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Autore: KomadoriZ71    27/02/2016    7 recensioni
[ Fan Fiction ~ Giovanni, Ivan, Max, Cyrus, Ghecis & Acromio ]
"Sono passati anni da quando i Leader dei vari Team hanno provato a mettere in ginocchio le regioni dei Pokémon ma, a causa di ragazzini spuntati fuori da chissà dove, ognuno di loro ha visto ogni progetto andare in fumo.
Ma che fine hanno fatto, ora che la pace sembra essere tornata?
Semplice: sono stati arrestati e ora si ritrovano limitati dentro un carcere di altissima sicurezza, il quale è stato costruito sopra a un isolotto posto in punto sperduto del mare.
Cosa mai succederà all'interno delle minuscole celle?"
Genere: Angst, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Cyrus, Ghecis, Giovanni
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
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11. Il ritorno
By Lily

chuchu


Il sole si innalza nella volta celeste, gli schiamazzi delle sentinelle mi perforano le orecchie. Apro gli occhi e sbuffo, sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro e agguanto il bastone, mi alzo dal letto senza fare troppe storie. Un'altra giornata è appena cominciata, da carcerato non posso fare altro che rimanere immobile, a lasciarmi scorrere addosso il susseguirsi degli eventi.
Sospiro silenzioso e poso lo sguardo sulla finestrella, da qui è possibile intravedere i colori pastello dell'aurora, dolci e morbidi come i disegni di un infante. Questa tortura si placherà con l'avvenire della mia stessa morte, la legge ha deciso di punirmi con un ergastolo. Sono stato trattato come un animale destinato al macello, mi hanno sbattuto in mezzo al marciume della società, composto da esseri ripugnanti come il loro passato, che si ammazzano l'un l'altro solo per accaparrarsi un misero pacchetto di sigarette, alcoolici o un giornaletto che raffigura le vere bellezze delle curve femminili.
Patetici, davvero patetici.
Se non ho perso il conto sono passate tre settimane da quando sono stato rinchiuso, Acromio non ha perso tempo e ha messo il suo zampino nella vita di alcuni carcerati, l'aria che si respira dentro alle celle è cambiata radicalmente. Prima potevo contare sull'anonimato, agire nell'ombra come un verme per nascondere i miei delitti contro la regione di Unima, ma la rivalità che si è creata con Giovanni mi ha messo sotto alle luci dei riflettori.
Ovunque mi giro si parla di me, Ghecis, l'uomo che ha sconfitto un tiranno che, per anni, ha controllato la miglior organizzazione criminale della storia. Ma non mi stupisco più di tanto se sono riuscito nel mio intento, il suo è solo un muro di ipocrisia, sfrutta l'immagine per controllare i più forti e schiacciare i deboli. Adesso è dietro alle sbarre come un comune mortale, è un perdente proprio come tutti gli altri, un fallito che sopravvive grazie al gioco sporco, un re che ha perso la sua corona cosparsa di smeraldi luccicanti.
E così anche io. Non sono da meno.
Cosa racconterò ai figli delle nuove generazioni? Cosa mi resta delle mie imprese? Niente. Un cumulo di polvere e amarezze.
Sono un fallito, un prigioniero condannato a spaccare pietre sotto il sole.
E basta.
«Ghecis? Sei già sveglio?».
Ivan.
Un ragazzo sopra le righe ma dal cuore d'oro, un altro soggetto che ha provato a sconvolgere il mondo con le sue imprese catastrofiche. Fallendo miseramente.
Mi volto verso di lui con movimenti lenti e precisi, sorrido amabile. Lui si deve fidare di me, seguire il mio progetto senza provare dubbi o incertezze.
Sarei uno sciocco a farlo tentennare proprio adesso, abbiamo l'opportunità di avviare il mio piano e non posso commettere errori.
Se i Boss delle organizzazioni si aiuteranno tra loro, sarà un gioco da ragazzi evadere da questo posto. Ma è una vera sfida far ragionare quei testardi, a quanto pare ognuno ha un pretesto valido per litigare o tenere il muso.
E Ivan non è da meno. Sappiamo già cosa è successo con Max, lo sanno tutti ormai.


Peccato che non conosca la notizia che circola nei corridoi, non sarà contento quando la verrà a sapere. Meglio procedere con calma.

«Non riesco a dormire con tutti i miei dolori, lo sai»
«Sì...» borbotta qualcosa di incomprensibile, si stropiccia gli occhi e sbadiglia. «Sai che ore sono?»
«Non di preciso» mi volto verso la finestra per un'ultima volta, ho imparato a leggere l'orario grazie allo spostamento del sole. «È presto, la colazione sarà servita a momenti»
Finisco di parlare e la sentinella arriva a prelevarci.
La mensa è la sala che detesto di più, come il cibo scadente che viene servito. Il primo pasto è commestibile rispetto al resto delle pietanze giornaliere, cerco di farmelo bastare per non farmi prendere alla sprovvista dalla fame.
Al tavolo la situazione è caotica come sempre. Da diverso tempo Ivan è accompagnato dai suoi amici del cuore, Alan e Gerardo. Il secondo è un ragazzo con cui non ho mai conversato, ha il volto angelico incorniciato da una massa di capelli scuri che tiene schiacciati sotto a un buffo cappello, occhi color ambra e una barbetta folta che gli ricopre gran parte del mento. Mi piace quel ragazzo, apre bocca solo se viene interpellato, una caratteristica che apprezzo. Di solito rimane in un angolo per leggere il giornale, ma una notizia in particolare ha cambiato il corso degli eventi, sembra aver qualcosa di interessante da dire.
«Prima i lavori forzati, adesso questo. Non posso crederci!».
Ivan e Alan restano di sasso e smettono di azzannare le fette di pane imbottite di confetture, lo guardano senza capire.
«Guardate qua» mormora il moro senza nascondere la sorpresa, poi mette l'articolo di giornale sotto agli occhi di tutti. «Hanno intervistato il direttore del carcere, quella faina ha trovato un modo per spillare soldi al comune e arricchire la struttura».
«E in che modo?» borbotta Ivan, incredulo.
«Ma non sai leggere?! Qui dice che, nelle prossime settimane, un gruppo di detenuti si trasferirà a Unima. Lì lavoreranno per ristrutturare la via ferroviaria del paese, questo significa che il direttore intascherà soldi senza muovere un dito».
«Davvero un'ottima pensata» esclama Alan, da quest'angolatura posso intravedere un misto di emozioni negli occhi di quel gigante, non sembra terrorizzato dall'idea di separarsi dal suo capo per andare a sgobbare in una regione che non conosce. Ma non riesco ad afferrare la pagina del quotidiano, lui l'agguanta per leggerla per conto suo. «Ma le pietre che spacchiamo ogni giorno, a cosa servono?»
Domanda legittima, direi.
«Le utilizzano per creare materiali utili nel campo dell'edilizia, sono molto richieste da queste parti» risponde Gerardo con il sorrisetto sulle labbra.
Stiamo per proseguire con la conversazione, ma l'atmosfera viene interrotta dall'entrata rumorosa e brusca di Giovanni.
Il solito guasta feste.
Sono giorni che è nero di rabbia, il motivo è sconosciuto a chiunque, ma non si fa scrupoli a urlare in faccia sui pochi che incrociano il suo cammino. Cerco di non badare al suo comportamento, mi nascondo dietro alla figura imponente di Alan per non inciampare nell'ennesima lite.
Secondo me è solo un esibizionista.




«Giovanni si è svegliato con la luna storta, è meglio andare via».






Il momento in cui mi hanno messo sotto ai ferri per amputarmi il braccio è stato orribile, questo ricordo resterà impresso nella mia mente fino al giorno della mia morte.
Un solo braccio.

Questo è il prezzo che ho dovuto pagare per essere entrato in contatto con la potenza glaciale di Kyurem, anche se l'operazione non era così necessaria, è stato Acromio a raggirare i medici con racconti inesistenti sulla mia salute. Quel maledetto bastardo, un giorno la pagherà cara.
Sospiro per levarmi di dosso i pensieri negativi, in questi momenti di solitudine dovrei concentrarmi per organizzare l'evasione perfetta, ma gli elementi che compongono il mio nuovo stile di vita sono molteplici, mi distraggono e non riesco mai nel mio intento iniziale. Se continuo con questo ritmo rischio di fare la muffa, devo sbrigarmi se voglio far intervenire gli altri e correre verso la libertà.
E' una parola, a stento riesco a muovere una gamba. Scrollo le spalle e mi lascio andare in una risatina aspra, punto la coda dell'occhio verso la finestra per vedere i miei colleghi mentre lavorano sotto al sole. Siamo in primavera e la temperatura è ottimale, ma non voglio pensare a ciò che succederà con il sopravvento dell'estate. Sono sicuro che ci sarà una carneficina, il caldo si porterà via i cuori dei più deboli. Non c'è motivo per stupirsi così tanto, è il ciclo della natura che stabilisce le regole fin dal principio, i più forti sopravvivono e chi non si adatta perisce.
L'invalidità
mi impedisce di intervenire direttamente come vorrei, non posso aiutare i miei compagni se sono sprovvisto di un arto, ogni mattina resto chiuso dentro a questa stanza spoglia, decorata da una misera panchina traballante e una finestra chiusa dalle sbarre. Di inverno sarà difficile combattere contro al freddo glaciale, qui è pieno di spifferi che mi penetrano le ossa e mi riempiono di dolori.

«Permesso».
Una voce mi distoglie dalle riflessioni più intime, la saletta si riempie con il rumore dei passi.
Volgo lo sguardo sulle nuove figure intente a chiudere la porta principale, due sentinelle vestite di tutto punto sono venute a farmi visita. Perché?
I lavori forzati non sono ancora terminati, è successo qualcosa di cui sono all'oscuro?
Non parlo e guardo fuori dalla finestra senza preoccuparmi dei due, non ho niente da dire e preferisco tacere. Se mi porteranno via, lo faranno senza chiedermi il permesso.
«E' da molto che non ci vediamo, non riconosci tuo figlio quando lo vedi? Padre, mi stai invecchiando male».
Sgrano gli occhi a quell'affermazione, intanto i due si tolgono i cappelli dalla testa per svelare la loro identità. Il primo è mio figlio N, ha gli occhi chiari e una massa informe di capelli verdognoli che gli incorniciano il viso, il suo sorrisetto è beffardo e vispo come al solito. Al suo fianco è presente un ragazzo dai capelli rossi che non ho mai visto in vita mia, la sua espressione imbronciata mi ricorda vagamente qualcuno, ma dalla confusione non riesco a inquadrarlo come dovrei. Perché è insieme a mio figlio?
«Cosa ci fai qui?»
«Non essere scorbutico padre, volevo solo rivederti dopo tutto questo tempo»
«on hai motivo per essere qui, non capisco come mai continui a chiamarmi padre, dall'ultima volta pensavo di essere finito sulla tua lista nera».
Sbotto e provo ad alleviare la tensione stringendo il bastone, devo mantenere la calma per non mandare a rotoli la conversazione, inoltre non posso mettere in imbarazzo il terzo elemento. Con N non ho mai avuto la pazienza di un padre, per me è sempre stata una marionetta per i miei sporchi piani, non ho allevato quel selvaggio per pura carità cristiana.
Però...Se questi due marmocchi sono riusciti a raggiungermi senza insospettire la sorveglianza, significa che questo non è il carcere di sicurezza che immaginavo. La mia posizione non mi permette di dare fiducia al prossimo, N potrebbe essere qui solo per strapparmi delle informazioni utili alle autorità, il che spiegherebbe la sua visita inaspettata. È meglio tenerlo d'occhio, non si sa mai.
Per un attimo porto lo sguardo sul rosso, è impassibile e tiene le mani nascoste dentro alle tasche, non spiccica nemmeno una parola e si guarda intorno con indifferenza. Quello sguardo è troppo familiare, devo indagare su di lui.
«Non ti smentisci mai, vedo che il carcere non è servito per cambiarti»
«Sei qui per farmi la morale come tutti gli altri? Vedere Bellocchio mentre mi metteva le manette, non ti è bastato per soddisfare il tuo ego personale? Anche tu eri un membro del Team Plasma N, a quest'ora dovresti essere a marcire dentro a una cella. Non dimenticartelo»
«A differenza tua ho capito dove fermarmi» mi zittisce come se niente fosse, il suo sguardo si fa più intenso e cupo, poi ricomincia a parlare. «Se ancora non ci sei arrivato, ti faccio presente che ho affrontato diverse peripezie solo per farti evadere».
Il silenzio cade su di noi, provocando una situazione al limite dell'imbarazzo. Perché? Non capisco. Giuro che quel ragazzo resterà un mistero anche per me, oppure ha delle rotelle fuori posto.

Lui si inginocchia davanti a me, afferra la mia mano con una dolcezza insolita.
«Ti stai mettendo in un grosso guaio N, tu e il tuo amico non dovreste impicciarvi in queste situazioni. Ho già pianificato tutto e a breve evaderò, non mi serve il vostro aiuto».
«Sono mesi che io e Silver lavoriamo su questa fuga, abbiamo conquistato la collaborazione dell'esercito di Genesect, appena arriverà il momento giusto libereremo i Pokémon per creare scompiglio e...»
«L'esercito di Genesect?! Sei pazzo N, completamente pazzo».

«Non sono pazzo padre, ho solo preso dal migliore. L'unica cosa che ti chiedo è... quella di prestarmi il tuo bastone, senza la chiave non possiamo far partire la Fregata Plasma».
Quell'affermazione mi lascia spiazzato, eppure dovrei conoscere mio figlio e dovrei aspettarmi certi tiri mancini. Mi pento per non avergli dato così tanta importanza in passato, se mi comportavo da vero padre potevo evitare di finire in carcere insieme a quello scienziato da due soldi.
Sospiro e annuisco, non posso fare altro.
«E va bene, avrai la chiave della nave. Ma... Dimmi... Come sei riuscito ad arrivare fin qui? Nessuno sospetta di te?»
«Non preoccuparti, io e Silver sappiamo mimetizzarci a meraviglia. In questa camera non sono presenti delle videocamere di sorveglianza, siamo due fantasmi qui dentro»
«Vedi di non farti scoprire, non vorrei rivederti come compagno di cella».





   
 
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