Fumetti/Cartoni americani > Watchmen
Segui la storia  |       
Autore: TheNewFrontiersman    26/02/2016    2 recensioni
Una ragazza come tutte le altre, persa nella Grande Mela. Una ragazza pervasa da una curiosità illimitata e un essere misterioso. Entrambi non possono sopportare la propria immagine riflessa nello specchio. Due vite monocromatiche. Ma c'è chi vede grigio e chi vede bianco e nero...
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rorschach/Walter Kovacs
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dan era proprio dietro di me e mi guardava con aria sospetta.
 
Svelta, afferrai l'anta della porta e feci per tirare, ma lui fu più veloce, e in un attimo serrò le dita attorno alla mia spalla. Feci per abbassarmi di scatto, per sfuggire alla presa, ma svelto mi passò l'altro braccio sullo stomaco, immobilizzandomi.
Non era il caso di fare la sbruffona: non ero al massimo delle mie forze, e in uno scontro ravvicinato, data la mia costituzione gracile e la differenza di stazza  avrei avuto la peggio.
Ultimamente trovavo abbastanza difficile sgattaiolare via dagli energumeni che mi si paravano davanti.
 
Mi mancano un po' i miei allenamenti mattutini in prigione: dov'è finita la mia forza? Forse sto invecchiando.
 
Non sapevo se avrei avuto il tempo di riderci su, però. In ogni caso, quest’uomo non somigliava agli altri.
Avevo subito pensato che avesse un volto gentile, e in tutta sincerità non avrei mai immaginato che potesse essere abbastanza forte da trattenermi senza alcuno sforzo. Mi aveva dato più l'aria di un pantofolaio, a dir la verità.
Uno tranquillo, tutto casa e piaceri, tutto occhiali e camicia, una persona perfettamente normale.
Non sapevo quanto mi stessi sbagliando eppure la sua espressione non era mutata, non c'era traccia di malvagità nel suo volto, solo… sorpresa e pur tenendomi in pugno non dava segno di avere cattive intenzioni.
Non opposi resistenza e mi calmai, in attesa della mia sorte.
 
Quando allentò la presa, sul volto di Dan apparve un leggero cipiglio che trasmetteva un misto di rabbia leggera e disapprovazione.
“Ma sei solo una ragazzina… cosa ci fai qui, eh?”
Irritata dal fatto che era l’ ennesimo a definirmi “ragazzina” nonostante dal viso che mi scrutava potessi dedurre che eravamo quasi coetanei, risposi con un semplice “Ehm”.
 
Si, lo so. Patetica, come al solito.
E' strano come nei film e nei fumetti sembri così facile ribattere con frasi ad effetto, perché nella vita vera non succede quasi mai, e spesso ti ritrovi a fare la figura del fesso.
Di fronte al mio fare impacciato, il suo volto si ridistese nuovamente in un'espressione rilassata: “Senti… se sei una ladra, lascia qui le cose che mi hai rubato e vattene, non ti denuncerò alla polizia.”
 
Ecco fatto. Grazie tante Walter, questa è tutta colpa tua, o di chiunque mi abbia portato qui sotto tua richiesta…diavolo, questa gente nemmeno sapeva che fossi qui? Davvero mi hai scaricato nella prima casa a disposizione? Queste persone, tra l'altro, le conosci davvero? E se fossero solo SEMBRATI gente per bene? O volevi solo liberarti di me? Ero di troppo in quel tugurio che chiami casa?
Ma perché soccorrermi allora?
 
“Non sono una ladra! Io…non so nemmeno come ci sono arrivata, fin qui!”
L’espressione di Dan si distorse di nuovo e questa volta parve davvero confuso.
“Mh… vedo che sei ferita.” Fece una breve pausa e poi riprese. “No… quindi… no, impossibile… a meno che… mah.”
Il suo meditare era talmente rumoroso che ad essere confusi ora eravamo in due, così, per evitare di peggiore la situazione, rimani in silenzio.
“Va bene, ti credo. Stai bene?”
"Si, io…io credo di sì. Temo che questi siano tuoi", aggiunsi indicando pantaloni di seta color tortora "ma giuro sulla mia vita che non me li sono infilati io…o forse l'ho fatto, non lo so…Dio, sono così confusa, non capisco più la differenza tra sogno e realtà…però sono certa di non averli tirati fuori da nessun cassetto, non saprei dove mettere le mani, e quando mi sono svegliata, nella camera in cui mi trovavo era tutto in ordine. Mi dispiace di aver usato il letto di qualcuno che nemmeno conosco, per questo me ne stavo andando in fretta. Ma puoi controllare, non ho preso nulla."
Con mia enorme sorpresa, il mio anfitrione mi rivolse un insolito sguardo comprensivo.
"Ho capito. Davvero, ti credo. Ho un amico che … beh, insomma, questo è proprio il genere di cosa che farebbe. Ma non ti dirò altro, perché non so cosa vuole che tu sappia. I pantaloni puoi tenerli, ovviamente. Sei sicura di stare bene? Di voler andare via? Mi sembri conciata piuttosto male, che è successo?"
"Aggressione in un vicolo. Qualcuno mi ha salvata, ma a questo punto, non so più chi. Potrei aver sognato tutto. Ma sì, sto bene, grazie. Meglio di prima di sicuro e mi reggo bene in piedi, quindi sono a posto. Vorrei … vorrei solo tornare a casa, adesso."
"D'accordo. Vuoi che ti chiami un cab?"
"No, ma grazie mille per la disponibilità, sono poche le persone che accetterebbero una cosa del genere … credo che mi farò una passeggiata per rinfrescarmi le idee…Ah, ovviamente mi terrò lontana dai vicoli e camminerò sulle vie principali", aggiunsi cogliendo una certa preoccupazione aleggiare sul viso del mio interlocutore.
 
In qualche modo, mi ricordava John. Era una persona gentile, dopotutto. Comprensibile che il mio salvatore si fidasse di lui.
Che fosse l'unico amico di Walter? Ma Walter c’entrava, in tutto questo? Sì, senza dubbio. Avevo addosso la sua camicia, no? Non poteva essere di Dan, rattoppata com'era e poi non potevo essermi sognata quell’appartamento. Era stato così… reale.
 
Mi fermai sulla porta, esitando per qualche secondo.
“Grazie ancora, comunque…solo, posso chiedere una cosa?”
“Dimmi”, rispose usando un tono dolce e pieno di premura.
“Come faccio a tornare sulla Ventiquattresima? Non sono qui da molto e non conosco bene New York…”
Accennando un sorriso, mi spiegò la strada più sicura da percorrere per raggiungere la tavola calda poi, subito dopo avermi ficcato in mano uno dei suoi "innumerevoli impermeabili color camoscio" mi salutò, lasciandomi andare.
 
Quando l'aria fredda della New York notturna mi sferzò il viso, mi accorsi di avere il cuore più leggero.
Mi ero lasciata alle spalle la confusione del momento ed ero solo grata di essere viva: forse tra qualche anno, avrei raccontato questa storia ridendoci su.
 
Ignorai inconsciamente perfino i manifesti comparsi da qualche giorno, appesi ovunque lungo i marciapiedi. Manifesti che annunciavano una disgrazia, e un pericolo terribile.
"Il dio americano Dr. Manhattan lascia la Terra: il nostro destino è segnato?"
Arrivai ch'era notte inoltrata, era già domani.
Quasi mi venne un colpo quando entrando vidi John in penombra, seduto al bancone con uno sguardo alquanto afflitto e palesemente più che preoccupato, stringeva un boccale di birra mezzo vuoto e in quel momento giurai di aver intravisto qualche segno del passaggio di un sostanzioso pianto solcargli il viso.
Mi sorpresi nel trovarlo in quella condizione, soprattutto visto che era solo.
 
Non aveva detto di avere una moglie?
E’ solo la mia assenza prolungata la causa della sua evidente sofferenza?
 
Finalmente parve notarmi: i suoi occhi cerchiati da vistose occhiaie purpuree si alzarono lentamente su di me e quando incrociai il suo sguardo vi lessi una scintilla di gioia e rabbia mista ad un abisso di disapprovazione, nonché un'infinita propensione al rimprovero, che sapevo imminente.
Doveva essersi preso un bello spavento, oltre che una sbronza.
Si alzò di scatto e iniziò ad urlare.
“Tu! Dov'eri finita! Manchi da molte ore e nemmeno hai avvisato!" tuonò in principio. Poi, abbracciandomi, si mise a piangere come un bambino. "Mi hai fatto spaventare … Stavo seriamente pensando di andare alla polizia! New York di notte non è affatto un posto sicuro per una ragazza."
Mi sembrava un padre che faceva la ramanzina alla propria figlia che aveva violato il coprifuoco … o una cosa del genere.
Quando mi premette la testa contro il largo petto, mi lasciai sfuggire un gemito di dolore, grazie al quale lui si accorse della benda medica che mi fasciava il cranio. Era buio, non l'aveva notata subito, ma quando la vide spalancò gli occhi terrorizzato.
"Oddio Alex! Ma sei ferita! Che è successo?”
 
Scusa John, sto per mentirti.
 
"Sono scivolata e ho battuto la testa…" ridacchiai nel modo più verosimile che conoscevo per alleggerire la tensione " …quindi un passante molto gentile mi ha portato all’ospedale. Scusa se non ho avvisato. In effetti avrei potuto dire ai medici di contattarti. Però sono venuta appena ho potuto reggermi in piedi, anche se i medici dicevano che era meglio rimanere a letto" conclusi assumendo un'aria pentita.
 
Ma a chi voglio darla a bere? Che bugia squallida.
 
Il suo sguardo apprensivo era ancora fisso su di me.
 
“Allora ti riaccompagno all’ospedale. Sei troppo pallida, non mi piace. Hanno ragione i medici, che ti è saltato in mente? Non sarai scappata vero?”
 
"M-ma no, figurati!"
 
Anche se stava andando tutto come previsto, dato che avevo sul serio bisogno di andare in ospedale, terribili sensi di colpa iniziarono a martellarmi l'anima.
 
Non mi piace mentire … soprattutto a chi non se lo merita, come John.
Ma non posso dirgli di Rorschach e di cosa mi sarebbe successo se non mi avesse salvato… no, decisamente no.
 
Il livido mi doleva, ma pensai a quanti guai gli avevo già provocato; stavo diventando un peso per lui, e una causa di stress, a quanto potevo dedurre dal suo stato. In fondo, con un po' di sforzo, avrei potuto arrivarci da sola. Dovevo solo essere forte e, soprattutto, apparire perfettamente in salute ai suoi occhi.
 
Mi misi in testa di cercare di dissuaderlo e raddrizzatami dissi: “John, grazie per tutto quello che fai, davvero ma io…non voglio recarti altro disturbo…e poi tua moglie sarà preoccupata perché non sei ancora rientrato. Con un bella dormita vedrai che domani sarò di nuovo fresca come una rosa!”
Fu tutto inutile. Quell'uomo doveva essere più testardo di me perché non sentì ragioni; sembrava quasi che il fatto che sua moglie potesse essere preoccupata non lo toccasse minimamente. E così mi feci accompagnare all’ospedale, il Bellevue Hospital Center.
Mi cambiarono la benda e fecero tutti gli accertamenti del caso: mi dissero che non avevo subito danni…eppure avevo i miei dubbi.
La tentazione di chiedere se arrossire frequentemente fosse un sintomo era grande, ma mi trattenni dal fare una domanda così scema, in un attimo di lucidità.
Quando ebbero finito, John mi riaccompagnò alla tavola calda e per tutto il viaggio non mi rivolse una parola.
Iniziavo  a sentirmi seriamente la figlia combina guai di un padre deluso, sensazione nuova per me, dato che non ho mai avuto un padre da poter deludere … e ora che l’avevo provata, potevo garantire che non era una bella sensazione.
John decise inoltre che sarebbe rimasto tutta la notte alla tavola calda giustificando il gesto dichiarando che tanto ormai era troppo tardi, ma in realtà sono sicura che non si fidasse a lasciarmi da sola… come potevo biasimarlo?
Mi addormentai abbastanza velocemente, troppo stanca per pensare a uomini in maschera e misteri.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Watchmen / Vai alla pagina dell'autore: TheNewFrontiersman