Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: bemyronald    26/02/2016    8 recensioni
«Hermione guardò l'orologio da polso per quella che doveva essere almeno la decima volta nel giro di cinque minuti. Era tardi, incredibilmente tardi e di Ron neppure l'ombra. Era seduta ad un tavolo di un elegante ristorante nel cuore di Londra, la sera di san Valentino, da sola. Si sentiva stupida, tremendamente stupida. Sbuffò voltandosi verso la porta che udì aprirsi, un'altra coppia sorridente faceva il suo ingresso nel locale. Nemmeno per sbaglio Ron avrebbe varcato quella soglia. Se lo sentiva.
Quando una ciocca di capelli le ricadde sul naso, sfuggendo nuovamente dall'acconciatura, capì che era arrivato il momento di smettere di aspettare la sua dolce metà e di caricarsi per una bella sfuriata, susseguita da giorni di mutismo ed indifferenza nei suoi confronti. [...] Non riusciva a star ferma né tanto meno seduta. Era furiosa. Ma più di qualsiasi altra cosa, era ferita nel profondo»
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Una persona che ha cura di un’altra
rappresenta il più grande valore della vita
»
- Jim Rohn

Image and video hosting by TinyPic

Hermione guardò l'orologio da polso per quella che doveva essere almeno la decima volta nel giro di cinque minuti. Era tardi, incredibilmente tardi e di Ron neppure l'ombra.
Era seduta ad un tavolo di un elegante ristorante nel cuore di Londra, la sera di san Valentino, da sola. Si sentiva stupida, tremendamente stupida. Sbuffò voltandosi verso la porta che udì aprirsi, un'altra coppia sorridente faceva il suo ingresso nel locale. Nemmeno per sbaglio Ron avrebbe varcato quella soglia. Se lo sentiva.
Quando una ciocca di capelli le ricadde sul naso, sfuggendo nuovamente dall'acconciatura, capì che era arrivato il momento di smettere di aspettare la sua dolce metà e di caricarsi per una bella sfuriata, susseguita da giorni di mutismo ed indifferenza nei suoi confronti. Afferrò con rabbia la borsa e dopo essersi infilata il cappotto, si scusò col cameriere per aver occupato un tavolo inutilmente. 
Uscita dal ristorante il gelo della città la investì, ma Hermione era talmente arrabbiata e immersa nei suoi pensieri da non accusare il minimo brivido di freddo. Infilatasi in uno stretto vicolo deserto, si Smaterializzò.
«Un biglietto» borbottò a denti stretti, come se si stesse trattenendo dall'esplodere. «Un solo misero biglietto... ricevuto ore e ore fa. Sono una stupida. Una maledetta stupida» sbottò, togliendosi frettolosamente la sciarpa e il cappotto, cominciando a marciare avanti e indietro per la stanza. Non riusciva a star ferma né tanto meno seduta. Era furiosa. Ma più di qualsiasi altra cosa, era ferita nel profondo. Non le importava niente di san Valentino, non era un capriccio, dopotutto era solo una stupida festa. Ciò che le faceva male, era la spaventosa indifferenza dimostrata da Ron. Si passò una mano sulla faccia, avrebbe preferito scoppiare a piangere, avrebbe preferito liberarsi da quella rabbia incontrollata che le attanagliava lo stomaco, ma non si sarebbe fatta trovare in lacrime da Ron.
Inspirò ed espirò, una volta, poi due, cercando di tenere a bada le emozioni. Una mano andò a poggiarsi sul tavolino posto vicino al divano, sfiorando un biglietto. Quella era stata l'unica misera considerazione della giornata da parte di Ron.

Amore,
mi dispiace dirti che mi hanno appena assegnato ad una squadra per una di quelle missioni dell'ultimo secondo.
Tarderò, ma non di molto, ti raggiungerò al ristorante. Per niente al mondo mi perderei la nostra serata.
Non vedo l'ora di stare con te.
Tuo,
Ron


La prima cosa che fece, impulsivamente, fu accartocciare il messaggio che finì dritto nella pattumiera. Sentiva crescere la delusione dentro di sé, ricominciò a tremare di rabbia.
Il suo pensiero era rivolto in particolare ai colleghi di Ron, che erano soliti riunirsi per festeggiare le loro missioni riuscite, e proprio l'idea che Ron l'avesse completamente dimenticata, preferendo qualche bicchiere di Whisky Incendiario di troppo, le faceva bruciare le viscere. Una sola lacrima, carica di collera, le solcò la guancia arrossata. La scacciò via, con la stessa furia che sentiva montargli dentro.
Con una mano si accarezzò il ventre. Il senso di colpa l'assalì. Sapeva benissimo quanto facesse male ad entrambi provare emozioni tanto forti e negative.  
Qualche attimo più tardi, udì delle voci in giardino. Riconobbe all'istante la voce di Ron, in compagnia di qualcuno.
Quando aprì la porta, la prima cosa che vide le fece letteralmente mancare il fiato.
«Ron» disse in un sussurro soffocato, portandosi una mano alla bocca.
Ron aveva il volto tumefatto: un livido gli circondava l'occhio destro, che faceva fatica a tenere aperto, ne aveva un altro sullo zigomo gonfio e un taglio gli attraversava la guancia.
«Mai stato più bello di così» scherzò Ron, con una smorfia di dolore.
Hermione rimase pietrificata a fissarlo, senza dire una parola, sembrava non essersi nemmeno accorta della presenza del collega di Ron.
«Ah, sta' zitto» sbottò quest'ultimo scuotendo il capo. Era alto quanto Ron, ma decisamente più robusto e doveva avere almeno dieci anni di più rispetto ai due ragazzi.
«Hermione» disse, voltandosi verso la ragazza, con un sorriso gentile. «Oggi abbiamo avuto qualche... ehm... problema con qualcuno che pensa che la Magia Oscura sia il passatempo perfetto... be', ecco, Ron insiste col dire che sta bene, che non ha bisogno di una visita al San Mungo, nonostante sia la prassi. Il capo ha insistito che lo accompagnassi in modo da...»
«Mike, sto bene, sono solo lividi e tagli che posso benissimo curare da solo a casa, perché allarmarsi tanto? Chi se ne importa della prassi» borbottò Ron. «Avete già Dane in quello stato, pensate a lui, piuttosto»
Mike gli lanciò un'occhiataccia per poi rivolgersi nuovamente a Hermione.
«Puoi assicurarti che stia bene, Hermione? Mi fido di te»
Hermione lo fissò per un paio di secondi, ancora visibilmente sconvolta.
«Hermione, ti senti bene?» le chiese Ron, con una nota di preoccupazione nella voce.
«Io... sì... sì, certo» disse, scuotendo lievemente il capo. «Provvederò, non ti preoccupare»
«Bene. Per qualsiasi cosa, contatta il Centro Auror» la rassicurò, poi si voltò verso Ron fulminandolo con uno sguardo serio.
«Sì, sì, tranquillo» fece lui stancamente. L'Auror li salutò, per poi sparire dalla loro visuale.
La ragazza fu la prima ad entrare in casa e non appena Ron si chiuse la porta alle spalle, parlò con tono autoritario.
«Spiegami. Subito»
«Hermione» cominciò debolmente Ron, avvicinandosi a lei. «Tesoro... mi dispiace davvero tanto... non ho dimenticato l'appuntamento, te lo giuro... ho solo avuto...»
«Spiegami perché non sei andato subito al San Mungo nelle tue condizioni!» la voce di Hermione salì di un tono.
«Oh» fece Ron, leggermente sorpreso. «Io... ecco, io non volevo...»
«Anzi, no» lo interruppe bruscamente. «Sta' zitto e fermo, fammi dare un'occhiata»
«Hermione, non c'è bisogno di...» Ron tentò di deviarla, ma invano.
«E credi che io ti faccia andare a letto così? A malapena ti reggi in piedi!»
Non c'era rabbia nel suo tono austero, dalla voce tremolante traspariva angoscia.
«Hermione...»
«Ron. Ho detto di farmi dare un'occhiata, non discutere» ripeté, avvicinandosi a lui. Ron sbuffò, istintivamente sollevò il braccio destro per aprire il primo bottone della giacca della sua uniforme. Ma il gesto fu alquanto breve e il braccio ricadde subito lungo il fianco, mentre lui impallidiva e serrava i denti. Alzò immediatamente il braccio opposto, ma ovviamente il gesto non passò inosservato a Hermione.
«Non...» Hermione deglutì, l'espressione spaventata. «Non riesci nemmeno a muovere il braccio, perché? Vieni subito qui, fammi vedere» il suo tono si fece più gentile.
Gli prese la mano sinistra e lo condusse vicino al divano, sul quale poi entrambi si sedettero. Si rese conto di non riuscire a guardare Ron in faccia, sentì un magone serrargli la gola: sapeva che, da un istante all'altro, sarebbe scoppiata a piangere. Si accorse che, vicino alla spalla, dove Ron vi aveva appoggiato evidentemente di proposito la sciarpa, la stoffa della divisa era strappata. Aveva quasi terrore di scoprire cosa ci fosse al di sotto della stoffa lacerata. Sospirò, facendosi coraggio.
«Puoi... riesci a sfilarti la giacca?» gli chiese, sforzandosi di tenere la voce ferma.
«Hermione, non è niente, posso anche fare da solo. Perché non vai a riposarti? Dovresti, col bambino che...»
«Ron, smettila» lo interruppe subito, provvedendo a slacciare i primi bottoni. «Io non vado da nessuna parte. Tu sei qui ed io mi prenderò cura di te. Basta così» arrossì leggermente. «E poi smettila con la storia che sono incinta. Posso prendermi cura di mio marito anche se aspetto un bambino!»
«Ma io... volevo farti solo...»
«Zitto» sbottò lei, in un tono che non ammetteva repliche.
Ron sospirò arrendevole, lasciando che Hermione lo aiutasse a sfilare lentamente l'uniforme. Alla maglietta nera, che portava al di sotto, mancava un gran pezzo di stoffa, come se fosse stata bruciata, disintegrata, in più c'erano diverse macchie di sangue. Gli sfilò velocemente quest'ultimo indumento per poter vedere più chiaramente la ferita: essa si estendeva lungo tutta clavicola e arrivava quasi all'ascella, in certi punti era di un rosso vivo e aveva l'aria di bruciare terribilmente, anche se, fortunatamente, non sanguinava più. La ragazza rimase ad esaminarla, sbalordita, col terrore di sfiorarla, e quando sollevò gli occhi e vide l'espressione sofferente di Ron, si sentì mancare il fiato.
«Ron... dobbiamo andare al San Mungo» 
«No» rispose Ron, girando la testa di scatto, gesto che accentuò il pallore del viso. «No, Hermione. È una ferita superficiale... non è niente, davvero»
«Non capisco perché ti ostini a non voler andare in ospedale» ribatté Hermione, fissandolo corrucciata. «Anzi, dovresti essere lì già da un pezzo, in realtà. Dovevi scrivermi e sarei venuta di corsa!»
Trascorse qualche secondo di silenzio.
«Non volevo spaventarti» confessò infine Ron, abbassando lo sguardo. «Ho chiesto io alla squadra di non inviare Patronus o gufi, loro sanno solo del pugno all'occhio e hanno fermato subito l'emorragia al naso. A casa poi, non sanno niente, tu sei la prima a vedermi così. Ho fatto comunque una cazzata perché ti ho fatto prendere lo stesso un bello spavento» risollevò la testa per guardarla, «e mi dispiace! Però il pensiero che ti sarebbe arrivato solo uno stupido messaggio formale che ti avrebbe fatto venire un accidenti... perché, insomma, ti conosco... no, non mi stava affatto bene. Sul serio, non è così terribile... non ti devi spaventare! Quell'idiota mi ha lanciato... credo fosse un Exulcero o qualcosa del genere, ma mi ha colpito di striscio... è solo concentrato in questa zona. Se la guardi bene, ti accorgerai che non è poi così grave» disse, indicando col braccio sano l'escoriazione. Hermione, che aveva distolto lo sguardo qualche istante prima, sentì quello di Ron insistente su di sé e capì che lui era in attesa di incrociarlo. Così lo fece, incontrò lo sguardo di Ron. 
«E poi... soprattutto per... be'...non puoi angosciarti, io non voglio che ti agiti... non per me... hai il nostro tesoro da proteggere e a cui pensare, no?» continuò, facendole un sorriso.
Quel sorriso ingenuo, quella smorfia un po' da bambino, così tipica di lui, capace di farle sciogliere il cuore ogni volta.
«Sei uno stupido incosciente, Ronald Weasley» sentenziò Hermione, sforzandosi di trattenere il riso. 
«Volevo solo passare la serata insieme a te, Hermione Granger» ribatté lui, avvicinandosi un po' per sfiorarle le labbra con un leggerissimo bacio. «Sono uno che mantiene le promesse, uhm?»
Hermione rise piano, arrossendo un po' sulle guance, poi il suo sguardo tornò serio. 
«Ron, sei sicuro di non voler...»
«Mi fido di te. Mi farei guidare da te tutta la vita, anche ad occhi chiusi. Prima hai detto che ti saresti presa cura di me»
Lo guardò per un tempo che le parve lunghissimo. Sentì una morsa al petto e una gran voglia di stringerlo. Gli accarezzò il viso una volta e gli scostò qualche ciocca di capelli dalla fronte.
«Io... io... sì, Ron, solo che...»
«E allora su, cominciamo» sussurrò lui, forzando un sorriso sincero. 
Hermione continuando a fissarlo, tentò di riprendere il controllo di sé. Ne aveva bisogno, a tutti i costi.
Dopo aver dedicato la giusta attenzione alla ferita, apprese che con le guide giuste avrebbe potuto curargliela, così appellò diversi manuali di Medimagia e alcune pozioni utili. Passarono circa dieci minuti in completo silenzio: Ron, ad occhi chiusi, il volto dolente e la spalla bruciante, attendeva Hermione, concentrata sui libri.
Ad un certo punto, lei alzò la testa da un manuale e cominciò a cercare tra le boccette di pozioni e medicine varie. Fissò per qualche secondo Ron, che aveva ancora impressa sul volto quell'espressione di sofferenza. Le sfuggì un sospiro soffocato.
«Cos'è successo, Ron?» chiese in un fil di voce. Il ragazzo ancora non riusciva a sollevare la palpebra tanto che era gonfia, ma la stava guardando.
«Come... come ti hanno ridotto così? Avete fatto a pugni?» Hermione, concentrata sul da farsi, sembrava disinteressata o addirittura arrabbiata con Ron. In realtà ribolliva di ira e odio per quegli sconosciuti e la voce le tremava. Ron sembrò capirlo perché subito le accarezzò delicatamente la mano. Tirò un sospiro stanco prima di cominciare a raccontare.


«Ehi, capo, ma sono almeno il doppio di noi» disse Lucas, che si trovava proprio di fianco a Ron.
«Chiameremo i rinforzi» assicurò Allen, a capo della spedizione. «Non avevo idea che fossero così tanti. Weasley e Carr, voi restate qui e tenete d'occhio il gruppo. Io e Lucas, cambiamo visuale, ci mischieremo tra la gente e cercheremo un modo per impedirgli di fare una strage in pieno centro Babbano. Non mi piacciono i tipi psicopatici che pensano di avere il potere su tutto». E detto questo, in poco tempo, indossarono abiti Babbani e si mischiarono tra la folla londinese.
Ron e Dane erano in un vicolo cieco di Shaftesbury Avenue, da quella posizione tenevano d'occhio la banda che continuava a sghignazzare senza ritegno e a lanciare innocui e rapidi incantesimi per prendersi gioco dei Babbani, confonderli.
A Ron non piacevano queste situazioni, senza contare che odiava trovarsi nei posti in cui aveva vissuto le esperienze peggiori della sua vita. Se solo lanciava uno sguardo di fronte, poteva vedere lo squallido, piccolo café in cui si era rifugiato insieme a Harry e Hermione una sera di sei anni prima, dopo l'invasione dei Mangiamorte al matrimonio di suo fratello. Pensò che, forse, se Harry fosse stato in squadra con lui quel giorno, sarebbe stato un po' diverso. Non sapeva spiegare il perché, sapeva solo che era chiaro come il sole che tra lui e Harry, anche in ambito lavorativo, ci fosse un feeling particolare. Quando lavoravano insieme, il più delle volte non c'era bisogno nemmeno che si parlassero per capirsi. Bastava uno sguardo, "Anni e anni di casini insieme" diceva sempre Ron, sorridendo un po' orgoglioso. Sì, se ci fosse stato Harry sarebbe stato meno agitato, ma l'amico era impegnato in un'altra faccenda. Ron si guardò le mani, in una stringeva la bacchetta, ed entrambe erano sudaticce. 

Ehi, ma che ti prende? Tu sei un Auror, maledizione!, scosse piano la testa, cercando di recuperare l'autocontrollo. Sì, era un Auror da quasi quattro anni, non poteva di certo permettere al passato di interferire e doveva assolutamente essere in grado di controllare le emozioni e fare il suo dovere, come sempre. Tirò un lungo sospiro deciso, poi si voltò verso il collega, che aveva la faccia imperlata di sudore.
«Tutto bene, Dane?»
Il ragazzo annuì, senza guardarlo. Era più piccolo di Ron, anzi, era il più piccolo del Dipartimento: Auror da soli sei mesi. A Ron, Dane, era piaciuto sin da subito. A Hogwarts era un Tassorosso, eppure, coraggio e sanguefreddo, tipiche virtù di un Grifondoro, non gli mancavano di certo. Spesso si erano trovati nello stesso team e si era rivelata una certa sintonia tra i due, e il più delle volte, Dane aveva designato Ron come suo mentore. Spesso il giovane si era confidato con Ron e aveva seguito ben volentieri i suoi consigli e, in qualche modo, Ron si sentiva responsabile. Ai suoi occhi, Dane si era dimostrato serio, audace, acuto, sicuro di sé. Ma in quel momento, qualcosa nel suo sguardo cupo e nei suoi gesti nervosi, lo insospettì. Era in qualche modo diverso, sembrava particolarmente irrequieto, tempestoso... incazzato. 
«Dane, sicuro di...»
«Ron» sembrava in lotta con se stesso. «Uno... uno di quegli uomini ha... ha ucciso mio fratello sei anni fa. Era... era un Ghermidore»
Il ragazzo distolse immediatamente lo sguardo per puntarlo nuovamente sul gruppo di delinquenti. Ron lo fissava, incredulo, mentre sentiva il cuore sprofondare. Lui sapeva bene cosa significava perdere un fratello. Una piccola parte di sé, della sua vita, che nessuno gli avrebbe mai più restituito.
«Io... io l'ho visto morire... è successo davanti ai miei occhi» proseguì, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. «Sono delle bestie. Non meritano di vivere. Vorrei ucciderlo» strinse più forte la bacchetta e fece un passo avanti, come per uscire allo scoperto. «Devo ucciderlo»
«Ehi, no, fermo!» Ron, in un attimo, gli serrò la strada spingendolo verso l'interno del vicolo.
«Lasciami andare! Tu non capisci!» protestò, spingendo Ron. Aveva uno sguardo duro attraversato da un velo di tristezza. «Tu non sai cosa si prova. Non abbiamo mai avuto giustizia. Mai. Dopo la guerra, lui è sparito nel nulla, e adesso che è qui, davanti ai miei occhi, credi che me lo lascerò sfuggire? Dimmi come potrei? Lui deve pagare. Deve pagare per quello che ha fatto a tutta la mia famiglia!»
Dane cercò nuovamente di divincolarsi, ma Ron era ben deciso a non mollare la presa.
«Invece ti sbagli! Io so cosa si prova, lo so benissimo» quasi urlò, sentì la sua stessa voce tremare. Il ragazzo smise di respingerlo, ma teneva gli occhi fissi nei suoi, il respiro affannato.
«Ho perso anch'io un fratello durante la guerra e anch'io l'ho visto morire davanti ai miei occhi. Ho provato dolore... ho provato odio e paura. In quei momenti non capisci nulla, c'è solo quel forte desiderio di uccidere. Sei accecato dal dolore. Ed è tutto talmente forte che quasi non riesci a reggerlo... non è così, Dane?» strinse entrambe le mani sulle sue spalle, lo vide annuire appena. «Ma stammi bene a sentire: non è così che deve andare. Noi non siamo questo, capisci? Qualcuno mi fece capire che non era quello il mio compito... che io non sono un assassino. Tu non sei un assassino»
Gli occhi i Dane erano velati di lacrime, ma non piangeva. Ron sentì un nodo alla gola.
«Ti prometto che lo prenderemo... li prenderemo tutti» disse con decisione, stringendogli ancora le spalle. «Siamo qui per questo, lascia che la squadra ti aiuti, sì?»
Il ragazzo fece un cenno col capo come per ringraziarlo, passandosi velocemente il dorso della mano sugli occhi.
«Sei coraggioso» gli disse Ron, serio. Il ragazzo accennò un sorriso di graditudine prima di allontanarsi e affacciarsi nuovamente sulla strada.
«Ehi, Ron» lo chiamò dopo qualche minuto, con una nota sospettosa nella voce. «Succede qualcosa»
Ron si avvicinò e vide che la banda aveva cominciato a muoversi lungo il marciapiede sul lato opposto. Vide Allen e Lucas, mischiati tra i Babbani, seguirli a distanza e adocchiò qualcuno sui tetti: erano arrivati i rinforzi.
«Cosa credi che dovremmo fare?» chiese Dane, con lo sguardo perso.
«Dobbiamo seguirli» affermò Ron. «Vedo gli altri muoversi nella loro direzione, già da ora. Raggiungiamoli»
«Non vedo l'ora» grugnì Dane, stringendo forte la bacchetta prima di nasconderla nelle tasche della sua uniforme.
Tutto successe in poco tempo, i due Auror si mischiarono tra la folla, si scambiarono occhiate fugaci con i nuovi compagni che li avevano raggiunti, seguendo i sospettati per quasi un chilometro, fino a quando questi non svoltarono in una stradina piuttosto isolata. Ron conosceva quel quartiere e sapeva che non godeva di una buona fama. Il sole era ormai calato da un pezzo, lasciando spazio al buio della notte. Ai membri della squadra bastarono solo pochi e brevi segnali, e tutti seppero cosa avrebbero dovuto fare di lì a poco.
«Pronto?» fece Ron. 
«Sissignore» rispose il ragazzo. Qualche minuto più tardi, nello stesso istante, gli Auror presenti in quella zona si Materializzarono nello stesso posto, circondando così i malviventi.
Uno scambio di battute provocatorie e nel giro di qualche minuto cominciarono scontri a colpi di fatture e maledizioni. Ron investì tutte le sue energie, ogni fibra del suo corpo era concentrata sui suoi avversari. Colpire, schivare, difendersi: era un cerchio continuo, che lui si impegnava a non spezzare per non commettere errori fatali. I minuti passarono veloci, gli avversari si susseguirono uno dopo l'altro, ma poi, ad un certo punto, l'attenzione di Ron fu in parte attirata da un grido. Spostò lo sguardo dal nemico temporaneamente piegato in due, indirizzandolo alla fonte del rumore e, a pochi metri da lui, vide Dane. O meglio, riuscì ad intravederlo, dal momento che uno dei delinquenti l'aveva incastrato costringendolo con le spalle al muro. Ron sperò di essersi sbagliato, ma gli parve di aver visto sangue sul volto del ragazzo. La scia di una maledizione gli passò accanto, fu una fortuna che non lo sfiorò neppure, questo lo riscosse dalla sua momentanea distrazione. Aver visto Dane il quello stato lo caricò ancor di più: qualche colpo di bacchetta e il suo avversario fu fuori combattimento. La prima cosa che gli passò per la testa, fu precipitarsi dal ragazzo e il suo rivale. Nessuno dei compagni sembrava essersi accorto della gravità della situazione: l'Auror aveva il volto quasi completamente insanguinato, si reggeva a malapena in piedi ed era disarmato. Lampi, fiotti di luce, tutti attorno continuavano a combattere, alcuni Auror stavano affrontando anche due avversari nello stesso momento, ma l'istinto di Ron gli suggerì di recarsi da Dane.
«Sai cosa, pivello?» il vecchio Ghermidore guardava il ragazzo in modo sprezzante, tenendolo per la collottola. «Non mi interessa quanto il tuo sangue sia puro. Molti di voi si sporcano il sangue da soli. Siete traditori, spazzatura. Uno spreco di sangue magico. Proprio come il tuo sporco fratello» e gli spuntò in faccia.
Ron sentì le viscere ribollire, la rabbia montargli dentro. Un pugno colpì Dane allo stomaco, che mugugnò di dolore.
«Lascialo andare» gridò Ron, puntandogli la bacchetta contro, sperando che la voce non gli tremasse troppo per la collera. «Subito».
«Uhm, guarda, qualcuno è venuto a salvare la dolce pulzella» lo schernì, guardandolo con occhi fiammeggianti, crudeli. Di scatto afferrò Dane per i capelli e gli puntò la bacchetta al collo.
«Ma non vedi? È disarmato, non si regge nemmeno in piedi. Che senso ha tenerlo lì?»
«Indovina? È il mio nuovo ostaggio» rispose l'uomo, ghignando. «E poi mi diverte prenderlo a pugni»
«Lascialo andare e andremo via, promesso. Ci scoderemo di voi» tentò Ron, facendo fatica a mantenere la voce ferma.
«Come no» rise sprezzante il mago. «Poi magari ci invitate pure a prendere il tè al Ministero, eh? No! Lui resta qui! Anzi, viene con me. Ho proprio voglia di mostrargli quanto sporco sia il suo sangue... "puro" come quello dei bastardi traditori della sua famiglia»
Non seppe cosa lo fece muovere, probabilmente fu un movimento puramente istintivo perché non ebbe che un solo istante per rendersene conto, ma quando l'uomo spostò la bacchetta da Dane e fece per girare su se stesso, Ron mosse un paio di passi e si appigliò al cappotto logoro del mago. Tutto divenne improvvisamente buio, i tre vorticarono fino a quando non si Materializzarono in una vecchia casa fatiscente e la prima cosa che Ron avvertì fu un odore penetrante di muffa e sporcizia.
L'ex Ghermidore si accorse subito di Ron, ma non disse nulla, teneva il braccio serrato attorno al collo di Dane e la bacchetta premuta sulla tempia. Ron si riprese immediatamente dallo stordimento iniziale, teneva la mano ferma e la bacchetta rivolta verso i due. Era consapevole di trovarsi in una situazione estremamente pericolosa, ma con una fermezza spaventosa cominciò a fissare il mago negli occhi.
«Giuro che ti faccio saltare il cervello. Lascialo andare»
«Amico» rispose lui, col solito ghigno malvagio. «Hai sbagliato a seguirci, questo non è affar tuo né di nessun altro. È una faccenda tra me e la stramaledetta famiglia di questo ragazzino. Dico bene?» si rivolse a Dane, stringendo ancora di più la morsa attorno al suo collo.
Ron deglutì, mettendoci tutto se stesso per mantenere il controllo. Sapeva benissimo come comportarsi in una simile situazione, il punto era avere abbastanza prodezza, lucidità e sanguefreddo per mettere il tutto in atto. Pregava solo che nessun altro ci fosse in quel luogo.
«Allora, vuole sentire la bella storiella, signor Auror, sua eccellenza?» lo canzonò l'uomo, in tono spaventosamente sarcastico. «Il fottuto padre di questo pezzente è membro del Wizengamot. E quel vecchio rimbambito ha sbattuto mio padre e mio fratello ad Azkaban, dove entrambi sono morti. È stato lui, non è vero, figlio di puttana?» gli sferrò un pugno tra le costole così forte da costringere Dane a piegarsi in due dal dolore. Ron, approfittando della momentanea distrazione dell'uomo, tentò di Schiantarlo, ma per non colpire Dane sbagliò mira, sfiorandolo soltanto.
Vide crescere l'ira nello sguardo del malvivente, che scaraventò il ragazzo a terra con tanta violenza da fargli sbattere la testa contro il muro e, come se nulla fosse, cominciò a duellare contro Ron. Era una furia cieca, scagliava maledizioni ad una velocità spaventosa e Ron riuscì a pararle tutte, anche se attendeva con trepidazione il momento in cui avrebbe potuto rispondere. Voleva mettere fine alla faccenda e sparire il prima possibile da quel luogo.
Il tempo di trarre tale considerazione ed ecco che, dal nulla, comparve un uomo con un lungo mantello nero e il cappuccio, che si unì immediatamente allo scontro. Ron resse entrambi per circa cinque lunghi minuti che gli parvero infiniti, fino a quando si rese conto di essere sul punto di cedere, sapeva che senza un aiuto non ce l'avrebbe fatta. Il colpo da cui non riuscì a proteggersi, fortunatamente lo colpì solo di striscio strappando via una piccola parte della stoffa della divisa, ma il bruciore terribile che sentì al braccio fu tanto forte da farlo accasciare. Sapeva quanto fosse sbagliato abbassare la guardia in un simile momento, ma non riusciva a rialzarsi. Il dolore si diffuse lungo tutto il braccio, era come se fosse avvolto nelle fiamme. La mente cominciò ad offuscarsi insieme alla vista, sentiva in lontananza le risate maligne dei due, o forse adesso erano di più. Digrignava così forte i denti per trattenersi dall'urlare. All'improvviso avvertì delle dita afferrargli con decisione i capelli e qualcosa di duro colpirlo con violenza al viso, prima che tutto si oscurasse e che i suoi sensi lo abbandonassero definitivamente.



Hermione ascoltò con attenzione il racconto di Ron senza perdere nemmeno il più piccolo dei dettagli, guardandolo di tanto in tanto, mentre era impegnata a curargli le ferite e gli ematomi sul corpo e sul volto con un'essenza curativa e a disinfettare la ferita alla clavicola.
Quando lui ebbe terminato, la ragazza sollevò la testa per guardarlo: il livido violaceo che gli circondava l'occhio sembrava peggiorare di minuto in minuto. Intanto, il ragazzo si stava tastando il livido sullo zigomo, sfiorandosi la guancia.
«Aspetta» gli sussurrò Hermione con un tremolio nella voce, scostandogli piano la mano. «Sta' fermo. Ha l'aria di far molto male»
Così intinse due dita nella ciotola piena di liquido giallognolo, passandole poi sul taglio aperto sulla guancia. Vide il volto di Ron distendersi e la ferita rimarginarsi a poco a poco.
Si rese conto di non riuscire, pur volendo, a spiccicar parola. Avvertì nuovamente quel magone inspiegabile. Prese la bacchetta e, cercando ancora di recuperare il controllo di cui aveva bisogno, deglutì prima di mormorare un incantesimo che schiarì leggermente il livido sulla faccia di Ron che finalmente non apparve più tanto gonfia. Lui teneva ancora gli occhi chiusi, mentre Hermione continuava a fissarlo. Non era sicura di volere una risposta, anche se, in fondo, la conosceva già.
«Quindi... quindi s-sei svenuto?» domandò, con un tono di voce molto basso. Ron sollevò le palpebre e annuì.
«E poi?»
Era impossibile dire chi dei due avesse il volto più pallido. Hermione per l'angoscia che le si leggeva negli occhi, Ron per il dolore e la stanchezza.
«Poi non lo so... probabilmente me le hanno date di santa ragione... come puoi vedere... prima che arrivassero gli altri a salvare questa dolce pulzella» disse, tentando di buttarla sul ridere. Ma Hermione continuava a guardarlo con i suoi occhi grandi, carichi di tensione e panico, bianca come un lenzuolo. 
«E se... se gli altri non fossero mai arrivati?» strillò d'improvviso, mettendosi in ginocchio sul divano, lasciando cadere la scodella sul pavimento. Il suo tono non era aggressivo, in verità c'era più paura che rabbia nella voce. «Perché diavolo non sei rimasto con la squadra? Perché sei andato con lui? Non hai pensato alle conseguenze? Che cosa cavolo ti dice il cervello, eh? Ma ti rendi conto? Avrebbero... AVREBBERO POTUTO UCCIDERTI, RON!»
Hermione sentì le lacrime riempirgli gli occhi. Fissava l'espressione sbigottita di Ron rimasto senza parole e si sentì improvvisamente male. Per lui, per quello che gli aveva appena urlato, per l'amico che Ron avrebbe voluto proteggere.
Si scrutarono ancora per qualche secondo. C'era una strana intensità in quegli sguardi che si stavano scontrando, volontariamente. Poi, d'un tratto, Hermione buttò le braccia al collo di Ron. Lo abbracciò forte, serrò gli occhi lasciando che le lacrime scorressero sul viso. 
«Ehi...» sussurrò Ron sorpreso, stringendola con il braccio sano. 
«S-scusa...» Hermione si lasciò sfuggire un singhiozzo. «Scusa... Ron... non volevo...»
«Shhh» Ron le accarezzò delicatamente la schiena. «Va tutto bene... va tutto bene... sta' tranquilla»
Hermione sprofondò con la testa nell'incavo del suo collo, respirando a pieni polmoni l'odore di Ron. Voleva percepire la sua presenza, il suo calore con tutta se stessa. Era come se le penetrasse fin dentro la pelle, per scaldarla. 
Ron le accarezzava i capelli, sussurrandole parole dolci all'orecchio, che ebbero all'istante un effetto tranquillizzante. I suoi modi di fare avevano sempre un effetto distensivo su di lei. La sola voce di Ron aveva il potere di rasserenarla.
Lui era il suo posto sicuro, in qualsiasi situazione.
In quell'attimo, Hermione si ricordò del perché lo amasse tanto.
«Vieni qui» la voce soffiata di Ron giunse come ovattata. Hermione si staccò appena da lui per poi posare la testa sul suo petto. Col dorso della mano provò ad asciugare le ultime lacrime, poi allungò la mano per posarla proprio dove il cuore di Ron batteva, calmo, regolare. Si lasciò completamente andare a quel momento, mentre le dita di lui si intrecciavano tra i suoi capelli.
«Mi... mi dispiace» balbettò ad un certo punto. «Non volevo dire quelle cose. Ho parlato come una bambina... io... me ne rendo conto. Voi Auror fate un giuramento... ed è giusto così. Tu ti sei comportato in modo ammirevole e leale. Ero... sono solo sconvolta e spaventata» fece un profondo respiro tremulo. «A volte penso che potresti non tornare a casa e la cosa mi fa impazzire... io non riesco a respingere l'idea. Non so perché, so solo che a volte non riesco a smettere di pensarlo. Se dovesse succederti qualcosa, io...» si fermò, tentando con tutta se stessa di ricacciare indietro le lacrime. 
«Hermione» Ron le accarezzò il mento con l'indice, poi glielo sollevò dolcemente, in modo che potessero finalmente guardarsi negli occhi.  
Una fitta attraversò il petto di Hermione alla vista del viso di Ron, ma quel suo sguardo profondo, che lei riuscì a leggere, e quel contatto delicato, fecero in modo che qualcosa si sciogliesse dentro di lei. Ron aveva cominciato a sfiorarle la guancia umida con il pollice, lentamente. Trascorse qualche minuto, prima che quel breve silenzio fosse interrotto dalle parole di Ron.
«Mi dispiace di averti spaventata. Ma adesso sono qui... sto bene. Tornerò sempre da te, farò sempre il possibile... te lo prometto. Non ci penso nemmeno a non farlo...» Ron si sporse in avanti per lasciarle un delicato bacio sulla fronte.
«In questo momento, l'unica cosa che m'importa, è che tu sia serena. Lo desidero per te stessa e per il nostro bambino... o insomma, bambina»
Hermione sentì la mano di Ron posarsi sul ventre. Senza alcuna spiegazione logica, quel gesto la commosse profondamente. Con gli occhi lucidi per l'emozione, fece il suo primo vero sorriso della giornata. Si avvicinò a Ron per dargli un bacio leggero che gli sfiorò appena le labbra. Non appena si fu allontanata, Ron mise su un broncio da manuale.
«È questo quello che mi merito? Un misero, veloce bacio e basta?»
A Hermione venne da sorridere ancor di più.
«Adesso dobbiamo pensare alla tua ferita» il suo tono tornò efficiente, e anche a Ron sfuggì un piccolo sorriso.
Hermione estrasse dalla scatola di pozioni e medicine un flacone contenente del liquido viola.
«Bene, credo sia un ustione di primo grado» constatò, esaminando la ferita di Ron.
«Sì, mi ha lanciato una di quelle stupide fatture che se ti prendono in pieno... ti sembra di essere all'inferno tanto che ti senti bruciare dalla testa ai piedi» spiegò lui, col braccio sano posato sugli occhi stanchi.
Intanto Hermione appellò una scodella pulita nella quale versò il liquido viola, aggiungendo in un secondo momento del liquido verde, ordinando poi alla bacchetta di mescolare il composto.
«Come ti senti?» 
«Un vero schifo» confessò Ron, poi sollevò appena il braccio per sorriderle. «Ma se mi baciassi, potrei sentirmi decisamente meglio»
Hermione non poté proprio evitare di sorridere, mentre alzava gli occhi al cielo.
«Oh, grazie per questo sorriso, milady»
«Sei proprio scemo» arrossì sulle guance, senza che il sorriso si spegnesse.
«E tu sei proprio bella».
Hermione sentì improvvisamente il cuore più leggero, non solo per il modo in cui Ron le aveva parlato, o meglio, sussurrato, ma anche perché era lì con lei.
«Sarebbe stato un vero onore stare al suo fianco questa sera, signorina Granger. È particolarmente... come dire? Luminosa»
«Ma se sono di un pallore spaventoso» ridacchiò lei. «L'acconciatura, poi, è andata, il vestito stropicciato... lei è un ruffiano di prim'ordine, signor Weasley» aveva un'espressione divertita e le braccia incrociate al petto. Ron rise, Hermione notò che la palpebra socchiusa cominciava a sgonfiarsi.
«Capisco che il mio aspetto elegante, pulito, sofisticato di questa sera possa metterla a disagio» riprese Ron, guardandola con fare altezzoso. «Ma potremmo rimediare in qualche modo. Via l'acconciatura» allungò il braccio e sfilò il solo fermaglio che si sforzava di tenere ancora su i capelli di Hermione, resi lisci grazie alla Tricopozione Lisciariccio. Questi le caddero, ormai leggermente ondulati, sulle spalle. 
«Molto bene» dichiarò Ron, mentre Hermione ridacchiava. «Per il pallore... non ti sta mica male, sai? E poi se mi sorridi e arrossisci così, ecco che scompare. E per quanto riguarda il vestito, che reputi stropicciato... be', quello puoi anche toglierlo, non c'è problema» la finta espressione di innocenza che si dipinse sul volto di Ron, la fece ridere sul serio.
«Che cretino. Credimi, non ti arriva né uno schiaffo né un pugno proprio perché stasera mi fai pena» gli disse, scuotendo il capo.
«Sei crudele, Hermione» borbottò arrendevole, stropicciandosi con vigore l'occhio sano. Lei, intanto, rimase a guardarlo per un po'.
Qualche minuto più tardi, Hermione gli carezzò la guancia un paio di volte, poi, istintivamente, si avvicinò lentamente a lui. Lo sentì sorridere vittorioso contro la sua bocca non appena le loro labbra si toccarono. Si baciarono lentamente, dolcemente, come se tutto attorno a loro avesse smesso di scorrere. Ron la baciava con cura e tenerezza, d'un tratto tutte le paure svanirono. Un brivido le attraversò la schiena, inspiegabilmente si sentì dominare da una forte emozione, così si avvicinò maggiormente a Ron sedendosi sulle sue gambe e gli prese il volto tra le mani per sentirlo più vicino. Le dita di Hermione sfioravano piano il collo di Ron, sentiva le labbra screpolate del ragazzo muoversi delicatamente sulle sue. Avvertì il sapore del sangue mentre gli accarezzava il labbro inferiore, e questo le ricordò com'era stato ridotto. Impulsivamente desiderò allontanarsi da Ron per scrutarlo nuovamente in viso, ma non appena percepì la mano decisa del ragazzo tra i suoi capelli, che poi scendeva fino a carezzarle il profilo del viso, decise di lasciarsi nuovamente andare.
Adesso era lì. Era lì con lei.
Continuarono a baciarsi ancora per qualche minuto, senza alcuna fretta, dimenticandosi del resto, e avrebbero sicuramente continuato per molto se la bacchetta di Hermione non avesse richiamato la sua attenzione colpendola in testa per ben tre volte.
«Ahia!» esclamò la ragazza, staccandosi da Ron. 
«Che diamine succede?» fece lui, un po' stordito e decisamente contrariato da quell'interruzione improvvisa.
«La bacchetta» spiegò Hermione, toccandosi nel punto in cui era stata colpita. «Mi ha avvertita... il composto è pronto»
Ron sbuffò stizzito.
«Non guardarmi così» lo riprese Hermione, corrucciata. «Dai, sbrighiamoci»
Il miscuglio nella scodella adesso era beige, fuoriusciva perfino del fumo per via di un particolare incantesimo impostato da Hermione inizialmente. Vi soffiò sopra per un po', aveva l'aria di essere bollente.
«Sei pronto?» lo incoraggiò, dopo che furono trascorsi un paio di minuti. «Brucerà da morire, ma è essenziale. La ferita l'ho disinfettata ma bisogna chiuderla, far sì che si crei un nuovo strato di pelle... come quando... be', come quando ti sei Spaccato... ok, Ron?»
Hermione vide il viso di Ron sbiancare, mentre annuiva piano, guardandola con pietà.
Con decisione, senza farsi addolcire troppo da quell'espressione, prese un contagocce dalla scatola per immergerlo nel liquido, sapeva di non dover esitare.
Nell'esatto momento in cui la prima goccia toccò la pelle di Ron, ne venne fuori del fumo, e l'urlo del ragazzo non tardò ad arrivare.
«MA PORCA MISERIA, HERMIONE!» si guardò il punto della clavicola da cui usciva il fumo, con gli occhi sgranati. 
«È tutto normale» disse Hermione, sperando che la sua voce risultasse sicura. «Non ti agitare, tranquillo»
«Merlino, brucia da morire» sospirò nervoso Ron, che era diventato tutto rosso in viso. 
«Lo so, lo so» gli disse in tono comprensivo. «Ma devi resistere ancora un po', d'accordo?»
Ron annuì strizzando gli occhi, mentre Hermione lasciava cadere altre due gocce. Urlò di nuovo, questa volta digrignando i denti e tenendo una mano premuta sugli occhi.
«Shhh» cercò di rassicurarlo, accarezzandogli la testa. «Ancora un po'»
Nonostante ogni grido di dolore di Ron fosse un pugno allo stomaco, Hermione sapeva che doveva andare avanti per il suo bene. Continuava ad accarezzarlo sul petto, sul braccio, a stringergli la mano, sperando che il dolore si placasse il prima possibile. Dopo che Hermione intinse, per quella che doveva essere la decima volta, il contagocce nella scodella e successivamente versò il liquido sulla ferita, notò che non vi era alcuna traccia di fumo e che, ormai, cominciava a formarsi un sottile strato di pelle lungo tutta la clavicola e fino a dove la ferita si estendeva. Chiuse gli occhi per un attimo, confortata, non che non avesse fiducia nell'antidoto, ma era un vero sollievo non dover sentire la sofferenza di Ron.
«Ron» lo chiamò sottovoce. «È tutto ok, abbiamo finito» 
Ron spostò il braccio dagli occhi e subito prese a toccarsi piano quel nuovo strato di pelle.
«Rimarrà la cicatrice?» domandò, alzando lo sguardo ansioso su Hermione. Lei gli sorrise con tenerezza, gli scostò alcune ciocche bagnate dalla fronte imperlata di sudore.
«A me non dispiacerebbe» confessò, tornando poi a frugare nella cassetta, tirando fuori una nuova boccetta. «Lo sai che le cicatrici dicono chi sei» continuò, mentre tentava di tirare via il tappo. «E, detto sinceramente... a me piace chi sei». Vide le labbra di Ron distendersi in un sorriso sincero, e lei non potè fare a meno di ricambiare.
Per un po' restarono entrambi in silenzio, Hermione era impegnata a spalmare una crema trasparente prima ancora di applicare la medicazione. Osservava Ron, che teneva gli occhi chiusi e il volto finalmente rilassato, anche se ancora un po' gonfio e violaceo in certe zone. Si concentrò sul suono del suo respiro e sul movimento del petto che si alzava ed abbassava regolarmente. Si chiese quanta paura avesse provato Ron in quei momenti, si diede della stupida per aver pensato che si fosse dimenticato di lei preferendo la compagnia dei suoi amici. Il pensiero che avrebbe potuto perderlo la sfiorò appena, ma lo respinse con tutte le sue forze. Per fortuna, Ron scelse il momento più adatto per distoglierla da quei pensieri.
«Ci sei sempre tu, quando sono in fin di vita» disse mentre gli sfuggiva una risata bassa.
«Non sei in fin di vita» rispose lei, in tono scherzoso. Girò la testa per guardarlo, ma Ron aveva ancora gli occhi chiusi.
«No... be', però se mi spappolo il braccio o mi rompo la testa o tentano di avvelenarmi... puntualmente ci sei tu con me»
Hermione annuì soltanto, stavolta senza voltarsi verso di lui. Per qualche motivo sentì di non essere in grado di trovare le parole giuste. Fu Ron a proseguire dopo un po', sembrava particolarmente preso dai suoi pensieri.
«Sei stata tu a curarmi quando mi sono Spaccato... e poi mi sei stata accanto... nonostante tutto» mantenne un tono di voce molto basso. 
«E quando ho rischiato di spaccarmi la testa durante la partita degli Scacchi dei maghi... c'eri tu al mio risveglio» finalmente riaprì gli occhi e la guardò. Hermione, come richiamata, rivolse subito lo sguardo verso di lui.
«Ti ricordi?» le chiese.
Lei gli sorrise di rimando.
«Mi svegliai credendo che Harry fosse morto e che avessimo perso la partita a causa mia e...» 
«Ed eri tutto sporco in faccia, peggio del solito» finalmente Hermione prese parola. Fece una linguaccia alla sua espressione offesa. «Oh no, Harry è morto! Non può essere! É tutta colpa mia! Quasi piangevi e non volevi proprio darmi ascolto e calmarti... tipico tuo»
«Ehi, ero solo un bambino» si giustificò Ron, ed entrambi ripresero a ridere piano.
«Fu uno spavento bello grande» dichiarò Hermione sospirando, tornando poi a prendersi cura della ferita di Ron. «Stavo lì a fissarti, pregando che ti svegliassi... ricordo che ti controllavo il polso ogni due secondi, in preda all'ansia»
«Ma dai» fece Ron, con espressione sorpresa. «Non è proprio da te»
«Scemo. Non facevo altro che pensare al tuo gesto coraggioso» sentì le guance imporporarsi, ma continuò a sorridere. «Come quando... sì, insomma... come quando Sirius... ti ha rotto la gamba»
«Ouch!» esclamò Ron. «Devo ancora perdonarlo» Hermione lo osservò per qualche secondo e intravide un velo di tristezza calare sul suo volto.
«Sei stato molto coraggioso anche in quell'occasione» disse in tono dolce, mentre cominciava a sistemargli la fasciatura. 
«E tu mi sei stata vicino... anche in quell'occasione» ricordò Ron.
«Me lo ricordo come se fosse ieri» riprese Hermione. «Se vuoi uccidere Harry, dovrai uccidere anche noi! Mi hai sentito?* A malapena riuscivi a reggerti in piedi...» un'altra risatina le sfuggì. Poi decise di voler parlare ai suoi occhi.
«Eppure» disse, scrutandolo profondamente, «tu eri lì, in piedi, tra uno sconosciuto appena fuggito da Azkaban e il tuo migliore amico» 
«Be', è stato istintivo... e poi quello era Sirius» tagliò corto Ron. «Mi è andata bene, non mi avrebbe mai fatto del male, no?»
«Sì, ma tu non potevi di certo saperlo» sottolineò Hermione. «Però l'hai fatto ugualmente, ti sei messo in gioco per Harry... ed è quello che hai sempre fatto»
«Andiamo, l'avrebbe fatto chiunque al mio posto» affermò. 
«Non è vero» 
Hermione vide le orecchie di Ron tingersi di un rosso acceso, quella sua reazione la commosse.
«Be', guarda che è stato un gesto normale... voglio dire... insomma...» si grattò la nuca, era chiaro che fosse in imbarazzo e questo la fece ridere teneramente.
«Perché ridi?» le chiese Ron, un po' perplesso, un po' divertito.
«Sei tu» rispose Hermione, con assoluta sincerità. «Il tuo modo di fare, il tuo modo di arrossire. Il tuo modo di metterti in gioco, di superare le paure. Il tuo modo di proteggere le persone che ami. Il tuo modo di essere»
Vide lo sguardo di Ron farsi di colpo serio. Si chiese se avesse detto qualcosa di sbagliato.
«Anche il mio modo di essere un po' stronzo?» azzardò, aveva un'espressione indecifrabile.
«Soprattutto quello» confermò Hermione, poi rise alla sua espressione poco convinta. «È solo che c'è molto altro... e io lo so. L'ho visto, lo vedo. Riesci ad annullare bene il tuo essere stronzo» gli fece un occhiolino scherzoso, ma l'espressione di Ron non accennava a rilassarsi.
«Di tutte le cazzate che ho fatto, quelle che riguardano te, sono quelle che ancora mi fanno male»
Hermione si fece di colpo seria e prese ad osservarlo, incantata dal suo sguardo concentrato. «Ci sono stati momenti in cui ho pensato sul serio che non ci saremo mai più rivolti la parola. Momenti in cui ho pensato che avrei perso persino la tua amicizia. Momenti in cui ho pensato che il giochetto con Lavanda mi avrebbe rovinato la vita per sempre. Non pensavo che ti avrei mai più avuta al mio fianco dopo tutto quel maledetto casino che avevo combinato. E invece tu ci sei sempre stata... e c'eri anche quella mattina, in infermeria... carica di compiti. E rivederti... è stata la cosa più bella di quel periodo... e anche la più imbarazzante»
«Rivivrei l'imbarazzo di quel momento altre mille volte, Ron»
«Lo farei anch'io» Ron le sorrise radioso. «Farei persino tutti i compiti che mi consegnasti quella mattina, solo per vedere il tuo rossore e sentirti balbettare»
Hermione gli scoccò un bacio sulla guancia, Ron l'avvolse col braccio sano, tenendola stretta a sé.
«Mi chiedo cos'ho mai fatto io per te, cos'ho mai fatto per meritarmi il tuo perdono... ogni volta...» sentì il suo sussurro sfiorarle l'orecchio. «Tu sei tanto speciale. E hai scelto me e...»
«E tu lo sei per me» affermò subito Hermione. «Non ricordo nemmeno quando ho cominciato a pensarlo, Ron. Il punto è che non avrei scelto nessun altro. Non ho mai voluto, non voglio nessun altro. Semplicemente, sei ció di cui ho bisogno»
Hermione chiuse gli occhi durante tutto il suo discorso. Sentiva il cuore battere come un tamburo, la gola seccarsi, mentre la mano di Ron premeva sulla stoffa del vestito. Serrò gli occhi, avvertendo le lacrime riaffiorare.
«Grazie per avermi perdonato sempre e perché continui a farlo, ogni giorno» la voce di Ron le giunse bassa, profonda.
Hermione si allontanò piano per ritrovarsi faccia a faccia con lui. Non riusciva a smettere di sorridere, di distogliere lo sguardo. Era tutta la sera che sentiva dentro di sé forti emozioni contrastanti. Quel magone, quel tremore leggero, la commozione che gli appannava gli occhi, il battito cardiaco che percepiva sempre più chiaramente. Sentì una lacrima accarezzarle la guancia.
«Ohi, perché piangi?» intervenne Ron, muovendosi sul posto piuttosto agitato. Sfiorò la lacrima col pollice.
«Ma che ne so» ammise Hermione, col sorriso che le si allargava sul viso, mentre altre due lacrime le attraversavano il volto, prima di essere cancellate dalle dita di Ron. «Sbalzi d'umore, ti ricordo che sono incinta, Ron!»
Ron rise attirandola nuovamente a sé, per posarle un bacio veloce sulla bocca. Le baciò tutto il volto. Le palpebre, il naso, il mento, le guance umide, rosse e calde, baciò il suo sorriso. 
Quando i loro occhi si incrociarono nuovamente, Hermione lo osservò velocemente in viso, era chiaro che fosse stremato, ma finalmente vide un'espressione serena.
«Perché non ti stendi un po'?» propose, aiutandolo ad infilarsi la maglia del pigiama che aveva appena appellato. «Intanto ti preparo una tisana, vuoi?»
«Non ne ho voglia» rispose, guardandola. «Vorrei che restassi ancora qui con me... se ti va» dichiarò, mentre si sistemava lungo disteso sul divano. Hermione fece un mezzo sorriso e non se lo fece ripetere due volte.
Si distese su un fianco e cominciò a pensare a quanto fosse strano, incredibile realizzare che tutto quello di cui aveva bisogno per essere felice ce l'aveva ad un soffio di distanza e dentro di sé. Sentiva gli occhi di Ron addosso, allora decise di incontrarli per svariati attimi, poi avvicinò la mano al suo viso per sfiorargli lievemente il livido sullo zigomo. Seguiva con lo sguardo i suoi stessi movimenti, fece scorrere l'indice sulla palpebra, poi lentamente tutt'attorno all'occhio livido fino a sfiorare il taglio ormai rimarginato sulla guancia. 
«Ti sei spaventato, non è vero?» fu tutto quello che riuscì a mormorare, col fiato corto, qualche minuto più tardi.
Ron la guardò per dieci lunghi secondi prima di annuire impercettibilmente, arrossendo sulle punte delle orecchie. Hermione sospirò, accarezzandogli alcune ciocche rosse poggiate sulla fronte. Lo osservò a lungo, con intensità. Cercò di trasmettergli sicurezza, si sentì invadere da un forte senso di protezione. Una cosa che aveva sempre amato di Ron, era il suo modo di farla sentire al sicuro. Lui era il suo sostegno, le piaceva da sempre la sensazione di forza e calore familiare che le trasmetteva. Ma a volte voleva che fosse lei a farlo, a donargli tutta l'attenzione del mondo. Lo sentiva quando Ron ne aveva un forte bisogno, come in quel momento.
Si perse nel calore dei suoi occhi chiari, mentre le sue dite toccavano con leggerezza le guance color cremisi e lentigginose.
«Promettimi che sarai sempre attento» gli bisbigliò all'improvviso, con convinzione, sgranando un po' gli occhi. «Promettimelo»
Ron annuì appena.
«Sì» disse sottovoce, fissando gli occhi nei suoi. «Sì, te lo giuro. Non ti preoccupare».
Poi le fece un mezzo sorriso, mosse il braccio per avvicinarlo a lei, ma una smorfia di dolore gli deformò il viso. Allora Hermione gli prese la mano intrecciando le dite e fece in modo che il braccio del ragazzo stesse comodo, immobile, disteso lungo il suo fianco. Chiuse per un po' gli occhi, concentrandosi sul suono e sul calore del respiro lieve di Ron.
Non seppe dire quanto tempo passò prima di risentire la sua voce, bassa, rauca.
«Mi dispiace di averti rovinato il giorno di san Valentino»
Hermione sollevò le palpebre, vide che Ron teneva gli occhi bassi.
«Doveva essere la nostra serata» aggiunse, con un tono di voce mortificato. Il pollice di Hermione corse sotto il mento di Ron per sollevarglielo. Ripresero nuovamente a fissarsi.
«E a me cosa importa di san Valentino?» la ragazza incrinò le sopracciglia, ma aveva un sorrisetto divertito. «D'accordo, doveva essere la nostra serata dopo tanto tempo, ma sai cosa? Non ha alcuna importanza. Semplicemente sono felice che tu sia qui, vicino a me»
Hermione tirò un sospiro breve e poi si mosse per trovare una posizione più comoda, si avvicinò maggiormente a lui e prese a carezzargli i capelli. Lo sguardo di Ron sembrava più tranquillo ed attento.
«Per me è san Valentino ogni giorno, sai? Quando la mattina mi sveglio e ti trovo accanto e sento il tuo odore e il tuo calore. Quando, di sera, è la tua l'ultima carezza. È san Valentino quando mi guardi profondamente o quando mi dici cose che mi fanno arrossire. Quando mi incoraggi, quando mi parli con l'entusiasmo di un bambino, quando mi fai ridere di cuore. Quando mi parli delle tue paure, dei tuoi sogni. Quando ti fidi di me. Persino quando sono arrabbiata con te, è san Valentino. Ma fa parte del quotidiano anche quello, no? Ed è difficile amarsi nel quotidiano, amarsi anche quando si è incazzati, quando non lo si ammetterebbe neanche sotto tortura» Ron rise a voce bassa, contagiandola.
«Ma il punto è amarsi. Ed io ti amo, Ron. Ti amo perché anche quando ci teniamo il muso per giorni, alla fine vieni da me e riesci sempre a farti perdonare, che sia con un bacio, un abbraccio o con una parola giusta. Ed è san Valentino soprattutto in quel caso. Per me è san Valentino quando mi permetti di prendermi cura di te, come questa sera. Lo è quando ci amiamo ingenuamente o quando ci amiamo senza alcuna riserva. Fino a quando sarai al mio fianco, sarà sempre san Valentino per me. E non importa quale giorno dell'anno sia» gli sorrise dolcemente. «In ogni caso, grazie per questo san Valentino bizzarro e speciale»
Vide una luce strana negli occhi di Ron, forse erano lucidi. Continuava ad osservarla silenziosamente, con quello sguardo acceso, carico di ammirazione, incredulità e amore. La guardava davvero come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto.
«Perdonami se non riuscirò a dire qualcosa all'altezza» la voce gli tremava un po', e Hermione pensò che raramente aveva visto il suo viso così rosso. «Ma sapessi quante cose sto provando in questo momento... quante cose belle...»
Si guardarono ancora per un po' in silenzio, Hermione continuava a sfiorargli capelli. Poi gli si avvicinò, abbracciandolo.
«Mi basta questo momento» sussurrò pianissimo, chiudendo gli occhi.
Aveva la testa appoggiata al suo petto quando, alcuni minuti più tardi, in bilico tra il sonno e la veglia, lo sentì bisbigliare stancamente:
«Tu sei la mia cura, Hermione»
Istintivamente si strinse ancor di più a lui, l'essere speciale che aveva scelto di curare e da cui voleva essere curata per il resto della vita.

 
«Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
Ti salverò da ogni malinconia,
perché sei un essere speciale,
ed io, avrò cura di te»
  




* «No, Harry!» ansimò Hermione con un sussurro agghiacciato; Ron invece, che si era alzato a fatica, si rivolse a Black.
«Se vuoi uccidere Harry, dovrai uccidere anche noi!» disse con fierezza, benché lo sforzo di reggersi in piedi lo rendesse sempre più pallido, oscillando leggermente. Qualcosa lampeggiò negli occhi cupi di Black.
«Stenditi» disse piano a Ron. «Hai la gamba rotta.»
«Mi hai sentito?» disse Ron debolmente, aggrappandosi a fatica a Harry, per non cadere. «Dovrai ucciderci tutti e tre!»
(Harry Potter e  il prigioniero di Azkaban - Capitolo 17, pag. 288)


Angolo autrice
Quanto tempo, ragazzi! Per Godric se sono arrugginita! Ammetto che non solo mi sono mancati i Romione, ma mi è mancato anche condividere con voi il mio piccolo mondo. Questa non avrebbe dovuto essere la prima storia del 2016, in realtà mi sarebbe piaciuto lasciare qualcosa in pagina per auguravi un buon anno, ed infatti mi sono data da fare e così una storia di Capodanno era pronta per essere pubblicata, appunto, nei primi giorni dell'anno. Ma, ahimé, il pc ha deciso di abbandonarmi, e allora ho pensato che se l'avessi pubblicata così, a metà gennaio, avrebbe perso il suo vero "spirito" (ma siccome sono abbastanza soddisfatta del risultato, la conserverò per poi pubblicarla per il 2017, lol - no, ok, non pensiamoci). Allora ho deciso di scriverne una nuova per san Valentino, ma tra lo scrivere e il pubblicare, c'è di mezzo la sessione invernale (ouch!) e quindi, storie a tema o meno, sono comunque in ritardo, lol. C'è da dire, però, che io non credo affatto in questa festa <.< tant'è che, come avrete notato, nel racconto essa passa assolutamente in secondo piano e, ovviamente, la cosa era voluta sin dall'inizio. Volevo che venisse fuori qualcosa di più, e ok, è la festa degli innamorati e blabla, per cui quale esempio migliore dei Romione? Ma, in realtà, chi se ne importa se ho pubblicato questa storia il 26 di febbraio e non il 14? Chi se ne importa in che giorno la leggerete? Uhm. Be', vorrei sapere se davvero viene fuori "quel di più". Ci ho messo molto cuore.
Inoltre, ho bisogno che voi siate spudoratamente sinceri. Mi spiego.
Quello che scrivo riflette sempre il mio stato d'animo di un preciso momento/periodo. Non scrivo se non guidata da pensieri provenienti direttamente dal cuore. (?) L'anno scorso ho scritto solo quattro missing moment (compresi in un'unica raccolta, ricordate?) che reputo piuttosto "pesanti", tristi, cupi, ma era quello che sentivo, il riflesso di quello che stavo provando.
Questa storia rappresenta sicuramente un cambiamento, ciò che mi spaventa è pensare che, involontariamente, avrei potuto renderli un po' troppo sdolcinati, un po' meno Ron/Hermione, proprio perché penso di essere arrugginita ^^'. Il fatto è che io sentivo di doverli immaginare così, di dovermi esprimere in questo modo... nonostante ciò, sono consapevole di aver esagerato un pochino, che dite? ^^''. E non ho fatto nulla, non ho fatto nulla perché ho preferito liberare cuore e mente. Insomma, mi sono espressa spontaneamente, come al solito. Però vorrei lo stesso che voi mi diceste, se vi va e in un modo del tutto sincero, se questi vi sembrano veramente Ron e Hermione. Oppure credete che Jess abbia perso la testa esagerando con la dose di miele per questi due e che sia ormai caduta nella banalità? (oddio, se così fosse dovete fermarmi) Dovete confessare, mi fido di voi. Ah, e poi, ragazzi, per la prima volta ho scelto di esprimermi attraverso la testolina della nostra Hermione (incinta, per giunta!)... spero di non aver combinato nessun guaio, sapete quanto amo questo personaggio. Ditemi un po'! 
Il tema che ho voluto trattare, lo reputo di grande importanza. Nella mia vita, in quella delle persone che amo, nella vostra, in quella dei Romione (ma ovviamente!)... insomma, nella vita in generale. Spero di aver toccato i tasti giusti e che il tutto non risulti troppo superficiale o scontato... non me lo perdonerei mai dal momento che ho anche usato versi della canzone (poesia) di Battiato.
"Amare è solo ed effettivamente prendersi cura di un altro essere, sollevandolo da tutto, stargli accanto, ma senza evitargli le indispensabili tappe nel dolore, senza il quale è impossibile risvegliarsi" è (anche) questo che vuole dirci "La cura", e anche se in questa shot Hermione per la maggior parte del tempo si prende cura "fisicamente" di Ron, in verità spero di essere stata in grado di comunicare soprattutto un diverso modo "dell'aver cura" dell'altro. Tra le tante cose che vedo in Ron e Hermione, c'è sicuramente anche questo. Spero di avervi lasciato qualcosina o anche un piccolo sorriso semplice, semplice.
Be', che dire? Cavolo, quanto mi è mancato quest'angoletto! Vorrei potervi dare un appuntamento, ho tante idee che mi frullano per la testa... ma il tempo non aiuta, è sempre poco e gli esami sono sempre troppi, sigh.
Peeeerò volevo dirvi che la prossima Romione sarà un po'... boh, strana? Non so, comunque c'entra la serie Sherlock (non è un crossover, non mi sento pronta per una cosa simile D:), sarà divertente eheh. 
Un ringraziamento speciale a chi è sempre qui per leggere le mie storielle, non immaginate quanto mi facciano bene le vostre parole. Un grazie anche a te che sei capitato qui per caso... perché, grazie a Godric, c'è ancora chi digita Ron/Hermione su questo sito. Grazie per essere arrivato fin qui, che tu decida di scrivermi, di apprezzare in silenzio o semplicemente di passare avanti... scegli sempre i Romione, in ogni caso. Anche in questo preciso istante vi consiglio sempre di leggere i racconti di Frava e happy ending... mi raccomando! 
Spero di risentirvi presto! (':
Io ho sempre usato l'espressione "peace, love and Romione", sin dalla prima volta che ho scritto su di loro, per cui...
Peace, love and Romione.
Un abbraccio
Jess



 
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. Farai felice milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
© elyxyz
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: bemyronald