Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: PeaceS    07/03/2016    1 recensioni
Harry Jacksonville è un agente della Direzione delle "Operazioni Speciali", a cui oramai ha dedicato la sua intera esistenza; il suo irrimediabile sprezzo per le regole e l'odio profondo che gli cresce dentro quando sente anche solo nominare Mattew Morrison - uno spacciatore internazionale - lo portano a dover compiere una missione.
Diana Prince è la fidanzata secolare di Morrison. Dalla tenera età di undici anni non si è mai staccata da lui e vive oramai nella sua ombra: altezzosa, terribilmente so-tutto-io, orgogliosa e caparbia, è colei che lo porterà faccia a faccia con il suo nemico di sempre. Faccia a faccia con l'uomo che gli ha portato via tutto.
Diana Prince è il mezzo per arrivare al fine... ma come fare se, dovendo fingere d'amarla, l'amore arriva davvero?
Harry allora dovrà combattere contro l'odio del suo nemico, l'amore che prova per lei e l'ossessione che Mattew Morrison prova per l'unica donna che abbia mai amato in vita sua, scatenando così una guerra fredda quasi impossibile da combattere.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

III –

Unfaithful

 

 

 

 

 

Cristo Santo. Il cuore gli faceva così male nel petto che sembrava vicino all'infarto: ogni volta che si contraeva, ritraendosi, lui lo sentiva. Gli sembrava di osservarlo da una teca di vetro – mentre il sangue pompava più velocemente del consentito e le arterie si gonfiavano e sgonfiavano al ritmo incessante che aveva assunto da due ore esatte.
Era sparita. Diana aveva lasciato lo ChanelDrink, o non ci aveva messo proprio piede, senza lasciare tracce e Mattew quasi non riusciva a respirare; la possibilità che qualcuno l'avesse rapita per un resoconto personale o un ricatto gli fece attorcigliare le viscere, causandogli un conato di vomito.
Era tutta colpa sua. Si era concentrato così tanto sugli affari che, ancora una volta, l'aveva messa da parte. E ora, probabilmente, era tra le mani di qualche maniaco.
“La troveremo, Capo” a malapena riuscì a sentire la voce di Marshall, la sua guardia del corpo, e con dita tremanti strinse il crocifisso d'oro massiccio che portava sempre nascosto sotto le camice costose e le cravatte ben annodate.
“Sonderemo ogni singolo buco della città e faremo parlare chiunque si trovi sulla nostra strada” lo rassicurò Joseph, il fratello gemello di Marshall.
Alzò gli occhi grigi su entrambi, che si differenziavano solo per la capigliatura: se Joseph aveva il cranio completamente rasato e una cicatrice che gli deturpava la guancia – quasi la stessa che aveva lui – Marshall portava i capelli biondi legati in un codino basso. Erano entrambi alti sul metro e novantacinque per cento e passa chili ed erano stati più che protettori da... beh, da sempre. E nonostante Matt non si fidasse nemmeno di se stesso, quei due erano la cosa più vicina alla parola amici che avesse. O che potesse permettersi.
“Torturerò e ucciderò chiunque abbia osato anche solo sfiorarla” sibilò Matt, con voce bassa e acre, pregando per quel figlio di puttana che l'aveva portata via da lui.
Che Dio avesse pietà della sua anima... perché Matt, del suo corpo, non ne avrebbe avuta. Lo avrebbe ridotto in pezzi così piccoli che sarebbe diventato concime per uccelli.
“Andate, ora” disse con uno sventolio di mano, sapendo che entrambi avrebbero svolto un ottimo lavoro. Nonostante indossassero, come lui, giacca e cravatta... la stazza, la violenza dei loro occhi era più che evidente ed era per quel motivo che tutti li evitavano. Nessuno con un minimo di intelligenza di sarebbe messo sulla loro strada – anche se Matt sperava proprio di sì, perché aveva bisogno di prendere qualche bastardo per la gola.
Cielo. Era sudato al massimo e il dolore al cuore non diminuiva. Se sarebbe successo qualcosa a Diana, lui non se lo sarebbe mai, mai perdonato.
Come non si era mai perdonato la morte di sua madre.
Gli angoli smussati del crocifisso gli penetrarono nella pelle, ricordandogli che Dio gli dava e toglieva tutto con troppa velocità. Non riusciva a godere di nulla e il dolore sembrava volerlo spezzare ogni giorno che viveva.
Diana... la sua bellissima Diana.
Oh, Dio. Sarebbe morto senza lei.
Seduto su uno degli sgabelli alti dello ChanelDrink, aveva le mani portate al viso e un bicchiere vuoto al suo fianco. Ne aveva già bevuti sette e ancora non era ubriaco: la testa gli faceva male e l'ansia lo dilaniava, ma non riusciva a dimenticare quella notte terribile.
Nemmeno tre ore prima era entrato allo Chanel con la convinzione di trovarla lì, con quel meraviglioso vestito che aveva acquistato per il loro anniversario, convinto di farle una sorpresa... ma lei non c'era. Aveva scavato ogni singolo buco di quel posto e domandato a chiunque – ma nessuno aveva aperto bocca.
Era sparita nel nulla. La sua Diana era sparita come se non fosse mai esistita, come il corpo di sua madre – buttato in una fossa comune perché non aveva soldi per seppellirla come meritava veramente.
Lui alla fine l'aveva ammazzata. Appena Matt era scappato, rifugiandosi da Diana come un vigliacco, suo padre aveva ucciso sua madre con così tanta rabbia da rendere il suo corpo irriconoscibile.
L'omicidio più terribile che si fosse mai visto da quelle parti, aveva detto la polizia. Quel viso bellissimo era stato picchiato selvaggemente – tanto da deturparlo, tanto da non poter mai più essere guardato da nessuno.
La gelosia aveva ucciso sua madre e in tutti quegli anni aveva ucciso lui, con Diana al suo fianco.
La sua salvatrice. La sua ancora. La sua meravigliosa Diana.
Guardò l'orologio: erano le cinque del mattino e lui era stato a rimuginare lì per ben altre tre ore, assorto dal dolore. Assorto dall'alcool che ora gli navigava nelle vene peggio dell'acido.
“Matt...”
Alzò di scatto gli occhi. Lei era lì, scarmigliata come se si fosse appena alzata dal letto, con lo sguardo assonnato e assolutamente integra.
I.N.T.E.G.R.A.
Ebbe uno spasmo alle mani e il crocifisso gli tagliò il palmo.
“Ho letto ora il messaggio e sono corsa qui...” mormorò Diana, a bassa voce, quasi come se non volesse rompere il silenzio che era sceso in quella saletta addobbata a festa... dove sedie, tende e cristalli erano stati tirati giù con forza e fatti a pezzi con rabbia. Con la sua rabbia.
Lei era integra. I.N.T.E.G.R.A.
Rilasciò un sospiro rauco, che risuonò simile ad un sibilo.
“Dov'eri?” domandò, ora sicuro che non fosse tra le mani di qualche assassino.
La rabbia prese posto del dolore e lo accecò, coprendogli gli occhi con un velo rosso: il cuore si fermò nel petto e tornò a battere più veloce di prima, come a volergli strappare il respiro e la consapevolezza di essere un uomo e non una bestia.
“A casa...” iniziò, venendo interrotta da un urlo rabbioso.
Matt prese il bicchiere accanto alla sua mano e lo ruppe con un pugno, proprio sul bancone, senza sentire le schegge conficcarsi nella carne.
Affannava, ora e il suo mentire non faceva che aumentare la propria rabbia. Il sangue era diventato come acido nelle vene e stava divorando ogni singolo sprazzo di lucidità.
“DOVE CAZZO ERI?” urlò ancora più forte, con lo sguardo completamente spalancato e la follia ad uccidergli i sensi.
Cristo Santo. Ora era in piedi e con il corpo fremente la guardò, avvolto da quell'alone nero che sembrava avvolgerlo tutte le maledette volte che perdeva il controllo.
“Matt...” bisbigliò Diana, indietreggiando e lui la guardò furioso.
“Ti ho cercato dappertutto! Ovunque, in ogni singolo buco schifoso di questa maledetta città! In ogni bar, sotterraneo, cimitero, ospedale o casa abbandonata. Ho cercato a te, nel garage, in ufficio.
Pensavo che ti avessero rapito, che ti stessero TORTURANDO!” strillò fuori di sé, credendo di impazzire. O era già impazzito.
Tutti i bicchieri presenti sul bancone finirono in mille pezzi quando vi ci passò con violenza la mano – ignorando il sangue che gocciolava ora sul marmo bianco. Era così rosso e vivo, come l'ira che gli pompava dentro, peggio di una dose d'eroina o cocaina, che lo fissò per un solo misero secondo prima di puntare nuovamente lo sguardo su di lei.
“Matt...” ripeté Diana e lui, facendo un passo avanti, calciò il vaso alla sua sinistra. Altri cocci infranti. Altro tintinnio che si sperse per il silenzio opprimente di quella Sala.
“Ora tu mi dici la verità, Diana o giuro che ti uccido con le mie stesse mani” bisbigliò febbrile, avvicinandosi. Ad ogni passo calciava o rompeva qualcosa, mandando a pezzi qualsiasi cosa si trovasse sul suo cammino.
Come nella vita reale. Lui distruggeva qualsiasi cosa si trovasse tra le sue mani o tra i suoi piedi, senza curarsi delle conseguenze. Senza curarsi di fare del male alle persone. Facendolo e basta.
Un passo e un tavolino andò in frantumi, nemmeno fosse fatto di stuzzicadenti.
Due passi e Diana era così cianotica da confondersi con quei pavimenti che lei tanto aveva amato quando, per aggiustare quel posto, li aveva visti per la prima volta.
“Sto aspettando”
Tre passi e ora solamente due metri li dividevano.
La uccideva. Cristo, se la uccideva. Avrebbe prima ucciso lei e poi quel bastardo che aveva osato avvicinarla e toccarla. Perché ora Matt lo sapeva: per non aprir bocca e inventare quelle stupide e ridicole scuse, lei era stata con qualcuno.
Qualcuno che non era lui l'aveva toccata. Qualcuno che non era lui l'aveva baciata. Qualcuno che non era lui l'aveva avuta. E impazzì, ah, se impazzì.
Matt urlò di nuovo e si avventò su di lei, facendo ruzzolare entrambi sul pavimento: non si curò dei suoi gemiti di dolore quando nella schiena le si conficcarono i vari pezzi di ceramica, vetro o legno. Si mise su di lei e le mise le mani alla gola.
E impazzì, ah, se impazzì.
“Voglio sapere chi ti ha toccata e anche se ti è piaciuto, Diana. Prima di ucciderti voglio sapere ogni singolo dettaglio e credimi...credimi quando ti dico che ammazzerò prima te, ora, qui, subito e poi lui” disse, stringendole le dita alla gola.
Lei lo guardò. Non le stava ancora facendo male e Diana sapeva perché.
Nonostante lui fosse furioso, assolutamente folle in quel momento, ricordava perfettamente com'era morta sua madre.
Gelosia, follia... sinonimi. Futili sinonimi, che portavano alla morte. E che ora lo avevano portato su di lei – pronto a ridurla in un ammasso inutile di carne.
Era come un maledetto tarlo di famiglia. Un virus che aveva infettato prima il padre di Mattew e poi lui, che ansimava sul suo viso come se avesse corso una maratona.
“Ero con mio cugino” mentì, guardandolo negli occhi. E non perché lui fosse sul punto di ucciderla, no. Ma perché il pensiero che Matt fosse stato così male... il pensiero che avesse messo da parte quell'affare importante solo per essere presente al loro anniversario, le stava spezzando il cuore e l'anima.
Lei aveva baciato un altro uomo e lui era lì, a struggersi per la sua scomparsa. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Non volevo che tu stessi in pensiero... non pensavo che saresti stato così male” gemette, sinceramente dispiaciuta.
Lei lo amava, su quello poteva metterci la mano sul fuoco e quello che aveva fatto era spregevole. Poggiò una mano sul suo viso, distrutta e lui sogghignò di sbieco – ancora più furioso.
“Continui a mentirmi” sibilò, ignorando le voci confuse alle loro spalle.
La guardava... la guardava e l'odiava. L'amava. L'odiava. L'amava. Era impazzito. Ah, se lo era.
La odiava.
La amava.
Urlò.
“Tu non hai mai voluto conoscere i miei cugini dopo quello che successe dieci anni fa, Mattew e hai proibito a chiunque di avvicinarmi” gli ricordò, mentre quell'episodio di tanti anni prima si rischiarava nella sua mente come un fulmine a ciel sereno – salvandole la vita e il rapporto con il suo fidanzato.
“Dieci anni fa...” ripeté Morrison, sbattendo ripetutamente le palpebre e allentando la presa sulla sua gola.
Diana annuì. “Ricordi? Mio cugino George, il figlio del fratello di mio padre?” bisbigliò, quasi impaurita dall'alzare la voce per interrompere il senso di calma che stava avvolgendo, con una lentezza esaustiva, Matt.
George. A lui piaceva George e una volta avevano rapinato un supermercato insieme: lui era tosto e gli aveva insegnato parecchi trucchetti; per due anni, Matt, quasi lo aveva tampinato per farsi dire ogni più piccola cosa del mestiere e lui era più che felice di portarselo dietro e fargli vedere come muoversi, cosa fare e come farlo.
Era un ladruncolo da quattro soldi, ma Matt quasi lo ammirava. Finché... finché non aveva toccato Diana.
Lui... lui aveva osato toccarla con quelle mani viscide; era estate quando, ridendo, gli aveva proposto di fare qualcosa di divertente. Matt aveva pensato tipo di sparare qualche uccello o bere birra fino a sentirsi male.
Era piccolo, all'epoca e la rabbia di ciò che era successo a sua madre era bella fresca – come sale su una ferita. Scappava dagli assistenti sociali e lasciava che Diana si prendesse cura di lui, nonostante avessero la stessa età. Lui l'ammirava per ciò che faceva – senza mai chiedere nulla in cambio – e nutriva un profondo rispetto per quella bambina che gli aveva salvato la vita.
La sua salvezza. La sua ancora. L'unica che, da quando era venuto al mondo, si era preoccupata per lui.
E George l'aveva toccata. Mentre entrava nella sua stanzetta, da quella finestra che più volte aveva permesso anche a Matt di intrufolarcisi, aveva riso e detto « Anche Dean lo fa. » pronunciando il nome dell'amico come stesse recitando una preghiera per Gesù Cristo.
« Vedrai che ti piacerà! » e quel tono lascivo a Matt non era piaciuto per niente. E nemmeno ciò che era successo dopo.
Nella sua mente rivedeva ancora gli occhi dapprima sorpresi di Diana e poi spaventati, quando a soli tredici anni suo cugino l'aveva afferrata per i polsi e aveva cercato di alzarle la gonna di chiffon rosa.
Come il compagno di scuola che aveva osato anche solo sfiorarla, Matt era partito di quarta: come era successo in quel momento, con gli occhi offuscati di rosso e l'anima annerita dall'ira, si era precipitato su di lui... e nonostante fosse più mingherlino e nonostante fosse molto più debole di George, l'aveva picchiato fino a fargli perdere i sensi.
L'aveva picchiato fino a rompersi quasi le nocche.
“Lui non è come George e non fa parte della famiglia di mio padre, ma di mia madre” continuò Diana, ora passandogli le mani nei capelli e calmandolo con la sua voce. Dolce come la melassa, vischiosa come il miele – tanto da restargli incastrato dentro ogni qualvolta che pronunciava anche solo una parola – e melodiosa come la ninnananna che gli cantava sua madre da piccolo.
Cielo. La sua Diana.
La sua ancora. La sua salvezza. L'unica che, da quando era stato messo al mondo, si fosse mai preoccupata per lui.
Guardò verso il basso e staccò immediatamente le mani dalla sua gola, dove ora spiccavano lividi violacei.
“Non volevo... non volevo farti male” gemette Mattew, accasciando il capo contro la sua spalla e lasciandosi sfuggire un lamento – che per lei valeva più di un pianto.
“Amore mio” bisbigliò, lasciando che lui le pesasse addosso senza emettere un solo e singolo fiato.
Poggiò le mani contro la sua schiena e socchiuse gli occhi bruni, sentendoli inumidirsi. Lei lo amava, perché aveva baciato Harry? A malapena sapeva chi fosse!
Si era lasciata abbindolare dagli eventi contrari che erano successi in quel periodo e aveva voluto ferire Matt apposta... ma non poteva e non doveva assolutamente rivederlo più.
Se non voleva che Morrison prima uccidesse entrambi e poi li seguisse all'inferno.

 

♥ ♥ ♥

 

 

“Cosa cazzo hai combinato?!”
Porca puttana. Jhonatan era incazzato nero e alle nove di mattina aveva mandato giù già tre ansiolitici diversi. Si agitava sulla sua sedia come un animale in gabbia e si scompigliava i capelli come se volesse strapparseli direttamente dalla tempia.
Dave, seduto accanto a lui, lo guardò preoccupato. Era silenzioso da quando era tornato dalla fuga allo ChanelDrink con la Prince e aveva gli occhi smeraldini persi leggermente nel vuoto – come se nella sua testa stesse combattendo una guerra di vitale importanza.
“Capo, io non credo sia il caso di infierire...” borbottò, prendendo le difese dell'amico. Si abbassò prima di venire centrato in piena fronte da un portacenere di cristallo e lo fissò come un pazzo appena scappato dal manicomio.
“Sta cercando di uccidermi?” sbraitò, alzandosi di scatto e rovesciando la sedia su cui era crollato mezz'ora prima – chiamato ad urgente rapporto proprio da Picker.
“Se non chiudi quella bocca, il prossimo tiro non centrerà il muro alle tue spalle” sibilò il Capo del dipartimento, che quella mattina aveva due occhiaie spaventose e la cera di chi era malato sul serio.
“Senta, non può prendersela mica con...” iniziò Dave, ma stavolta venne interrotto da Harry – che alzò una mano per zittirlo e spostò gli occhi spenti su Jhonatan, stanco già da tutta quella manfrina.
“Morrison ha voluto fare una sorpresa a Dia... alla Prince” si corresse velocemente, cercando di cancellare il suono del suo nome tra le propria labbra. Il cuore decelerò di battito ed Harry socchiuse gli occhi.
“Ed è andato allo Chanel, ma lei non c'era. Eravamo insieme e lei mi aveva appena baciato quando ha letto i migliaia di messaggi che lui le ha mandato. È scappata e io non ho saputo che fine avesse fatto fin quando, nascosto alla postazione di Dave, non ho visto che uscivano insieme dal locale.
Aveva il collo viola” bisbigliò, furioso con se stesso.
Quel bastardo le aveva fatto male ed era tutta colpa sua e di quel maledetto piano per incastrarlo. E Diana non lo meritava. Non meritava che qualcuno la trattasse in quel modo.
Quello non era amore. Non lo sarebbe mai stato.
“Merda” si sfiatò Jhon, passandosi una mano in faccia e invecchiando quasi di dieci anni. Si appoggiò contro lo schienale della poltrona e fece un profondo sospiro, cercando di riordinare le idee e calmarsi.
Merda.
“Mi dispiace, Capo, ma non posso continuare... quello l'ammazza e la colpa sarà tutta mia” disse Harry, ora serio.
Aveva acceso una sigaretta alla barba di tutti i cartelli appesi per il dipartimento e scosse la testa: una donna sulla coscienza gli bastava e avanzava, due sarebbero state troppe persino per lui.
“Già, se l'ammazza sarà tutta colpa tua” s'inasprì Picker, guardandolo come se fosse un maledettissimo alieno.
Dave sobbalzò e, per la seconda volta in quella mattinata, si chiese se non avesse perso il lume della ragione. Harry sembrava davvero provato da tutta quella situazione e Jhon non faceva che rigirare il dito nella piaga, strafottente.
“Capo...” iniziò, venendo interrotto dalla sua mano alzata.
“No, Thomas, no. Morrison è un pericoloso criminale ed è ossessionato dalla Prince, nel vero senso della parola. E ossessione non è amore.
L'ossessione, prima o poi, porta alla morte e se non faremo qualcosa... se non apriremo gli occhi a quella ragazza, finirà morta come le centinaia di persone che sono capitate per sbaglio sul cammino di quel bastardo” continuò Jhonatan, serio come non mai.
Harry lo guardò. E gli diede ragione. Diamine, se gli diede ragione.
Il termine ossessione non era mai stato sinonimo d'amore e mai quei due sentimenti sarebbero collisi. Diana era accecata dagli anni passati al fianco di quell'uomo, completamente all'oscuro degli omicidi che quelle stesse mani avevano commesso... e che continuavano a commettere. E se non prima, ma poi, lei stessa sarebbe stata travolta dalla sua furia cieca.
“E per baciarti, Jacksonville, significa che inconsciamente anche lei cerca una via d'uscita. E la sta chiedendo a te” sussurrò, allacciando gli occhi neri con i suoi – resi più chiari dalle sensazioni che lo stavano scuotendo da dentro.
Si sentiva confuso, arrabbiato, amareggiato. Si massaggiò il collo con una mano e con l'altra aspirò con più forza dal filtro che teneva in bilico tra le labbra sottili.
“Maledizione” sbuffò Dave, che conoscendo l'amico gli era bastato guardarlo di profilo e per un millesimo di secondo per capire la decisione che si stava facendo largo nella sua piccola testolina bacata.
“Questa storia non mi piace. Non mi piace per niente” sibilò, rovesciando il capo alla sua sinistra e fissando Camille seduta sulla mensola del finestrone – completamente assorta nei suoi pensieri. Era impegnata ad arricciare i capelli attorno all'anulare, mentre vacua fissava fuori dalla finestra.
Dave si chiese a cosa stesse pensando. E perché non li guardasse nemmeno di striscio. Di solito, era la prima a farsi in quattro e urlare ai venti la sconsideratezza sia di Picker che di Jacksonville, ma ora sembrava che nemmeno li stesse ascoltando.
“Non deve mica piacere a te, Thomas” soffiò Jhonatan, attirando nuovamente lo sguardo del ragazzo su di sé. Dave sospirò, massaggiandosi la fronte con esasperazione: a cosa sarebbero arrivati? Fino a che punto, quella storia, si sarebbe spinta?
Harry era in pericolo e non perché Morrison fosse un bastardo figlio di puttana. Ma perché, in qualche modo, Diana Prince gli stava entrando dentro.
Conosceva il suo migliore amico abbastanza da sapere che lei gli stava serpeggiando intimamente, insinuandosi fin nelle viscere – nello stomaco, tra i polmoni e quasi facendogli scoppiare il cuore. E non era una buon cosa. Non lo era mai.
“Qualcuno ha il suo numero di telefono?” Harry si alzò velocemente dalla sedia dov'era sprofondato appena messo piede al dipartimento, quasi attivandosi. Sì. Ci aveva pensato bene. Il capo aveva ragione.
Non poteva lasciare Diana tra le mani di quel psicopatico... lo stesso uomo che aveva ammazzato l'amore della sua vita; non poteva lasciare che lui vincesse nuovamente. Non quella volta.
“Cosa vorresti fare?” sbuffò Dave, con quei capelli scompigliati e una leggera barba ad adombrargli il volto affilato. La pupilla larga scuriva gli occhi azzurri e il tic all'occhio destro mostrava a sguardo esterno il nervosismo – il solito che lo coglieva quando si parlava di tutta quella situaione con la Prince e Morrison.
“Telefonarla. L'ultima volta che l'ho vista aveva un collo viola e la mano attaccata a quella di Mattew e ho bisogno di parlarle” sussurrò Harry, disastrandosi ancora di più i capelli neri passandoci ripetutamente le mani dentro. Aveva davvero bisogno di parlarle, dirle che gli dispiaceva davvero per quello che era successo... e per aver lasciato che lei se ne andasse così, senza nemmeno fingere di fermarla.
Fece un casino della Madonna, mandando all'aria i fascicoli del Capo per l'ansia – e dopo che questo gli ebbe lanciato l'impossibile dietro la testa, comprese le pastiglie per gli attacchi di panico – finalmente quel maledetto numero gli passò tra le dita. E lì fu pure peggio.
Afferrò il telefono del Capo e alzò velocemente la cornetta, strafregandosene della privacy e quelle altre cazzate lì. Lui doveva sentirla anche se era in compagnia di quel ritardato psicopatico di Morrison. E poco gli importava pure dei due presenti.
“DIANA?” quasi le urlò al terzo squillo, quando lei finalmente si decise a rispondergli.
Dall'altra parte sentì solamente qualcuno trattenere il fiato.
Diana. Assaporò quel nome in gola, nella testa, nelle viscere. Lasciò che quel sapore dolciastro gli scivolasse fin dentro le ossa – stordendolo.
“Diana” ripeté, mentre il respiro s'affannava quasi senza ragione. Non si era mosso dalla posizione iniziale, ma sentiva il petto abbassarsi e alzarsi come un dannato. Sì... dannato, ecco l'aggettivo giusto per lui.
Dannato.
“Harry, cosa succede? Come hai avuto il mio numero?” bisbigliò lei, con voce metallica. Era spaventata ed Harry sgranò gli occhi quando la sentì gemere.
“Diana?” la richiamò, mentre quasi gli sembrava di sentirla lottare con qualcuno. L'ennesimo gemito e poi non sentì nient'altro.
Guardò raggelato il Capo negli occhi e lui sembrò capire qualcosa, perché sussurrò un « che succede? » tra l'allarmato e l'inquietudine.
“Con chi parlo?” e una voce maschile ruppe il silenzio, facendo mancare un battito a lui e sgranare gli occhi a Jhon.
« È lui, è lui! » soffiò Dave, senza fiato, aggrappandosi al suo braccio.
Harry intimò silenzio con una mano e prese un lungo sospiro. “Io sono Harry” mormorò con voce dura, stringendo il telefono tra le dita.
“Cuginetto, sei tu!” rise la voce di Mattew, suscitando lo stupore generale.
Harry si aggrappò contro la scrivania, facendosi quasi sbiancare le nocche; si guardò attorno con un senso di panico a scuotergli le membra, ma Jhon lo afferrò per il mento – deciso. Annuì con convinzione, indicando con la testa la cornetta.
“Sì... sono io” disse in risposta, cogliendo l'assenso nel Capo.
“Come stai? Ho saputo che tu e la mia Diana vi siete incontrati. A mia insaputa.” mormorò con voce calma Morrison, quasi carezzevole.
La carezza del Diavolo quando chiede l'anima.
“Sì, mi dispiace, amico. Ho perso mia madre pochi mesi fa e Diana era l'unica della famiglia che mi è rimasta... i suoi genitori non mi hanno mai accettato e non me la sentivo di contattarli, così ho chiesto a lei di raggiungermi ieri sera” disse, scusandosi.
Prima regola dell'addestramento: essere docili durante un contratto. Quando i criminali avevano ostaggi, c'era bisogno di negoziare. E per negoziare ci volevano abilità e astuzia.
“Ah. Diana non me l'aveva detto” sospirò Matt ed Harry lo immaginò guardare Diana con aria tra il contrariato e l'arrendevole.
Quindi era per quel motivo che Diana era ancora perfettamente integra quando aveva messo piede fuori dallo Chanel a braccetto con lui; gli aveva raccontato la balla del cugino, e lui, per qualche arcano motivo, le aveva creduto.
Harry socchiuse gli occhi, chiudendosi il ponte del naso tra pollice e indice.
“Penso che non ne abbia avuto modo” sibilò, trattenendosi dallo sbottare acidamente al telefono.
Doveva averlo raccontato per la paura. Lui l'aveva quasi strangolata e lei per salvarsi la pelle aveva contato la storia del cugino – scusa a cui non avrebbe creduto nessuno.
“Beh, comunque non c'è alcun bisogno di telefonarla. Puoi venire alla Morrison e co. nei prossimi quattro giorni, quando io sarò presente e possibilmente nell'orario lavorativo – per chiarire alcuni punti, sai” sogghignò Matt con voce divertita.
Harry sgranò gli occhi, guardando sia Dave che Jhon. Il più pericoloso criminale di tutti i tempi lo aveva appena invitato per il té nel suo ufficio “ufficiale” e “legale” per una chiacchierata amichevole.
“O penserò che qualcosa non vada. E la cosa non mi piacerebbe affatto” continuò l'altro con voce sepolcrale ed Harry sentì una vertigine quasi farlo indietreggiare.
E rispose prima che il Capo gli strappasse la cornetta di mano e Dave lo picchiasse selvaggemente per essere uno stupido di proporzioni cosmiche. “Okay, ci vediamo domani alle 15.00 alla Morrison e co.” snocciolò, chiudendo fulmineamente la telefonata e chiudendosi a riccio quando gli arrivarono tre o quattro pugni sulla testa.
“SEI IMPAZZITO?!” urlarono i due presenti nella stanza all'unisono, quasi con gli occhi fuori dalle orbite.
Già, era assolutamente impazzito. Come aveva potuto accettare un offerta così pericolosa? Se Matt lo avesse riconosciuto, sarebbe finito sette metri sotto terra senza neanche fare in tempo a pronunciargli un « Bu! » all'orecchio.
Ma Diana era in pericolo e quel maledetto era stato chiaro. O si sarebbe presentato lì o se la sarebbe presa con la ragazza, accusandole il tradimento.
Non poteva permetterlo. Diana era finita in quella situazione per colpa sua ed dovere di Harry proteggerla a tutti i costi – anche se questo avrebbe voluto dire beccarsi due o tre pallottole.
Diana continuava ad essere la sua Dea... e toccava a lui adorarla e venerarla, difenderla e proteggerla. Come solo un devoto avrebbe saputo fare.
E lui era suo devoto, oramai.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: PeaceS