto con la punta delle dita, poi il ragazzo allontanò la mano e tornò a volgere lo sguardo oltre il parabrezza, sulla strada deserta all’angolo della strada dove abitava Beatrice.
<< Perché al posto tuo l’avrei pensato Enea >>
<< Tsk, solo perché per una volta sola sei andata a letto con lui? Hai idea di quante ne abbia cambiate io? Tu sei un angioletto al mio confronto >>
Beatrice sobbalzò leggermente, Enea la stava guardando dritto negli occhi, come a sfidarla.
<< Come hai fatto a capire che era stata solo una volta?! >>
<< Perché non ho creduto alle parole di quel tipo nemmeno per un secondo. L’ho capito perché anche io so piuttosto bene come fare ad irritare le persone >>
Beatrice avrebbe preferito che Enea gridasse, si arrabbiasse, sbraitasse e sbattesse le mani sul volante piuttosto che vederlo rispondere con quella sicurezza e quell’aria seria, con quella fiducia negli occhi che le faceva solamente venir voglia di abbracciarlo.
<< Ok … ho conosciuto Mirko al terzo anno di liceo >> Beatrice sospirò profondamente prima di pronunciare quelle parole, ma Enea non disse nulla, si limitò a non guardarla per lasciarle tutto lo spazio di cui aveva bisogno << Lui era quel classico ragazzo bello che volevano tutte, grande, popolare, sportivo … era stato con tantissime ragazze diverse, ma io avevo creduto davvero che con me sarebbe stato diverso. Perché ero una stupida >> Beatrice smise di parlare e respirò profondamente per darsi forza, aveva i ricordi che le ballavano davanti agli occhi ed Enea avrebbe tanto voluto stringerle una mano, ma sapeva che non era quello il momento, non era il momento giusto per farlo << All’epoca ero piuttosto vanitosa, l’avresti mai detto? Credevo che andare bene a scuola, essere bella e avere un fidanzato popolare avrebbero fatto di me una persona felice. E io ero davvero innamorata di Mirko … e non mi importava di far finta di non sapere quante volte mi aveva tradita o di quando si faceva beffa di me con i suoi amici … >> Beatrice ridacchiò ironicamente di se stessa, le si dipinse sulle labbra un sorriso talmente amareggiato che l’umore di Enea ne risultò contagiato per estensione << E poi ha cominciato ad insistere perché facessi sesso con lui … io non volevo. Non volevo e non sapevo perché. Mirko non ha preso bene il mio rifiuto, mi diceva che non lo amavo, mi diceva che l’avrei perso andando avanti in quel modo, si faceva trovare con altre ragazze apposta, mi umiliava davanti a tutti, urlava e insisteva … insisteva talmente tanto che alla fine gli ho detto di si! >>
Enea rabbrividì quando Beatrice smise di parlare, rabbrividì fino alla radice dei capelli, lei era scossa dai tremori, si era rannicchiata nel suo posto senza nemmeno rendersene conto e aveva chiuso gli occhi umidi di lacrime per controllarsi.
<< Beatrice, ho capito, va bene co … >>
<< Gli ho detto di si, ma non volevo! Mi ha pressato così tanto, voleva lasciarmi … e io non sapevo cosa fare >>
<< Ho detto basta! >>
Enea le afferrò i polsi e la costrinse a guardarlo negli occhi facendola girare verso di lui, il gesto fu talmente brusco che una lacrima solitaria cadde sulla guancia di Beatrice, Enea non aveva idea di cosa fosse una violenza psicologica, non ne aveva mai fatto esperienza … e sapere che la sua Beatrice avesse affrontato tutto quello … che fosse cambiata così tanto … gli faceva prudere le mani dalla rabbia.
<< Ho detto basta. Non ho bisogno di sapere altro, io ho capito tutto >>
<< E’ … è per questo che me ne sono andata. Ho cambiato scuola, l’ho lasciato, sono diventata un’altra persona … è per questo che ho avuto paura di te tante volte. Non mi odi? Non pensi che io sia una stupida? >>
<< Zitta! >> Enea pronunciò quella parola con una tale forza che Beatrice ammutolì immediatamente << E’ vero, sei un’altra persona, sei più cauta, non sorridi mai, ti fai toccare raramente e sei fredda, per diventare così hai dovuto soffrire, ma alla fine non ci pensi? >>
Enea le lasciò i polsi, appoggiò le mani sulle sue spalle fragili e sorrise, sorrise talmente tanto che gli spuntarono le fossette sulle guance, sorrise come Beatrice non l’aveva mai visto fare.
<< Sei diventata così … per incontrare me. Per sperimentare un amore del tutto diverso >>
Beatrice si portò entrambe le mani sulla bocca e lasciò scendere qualche lacrima, Enea decise che era arrivato il momento giusto per poterla stringere, riusciva a capire molte più cose, riusciva finalmente a capirla meglio, a capire quanto forte e coraggiosa fosse la sua ragazza.
A capire che doveva darle tutta la sua forza, tutta la sua fiducia.
<< Enea … >> Sussurrò Beatrice dopo alcuni minuti di silenzio.
<< Mmh >>
<< Cos’è questa storia che “ne hai cambiate così tante”? >>
<< Ehm … >>
 

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Effe_95

Buon pomeriggio a tutti :)
Allora, vi chiedo scusa se ho impiegato tutto questo tempo per postare il capitolo, ma la sessione invernale degli esami è stata piuttosto impegnativa.
E poi, il capitolo non è stato per nulla facile da scrivere, probabilmente mi sono complicata la vita da sola xD E' un po' più lungo del normale, e spero davvero che non sia troppo pesante da leggere, avevo addirittura pensato di spostare la parte di Beatrice ed Enea ad un capitolo successivo, ma ho pensato che non sarebbe stato giusto per chi aspettava.
Comunque, nel caso fosse davvero troppo pesante, vi chiedo perdono.
Allora, è venuto fuori il segreto di Beatrice.
Adesso, dopo tutti questi capitoli in cui vi ho fatto aspettare, spero proprio di non avervi deluso.
Ho voluto far vedere quanto fosse cambiata Beatrice, quanto una relazione sbagliata l'abbia trasformata in quello che è. Quanto ha dovuto lottare e soffrire.
So che magari ho tirato fuori un argomento un po' delicato, ma credo davvero che a volte le persone sbagliate possano ferirci fino a trasformarci.
Spero vivamente di non essere stata superficiale, di non essere stata irrispettosa e di aver fatto un buon lavoro, se così non fosse fatemelo sapere.
Grazie mille come sempre a tutti per il supporto.
Alla prossima :)
 
 
  
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