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Autore: Mary P_Stark    26/02/2016    2 recensioni
1803. Yorkshire. La guerra infuria, in Europa, e Napoleone Bonaparte non nasconde le sue mire nei confronti della ricca Inghilterra. Christofer Harford, figlio cadetto del Conte Spencer, viene costretto dal padre a maritarsi prima della partenza per la guerra. Le imposizioni non sono mai piaciute al rampollo di casa Spencer, che mal sopporta l'ordine, e finisce con il rendere vittima la dolce e docile Kathleen, sua moglie contro ogni aspettativa. Le privazioni della guerra e la morte prematura del conte Harford richiamano in patria un Christofer distrutto dal dolore, che si ritrova ad affrontare non solo la morte del conte, ma anche una donna che non riconosce essere sua moglie.
Perché la nuova Kathleen è forte, non si piega alle avversità e, soprattutto, sa tenere testa al marito come mai aveva fatto prima della sua partenza. Ma cosa l'ha cambiata tanto?
Christofer è deciso a scoprirlo, così come è deciso a redimersi dalle sue colpe come marito. Ma nubi oscure si addensano all'orizzonte, minando la possibilità dei due coniugi di conoscersi, di instaurare un vero rapporto.
Saprà, Christofer, difendere la moglie da questo pericolo ormai alle porte e, nel suo cuore, potrà trovare spazio anche per l'amore?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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6.
 
 
 
 
 
“A volte, penso che avremmo dovuto rimanere a Corfù, diventare pescatori e sposare un paio di belle greche del posto” rise Andrew, passando a Christofer un bicchiere di Porto. “O avventurarci in Turchia, trovare un luogo sperduto e…”

“E rinunciare alla nostra prima Stagione come scapoli d’oro? Non te la saresti persa per nulla al mondo, ammettilo!” lo interruppe l’amico, dandogli di gomito.

Gli occhi azzurro cielo di Campell sondarono la sala di Almack’s senza realmente vedere nessuno, persi in mille pensieri diversi.

Pensieri che non avevano nulla a che fare con le dame da conquistare, o l’erede da concepire per il buon nome del proprio baronato.

No, Andrew pensava a tutt’altro, in quel momento.

“Ammetti anche tu che, lontano da York, siamo stati meglio entrambi!” replicò con un sorriso il giovane erede dei Barnes.

Christofer si adombrò a quelle parole e, nell’ingollare la bevanda scarlatta, borbottò: “Non ricordarmi quanto sia penosa la mia vita a Green Manor, amico mio. Lo rammento fin troppo da solo, e i miei fratelli sono bravissimi a ficcarmelo ben in testa.”

Andrew batté una mano sulla spalla dell’amico, asserendo contrito: “Scusami. Hai ragione. Kenneth si è almeno scusato, per quanto è successo?”

Christofer lo irrise con lo sguardo, forse credendo che stesse scherzando e, lasciandosi andare a un sospiro, replicò: “Perché? Il tanto compassato erede degli Spencer, ha forse qualche colpa? Ha commesso qualche crimine?”

Sbuffando, Andrew ripensò a quanto avvenuto a Eton, a quello stupido scherzo, conclusosi in una semplice visita all’infermeria per mera, sfacciata fortuna.

“Ricorda una cosa, Andrew. Bacia la terra dove cammina tua sorella, perché lei non tenterà mai di ammazzarti con un canovaccio spinto a forza in gola” sibilò Christofer, chiedendo per sé un altro bicchiere di liquore. “Né tenterà di infilzarti con la spada da allenamento durante la lezione di scherma.”

Il giovane Barnes fece per dire qualcosa, ma lo sguardo torvo e rabbioso dell’amico lo fece desistere.

Era inutile tentare di rappacificare il suo animo, in quei momenti.

L’avvicinarsi di Myriam distolse entrambi da quei tristi discorsi e, con un sorriso, Andrew le baciò la mano protesa, esclamando: “Una mattina d’estate non potrebbe rifulgere come te, mia cara Myriam. Sei splendida!”

La risata argentina della ragazza riempì l’aria profumata di quell’ambiente caloroso e ricco di colori.

Di colpo, però, l’atmosfera goliardica mutò, ammorbandosi di un tanfo ben più insopportabile, in netto contrasto con quell’ambiente così giocoso e allegro.

L’esplosione di un colpo di cannone rimbombò nelle orecchie di Christofer che, terrorizzato, osservò il salone sprofondare nell’oscurità, divenendo qualcos’altro.

Qualcosa che mai avrebbe voluto rivedere ma che, ogni notte, si ripresentava alla sua memoria con straziante ferocia.

Un attimo dopo, madido di sudore e con il torace martellato dai battiti frenetici del cuore, Christofer spalancò gli occhi solo per trovarsi nella sua stanza da letto.

Era solo, al buio e percorso da brividi così forti da fargli battere i denti.

Era passata una settimana dal suo ritorno e, pur con tutta la sua buona volontà, non era riuscito a dormire bene neppure una notte.

Le immagini legate alla morte di Andrew, inframmezzate a ricordi più lontani, continuavano a tormentarlo ogni qualvolta tentava di chiudere occhio.

Feroci, lo assalivano quando era più debole, riportandogli alla memoria ogni particolare, ogni rumore, ogni odore.

Il petto squarciato di Andrew, il sangue copioso che usciva dalla sua ferita, gli occhi vitrei, la bocca socchiusa, sorpresa, quasi non si aspettasse di poter essere ucciso.

Lui, che affrontava sempre i nemici con spavalderia!

Lo aveva sempre terrorizzato a morte con i suoi assalti alla baionetta, o armato della sua spada e, ogni volta, ne era uscito senza un graffio.

Assurdo pensare che, dopo due anni di assoluta fortuna, avesse dovuto morire di colpo, e in modo così tremendo.

Come se non fossero bastati gli incubi a ricordargli quel tragico evento, la gamba gli doleva sempre più, memento tragico di quegli istanti senza tempo.

Un quieto bussare alla porta sorprese Christofer, strappandolo a quel gorgo di pensieri tragici.

Un attimo dopo, in vestaglia da camera e armata di candela, fece il suo ingresso Kathleen, il viso pallido e turbato.

“Vi sentite bene? Vi ho udito urlare, e così ho pensato che…” mormorò lei, rimanendo accanto alla porta di comunicazione tra le loro stanze.

“Chiedo venia se vi ho svegliata, mia signora, ma un incubo mi ha riscosso dal sonno in maniera piuttosto violenta” si scusò in fretta lui.

“Non stavo dormendo” ammise Kathleen, con una lieve scrollatina di spalle.

Piuttosto sorpreso, l’uomo si allungò fuori dal letto per afferrare il suo bastone e, dopo aver raggiunto la sedia dove aveva riposto la vestaglia da notte, la indossò.

Kathleen rimase per tutto il tempo accanto alla porta finché il marito, volgendosi verso di lei, non le disse: “A quanto pare, nessuno dei due avrà requie, questa notte. Volete dunque scambiare due parole con me, Kathleen?”

Vagamente sorpresa da quella richiesta, lei annuì un attimo dopo e il conte, indicandole con un sorriso i divanetti nei pressi del fuoco, la invitò ad accomodarsi.

La moglie acconsentì e, dopo aver attraversato la stanza per raggiungere il camino, si acciambellò su uno dei divani.

Con abilità sopraffina nascose le caviglie al di sotto dell’orlo della vestaglia e, nel contempo, riuscì suo malgrado ad apparire elegante nonostante la posizione quanto mai inusitata.

Christofer sorrise di quel piccolo accorgimento e, nell’accomodarsi a sua volta, mormorò: “Immagino che l’idea di mostrarmi le caviglie sia quantomeno inopportuna, vero?”

“E’ sciocco, ma non sono a mio agio” ammise, sorridendo imbarazzata.

“Tra poco, sarete anche indolenzita” precisò il marito, allungandosi per afferrare una delle coperte di lana drappeggiate sugli schienali dei divanetti.

Allungatagliela, le propose di avvolgervi le gambe, cosicché lui non potesse scorgerne le caviglie.

Sorridendo, Kathleen annuì e, dopo essersi sistemata più comodamente, intrecciò le mani in grembo e gli domandò: “Grazie per il suggerimento. E’ senz’altro più comodo. Dunque, di cosa vorreste parlare, mio… Christofer?”

Il marito ridacchiò nel sentirla correggersi alla svelta e, scrollando le spalle con indolenza, ammise: “Di qualsiasi cosa. Chissà che non esista la maniera per chetare le nostre rispettive paure.”

Tornando seria, Kathleen gli domandò: “Stavate sognando Andrew?”

“Tra le altre cose, il suo incidente” precisò lui, adombrandosi un istante in viso. “Ma non voglio turbarvi con ricordi che, già ai miei occhi, appaiono tremendi. Cosa teneva sveglia voi, piuttosto?”

“La mancanza di ricordi, oserei dire” ammise la moglie, sorprendendolo. “Cerco sempre di immaginarmi come fosse Andrew poco prima di morire, se fosse cambiato, se le vicende della guerra lo avessero reso più duro, o più chiuso in se stesso. Altre volte, invece, rammento… beh, ecco…”

“Mio padre” aggiunse per lei Christofer, vedendola annuire con un sospiro. “Dirvi che non accadrà mai più nulla del genere, penso non basti a ridarvi il sonno, immagino.”

“Può servire… ma se avrete la pazienza di ripetermelo molto spesso” dichiarò la moglie, riuscendo a raggranellare la forza per sorridergli. “Quanto a mio fratello… potete dirmi com’era?”

“Uno scavezzacollo. Un pazzo. Un emerito idiota.”

Kathleen non rispose a quelle accuse.

Avvertì subito quanta dolcezza e affetto fossero contenuti in quelle parole che, dette da un altro, sarebbero suonate solo come beceri insulti.

Accentuando il suo sorriso, quindi, mormorò: “Allora, la guerra ha solo accentuato le sue dubbie virtù. Dovevo immaginarlo.”

“Già” convenne Christofer, annuendo. “Era solito prendermi in giro per i miei musi lunghi, o per la mia totale incapacità di scrivervi una lettera degna di tale nome.”

Lei sorrise a quell’accenno, e ammise: “Le conservo ancora, sapete?”

“Dio! Gettatele nel fuoco!” rise allora lui, passandosi una mano sul viso con aria tragicomica. “Sono un monumento alla mia stoltezza!”

“Mi dicevano che eravate vivo, perciò erano importanti” gli fece notare lei, con estrema semplicità e onestà.

“Kathleen…”

Giocherellando con l’intreccio caldo dei fili di lana della coperta, la giovane mormorò a capo chino: “Ero terrorizzata, la prima volta che vi vidi entrare nella mia stanza. Avrei voluto urlare, piangere, scacciarvi… non feci nessuna di queste cose, mi limitai a rimanere impassibile, come mi disse di fare mia madre.”

“Vostra… madre?” esalò Christofer, sgranando leggermente gli occhi.

Aveva praticamente dato per scontato che avesse parlato della prima notte di nozze con Myriam, che aveva solo qualche anno più di lei.

Annuendo, la moglie asserì torva: “Mi aveva assicurato che sarebbe durato poco, che avrei sofferto, ma non per molto e che, una volta rimasta incinta, probabilmente mi avreste lasciato stare, preferendo la compagnia di un’amante.”

Passandosi una mano sul viso, il marito mormorò contrariato: “Ed è andata esattamente così, vero? Vi ho fatto male, e l’amplesso è durato ben poco.”

Lei si limitò ad annuire.

Non sembrava imbarazzata da quell’argomento, che molte signore avrebbero ritenuto davvero troppo scandaloso, anche se toccato con il proprio marito.

Pareva sinceramente interessata a spiegarsi, a fargli conoscere cos’aveva provato, cosa provava in quel momento.

Pur se si sentiva un verme ogni qual volta tornava a quella notte di due anni prima, doveva concederle lo spazio per dire la sua, visto che non le era stato dato a suo tempo.

Se volevano un futuro insieme e, soprattutto, un futuro sereno, avrebbe dovuto ingoiare il rospo e sottostare al suo esame.

“Quando voi ed Andrew partiste, ne parlai anche con Myriam, ma lei mi mise ancor più confusione in testa, sostenendo l’esatto contrario di quel che aveva detto mia madre. Non seppi più a cosa credere e, più di una volta, mi chiesi se il problema non fossi stata io.”

Nel dirlo, levò due occhi enormi e insicuri a scrutarlo in viso.

“Non fu colpa vostra, su questo posso rassicurarvi” ci tenne a dire lui, lasciando che le membra si rilassassero sul comodo divano in stile Chippendale. “Fui sgarbato, egoista e del tutto preso dal mio personale senso di rivalsa nei confronti di mio padre e, a torto, usai voi per sfogarmi. Ben misero comportamento ma, visto che mi avete chiesto la verità, non userò false scuse con voi.”

Kathleen deglutì a fatica, ma annuì.

Le spalle ritte e fiere, sorbì quella realtà senza il minimo accenno di rabbia o risentimento.

Ancora una volta, Christofer si stupì del suo coraggio e della sua determinazione. Quanto era cambiata, in due anni!

“Quindi, se vostro padre non vi avesse angustiato così tanto…”

“… vi sareste… ci saremmo divertiti molto di più, quella notte” ammise lui, abbozzando un sorriso malizioso. “E, anche in quelle seguenti, avreste tratto maggiore piacere dall’atto in sé.”

La reazione di Kathleen lo riscaldò.

Sorrise teneramente e le sue gote si arrossarono, conferendole un aspetto più salubre e, sì, affascinante.

“Dopo… beh… non è… non è stato poi così brutto. Non del tutto, almeno. Però...”

Christofer sorrise di fronte al suo imbarazzo, ma fu lieto che gliene avesse parlato. Dovevano parlarsi, specialmente dopo quanto aveva fatto suo padre.

Più lei avesse espresso le sue paure e i suoi timori, più sarebbe stata libera da demoni.

“Non ne avete tratto il piacere che, forse, desideravate” la pungolò, vedendola avvampare, a quel punto. “Non sapevate se chiedere o meno, vero?”

“Se mia madre sapesse che sto parlando con voi di questo, morirebbe di imbarazzo!” ridacchiò sommessamente lei, reclinando pudica il viso a fissarsi le mani.

“Lo immagino. Le nobildonne di campagna sono molto più morigerate di quelle di città” assentì Christofer, scatenando nella moglie una nota di curiosità.

Ridendo piano per non svegliare Julian, che dormiva saporitamente nella stanza adiacente alla sua, il marito ammise: “Ho conosciuto matrone e damigelle, a Londra, che avrebbero fatto impallidire ben più di un nobile titolato, con i loro modi di fare decisamente… anticonformisti.”

Le iridi verdi punteggiate d’oro di Kathleen si sgranarono ancor di più, e la sua virginea curiosità fece sorridere Christofer che, con un sorriso scaltro, aggiunse: “Non voglio farvi scappare a gambe levate dalla stanza, mia signora, ma oserei dire che molte di loro ne sanno anche più di me, sui piaceri carnali.”

“Oh” esalò lei, coprendosi la bocca con le mani per soffocare un singulto di sorpresa.

“Vi tedia sapere che ho conosciuto altre donne prima di voi, Kathleen?” le domandò con sincero interesse il marito.

“No. O per lo meno, non proprio. Lo davo praticamente per scontato. Ce n’è qualcuna che conosco, però?” gli domandò la giovane, tornando a guardarlo in viso, gli occhi ora attenti e, sì, vagamente torvi.

Christofer, suo malgrado, trovò quell’accenno di rivalità molto piacevole e, nello scuotere il capo, dichiarò: “Nessuna donna, da qui a Londra, può vantare un simile piacere.”

Kathleen allora levò ironica un sopracciglio e celiò: “Sapete, vero, che la superbia è un peccato capitale?”

Il marito rise, sinceramente divertito dal tono della moglie.

“E’ un dato di fatto, Kathleen, non falsa modestia.”

“Datemi qualche nome. Chiederò conferma” gli propose allora lei, perfettamente seria in viso.

Il marito la fissò basito, chiedendosi se fosse per caso impazzita quando, su un angolo della bocca, vide balenare il fantasma di una risata.

Oh, quindi la moglie sapeva anche fare dello spirito? La faccenda si stava facendo davvero interessante.

Decidendo di stare al gioco, lui si tamburellò un dito sul mento con fare pensoso e la moglie, ora accigliata, sbuffò al suo indirizzo.

Il conte sogghignò e, nell’appoggiare gli avambracci sulle cosce, sostenne con divertimento: “A questo gioco possiamo partecipare in due, Kathleen. E comunque, non vi direi mai chi sono le donne che ho conosciuto prima del matrimonio, perché non sarebbe carino nei loro confronti… e in quelli dei loro attuali mariti.”

“Capisco” mormorò a quel punto Kathleen, portandosi le mani alla bocca per soffocare un risolino.

“Non ero un santo, lo ammetto, ma posso dire a mia discolpa che mi hanno sempre cercato loro” ammise lui, spallucciando.

“Non so se essere infastidita dalla cosa, oppure compiaciuta all’idea che mio marito sia così benvoluto dal genere femminile” brontolò a quel punto la moglie, intrecciando le braccia sottili sotto i seni.

Quel gesto innocente ne mise in evidenza le curve morbide, e più floride di quanto non ricordasse.

Suo malgrado, i lombi traditori gli rammentarono quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva assaggiato le carni di una donna.

Divincolandosi leggermente sul divanetto per trovare una posizione più comoda, Christofer si accorse solo troppo tardi del lento rossore sorto sulle gote della moglie.

Ridacchiando imbarazzato, si coprì il basso ventre con le mani e borbottò contrito: “Per quanto io possa pensarla in un modo, qualcun altro vorrà sempre e solo una cosa. Le mie più profonde scuse, non volevo turbarvi. Il mio corpo mi tradisce quando certo di essere un gentiluomo tutto d’un pezzo.”

“Ma… ma sono… trasandata e…” tentennò lei, volgendo lo sguardo verso il fuoco per non dover correre con lo sguardo a ciò che il marito, tanto febbrilmente, stava nascondendo.

L’aveva sorpresa e, sì, sgomentata, notare i febbrili movimenti del marito per nascondere la sua mascolinità.

Suo malgrado, si era sentita andare a fuoco e, al tempo stesso, raggelare di paura.

“Credetemi, Kathleen, potreste indossare anche un sacco di tela, e sareste ugualmente una giovane decisamente attraente” le confessò il marito, sorridendole.

“Come?” esalò lei, avvampando in viso.

Non si era mai vista carina, questo era poco ma sicuro, e la sua altezza non le aveva mai reso le cose facili.

Le sue forme erano aggraziate, ma non certo formose come avrebbe voluto lei, o come la moda del momento dettava.

Di sicuro, un uomo doveva preferite una donna come Myriam, piccola e morbida, piuttosto che una come lei.
Sorpreso dal suo sconcerto, Christofer perse del tutto la voglia di fare dell’ironia e, con sincero interesse, le domandò: “Nessuno vi ha mai messo dinanzi a uno specchio, Kathleen?”

“Mi ci rifletto tutte le mattine, Christofer, e so esattamente cosa non sono” brontolò la moglie, accalorandosi.

“Lasciate che vi smentisca. Siete una donna affascinante, e la vostra cascata di capelli lunghissimi, e del colore del grano, attira lo sguardo. E, prima di passare alla descrizione del vostro corpo che, sono certo, potrebbe scatenare in voi un forte imbarazzo, vi dirò soltanto che non scorgo in voi nessun difetto e che, quel che vedo, incontra la mia piena approvazione.”

Nel dirlo, le sorrise il più teneramente possibile, giusto per non apparire un cafone.

Il rossore giunse comunque e, nel reclinare il viso, borbottò: “Avete bisogno di occhiali. Sicuramente.

Lui rise sommessamente, replicando: “E voi, di maggiore fiducia nelle vostre qualità che, da quel poco che ho scoperto, non si limitano a un bel corpo sinuoso e a un’indubbia capacità nel saper far di conto.”

“Mio signore!” sbottò lei, avvampando.

“Non mi scuserò con voi per la verità, visto che me l’avete espressamente chiesta. Sta a voi decidere se accettarla o meno. Io ve la offrirò spontaneamente ogni qualvolta me la chiederete” ironizzò lui, allungandosi per afferrare un ceppo e gettarlo nel fuoco.

Levandosi in piedi con estrema grazia, il volto ancora accaldato, Kathleen mormorò: “Penso che, per stasera, abbiamo parlato a sufficienza. Buonanotte.”

Lui si limitò a sorriderle nel vederla allontanarsi ma, quando la moglie ebbe raggiunto la porta, le domandò: “Mi direte mai perché vi rincuorava sapere che ero vivo?”

Il volto fisso sul battente di quercia, lei si limitò a mormorare: “Siete mio marito. Era ovvio che fossi rincuorata dal sapervi in vita.”
 
***

La colazione poco dopo l’alba era divenuta ormai un rito, per la famiglia Spencer.

Nel veder comparire la madre, il fratello e la moglie, Christofer si affrettò – per quanto possibile – ad alzarsi dallo scranno, pronto a inchinarsi dinanzi a loro.

Whilelmina lo gratificò con un bacio sulla guancia mentre Kathleen, più compita, lo beneficiò di un sorriso.

Wendell, più espansivo, lo abbracciò frettolosamente alla vita prima di curiosare sul tavolo per decidere cosa mangiare.

Ritenendosi soddisfatto, l’uomo tornò a sedersi per dedicarsi al suo piatto di uova strapazzate e bacon.

Con tono tranquillo, dialogò del più e del meno con le due donne e il fratello, informandoli della sua intenzione di incontrare i vari fittavoli.

La madre si dichiarò entusiasta e la moglie assentì compita, sbocconcellando un piccolo panino dolce imburrato, ricoperto di composta di mirtilli.

Come sempre, Kathleen mangiava pochissimo.

E, come sempre, fu la prima a terminare.

Quando si levò per allontanarsi dalla saletta – facendo segno a Christofer di non alzarsi – si affiancò al marito e, con un sorriso timido, mormorò: “Grazie, per ieri notte. L’ho apprezzato molto.”

“E’ reciproco” la rincuorò, arrischiandosi ad allungare una mano per batterla gentilmente su quella della moglie, poggiata con disinvoltura sull’immacolata tovaglia.

Subito, Kathleen allontanò la mano e, un attimo dopo, sospirò afflitta, fissando spiacente il marito.

Christofer allora le sorrise comprensivo e asserì: “Ho troppa fretta. Scusate.”

Lei allora si arrischiò a sfiorargli il viso con la stessa mano che aveva rifuggito il suo tocco e, accentuando il sorriso, dichiarò: “Avete bisogno di farvi la barba.”

“Avvertirò Julian” annuì lui, seguendola con lo sguardo quando uscì dalla stanza.

La risatina del fratello lo portò a distogliere in fretta il volto e, accigliato, lo squadrò torvo fino a farlo smettere.

Faceva il furbo, eh?

Quando la nuora fu uscita, Whilelmina si arrischiò a chiedere al figlio: “E’ successo qualcosa, tra voi due?”

Ancora, Wendell ridacchiò, ma stavolta fu la madre a rabbonirlo, ricordandogli chi fosse e quale grado di educazione dovesse tenere a tavola.

Il ragazzo assentì mogio e, con un leggero sbuffare, tornò alla sua tortina dolce.

“Niente di quanto voi stiate pensando, madre. Abbiamo solo parlato per un po’, poiché nessuno dei due riusciva a prendere sonno” le spiegò succintamente, dedicandosi alla sua tazza di tè alla menta.

Era curioso come Kathleen rifuggisse il tocco degli altri ma se, spinta dal bisogno, non badasse minimamente alla cosa.

La prima notte, vedendolo in difficoltà, non aveva esitato a sorreggerlo ma il semplice tocco della sua mano, il giorno seguente, l’aveva spaventata a morte.

E, anche quella mattina, era avvenuta la stessa cosa.

“Oh… capisco” annuì la madre, vagamente dispiaciuta.

“Madre… Kathleen rifugge anche il vostro tocco?” le domandò con curiosità il figlio.

La donna assentì spiacente.

“Non vuole che io la abbracci. Neppure da sua madre accetta simili gentilezze. Wendell è l’unico che, almeno ogni tanto, riesce a strapparle un abbraccio.”

Nel dirlo, sorrise al figlio minore, che assentì orgoglioso.

“E’ solo lei a decidere quando ha bisogno del tocco di un’altra persona. Ma non devi pensare che…”

Azzittendola con un cenno della mano, Christofer bofonchiò: “Non sono un idiota, madre. Capisco perfettamente perché non vuole essere toccata. Solo, trovo difficile trovarmi vicino a lei senza poterle neppure sfiorare il viso, o una mano.”

“Dovrai portare molta pazienza, caro” dichiarò la madre, speranzosa.

“Gliel’ho promesso, se è per questo, ma è una cosa maledettamente complicata, visto quanto è affascinante. Dovevo avere ovviamente la testa da un’altra parte, prima di partire, per non essermene accorto” brontolò il figlio, guadagnandosi per diretta conseguenza un’occhiataccia dalla madre e lo strizzare d’occhio del fratellino. “Ehi, andiamo! Non ho gli occhi foderati! Non è vero che Kathleen è molto bella, fratello?”

“La mia sorellona Kathleen è bellissima” assentì Wendell, sbocconcellando la sua tartina.

Whilelmina fissò male entrambi i figli, ma sospirò sconfitta.

“Preferirei che pensassi a tua moglie con maggior modestia e affetto, piuttosto che mosso da semplice… semplice libido.”

Ora sinceramente divertito, quanto indispettito, il figlio replicò caustico: “Libido? Madre, vorrei ricordarvi che io e Kathleen siamo sposati davanti a Dio, perché mio padre ha voluto questo, non certo per una decisione presa da noi due. Sarebbe un affronto a Kathleen stessa parlare d’amore, quando non ne provo affatto. Affetto? Certo. E’ la sorella del mio migliore amico e, per quanto poco io l’abbia frequentata prima del matrimonio, l’ho sempre ritenuta una ragazzina educata e carina. Che altro pretendete, da me, oltre a questo?!”

“Che tu avessi maggiore cuore!” sbottò la madre.

Wendell si rattrappì un poco, al suono cocciuto della voce materna e, facendo finta di niente, sorseggiò il suo succo d’uva per evitare grane.

Levandosi in piedi a fatica – il freddo di quelle terre non aiutava di certo la guarigione della sua ferita – Christofer replicò con maggiore controllo: “Le ho promesso sincerità, madre, e io mantengo le mie promesse anche se, nel suo caso, in modo tardivo. Mentirle le farebbe più piacere? Non credo. Kathleen mi sembra tutto tranne che una persona sciocca. Dirle che l’amo sapendo che non è vero, equivarrebbe a farle un torto ben maggiore di quanto io non le abbia fatto in passato. Non le mentirò mai più!

Sostenne con forza lo sguardo accigliato della madre, sapendo di avere ragione. Kathleen non voleva vuote parole, ma solo la verità, e lui gliel’avrebbe sempre offerta, assieme alla sua fedeltà.

“Ora, con il vostro permesso, vorrei recarmi alle scuderie per vedere Zeus. E’ il primo giorno di sole da quando sono tornato e, anche se non posso salire in sella, credo che un giretto alla cavezza gli possa fare bene” terminò di dire Christofer, lapidario.

Whilelmina, inspiegabilmente, arrossì come un peperone maturo e Wendell tossì fragorosamente, quasi gli fosse andato di traverso il succo d’uva.

Il conte, però, non vi fece poi molto caso e, claudicando visibilmente, uscì dalla stanzetta per raggiungere le scuderie.

Impiegò diversi minuti per discendere le scale, ma per nessun motivo al mondo avrebbe chiesto aiuto a chicchessia.

Pur se la casa brulicava di domestici già al lavoro e che, sicuramente, si sarebbero ben volentieri offerti di aiutarlo, il conte preferì mettere a tacere il proprio dolore.

Ne andava del suo amor proprio e del suo orgoglio, due cose che da settimane erano ai minimi storici, nel suo animo.

Quando infine raggiunse il cortile, il fiato corto e un leggero umidore al collo, testimone della fatica patita, Christofer dovette bloccare sul nascere qualsiasi sua azione, strabiliato da ciò che vide.

Nei pressi dello stallaggio, in compagnia dell’onnipresente William, Kathleen stava infilando un piede nella staffa della sella che si trovava sulla schiena di Zeus.

Il suo Zeus.

E quella sul dorso del cavallo, che poteva scorgere senza fallo, era una sella da uomo.

Con un gesto esperto e sicuro, Kathleen scavalcò con agilità l’ampia schiena dell’andaluso nero.

William, premuroso, le sistemò le vesti da cavallerizza, drappeggiandole alla perfezione attorno all’animale.

Fatto ciò, consegnò le redini alla donna, si accostò a un secondo cavallo, un frisone corvino dal magnifico portamento e, muovendosi con fare esperto, vi salì in groppa agilmente.

Kathleen non attese oltre.

Con un colpo di tacchi ben assestato sui fianchi di Zeus, si mise in marcia, prendendo la via che conduceva al vicino villaggio di Stamford Bridge.

William la seguì a brevissima distanza, un fucile legato alla sella e il mantello pesante che svolazzava sulle sue spalle diritte.

“Ma che diavolo…” borbottò il conte, incapace di credere a ciò che aveva appena visto.

Non solo sua moglie era partita al trotto sul suo stallone, ma pareva che il cavallo fosse più che abituato a lei e al suo dolce peso.

E il gigantesco frisone nero con il quale William la accompagnava, da dove saltava fuori?

Dubitava fortemente potesse appartenere a William, visto il costo abnorme di una simile bestia.

Inoltre, era più che certo che, prima della sua partenza, quello splendido esemplare non facesse parte delle loro scuderie.

Quindi, di chi era?

Sempre più confuso e sì, accigliato all’idea di sapere la moglie in sella a un animale focoso come Zeus, Christofer si diresse con rinnovata forza in direzione dello stallaggio.

Lì, trovò soltanto un giovane garzone, intento a mettere paglia nuova nei box.

Quando fece notare al ragazzo la sua presenza, il conte si irritò non poco nel vederlo sobbalzare di sorpresa e paura.

Ma era mai possibile che suo padre avesse messo un tale nervosismo addosso a tutti i dipendenti?

Cercando perciò di controllare il suo tono di voce, il conte gli domandò: “Ho visto mia moglie e Mastro Knight uscire a cavallo. Sai dirmi se è consuetudine che la contessa cavalchi Zeus?”

Il ragazzo assentì nervosamente e, nello stringere il pesante forcone tra le mani, mormorò ansioso: “Milady si preoccupa di far passeggiare Zeus da più di un anno e mezzo, ormai. Riteneva che lo stallone passasse troppo tempo chiuso nel suo box, e avesse necessità di correre.”

Lappandosi le labbra, aggiunse in un sussurro nervoso: “Inoltre, dopo… dopo la morte del figlio, sembrava che stare con Zeus le facesse… bene.”

“Non avrebbe potuto farlo il suo attendente?” replicò caustico Christofer, prima di tossicchiare quando vide il giovane impallidire per la paura. “Scusami. Volevo dire che mi preoccupo del fatto che la mia signora possa farsi male. Zeus, dopotutto, è un cavallo piuttosto imponente, anche se sono lieto di sapere che, stare qui all’aperto con lui, l’abbia aiutata a riprendersi.”

“Oh, ma milady è un’amazzone eccezionale, e Zeus è innamorato perso di lei” asserì con un mezzo sorriso il ragazzo, deliziato al solo pensiero di decantare le doti della sua padrona.

Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Christofer si chiese se Kathleen avesse fatto il lavaggio del cervello all’intero Green Manor.

Possibile che ne fossero tutti stregati?

“Zeus innamorato, eh?” celiò il conte.

“Da quando milady lo ha condotto alla cavezza per la prima volta, lo stallone non ha voluto che lei, in sella. Mastro William ha provato a sellarlo e montarlo, per maggiore sicurezza per lady Spencer, ma non c’è stato verso. Così, lui la accompagna con Thunder, il frisone di milady, mentre Sua Grazia cavalca Zeus” gli spiegò il ragazzino, ora maggiormente loquace.

Christofer impiegò qualche istante per digerire la notizia ma, quando il suo cervello fu sceso a patti con ciò che aveva appena udito, strabuzzò gli occhi e gracchiò: “Quel… quel bestione è di mia moglie?!”

“Sì, milord. So che lo ha acquistato a una fiera di paese, circa otto mesi fa.”

Poi, come se si fosse appena ricordato di chi aveva di fronte, avvampò in viso e si cucì la bocca.

Passandosi una mano tra i capelli, l’aria sconcertata e la mente colma di mille e più domande, Christofer mormorò al ragazzo: “Non devi preoccuparti che io ce l’abbia con mia moglie, giovanotto. Non le torcerei un capello. Mi sono solo stupito della scelta. Non è esattamente un palafreno.”

“No, immagino di no” mormorò il giovane che, con un sorriso di autentico sollievo, si volse a mezzo non appena si avvide dell’arrivo dello stalliere.

“Ehi, Roderick, chi ti ha detto di fermarti? Continua a lavorare” brontolò bonariamente l’anziano, strizzandogli l’occhio nel dargli un affettuoso scappellotto.

“Subito, zio. Milord, buona giornata.”

In fretta, il ragazzino si inchinò e tornò a svolgere il suo lavoro mentre lo stalliere, nel togliersi il berretto, salutò il suo titolare.

“Gilford, è un piacere rivederti” asserì Christofer, avvicinandosi di qualche passo all’uomo.

Era stato lui a metterlo sul suo primo pony, a insegnargli come curare una cavalcatura e, di lui, aveva ottimi ricordi.

“Milord … vedo che la guerra ha lasciato strascichi. Come vi sentite?” si interessò l’uomo, indicando con discrezione la gamba del conte.

“Una ferita piuttosto profonda, in effetti, e che mi da dei grattacapi, ma il dottore era ottimista, quando sono sceso dalla nave” gli spiegò succintamente Christofer prima di indicare i due box vuoti. “Ti facevo più avveduto, amico mio. Da quando permetti che una signora cavalchi una bestia scatenata come Zeus?”

Gilford, a sorpresa, ridacchiò divertito e il conte, fissandolo con aria curiosa, mormorò: “Ebbene?”

Per diretta conseguenza, lo stalliere chiosò: “Da quando una certa lady ha saputo chetarlo con il semplice sguardo, e qualche carezza. Milady è abilissima con i cavalli, sembra vi sia nata in groppa, e con Zeus è adorabile. Era evidente quanto il vostro stallone mordesse il freno, ma nessuno aveva il coraggio di avvicinarlo, perché cercava di masticare qualunque mano tentasse di metterlo alla cavezza.”

“Un brutto vizio, lo so, lo ha sempre avuto” ammise lui, curioso di ascoltare il resto.

Annuendo, lo stalliere proseguì.

“Lady Spencer si presentò qui, una mattina, munita di una carota, una cavezza e uno sguardo così volitivo che azzittì tutti. Accarezzò Zeus sul muso canticchiando qualcosa a bassa voce, ma con tono così suadente che, lo ammetto, se fossi stato un cavallo, mi sarei prostrato subito ai suoi piedi.”

Christofer ridacchiò, e Gilford si concesse un sorriso divertito.

“Lo condusse fuori senza sforzi e, da quel momento, furono inseparabili. Poi giunse Thunder, e furono scintille. I due cavalli se la contendevano. Non si può pensarla in nessun altro modo, quando vedi due bestioni a capo chino che, con tutta la delicatezza di cui possono essere capaci, le danno dei colpetti sulle spalle per indurla a salire sulle loro groppe.”

Ora, il conte era più che strabiliato, era senza parole.

“Così, non appena può, Sua Grazia conduce i due destrieri a fare un giro. Al ritorno, la vedrà in sella a Thunder, mentre Mastro William cavalcherà Zeus. Ma è un favore che l’andaluso concede  a quel ragazzo solo quando c’è lady Spencer con loro, come se sapesse che è l’unico modo per avere un po’ della sua compagnia” gli spiegò lo stalliere, spallucciando leggermente, come se anche a lui apparisse strano quel comportamento.

Ridendo sommessamente, suo malgrado, Christofer mormorò: “Ho sposato una fattucchiera, a quanto pare.”

“Direi una fatina buona, milord. Sua Signoria ha una parola gentile per tutti, si preoccupa di chiunque lavori alla villa e, non appena può, è prodiga di attenzioni anche per i poveri bambini dell’orfanotrofio di Dunnington” replicò con gentilezza Gilford, sorridendo compiaciuto.

“Una santa, allora” esalò il conte, sempre più sgomento.

Levando un sopracciglio con aria divertita, Gilford celiò: “Anche le rose più belle hanno le spine.”

“C’è qualcosa che non so?” si informò allora il giovane, incuriosito.

“Su vostra moglie? Non credo. Ma vorrei informarvi che una delle giumente partorirà nelle prossime settimane e, forse, vedrete lì le spine di Sua Signoria” lo mise in guardia lo stalliere, allontanandosi con un inchino per riprendere il suo lavoro.

Spine, eh?

Quell’accenno mantenne accesa la curiosità di Christofer per buona parte della mattinata.

Quando vide infine tornare la moglie in sella a Thunder, apparentemente sana e salva, il desiderio di sapere lo fece balzare dalla sedia dello studio.

Quel movimento repentino, però, gli causò dolori così cocenti da farlo crollare come un sacco sulla poltrona, ove era rimasto accomodato per ore.

Pur desiderandolo, non riuscì a risollevarsi.

Costretto suo malgrado a suonare il campanello per richiamare la servitù, ordinò ai domestici che lo accompagnassero nelle sue stanze.

Non se la sentiva di affrontare la famiglia in quelle condizioni.

La gamba gli doleva così tanto che, al momento, anche il solo riuscire a mettere insieme una frase sensata gli costava parecchia fatica.

Un intero pranzo, seduto al tavolo con loro, sarebbe stato una sofferenza.

Quando infine lo fecero sdraiare sul letto, e Julian ebbe ordinato che gli portassero  acqua calda e teli puliti, Christofer scoprì il perché di quel dolore sempre crescente.

Da quando era tornato, non si era voluto occupare della ferita, fin troppo preso dai suoi personali incubi per voler pensare anche a quell’arto offeso.

Prendersi cura di quell’ennesimo patimento sarebbe stato troppo, per i suoi nervi, specialmente in considerazione del fatto che, ne era sicuro, non avrebbe mai recuperato l’uso della gamba.

Si era anche rifiutato di chiamare il dottore, adducendo come scusa che la gamba stava guarendo bene.

Quando la madre avesse scoperto la verità, lo avrebbe scotennato. E forse anche Kathleen.

Fissando con rabbia e disgusto assieme quel che la sua testardaggine aveva causato, si chiese cosa ne sarebbe stato della sua gamba, a quel punto.

La ferita appariva gonfia e rossa e, suo malgrado, si avvide della presenza di qualche goccia di pus disgustoso e purulento sui bordi.

Julian fece del suo meglio per pulirla con dei panni umidi, ma il dolore era troppo forte e, alla fine, Christofer lo allontanò con un gesto rabbioso della mano.

Se proprio doveva farsi del male, lo avrebbe fatto di propria mano.

Lanciando imprecazioni su imprecazioni, il conte cercò quindi di ripulire come meglio poté quel maledetto disastro.

Alla fine, ciò che riuscì a fare, però, fu molto poco e lo lasciò del tutto stremato.

Andrew gli avrebbe dato dell’idiota, se avesse potuto vederlo, e non avrebbe avuto tutti i torti.

Ma perché, perché doveva essere sempre così testardo?







Note: Grazie ai sogni di Christofer veniamo a sapere dei suoi bruttissimi rapporti con i fratelli che, evidentemente, cercavano in ogni modo di non farlo uscire intero da Eton. Se già avere il biasimo del padre era di per sè pesante da sopportare, l'odio dei fratelli è un'aggravante che ha portato Christofer a divenire freddo con il mondo esterno, con l'eccezione di Andrew.
Scopriamo anche un'altra caratteristica di Kathleen. E' un'ottima cavallerizza, e sembra non avere affatto paura di un animale focoso come Zeus, cosa che colpisce non poco il marito, che ne conosce il caratteraccio. 
Non fosse stato per la gamba, forse sarebbe stata una degna conversazione per un'altra nottata insieme, ma la gamba ha deciso di farsi finalmente sentire, visto che Christofer l'ha trascurata.
Basteranno le sue semplici cure, o dovrà intervenire qualcun altro?
Lo scopriremo molto presto!
Per ora, grazie per essere passate e/o aver commentato!

 
  
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