By Lily
Il
sole si innalza nella volta celeste, gli schiamazzi delle sentinelle
mi perforano le orecchie. Apro gli occhi e sbuffo, sposto una ciocca
di capelli dietro l'orecchio sinistro e agguanto il bastone, mi alzo
dal letto senza fare troppe storie. Un'altra giornata è
appena
cominciata, da carcerato non posso fare altro che rimanere immobile,
a lasciarmi scorrere addosso il susseguirsi degli eventi.
Sospiro
silenzioso e poso lo sguardo sulla finestrella, da qui è
possibile
intravedere i colori pastello dell'aurora, dolci e morbidi come i
disegni di un infante. Questa tortura si placherà con
l'avvenire
della mia stessa morte, la legge ha deciso di punirmi con un
ergastolo. Sono stato trattato come un animale destinato al macello,
mi hanno sbattuto in mezzo al marciume della società,
composto da
esseri ripugnanti come il loro passato, che si ammazzano l'un l'altro
solo per accaparrarsi un misero pacchetto di sigarette, alcoolici o
un giornaletto che raffigura le vere bellezze delle curve
femminili.
Patetici, davvero patetici.
Se non ho perso il conto
sono passate tre settimane da quando sono stato rinchiuso, Acromio
non ha perso tempo e ha messo il suo zampino nella vita di alcuni
carcerati, l'aria che si respira dentro alle celle è
cambiata
radicalmente. Prima potevo contare sull'anonimato, agire nell'ombra
come un verme per nascondere i miei delitti contro la regione di
Unima, ma la rivalità che si è creata con
Giovanni mi ha messo
sotto alle luci dei riflettori.
Ovunque mi giro si parla di me,
Ghecis, l'uomo che ha sconfitto un tiranno che, per anni, ha
controllato la miglior organizzazione criminale della storia. Ma non
mi stupisco più di tanto se sono riuscito nel mio intento,
il suo è
solo un muro di ipocrisia, sfrutta l'immagine per controllare i
più
forti e schiacciare i deboli. Adesso è dietro alle sbarre
come un
comune mortale, è un perdente proprio come tutti gli altri,
un
fallito che sopravvive grazie al gioco sporco, un re che ha perso la
sua corona cosparsa di smeraldi luccicanti.
E così anche io. Non
sono da meno.
Cosa racconterò ai figli delle nuove generazioni?
Cosa mi resta delle mie imprese? Niente. Un cumulo di polvere e
amarezze.
Sono un fallito, un prigioniero condannato a spaccare
pietre sotto il sole.
E basta.
«Ghecis?
Sei già sveglio?».
Ivan.
Un
ragazzo sopra le righe ma dal cuore d'oro, un altro soggetto che ha
provato a sconvolgere il mondo con le sue imprese catastrofiche.
Fallendo miseramente.
Mi volto verso di lui con movimenti lenti e
precisi, sorrido amabile. Lui si deve fidare di me, seguire il mio
progetto senza provare dubbi o incertezze.
Sarei uno sciocco a
farlo tentennare proprio adesso, abbiamo l'opportunità di
avviare il
mio piano e non posso commettere errori.
Se i Boss delle
organizzazioni si aiuteranno tra loro, sarà un gioco da
ragazzi
evadere da questo posto. Ma è una vera sfida far ragionare
quei
testardi, a quanto pare ognuno ha un pretesto valido per litigare o
tenere il muso.
E Ivan non è da meno. Sappiamo già cosa
è
successo con Max, lo sanno tutti ormai.
Peccato
che non conosca la notizia che circola nei corridoi, non
sarà
contento quando la verrà a sapere. Meglio procedere con
calma.
«Non
riesco a dormire con tutti i miei dolori, lo sai»
«Sì...»
borbotta qualcosa di incomprensibile, si stropiccia gli occhi e
sbadiglia. «Sai
che ore sono?»
«Non
di preciso»
mi volto verso la finestra per un'ultima volta, ho imparato a leggere
l'orario grazie allo spostamento del sole. «È
presto,
la colazione sarà servita a momenti»
Finisco
di parlare e la sentinella arriva a prelevarci.
La mensa è la
sala che detesto di più, come il cibo scadente che viene
servito. Il
primo pasto è commestibile rispetto al resto delle pietanze
giornaliere, cerco di farmelo bastare per non farmi prendere alla
sprovvista dalla fame.
Al tavolo la situazione è caotica come
sempre. Da diverso tempo Ivan è accompagnato dai suoi amici
del
cuore, Alan e Gerardo. Il secondo è un ragazzo con cui non
ho mai
conversato, ha il volto angelico incorniciato da una massa di capelli
scuri che tiene schiacciati sotto a un buffo cappello, occhi color
ambra e una barbetta folta che gli ricopre gran parte del mento. Mi
piace quel ragazzo, apre bocca solo se viene interpellato, una
caratteristica che apprezzo. Di solito rimane in un angolo per
leggere il giornale, ma una notizia in particolare ha cambiato il
corso degli eventi, sembra aver qualcosa di interessante da
dire.
«Prima
i lavori forzati, adesso questo. Non posso crederci!».
Ivan
e Alan restano di sasso e smettono di azzannare le fette di pane
imbottite di confetture, lo guardano senza capire. «Guardate
qua»
mormora il moro senza nascondere la sorpresa, poi mette l'articolo di
giornale sotto agli occhi di tutti. «Hanno
intervistato il direttore del carcere, quella faina ha trovato un
modo per spillare soldi al comune e arricchire la struttura».
«E
in che modo?»
borbotta Ivan, incredulo.
«Ma
non sai leggere?! Qui dice che, nelle prossime settimane, un gruppo
di detenuti si trasferirà a Unima. Lì lavoreranno
per ristrutturare
la via ferroviaria del paese, questo significa che il direttore
intascherà soldi senza muovere un dito».
«Davvero
un'ottima pensata»
esclama Alan, da quest'angolatura posso intravedere un misto di
emozioni negli occhi di quel gigante, non sembra terrorizzato
dall'idea di separarsi dal suo capo per andare a sgobbare in una
regione che non conosce. Ma non riesco ad afferrare la pagina del
quotidiano, lui l'agguanta per leggerla per conto suo. «Ma
le pietre che spacchiamo ogni giorno, a cosa servono?»
Domanda
legittima, direi.
«Le
utilizzano per creare materiali utili nel campo dell'edilizia, sono
molto richieste da queste parti»
risponde Gerardo con il sorrisetto sulle labbra.
Stiamo per
proseguire con la conversazione, ma l'atmosfera viene interrotta
dall'entrata rumorosa e brusca di Giovanni.
Il solito guasta
feste.
Sono giorni che è nero di rabbia, il motivo è
sconosciuto
a chiunque, ma non si fa scrupoli a urlare in faccia sui pochi che
incrociano il suo cammino. Cerco di non badare al suo comportamento,
mi nascondo dietro alla figura imponente di Alan per non inciampare
nell'ennesima lite.
Secondo me è solo un esibizionista.
«Giovanni
si è svegliato con la luna storta, è meglio
andare via».
Il
momento in cui mi hanno messo sotto ai ferri per amputarmi il braccio
è stato orribile, questo ricordo resterà impresso
nella mia mente
fino al giorno della mia morte.
Un solo braccio.
Questo
è il prezzo che ho dovuto pagare per essere entrato in
contatto con
la potenza glaciale di Kyurem, anche se l'operazione non era
così
necessaria, è stato Acromio a raggirare i medici con
racconti
inesistenti sulla mia salute. Quel maledetto bastardo, un giorno la
pagherà cara.
Sospiro
per levarmi di dosso i pensieri negativi, in questi momenti di
solitudine dovrei concentrarmi per organizzare l'evasione perfetta,
ma gli elementi che compongono il mio nuovo stile di vita sono
molteplici, mi distraggono e non riesco mai nel mio intento iniziale.
Se continuo con questo ritmo rischio di fare la muffa, devo sbrigarmi
se voglio far intervenire gli altri e correre verso la
libertà.
E'
una parola, a stento riesco a muovere una gamba. Scrollo le spalle e
mi lascio andare in una risatina aspra, punto la coda dell'occhio
verso la finestra per vedere i miei colleghi mentre lavorano sotto al
sole. Siamo in primavera e la temperatura è ottimale, ma non
voglio
pensare a ciò che succederà con il sopravvento
dell'estate. Sono
sicuro che ci sarà una carneficina, il caldo si
porterà via i cuori
dei più deboli. Non c'è motivo per stupirsi
così tanto, è il
ciclo della natura che stabilisce le regole fin dal principio, i
più
forti sopravvivono e chi non si adatta perisce.
L'invalidità
mi impedisce di intervenire direttamente come vorrei, non posso
aiutare i miei compagni se sono sprovvisto di un arto, ogni mattina
resto chiuso dentro a questa stanza spoglia, decorata da una misera
panchina traballante e una finestra chiusa dalle sbarre. Di inverno
sarà difficile combattere contro al freddo glaciale, qui
è pieno di
spifferi che mi penetrano le ossa e mi riempiono di dolori.
«Permesso».
Una
voce mi distoglie dalle riflessioni più intime, la saletta
si
riempie con il rumore dei passi.
Volgo lo sguardo sulle nuove
figure intente a chiudere la porta principale, due sentinelle vestite
di tutto punto sono venute a farmi visita. Perché?
I lavori
forzati non sono ancora terminati, è successo qualcosa di
cui sono
all'oscuro?
Non parlo e guardo fuori dalla finestra senza
preoccuparmi dei due, non ho niente da dire e preferisco tacere. Se
mi porteranno via, lo faranno senza chiedermi il permesso.
«E'
da molto che non ci vediamo, non riconosci tuo figlio quando lo vedi?
Padre, mi stai invecchiando male».
Sgrano
gli occhi a quell'affermazione, intanto i due si tolgono i cappelli
dalla testa per svelare la loro identità. Il primo
è mio figlio N,
ha gli occhi chiari e una massa informe di capelli verdognoli che gli
incorniciano il viso, il suo sorrisetto è beffardo e vispo
come al
solito. Al suo fianco è presente un ragazzo dai capelli
rossi che
non ho mai visto in vita mia, la sua espressione imbronciata mi
ricorda vagamente qualcuno, ma dalla confusione non riesco a
inquadrarlo come dovrei. Perché è insieme a mio
figlio?
«Cosa
ci fai qui?»
«Non
essere scorbutico padre, volevo solo rivederti dopo tutto questo
tempo»
“«on
hai motivo per essere qui, non capisco come mai continui a chiamarmi
padre, dall'ultima volta pensavo di essere finito sulla tua lista
nera».
Sbotto
e provo ad alleviare la tensione stringendo il bastone, devo
mantenere la calma per non mandare a rotoli la conversazione, inoltre
non posso mettere in imbarazzo il terzo elemento. Con N non ho mai
avuto la pazienza di un padre, per me è sempre stata una
marionetta
per i miei sporchi piani, non ho allevato quel selvaggio per pura
carità cristiana.
Però...Se questi due marmocchi sono riusciti a
raggiungermi senza insospettire la sorveglianza, significa che questo
non è il carcere di sicurezza che immaginavo. La mia
posizione non
mi permette di dare fiducia al prossimo, N potrebbe essere qui solo
per strapparmi delle informazioni utili alle autorità, il
che
spiegherebbe la sua visita inaspettata. È meglio tenerlo
d'occhio,
non si sa mai.
Per un attimo porto lo sguardo sul rosso, è
impassibile e tiene le mani nascoste dentro alle tasche, non spiccica
nemmeno una parola e si guarda intorno con indifferenza. Quello
sguardo è troppo familiare, devo indagare su di lui.
«Non
ti smentisci mai, vedo che il carcere non è servito per
cambiarti»
«Sei
qui per farmi la morale come tutti gli altri? Vedere Bellocchio
mentre mi metteva le manette, non ti è bastato per
soddisfare il tuo
ego personale? Anche tu eri un membro del Team Plasma N, a quest'ora
dovresti essere a marcire dentro a una cella. Non dimenticartelo»
«A
differenza tua ho capito dove fermarmi»
mi zittisce come se niente fosse, il suo sguardo si fa più
intenso e
cupo, poi ricomincia a parlare. «Se
ancora non ci sei arrivato, ti faccio presente che ho affrontato
diverse peripezie solo per farti evadere».
Il
silenzio cade su di noi, provocando una situazione al limite
dell'imbarazzo. Perché? Non capisco. Giuro che quel ragazzo
resterà
un mistero anche per me, oppure ha delle rotelle fuori posto.
Lui
si inginocchia davanti a me, afferra la mia mano con una dolcezza
insolita.
«Ti
stai mettendo in un grosso guaio N, tu e il tuo amico non dovreste
impicciarvi in queste situazioni. Ho già pianificato tutto e
a breve
evaderò, non mi serve il vostro aiuto».
«Sono
mesi che io e Silver lavoriamo su questa fuga, abbiamo conquistato la
collaborazione dell'esercito di Genesect, appena arriverà il
momento
giusto libereremo i Pokémon per creare scompiglio e...»
«L'esercito
di Genesect?! Sei pazzo N, completamente pazzo».
«Non
sono pazzo padre, ho solo preso dal migliore. L'unica cosa che ti
chiedo è... quella di prestarmi il tuo bastone, senza la
chiave non
possiamo far partire la Fregata Plasma».
Quell'affermazione
mi lascia spiazzato, eppure dovrei conoscere mio figlio e dovrei
aspettarmi certi tiri mancini. Mi pento per non avergli dato
così
tanta importanza in passato, se mi comportavo da vero padre potevo
evitare di finire in carcere insieme a quello scienziato da due
soldi.
Sospiro e annuisco, non posso fare altro.
«E
va bene, avrai la chiave della nave. Ma... Dimmi... Come sei riuscito
ad arrivare fin qui? Nessuno sospetta di te?»
«Non
preoccuparti, io e Silver sappiamo mimetizzarci a meraviglia. In
questa camera non sono presenti delle videocamere di sorveglianza,
siamo due fantasmi qui dentro»
«Vedi
di non farti scoprire, non vorrei rivederti come compagno di cella».