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Autore: Bloody Q    07/03/2016    3 recensioni
[Storia partecipante al contest "The story of my life - La nostra storia" sul forum di EFP]
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"Oggi sono qui, davanti a te. Sono passati quasi tre anni e mezzo da quel giorno, ma mi hai dato una grande lezione di vita. Non arrendersi mai, lottare fino alla fine."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono qui davanti a te. Mamma è andata a cambiarti i fiori e adesso siamo soli. Quando ero piccola guardavamo insieme quei film d'azione e di arti marziali, ricordi? Dal grande Bruce Lee e il comico Jackie Chan fino ad arrivare al tuo duo preferito: Bud Spencer e Terence Hill. A seguire c'erano Sylvester Stallone, Chuck Norris, Schwarzenegger, Van Damme e Steven Seagal, il tuo preferito.
Già all'età di tre anni mi sdraiavo con te nel lettone a guardare qualcuno di questi film, mi stendevo sul tuo petto e molte volte mi addormentavo stretta nel tuo forte, caldo e rassicurante abbraccio, cullata dai battiti del tuo cuore.
Un giorno, a casa dei nonni, mi hai mostrato alcune tue foto durante un tuo esame di karate e fu così, tra film e racconti tuoi, che m'innamorai di questa disciplina. Ti ho chiesto di iscrivermi in una palestra di karate e a undici anni, finalmente, hai esaudito il mio desiderio. Posai la mia vestaglia rossa che fingevo fosse un kimono* e indossai il mio primo vero karategi*, un'emozione che non scorderò mai.
Grazie alla passione che bruciava dentro di me, il maestro mi definì una piccola macchina da guerra e presto arrivarono le gare. Durante una di queste, però, una ragazza di grado superiore al mio mi assestò un calcio in piena faccia talmente forte da scaraventarmi a terra, fuori dal tatami*.
Il maestro venne immediatamente a controllare se fossi ancora in grado di continuare, io cercai il tuo sguardo tra la gente e quando ti vidi intesi dai tuoi occhi che dovevo rialzarmi e riprendere il combattimento. Così mi rimisi in piedi e conclusi l'incontro da sconfitta.
Ero così delusa da me stessa che mi persi in pensieri tristi e non mi accorsi che eri sceso dalle gradinate, mi posasti una mano nella spalla e dicesti «Non importa vincere o perdere, quello che importa è sapersi rialzare e tu ci sei riuscita. Perdere con onore vale più di una semplice vittoria».
Qualche anno più tardi ti sei ammalato e, dopo mesi passati in ospedale con la speranza della tua guarigione, entrai per l'ultima volta nella tua stanza. Ero stata avvertita del fatto che eri "diverso" quel giorno, ma sono comunque entrata.
Ti diedi un bacio sulla fronte, mamma ti disse chi ero per farmi riconoscere, mi sedetti accanto a te e ti strinsi la mano.
Non riuscivi più a muoverti né a parlare, volevi continuare a vivere e avevi fatto progetti per quando saresti uscito. Io trovai difficile riuscire a restare per più di cinque minuti in quella stanza e mi dispiace, sarei dovuta rimanere lì per tutto il tempo che restava.
Qualche ora dopo essere ritornata a casa arrivò quella maledetta chiamata, quella di mamma che fece scatenare il pandemonio, quella che mi costrinse a prendere la zia per le spalle e farla sedere di forza, la stessa che mi fece piangere e singhiozzare per un'intera ora. Piansi solo quando venni a sapere che te ne eri andato, ma per tutta la durata della veglia, al funerale e alla sepoltura non versai neanche una lacrima. In quel momento tutti crollarono, anche i più forti. Io caddi e mi rialzai subito, non potevo restare a terra, non in quel momento. Qualcuno doveva essere forte e certo nessuno se lo aspettava da una quattordicenne particolarmente emotiva e sensibile, ma avevo una sorellina di dieci anni che quasi svenne alla notizia, che si gettò tra le mie braccia e pianse fino a consumarsi, così come tutti gli altri.
Tutti tranne me.
Io mantenni un lieve sorriso perché pensavo che non avresti mai voluto vedermi piangere. Si, forse sembravo pazza, ma ti vidi per due giorni consecutivi disteso sul quel lettino dentro l'obitorio e finalmente, dopo tanta sofferenza, ti vidi sereno in viso.
Prima di essere sepolto ti diedi un ultimo bacio, quel bacio che sapevo non avrei potuto ricevere da te per i miei diciotto anni, per il mio futuro matrimonio e per quel nipotino che un giorno avrai e non potrà avere l'onore di conoscerti di persona.
Oggi sono qui, davanti a te. Sono passati quasi tre anni e mezzo da quel giorno, ma mi hai dato una grande lezione di vita. Non arrendersi mai, lottare fino alla fine. Nel mio cammino incontro parecchi ostacoli, continuo a cadere, ma ogni volta mi rialzo e continuerò a farlo finché avrò fiato in corpo. Forse il tuo corpo ha perso la lotta contro il cancro, ma il tuo spirito ne è uscito più che vittorioso.


Note
Kimono: è un indumento tradizionale giapponese, nel mio caso l'ho utilizzato come sinonimo karategi.
Karategi: è un kimono ed è la divisa utilizzata nel karate.
Tatami: è un pavimento giapponese composto da pannelli rettangolari che attutiscono le cadute.


Angolo dell'autrice

Questa storia è una vittoria contro me stessa. Per me riuscire a scrivere di mio padre e pubblicare quanto scritto rappresenta un grande sforzo.
Sono stata finalmente in grado di affrontare direttamente questa perdita e si, ha fatto male, ma adesso mi sento libera in un certo senso.
   
 
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