12
Uncino
e Azzurro giunsero alla fine del tunnel, che si apriva proprio sul
cortile
interno del castello. Non c’erano molti soldati, in giro.
Erano tutti impegnati
a tenere a bada Lily sulle mura, evidentemente.
-
State indietro. – disse Killian.
Due
uomini del re stavano trasportando un calderone fumante. Si diressero
verso le
scale e salirono, senza accorgersi di nulla.
-
Quello sarebbe per noi? – chiese Robin, riferendosi al
calderone.
-
Non credo ci piacerebbe scoprirlo. – rispose Regina.
Da
fuori giunse il possente ruggito del drago. Malefica, che seguiva il
gruppo,
sollevò la testa e rimase per qualche istante in ascolto.
Regina vide la
scintilla di angoscia che passava negli occhi celesti di lei e
l’afferrò per il
polso.
-
Lily ce la farà. – le disse, imprimendo sicurezza
nella propria voce. – Ma noi
dobbiamo muoverci.
-
Perché ho permesso che lo facesse? –
domandò Malefica, parlando più a se stessa
che a Regina. – Che razza di madre sono? Io dovrei
proteggerla, non mandarla là
fuori ad affrontare tutto da sola! È stata da sola per tutta
la vita.
-
Siamo in guerra, Malefica. - Regina le prese la mano, serrandola fra le
sue. La
fissò con espressione franca, limpida. - Ed è
stata una scelta di Lily. Non
potevi fermarla.
-
Invece sì! Avrei dovuto...
-
Tu hai fatto tutto il possibile per tua figlia! Lily... è
forte. Non si
avvicinerà troppo alle mura e si limiterà a
spaventare gli uomini di Artù per
tenerli occupati. Andrà bene.
Sì,
andrà bene, si
ripeté Regina. Deve andare bene. La
fortuna ci deve assistere. O sarà tutto inutile. Non solo
per Lily ma anche per
Emma.
-
Andiamo. – disse Uncino.
-
Cos’è successo dopo che Nimue è
diventata l’Oscuro? – domandò Emma,
mentre lei
e Merlino ripercorrevano il sentiero che li aveva condotti nel luogo in
cui
aveva affrontato l’Oscuro originario.
-
Io e il mio Apprendista ci siamo assicurati che la spada fosse al
sicuro. –
rispose lui. Aveva un’aria decisamente provata. Gli occhi
erano rossi e
segnati. Sulla gola stavano comparendo i primi lividi. I lividi
lasciati dalla
sua stretta quasi mortale. – Ho lanciato un incantesimo
quando l’ho riposta
nella roccia. Solo il vero re di Camelot avrebbe potuto estrarla.
-
Artù.
-
Lui... non è diventato l’uomo che mi aspettavo.
– Merlino scosse il capo,
rammaricato. – Poi... ho creato il pugnale. Ho legato lo
spirito di Nimue ad
esso in modo da poterla controllare. Ma alla fine me l’ha
sottratto.
“Quella
spada può fare più di una
sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra
è già sopra di noi. Io... non
sono ancora morta, fanciulla”.
-Ti
ha imprigionato nell’albero. – riprese Emma,
cercando di non pensare più alla
voce di Nimue. – Lei indossava la maschera, allora.
-
Sì. Ha preso la maschera indossata dall’uomo che
le ha causato tanto dolore.
“Vortigan.
Lui uccise la mia gente
e distrusse il mio villaggio. Li uccise senza
pietà”.
-
È più facile convivere con
l’oscurità se la mascheri con la vendetta.
“Siamo
una cosa sola, adesso.
Dobbiamo distruggere quello che ci minaccia. Distruggiamo
Merlino!”
-
Sapevo che avevi il cuore spezzato. – disse Emma,
appoggiandogli una mano sulla
spalla e costringendolo a fermarsi. – Ma ora so anche... che
Nimue ti ama
ancora. È malandato... ma c’è.
È ancora lì.
Merlino
chiuse gli occhi per qualche istante. Infine sorrise. –
Grazie. Significa molto
per me.
“Uccidere...
ti porta sulla strada
oscura”.
“No,
Emma, vuol dire avere il
potere! Il potere che ti serve per proteggere te stessa e le persone
che ami!”
-
Secondo te è possibile... – ricominciò
Emma. – Che qualcuno possa usare
l’oscurità per fare del bene? Per proteggere le
persone che ama?
Era
un discorso pericoloso e Merlino lo intuì
all’istante. – Emma. Non farti
tentare da simili pensieri.
-
Ma è così?
-
Un giorno... forse... esisterà qualcuno abbastanza degno da
poter controllare
l’oscurità e usarla a fin di bene. Senza che essa
corrompa la sua anima. – Il
tono di Merlino era benevolo, comprensivo, ma guardingo. – Ma
se riusciamo a
cancellare l’oscurità, allora non sarà
necessario chiedere così tanto a
qualcuno.
-
Quindi dobbiamo riunire Excalibur alla sua parte mancante.
Per
un po’ proseguirono senza parlare. Avrebbe tanto voluto
discutere di altro, di
qualcosa che non riportasse la sua mente sempre allo stesso momento,
allo
sguardo spiritato di Nimue, ai nomi degli Oscuri che scivolavano lungo
la lama
del pugnale, alla sua famiglia... la sua famiglia impegnata a
recuperare
Excalibur.
-
Nimue... ha parlato di un’ombra. – disse Emma, ad
un certo punto. – Un’ombra su
Camelot. Mi ha chiesto se la sentivo.
-
Un’ombra...
-
Di cosa parlava? Di me?
“Puoi
sentire il potere e anche
l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la
vedo! E tu? Tu la vedi?”
Merlino
rifletté un attimo prima di rispondere. Decisamente sapeva
di che cosa stava
parlando. – L’ombra. È parte di qualcosa
che ho visto... molto tempo fa.
-
Una profezia?
-
Un pezzo di futuro. Il futuro è difficile da leggere, Emma.
Non è mai chiaro.
Io trasmettevo ciò che riuscivo a cogliere... quei
frammenti...
-
Cosa c’entra l’ombra?
-
L’oscurità. Sono riuscito a vedere solo una grande
oscurità che calava sul
castello di Artù. Prima che lui nascesse. L’ho
detto al mio Apprendista. –
Aggrottò la fronte. – Ma adesso non devi pensarci.
Quelle cose... non devono
avverarsi per forza. Oggi hai vinto, Emma. Hai affrontato il primo
Oscuro e hai
vinto. Questo è ciò che conta.
Non
mi sta dicendo tutto.
-
Come intendi distruggere l’oscurità? –
chiese Emma, mentre il sentiero svoltava
verso destra e si allargava. – Non basta riunire Excalibur,
vero? Quello è il
primo passo.
-
Riunire Excalibur è un passo importante. È
necessario. – rispose Merlino. –
Quello che verrà dopo sarà altrettanto difficile.
Emma
tacque.
“Quella
spada può fare più di una
sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra
è già sopra di noi. Io... non
sono ancora morta, fanciulla”.
-
Dove andremo? – chiese Emma. Perché era sicura che
Merlino intendesse portarla
da qualche altra parte.
Il
mago si fermò di nuovo, in mezzo al sentiero. Emma
pensò che forse non era
giusto insistere con le domande. Le sembrava giusto porle, quelle
domande, ma
al tempo stesso le pareva sbagliato, quindi si chiese se non fosse
meglio
lasciare le cose come stavano. Per ora.
Tuttavia,
Merlino le rispose: - Ad Avalon. Laggiù... la magia
è molto antica. Più antica
del primo Oscuro. Ho mandato avanti Lancillotto perché
avvertisse sua madre e
la Somma Sacerdotessa. Avremo bisogno del potere di Avalon per
distruggere
definitivamente l’oscurità.
-
Il potere di Avalon...
-
C’è un punto, sull’isola... un punto in
cui l’energia magica è più forte, un
punto in cui essa si concentra. È la parte più
antica di Avalon. La chiamano...
il Tor. Su quella collina sorge il cerchio di pietre che indica il
luogo in cui
dobbiamo recarci.
Emma
aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma in quel momento
udì un ruggito. Erano
lontano, a diverse miglia di distanza, eppure la costrinse a mettersi
in
ascolto.
Lily?
Anche
il mago aveva sollevato il capo verso il cielo. Ma si riscosse subito
dopo. -
Andiamo. Non manca molto.
***
Storybrooke.
Oggi.
David
parcheggiò il pick up davanti all’accampamento.
Nonostante l’ora tarda sembrava
che il re fosse ancora sveglio. La sua tenda era riconoscibile per via
dello
stendardo color porpora appeso all’esterno. Un fuoco ardeva
ancora nel bel
mezzo del campo.
-
Ecco la tenda di Artù. Vado io. Voi due guardatemi le
spalle. – disse a Robin e
ad Uncino, mentre caricava la pistola.
-
E se il nostro disonesto re dovesse attaccarci? – chiese il
ladro, procedendo
verso la tenda.
-
Allora si pentirà di averlo fatto. – rispose
Uncino.
-
Ehi! Aspettate!
David
si fermò di colpo e si voltò. Merida li
raggiunse, con l’arco stretto in mano e
una freccia già pronta per essere incoccata.
-
Merida, che diavolo ci fai tu qui? – chiese Uncino.
-
Sono qui per lo stesso motivo. Artù. Quell’uomo ha
ucciso mio padre. Quindi
vengo con voi. – disse, con un tono che non ammetteva la
minima replica.
-
Sì, sappiamo di tuo padre. Te l’ha detto Emma?
– chiese Azzurro, parlando a
voce bassissima.
-
Puoi giurarci. Tremotino ha fatto un accordo con lei.
-
Sappiamo tutto. – la interruppe David. - Merida, non siamo
qui per la vendetta.
Abbiamo bisogno di Artù per aiutare Emma. Lui sa delle cose
che ci servono.
-
Allora facciamolo parlare. Vi aiuterò. E poi lo lascerete a
me.
-
Vuoi ucciderlo? – chiese Robin.
-
No. Intendo sfidarlo.
Non
c’era tempo per chiedere spiegazioni. David
appoggiò una mano sul braccio di
Merida. – Puoi venire con noi. Ma entro prima io.
Merida
annuì. Insieme si mossero verso la tenda di Artù.
David scostò i lembi per
introdursi all’interno.
-
Artù. – iniziò, vedendo il re seduto al
tavolo con la moglie.
-
David! Che bello vederti, amico mio. – Indicò il
posto libero accanto a lui.
Era molto rilassato, niente lo turbava. Si sentiva al sicuro.
– Vieni. Unisciti
a noi.
-
Perché non mi spieghi, invece, come mai mi hai mentito?
Il
sorriso di Artù si spense.
-
Perché hai cercato di bruciare la Corona Scarlatta?
Il
re rimase qualche istante a fissare David, senza dire niente. Si era
fatto
rosso in faccia, ma non abbassava lo sguardo. Ginevra quasi non
reagì. Sembrava
non percepisse alcun pericolo.
-
Quindi hai scoperto...?
-
Sì, l’ho scoperto... amico.
-
Oh, quella parte era vera.
Merida
entrò nella tenda e tese la corda del suo arco.
Puntò alla gola scoperta del
re. Ginevra si alzò di scatto.
-
Hai anche portato i rinforzi! Quanti ce ne sono? – chiese
Artù.
-
Non importa. Voglio delle risposte e tu me le darai. – David
estrasse la
pistola. – Abbiamo ascoltato un messaggio di Merlino. Dice
che Excalibur e il
pugnale un tempo erano una cosa sola. Ma lo sapevamo già.
-
E allora? Io non ho Excalibur. Non so dove sia.
-
Chi è Nimue? Merlino l’ha nominata nel messaggio.
Dimmi chi è. – Puntò la
pistola contro di lui. Merida tese di più la corda del suo
arco. Alcuni
riccioli rossi le erano ricaduti su un occhio, eppure non li
scostò. Forse
nemmeno se ne accorgeva. Il suo volto era contratto dalla furia. Tutto
il suo
corpo era in tensione, pronto a scattare.
Per
tutta risposta Artù afferrò i bordi del tavolo e
lo scaraventò contro David.
Velocissimo, si precipitò fuori dalla tenda.
-
Sta scappando! – gridò Merida.
Uncino,
che aspettava all’esterno insieme a Robin, si
lanciò all’inseguimento del re,
che fuggì nella foresta.
***
Camelot.
Tre settimane prima della
maledizione.
Artù
stava sistemando con molta attenzione il fodero che proteggeva
Excalibur,
quando le porte della sala si aprirono e Regina entrò,
precedendo gli altri.
-
Strega maledetta! Il vostro dannato drago sta arrostendo le mie
guardie... –
iniziò lui, afferrando
la prima arma che
aveva a disposizione, un bastone di ferro sormontato da una sfera
costellata di
spuntoni.
Regina
lo fece sparire e bloccò Artù lì dove
si trovava.
-
La spada è sul tavolo. – disse Robin.
-
Non toccarla per nessun motivo. Sarà certamente incantata.
– rispose Uncino,
stringendo l’elsa della sua e puntandola contro il re.
All’esterno
il drago ruggì di nuovo. Il fuoco si rifletté sui
vetri della finestra,
colorandoli di arancione.
-
Corpo di mille balene, pirata, non preoccuparti. – disse
Regina,
approssimandosi al re. – Qui non c’è
niente che possa farci male. Artù non sa
usare la magia.
Il
sovrano le sorrise, divertito.
-
Salve, ragazzi! – esclamò Zelena. Mise piede nella
sala, trascinandosi dietro
Biancaneve, legata ed imbavagliata.
Malefica
puntò lo scettro contro di lei.
-
Non ti conviene. – disse la strega. – Potrei anche
decidere di torcerle il
collo.
-
Che diavolo... – cominciò Regina. Era stata
davvero una stupida a pensare che
Zelena non avrebbe trovato un modo per liberarsi della sua guardia
personale. Non
poteva usare la magia, ma in qualche modo riusciva sempre ad ingannare
chiunque.
-
Mary Margaret! Non provare a toccarla... – disse David.
-
Papino è arrabbiato. – Zelena fece in modo che
Neve si sedesse in uno dei posti
riservati ai cavalieri di Artù. – Vediamo di
disfarci di questo.
Artù
venne liberato dall’incantesimo.
-
Artù è stato così gentile da togliermi
quell’affare di dosso. Finalmente. –
Zelena mostrò il polso nudo.
-
Bene. – disse Malefica. La sfera in cima al suo scettro si
illuminò di una luce
violacea e sinistra. – Forse è giunto il momento
di uno scontro vero. Mi erano
mancati.
Regina
formò una sfera di fuoco. – Oh, anche a me. Almeno
sarà una lotta alla pari.
-
Non fatelo! – urlò Robin, in preda al panico.
– Il bambino!
Il
bambino.
Se
avesse potuto scagliare una lunga trafila di maledizioni, Regina
l’avrebbe
fatto. Era talmente furiosa che non aveva nemmeno pensato alla
gravidanza di
Zelena.
-
Volevo anche avvisarvi che palla di neve non è
l’unica a rischiare la vita,
qui. – disse la strega, scambiando un’occhiata di
intesa con il re. – In questo
preciso momento le guardie di Artù stanno incoccando le
prime frecce avvelenate
della giornata. Veleno delle vipere di Agrabah. Ho chiesto al re di
aspettare
prima di usarlo. Dovevo accertarmi che la mammina dell’Oscuro
non mi creasse
troppi problemi.
Malefica
abbassò lo scettro. Un orrore profondo misto a sbigottimento
la pervase.
Avvertì un’improvvisa ondata di debolezza in tutto
il corpo.
-
Sai, se tu fossi stata un po’ più gentile, forse
non vi avrei traditi e non
saremmo a questo punto. Mi tocca minacciare anche una ragazza
così intelligente
come Lilith. – disse Zelena, mettendo le mani sul libro che
Artù aveva preso
nella Torre di Merlino.
-
Oh, sì, invece. L’avresti fatto. –
rispose Uncino.
-
Ma mi sarei divertita molto meno. Ed ora... – Si
chinò sul libro di magia. –
Vediamo questo volume di ricette di Merlino...
-
L’incantesimo è quello? –
domandò Artù.
-
Sì. Una ricetta molto ingegnosa. Una pozione incatenante.
-
Eccellente.
Regina
avrebbe tanto voluto intervenire, ma non sapeva più in che
modo farlo senza
nuocere al bambino della sorella. Ed evitando che anche Mary Margaret
rimanesse
ferita. Si sentiva una stupida. Era sicura di poter prevedere il
tradimento di
Zelena e, invece, era stata raggirata un’altra volta.
La
spada nel fodero venne avvolta da un alone verde. Risplendette qualche
istante
e poi la magia disparve.
-
Ecco fatto. – annunciò Zelena, con un sorriso
smagliante. – I biscotti sono
pronti. E per biscotti intendo dire... che Artù
avrà anche una spada più corta
di quella che si aspettava, ma sarà in grado di controllare
il mago più vecchio
del reame.
Artù
estrasse la spada e mostrò il nome impresso sulla lama,
vicino alla spaccatura.
Merlino.
-
Il piano era suo, ma l’ho apprezzato. Felice di essere stata
d’aiuto. –
concluse Zelena.
-
Mille grazie, mia signora. – Artù
sollevò l’arma, rimirando il nome
dell’uomo
che l’aveva fatto sentire un idiota. Il nome
dell’uomo che gli aveva rovinato
la vita con le sue false profezie.
-
Artù, aspetta! Non farlo. So che non la vedi, ma
c’è una via d’uscita. –
intervenne David, facendosi avanti.
-
Merlino! – gridò il sovrano, ignorandolo.
-
Possiamo provare a ricominciare tutto daccapo. Ma devi metterla
giù.
-
Merlino!!
-
Emma ti sarà molto più utile come Salvatrice che
come Oscuro.
Artù
lo fissò con aria annoiata. – Grazie, David. Ma...
Merlino!!!
Pochi
secondi dopo Merlino apparve nella sala della Tavola Rotonda. Aveva
l’aria
confusa e sembrava davvero provato. Gli occhi erano segnati e
arrossati. Il
viso tirato. Rivolse ad Artù uno sguardo pieno di sconcerto.
-
Ah, Merlino... – disse lui, puntandogli contro la spada.
– Eccoti qui. Per
prima cosa, usa la magia per impedire a questa gente di farmi del male.
Merlino
alzò la mano destra ed eseguì l’ordine
senza fiatare. Le loro armi caddero a
terra, una dopo l’altra.
Zelena
ridacchiò. – Beh, grandioso!
-
È fatta, Artù. Puoi metterla giù. Non
ce n’è bisogno. – disse Merlino,
lentamente. - Emma ha superato il test.
-
Oh, Emma ha superato il test! – Artù mosse verso
il mago. – Che bello.
-
Ho quello che ti serve per riunire Excalibur e compiere il tuo destino.
Dammi
la spada. – Merlino tese la mano.
-
E darti quindi la gloria? No, grazie.
-
Gloria?
Un
altro ruggito. Il fuoco colorò nuovamente le vetrate.
-
Mi sono stancato di questo drago. – disse Artù,
portandosi le dita
all’orecchio, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa.
– È un vero
peccato non avere davvero quelle frecce avvelenate.
Malefica
trattenne il respiro in un suono aspro che, più che un
gemito, era un grido di
ribellione e tutto il furore tornò ad abbattersi su di lei.
-
Ops! – disse Zelena, mettendosi una mano sulla bocca.
– Mi stai dicendo... che
non abbiamo frecce avvelenate? Che disdetta! Eppure ero così
sicura...
-
Sei una... – cominciò Regina.
-
Cosa, sorellina? Una perfida strega? Oh, sì. Una perfida
strega che tu hai
lasciato fuori con la tua vecchia nemica, perché pensavi che
lei potesse
tenermi a bada. Mi aspettavo di più da te.
-
Tuttavia. – intervenne Artù. - Ho uno stregone
dalla mia parte. Merlino...
-
Mi dispiace non essere stato lì per guidarti,
Artù. Non è questo l’uomo che
volevo che fossi. – ricominciò.
-
Sono esattamente ciò che tu mi hai fatto diventare. Tu con
le tue false
profezie... prima la spada e poi... e poi la figlia della mutaforma,
che ora è
là fuori a cercare di assassinare tutti i miei uomini!
– gridò Artù, agitando
la spada. - L’ho trovata in uno dei tuoi maledetti libri. La
profezia su
Lilith. E l’incantesimo. Che
l’oscurità
trovi la sua via, dal grembo materno a un altro
dell’inferno... che
incantesimo è?
Neve
guardò Azzurro, incredula.
-
Trasferisce il potenziale oscuro di una persona in... in
un’altra.
-
Chi l’ha lanciato?
-
Il mio Apprendista. Artù, ascolta...
-
E la profezia? È Lilith l’ombra che
calerà su Camelot, vero? È lei che
distruggerà il mio regno!
-
Sì. Ma quella profezia è solo uno sprazzo di
futuro. Non deve avverarsi per
forza. Il futuro è incerto, Artù. Lo sai!
-
Rendila inoffensiva. Adesso. E anche sua madre!
-
No! – esclamò Malefica.
Merlino
diresse il potere verso Malefica, che crollò priva di sensi.
Poi serrò le
palpebre e all’esterno i ruggiti e le grida cessarono in un
battibaleno. Tutti
udirono uno schianto. Il fragore di alcuni alberi sradicati che
precipitavano
al suolo.
-
Ero intrappolato. – tornò a dire Merlino. - Ho
riposto in te la mia fiducia.
Avresti dovuto essere come un figlio per me...
-
Taci. Non sono mai stato un figlio per te. - Alzò la spada
in modo che Merlino
vedesse bene il suo nome inciso su di essa. – Non hai fatto
altro che parlarmi
della leggenda del grande re Artù che avrebbe estirpato
l’oscurità da questo
regno! Ora dimmi che non erano tutte bugie!
-
Non lo erano. Lo stai già facendo. Sei parte di quella
storia.
-
Parte?!
-
Abbiamo quello che ci serve. Il futuro è nelle tue mani,
Artù. Dammi la spada.
Possiamo risolvere tutto.
Il
re abbassò la sua arma. – No. Io sarò
molto di più di questo. Molto più di un
re conosciuto per aver sconfitto una dannata roccia!
-
Artù, non puoi...
-
Silenzio! – intimò. E quando il mago tacque, lui
sorrise. – Abbiamo degli altri
intrusi. È il momento di farli andare via. Fallo, ora.
Merlino
cercò le forze per resistere a quel comando. Forse, se non
fosse appena uscito
dallo scontro con Emma e Nimue, sarebbe riuscito a trovarle, quelle
forze. Ma
la sua mente era confusa. Annaspava alla ricerca di un appiglio a cui
aggrapparsi.
Rivolse
la sua attenzione agli “intrusi” e, con un gesto
della mano, li fece scomparire
tutti.
Emma
rientrò al Granny’s, reggendo il cofanetto che
conteneva la preziosa scintilla.
Henry sedeva davanti al bancone, in attesa. Knubbin era ancora legato
con il
corvo appollaiato su una spalla. Dormiva.
-
Mamma, ce l’hai fatta? – chiese Henry. –
Hai trovato la scintilla...?
Emma
lo abbracciò stretto. – Sì,
l’ho trovata. Adesso potremo ricomporre Excalibur e
porre fine a tutto questo.
-
Finalmente delle buone notizie! – esclamò Granny.
– Tutta quest’attesa mi
rendeva nervosa... e quel dannato mago non ha fatto altro che russare.
-
Russare! – Knubbin si svegliò di soprassalto,
spaventando Heathcliff, che
sbatté le ali e gracchiò, infastidito.
– Io non russo. Vero, Heathcliff?
-
Fantastico, mamma. – disse Henry, ignorandolo. –
Scacciamo l’oscurità.
-
Sì. Dov’è Excalibur?
Knubbin
starnutì.
-
Non lo so. Non è tornato nessuno con la spada. –
osservò Henry, perplesso.
Improvvisamente
Emma si fece attentissima. Non le era piaciuto affatto il silenzio che
regnava
nella foresta e intorno alla tavola calda quando era arrivata e si era
fermata
un attimo a rimirare la fiamma di Prometeo. Era un silenzio strano. In
più,
Merlino era svanito nel nulla. Sulle prime aveva pensato che fosse
andato a
recuperare la spada, ad aiutare gli altri al castello di
Artù. Ma adesso
sentiva che doveva essere successo qualcosa di più grosso.
-
Hai visto Merlino? – domandò al figlio.
-
No. Pensavo fosse con te.
-
Lo era. Ma poi è scomparso. C’è...
qualcosa che non va. Granny! – Emma
avvertiva il calore della scintilla persino attraverso il metallo
pesante del
suo contenitore. – Chiudi la locanda. Credo non sia
più sicuro stare qui.
-
Sono sempre un passo avanti. – disse la nonna, sbucando dal
retro armata di
fucile. – Henry, tu vai davanti. Io sul retro.
Emma
stava per domandarle se fosse davvero un buon piano. Pensava alla sua
famiglia
e si chiedeva che cosa fosse andato storto. Si chiedeva se fosse
accaduto
qualcosa a Lily o a Regina. Se fosse accaduto qualcosa ai suoi
genitori, a
Uncino... se Artù avesse previsto la trappola e li avesse
fermati. Si chiese se
Zelena li avesse traditi. Forse in quel momento erano nelle prigioni.
Doveva
andare da loro. Ciò avrebbe significato aprirsi la strada
con la magia, ma che
scelta aveva?
“Io
non sono ancora morta,
fanciulla”.
Poi
Granny lanciò le chiavi della locanda al ragazzino, che
allungò una mano per
prenderle al volo.
E
la chiavi si bloccarono a mezz’aria.
Anche
Henry e Granny erano immobili. Così come Knubbin e il suo
corvo.
-
Henry?
Merlino
apparve dietro la nonna. – Scusami, Emma... per questa
entrata così teatrale.
Purtroppo non posso fare altro se non eseguire gli ordini.
-
Ordini? Quali ordini?
-
Di Artù. Il mio allievo ribelle ha fatto qualcosa che non
avevo previsto. –
Merlino mosse qualche passo verso di lei. – Sta usando
Excalibur contro di me.
Mi ha ordinato di riunirla alla sua parte mancante. E questo significa
che devo
portargli la fiamma di Prometeo e il pugnale.
-
No. – disse Emma. Strinse di più il cofanetto con
la sua ultima speranza per
scacciare l’oscurità.
“Quella
spada può fare più di una
sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra
è già sopra di noi. Io... non
sono ancora morta, fanciulla”.
-
In caso contrario, Artù ucciderà la tua famiglia.
Chiederà a me di farlo e per
quanto odi la sola idea... Emma, io obbedirò.
-
Artù ha la mia famiglia? – La furia stava salendo
come una marea. Una marea
nera e risucchiante.
-
Sì. È stata colpa mia. Mi dispiace. Mi ha
costretto ad imprigionarli e a
mettere fuori gioco Lily.
-
Fuori gioco?! Non avrai...?
-
No. No, Emma. Ma potrebbe essere nei guai. Artù ora mi sta
controllando, ma
posso... posso ancora dirti che lei sta bene. Però devi...
sbrigarti. – Parlare
mentre era sotto l’influsso di Excalibur gli costava molto.
Il suo viso era
contratto dalla fatica. – È vicino al castello...
ha perso i sensi. Ho
dovuto... ma puoi salvarla. Usa il dono.
-
Che dono? – Iniziava a sentirsi frastornata, oltre che
furibonda.
-
Il tuo legame con Lily. È un dono, Emma. – Merlino
si avvicinò di più. Sgranò
gli occhi. – Puoi trovare Lily molto più
velocemente. C’è sempre stato, questo
dono. Fin dal principio. È una conseguenza
dell’incantesimo del mio
Apprendista.
-
Di quale dono stai parlando? Che cos’è?
-
Emma... guarda attraverso gli occhi di Lily.
“Puoi
sentire il potere e anche
l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la
vedo! E tu? Tu la vedi?”
“Tu
la vedi?”
Batté
le palpebre. - E la mia famiglia?
-
Vuole fare uno scambio. Sono prigionieri nella foresta Caledoniana.
Recati là
tra un’ora esatta, con la fiamma e il pugnale. Li
risparmierà se glieli darai.
-
Troppo poco tempo. Non è nemmeno una fiamma.
-
Ho visto la tua forza, Emma. Non appena sarai pronta,
brucerà. E Artù avrà ciò
che desidera. La spada... sarà una vera spada. Di nuovo.
“Io
la vedo! E tu? Tu la vedi?”
“Tu
la vedi?”
Emma
abbassò gli occhi. Le bruciavano nelle orbite proprio come
sarebbe bruciato
quel dannato pezzo di carbone che aveva estratto dal corpo di Nimue.
– Quindi
dovrei arrendermi senza combattere?
“Ferma
l’oscurità, prima che ti
consumi”.
“Io
non sono ancora morta,
fanciulla”.
-
Anche l’accettazione è forza. – disse
Merlino. – So che c’è
oscurità in te,
Emma, ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla
vendetta. Non commettere lo stesso errore di Nimue.
***
Storybrooke.
Oggi.
Artù
era molto rapido. Correva nella foresta, schivando gli alberi e i rami
e cercava
di confondere il suo inseguitore, cambiando spesso direzione. Ogni
tanto si
guardava alle spalle. Killian era sempre più vicino, non
mollava. Aveva una
gran voglia di acciuffarlo e farlo parlare. Di Merlino. Di Nimue.
Artù non
ricordava niente di ciò che era accaduto a Camelot, ma
sapeva chi era Nimue.
Quando era solo un ragazzino, Merlino, rinchiuso nel grande albero,
aveva
comunicato spesso con lui e qualche volta gli aveva nominato una donna,
Nimue,
che aveva amato molto.
Era
stata Nimue a spezzare Excalibur.
Artù
inciampò in un tronco caduto e finì lungo
disteso, gridando di rabbia. Killian
lo raggiunse, scavalcando l’albero. Avanzò di due
passi verso di lui e tese in
avanti l’uncino, come se glielo stesso offrendo per aiutarlo
ad alzarsi.
Invece
Artù si voltò e lo colpì ad una gamba,
atterrandolo. Il pirato cercò di
recuperare la spada, ma il re lo minacciò con la sua.
-
Toh, guarda! – esclamò, con il respiro affannato.
– Sembra che abbiate portato
solo un uncino a questo duello.
-
A dire il vero avevo una spada. – osservò Killian,
pescando un po’ di sarcasmo
da chissà dove. – Ma a quanto pare l’ho
persa.
-
Che peccato! Sono sempre gli errori più piccoli a portarci
alla morte. – Artù
elargì un sorriso all’uomo sdraiato per terra e
poi sollevò la spada. Con un
urlo la calò su di lui.
Un’altra
lama, molto più robusta della sua, si frappose tra di loro.
Sbigottito, il
sovrano fissò il volto pallido e determinato
dell’Oscuro che stringeva l’elsa
di Excalibur. La sua Excalibur. Di nuovo intera. Di nuovo la spada che
lui
avrebbe voluto estrarre da quella dannata roccia. La spada promessa da
Merlino.
Emma
spinse con tutte le sue forze e Artù si ritrovò
disarmato.
-
Excalibur... – mormorò.
-
Sì. La tua bellissima spada. Ma mi dispiace... non ti
servirà a niente. –
sibilò Emma. – Non controlla più
nessuno ormai.
Lo
scagliò contro un albero e il colpo lo tramortì.
Si accasciò a terra, privo di
sensi.
Killian
si alzò, pulendosi le mani sui pantaloni. –
Immagino di doverti ringraziare.
-
Non devi ringraziarmi di niente. Non ha importanza. –
replicò Emma,
freddamente.
-
Sì che ne ha. Devo... chiederti scusa per quello che ho
detto l’altro giorno
sulla nave.
-
Parli di quando ti sei rifiutato di accettarmi per ciò che
sono?
-
Sai, sarebbe un po’ più complicato di
così...
-
Oh, sì. Lo è. Ma tanto... io sono
l’Oscuro.
-
Tu non sei solo questo, ma molto di più! Mi hai appena
salvato... quella era
Emma.
Lei
tacque qualche secondo. Sul suo viso non vi furono cambiamenti di
sorta. Quando
ricominciò a parlare, a Killian la sua voce parve ancora
più gelida. Ancora più
carica di oscurità e furia repressa a stento. –
Cosa vuoi da me?
-
Voglio aiutarti. Dimmi chi è Nimue. E come può
distruggere l’oscurità.
Qualcuno
si avvicinava. Emma udì la voce di Merida che chiamava il
pirata e poi quella
di suo padre.
-
Nimue non è un vostro problema. Non più.
– Si girò per andarsene. – Ed ora non
potete più aiutarmi. Avreste dovuto pensarci quando eravamo
a Camelot.
-
Perché ti serve Excalibur? E cos’abbiamo fatto a
Camelot? Se me lo dicessi...
forse potremmo risolvere tutto.
-
Sono io che risolverò tutto. – Emma
tornò a girarsi verso di lui. – Voi non
siete in grado.
-
Perché? Rispondi ad una maledetta domanda, Emma!
Perché? Cos’abbiamo fatto a
Camelot?
Emma
abbassò gli occhi, fissando il proprio nome inciso al
vertice della lunga lama.
L’appoggiò di piatto sul palmo della mano libera.
Sollevò di nuovo gli occhi,
puntandoli in quelli azzurri di lui. Non c’era più
traccia di Emma, a quel
punto. Il suo sguardo era di nuovo antico. Vecchio e distante. Non
erano più
gli occhi della Salvatrice. – Mi avete tradita.
Killian
ammutolì.
Non
vi fu altro. Emma scomparve in una nuvola grigia e densa, portandosi
dietro le
sue ultime parole.
Mi
avete tradita.
La
centrale di polizia era in penombra, silenziosa e circondata di brutti
presagi.
L’unica luce proveniente da una lampada sulla scrivania
emanava un chiarore
poco rassicurante, un bagliore malato. Corrotto.
Regina
e Mary Margaret attendevano il ritorno degli altri. Erano andati a
prendere
Artù, ma tardavano. Solo il piccolo Neal sembrava non
accorgersi di niente e,
al contrario di loro, non aveva la minima preoccupazione. Neanche
sapeva cosa
stava accadendo alla sorella maggiore. Per lui il mondo non era
cambiato.
Dormiva placidamente nel suo passeggino, i pugni stretti, emettendo
ogni tanto
un debole gorgoglio.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
Le
cose andavano male. Malissimo. Regina sentiva un’ombra sopra
di sé. Sopra tutti
loro. E ne aveva paura. Aveva letto e riletto i libri di Merlino e non
aveva
trovato nemmeno una traccia di Nimue. Quel mago da strapazzo di nome
Knubbin
non l’aveva mai sentita nominare.
La
porta della centrale si aprì. Malefica entrò,
accompagnata da Lily.
-
Che diavolo succede? Che ci fate qui? – chiese Regina.
-
Si tratta di Emma. – disse Lily. – Ha forgiato
Excalibur. La spada è... una
spada vera.
-
Come lo sai? – domandò Mary Margaret.
Lily
ci pensò un istante prima di rispondere. Aveva gli occhi
orlati di rosso ed era
decisamente sconvolta, anche se provava a nasconderlo. – Non
so spiegarlo. È
stata come... una visione. Come se fossi là con Emma.
-
Là dove?
-
Dove tiene la roccia con Excalibur. Nei sotterranei della casa.
– Lily spiegò
che cosa aveva visto. La scintilla che diventava una fiamma. Excalibur
e il
pugnale che venivano uniti. L’arma di Artù intera.
Le voci. Gli Oscuri intorno
ad Emma.
-
Oscuri? – Mary Margaret non riusciva più a
seguirla. – Hai visto i precedenti
Oscuri?
-
Beh... ne ho visti bene solo due. Tremotino e una donna... Nimue.
Regina
e Neve si scambiarono un’occhiata.
-
Nimue è la persona nominata da Merlino in quel messaggio,
vero? – chiese
Malefica.
-
Già. Nimue... quindi era un Oscuro.
-
Come può un Oscuro essere in grado di aiutare Emma?
– domandò Neve,
massaggiandosi una tempia.
-
Non lo so, ma almeno ora sappiamo chi è. – Regina
serrò le palpebre per qualche
momento. – C’è altro?
-
La spada può fare più cose. – rispose
Lily. – Può distruggere la luce. Ma può
anche distruggere l’oscurità. Non so in che modo.
Ma quella tizia ha detto che
Emma a Camelot non era pronta. Adesso invece può distruggere
la luce.
La
porta della centrale si aprì di nuovo e David
entrò, accompagnato da Robin e
Uncino. C’era anche Merida con loro. Trascinarono
Artù, che imprecava
furiosamente, fino ad una delle celle. David prese le chiavi e
l’aprì, in modo
che gli altri due potessero buttarlo dentro senza troppe cerimonie.
-
Siete dei maledetti! – gridò il re, afferrando le
sbarre con entrambe le mani.
Digrignò i denti come un animale feroce. – Aiutare
quella creatura mostruosa!
Avete perso il senno! Excalibur mi appartiene!
-
Emma sarà anche una strega, ma tu non meriti nemmeno di
stringerla, una spada.
Sei un codardo. – gli disse Merida, puntandogli un dito
contro. – Hai ucciso
mio padre, colpendolo alle spalle.
-
Tuo padre?
-
Re Fergus. Mio padre. Dimmi perché!
Artù
non rispose.
-
Ti ho appena fatto una domanda! – Merida allungò
una mano per afferrarlo, ma
Uncino la fermò.
-
Non così, signora. Lasciate fare a me. – disse il
pirata.
-
Nessuno farà proprio niente! – esclamò
David. – Artù non ricorda nulla, proprio
come noi. E non è che un re senza regno. Per quanto lui odi
tutto questo... non
ha più importanza.
-
Potrebbe averla, invece. Emma, nella foresta, mi ha detto che
l’abbiamo
tradita. – Uncino era più agitato che mai. Ciuffi
di capelli scuri gli ricadeva
scompostamente sulla fronte imperlata di sudore. Aveva la camicia
stropicciata,
i jeans impolverati e l’espressione di chi aveva passato una
serie di brutti
momenti.
-
Tradita? – disse Regina.
Uncino
raccontò a tutti del suo incontro con Emma.
“Mi
avete tradita”.
-
Che cosa diavolo abbiamo fatto? – disse David, parlando
più a se stesso che ai
presenti.
-
Forse niente. – rispose Mary Margaret. – Forse
quella che ha parlato con
Killian non era neppure Emma. È possibile che Emma non ci
sia più. O ci sia
solo a tratti.
-
Nella foresta era Emma a parlare. – ribadì Uncino.
-
Excalibur è davvero... intera, quindi. – disse
Regina.
-
Lo sapevate già?
-
Sì, Capitan Mascara, lo sapevamo. Lily ha... visto quello
che è successo.
Naturalmente
tutti fissarono Lily. Regina si affrettò a metterli al
corrente della
situazione, ma la sua mente stava già rincorrendo una serie
di pensieri.
“Mi
avete tradita”.
Riusciva
ad immaginare Emma mentre pronunciava quelle tre parole. Riusciva ad
immaginare
il suo volto terribilmente rigido, i suoi occhi verdi che lampeggiava
d’ira.
Riusciva ad immaginare l’inflessione della sua voce,
raggelante, dura come la
pietra. La stessa che aveva udito lei al molo quando si erano
incontrate per la
prima volta dopo il loro ritorno a Storybrooke.
“Ce
la puoi fare, mamma. Puoi
essere la Salvatrice”.
“Non
succederà”.
“Tu
non pensi che io possa
esserlo”.
“So
che non lo sei”.
Era
come seguire un guinzaglio. Un guinzaglio che si perdeva nel buio.
Avrebbe
tanto voluto lasciarlo cadere prima di vedere che cosa si nascondeva
alla fine.
Ma in qualche modo sapeva che l’aveva voluto. In qualche modo
sapeva che doveva
seguirlo, doveva scoprire cosa c’era nel baratro.
-
Cos’è questa storia, ora? –
domandò Uncino. – Puoi comunicare con Emma?
-
Non è qualcosa che posso controllare. –
replicò Lily, con una certa asprezza. –
Del resto... non sono molte le cose che controllo.
Malefica
le strinse una spalla per confortarla.
-
Ma Emma forse sì. E se Emma ne è al corrente,
essendo l’Oscuro potrebbe essere
più avanti di noi. – disse Regina. –
Questo significa che conosce le nostre
mosse con largo anticipo.
-
Per tutti i diavoli... – disse Uncino, stringendo la mano a
pugno.
-
Questo Oscuro... – ricominciò, focalizzandosi sul
problema principale. – Ha
Excalibur. E distruggerà la magia bianca.
-
Quindi pensi che il problema sia questo? – domandò
Uncino. – Una spada... che
non ha ancora usato.
-
Perché le manca qualche ingrediente per lanciare
l’incantesimo! – Si chiedeva
davvero perché Capitan Mascara fosse così
ingenuo. Non capiva ancora cos’avesse
in mente di fare Emma, ma era chiaro che non sarebbe piaciuto a nessuno
di
loro. – Dobbiamo impedirle di trovarlo. Solo così
potremo riprenderci la nostra
Emma.
La
nostra Emma.
Per
un istante Regina si soffermò su quello che aveva appena
detto. E si accorse
che lo pensava sul serio. Voleva che Emma tornasse ad essere
ciò che era un
tempo. Rivoleva la Salvatrice. Rivoleva la Emma che aveva spezzato la
sua
maledizione. Rivoleva la donna che l’aveva salvata
dall’essere che le avrebbe
volentieri risucchiato l’anima, finendo nel vortice al posto
suo. Rivoleva la
donna che l’aveva aiutata a salvare Storybrooke dalla
distruzione. Rivoleva...
la Emma che si era presentata a casa sua con Henry, esordendo con un
semplice e
imbarazzato ‘salve’, che le aveva chiesto qualcosa
di più forte dopo che lei le
aveva offerto il succo di mele. Rivoleva la madre di suo figlio. Ad
ogni costo.
-
Rimanete pure qui a cercare incantesimi finché non vi
cascano gli occhi. –
rispose Uncino. – Non è questo il modo giusto. Se
vogliamo aiutare Emma
dobbiamo capire che cosa diavolo è successo a Camelot.
-
Dov’è Lily? – domandò
Malefica, all’improvviso.
In
tutta quella confusione nessuno aveva più badato
all’amica di Emma.
Lily
non c’era più.
***
Camelot.
Tre settimane prima della
maledizione.
-
Facciamo ciò che il re ha ordinato.
Lily
socchiuse lievemente le palpebre. Ombre aleggiavano intorno a lei.
Forme
indistinte.
Dove
sono?
Avvertiva
dolori sparsi in tutto il corpo. Quando provò a muovere la
testa, le parve di
avere delle lame arrugginite al posto dei tendini.
-
Sbrighiamoci, prima che si riprenda e si trasformi di nuovo.
Udì
un rumore. Una spada che veniva sfoderata.
Emma!
Il
castello!
Ritrovò
alcuni ricordi degli ultimi istanti prima che
l’oscurità l’avvolgesse,
portandola con sé. Volava sopra il castello di
Artù, sputando fiamme contro i
suoi uomini, che si riparavano dietro le mura o sotto gli scudi. Piogge
di
frecce erano state scagliate contro di lei, mentre riversava la sua
ferocia
sulla finta perfezione della dimora di Artù. Ricordava gli
stendardi che
bruciavano, una torretta in fiamme, un uomo che cadeva giù
dai camminamenti e
finiva nelle acque melmose del fossato che circondava il castello. Le
urla. Gente
che fuggiva.
Poi
più niente. Era successo qualcosa. Forse era stata colpita.
Ho
perso i miei pensieri felici.
Sopra
di lei si delineò una faccia barbuta e determinata. Una
testa coperta da un
elmo. Dietro di essa, tra gli alberi, una delle torri del castello
svettava
verso il cielo. Il profilo delle montagne che facevano da sfondo a
Camelot.
Poi
il barbaglio di una lama. Sir Morgan, il padre della ragazzina che
piaceva ad
Henry, impugnò l’elsa con entrambe le mani.
Lily
capì che sarebbe morta e non ebbe nemmeno paura. Non aveva
la forza di
rialzarsi. Le faceva male dappertutto.
-
L’Oscuro. – mormorò un’altra
voce, improvvisamente terrorizzata.
Sir
Morgan si ritrovò sospeso a mezz’aria. Lily lo
vide mentre agitava le gambe e
le braccia, freneticamente, per poi arpionarsi la gola. Due uomini che
erano
con lui vennero lanciati contro gli alberi e persero conoscenza. Un
altro si
affrettò a darsela a gambe, ma la magia di Emma lo
afferrò saldamente per le
caviglie e poi lo spedì lontano.
Il
padre di Violet continuava ad annaspare in cerca d’aria.
L’Oscuro, con il
pugnale stretto nella mano sinistra, lo rimirò come se fosse
stato un
disgustoso scarafaggio.
-
Quindi non solo avete detto a mio figlio che non può stare
con Violet perché è
solo uno scrittore... e non un cavaliere. – disse.
– Ma volevate anche uccidere
Lily.
Sir
Morgan bofonchiò qualcosa.
Lily
non si mosse.
“So
che c’è oscurità in te, Emma,
ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla
vendetta. Non
commettere lo stesso errore di Nimue”.
-
Non mi arrenderò senza combattere. –
mormorò Emma. La voglia di spezzargli il
collo era molto forte. Immaginava già il suono
dell’osso che si rompeva.
“So
che c’è oscurità in te”.
“Io
non sono ancora morta,
fanciulla”.
“... usa il dono
nel modo giusto e non pensare
alla vendetta. Non commettere lo stesso errore di Nimue”.
-
Ho sentito che Artù vi ha dato un ordine. Volevate uccidere
Lily. Perché? –
chiese Emma.
Sir
Morgan non rispose. Continuava ad agitarsi, ma i suoi occhi sembravano
sfidarla.
-
Vi ho fatto una domanda, quindi esigo una risposta. A meno che...
– Emma lo
lasciò cadere e lo inchiodò a terra. Si
stagliò sopra di lui, minacciosa. – A
meno che non desideriate che me la prenda con vostra figlia. So dove
trovarla...
-
No... – mormorò Sir Morgan, ora terrorizzato.
– No. Uccidete me.
-
Potrei anche farlo. Ma l’Oscuro si prende sempre
ciò che di più caro avete al
mondo. – Emma si inginocchiò, puntando il pugnale
alla gola del cavaliere. –
Avete la possibilità di salvarvi e di salvare anche vostra
figlia. Perché il re
vuole uccidere Lily?
-
La profezia...
-
Quale profezia?
-
La profezia di Merlino. Lei è l’ombra che
calerà su Camelot. Lei è l’ombra
legata al vostro pugnale.
“Puoi
sentire il potere e anche
l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la
vedo! E tu? Tu la vedi?”
Emma
scagliò Sir Morgan contro un tronco, come aveva fatto con i
suoi uomini. Il
colpo lo stordì e lui si afflosciò, perdendo
anche l’elmo, che rotolò in mezzo
alle foglie.
Non
pensò più al cavaliere e raggiunse Lily.
Curò le sue ferite con la magia. Ne
stava usando molta e più la usava più sentiva il
potere crescere, pulsare,
inondarla come una marea. Più la usava e più
avvertiva il bisogno di farlo di
nuovo. Di schiacciare quegli scarafaggi.
-
Credevo che gli avresti uccisi tutti. – ammise Lily,
rialzandosi in piedi.
-
Non eri tu quella fiduciosa nelle mie capacità?
-
Beh, sì. Ma avresti dovuto vederti...
Emma
era sicura che non avrebbe mai voluto vedersi e tuttavia scosse il
capo. – Non
serve a niente ucciderli. Abbiamo altro a cui pensare. Mi serve un
passaggio.
Pensi di farcela?
-
Ora che mi hai guarita, sì. Che cosa diavolo è
questa storia della profezia?
-
Un’altra storia. Te la racconterò dopo. Andiamo
nella Foresta Caledoniana. –
Emma sollevò il pugnale e osservò il nome
impresso sulla lama. – Ho un
appuntamento con Artù.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Tremotino... – disse Lily, entrando nel negozio di Gold e
richiudendo la porta
con violenza. – Ho bisogno di parlarti.
-
Quante visite, questa sera. – disse l’uomo. -
Belle, è solo l’amica di Emma.
Lily
si voltò solo per vedere Belle in un angolo del locale, con
una balestra in
mano e una freccia pronta ad essere scoccata.
-
Scusa... sono sempre convinta che possa trattarsi di Emma. –
spiegò, mettendola
giù.
Lily
avvertì una risata folle montarle dentro. – Che
cosa credi di fare con la
balestra?
-
Purtroppo non abbiamo altri mezzi. – si affrettò a
dire Tremotino. Uscì da
dietro il bancone, appoggiandosi al bastone. – Beh, li avevo.
Ma temo che Emma li
abbia trovati. Cosa posso fare per te, Lilith? Immagino che anche tu
stia
cercando un modo per far parlare l’Oscuro.
-
Anch’io? È venuto qualcun altro?
-
Killian è stato qui poco fa. – disse Belle.
-
Cerca un modo per costringere Emma Swan a confessare. E non credo che
ci
riuscirà. Non se è vero quello che ha detto.
Ovvero che l’hanno tradita. –
Tremotino assunse un’aria assorta. – Ed io posso
dire con certezza che non
mente.
-
Davvero?
-
Lilith... sono stato l’Oscuro per molto tempo. Come Oscuro ho
stretto
moltissimi accordi, con moltissime persone. Le ho manipolate e ho
nascosto i
miei piani per ottenere ciò che volevo. Qualcosa che
comunque... ho perso. –
Venne avanti. Nel complesso il suo aspetto appariva fragile. Dismesso.
Non solo
per via della zoppia. – Emma... nasconde i suoi piani.
È molto brava. Ma io
l’ho guardata negli occhi quando ero suo prigioniero. So che
cosa ho visto.
-
Cosa?
-
Rimpianto. Rabbia. Ferocia, persino. Sete di potere. Tristezza.
“Rimpianto.
Rabbia”.
“Io
sto cercando di proteggerti! Ma
tu non riesci a capire... non hai idea di che cosa sia la
verità! Non hai idea
di che cosa io stia facendo! E quando gli altri ce
l’avranno... si renderanno
conto da soli che sarebbe stato meglio non sapere!”
-
Emma dice che sta facendo tutto questo perché vuole
proteggermi. Da cosa?
-
Io non ho queste risposte. Sei venuta dalla persona sbagliata. Ormai
non sono
più... quell’uomo.
Lilith
non aveva nemmeno perso tempo ad invocare Emma prima di mettere piede
nel
negozio di Gold. Anche se fosse venuta, non avrebbe mai parlato.
– C’è un...
legame tra me ed Emma.
-
Ne sono a conoscenza.
-
Quel legame ci permette di vedere... l’una attraverso gli
occhi dell’altra. –
Spiegò a Gold quello che le aveva spiegato anche sua madre e
dopo di lei
Regina.
-
Una volta l’avrei trovato affascinante. – rispose
lui, sorridendo. – È un dono.
Un dono molto... importante. Ma ora che Emma è
l’Oscuro potrebbe essere un’arma
pericolosa. Emma saprà controllarlo meglio.
“Rabbia.
Ferocia, persino”.
-
Ditemi come posso controllarlo, allora. Forse posso aiutare gli altri a
capire,
se lo controllo.
Tremotino
pensava che Lilith emanasse un potere notevole. Non era più
l’Oscuro, ma non
serviva esserlo per percepire il potere. Bastava guardare gli occhi
della
ragazza. Bastava ascoltare le inflessioni della sua stessa voce.
– Controllarlo
non è semplice.
-
Cosa devo fare? Concentrarmi? Concentrarmi su Emma?
-
Hai troppa fretta. Non si tratta di concentrarsi!
Lo
sto facendo davvero? si
chiese Tremotino, preso in contropiede. Lo
sto facendo?
Il
suo tono aveva assunto una sfumatura didattica. Il tono che avrebbe
avuto un
insegnante con la sua giovane allieva. Il tono che avrebbe usato... con
Regina.
Ecco, sì. La figlia di Malefica gli ricordava Regina. Per un
sacco di motivi.
-
La magia... non è concentrazione. La magia è
emozione. Anche questo dono
dipende dalle emozioni. Dipende dall’istinto. –
Tremotino si avvicinò un po’ di
più a Lilith. – Hai bisogno di tempo per imparare.
Purtroppo di tempo non ne
abbiamo, al momento. Ed io non sono più la persona adatta ad
insegnare queste
cose.
“Rimpianto.
Rabbia. Ferocia, persino.
Sete di potere. Tristezza”.
-
Non siete più adatto a niente. –
ribatté Lily. Si diresse a grandi falcate
verso la porta. – Potevate solo essere usato per estrarre una
maledetta spada
da una roccia!
Se
ne andò e Tremotino non tentò nemmeno di fermarla.
-
Rischia di farsi male, Tremo. – osservò Belle,
guardando la porta chiusa.
Lui
non rispose.
Uncino
si gettò dal tetto del municipio subito dopo aver invocato
Emma e pensando a
quando fosse folle ciò che stava facendo.
“Mi
avete tradita”.
Ma
doveva farlo. Doveva sapere. Era sicuro che Emma non
l’avrebbe lasciato morire.
“Mi
avete tradita”.
La
sua voce era fredda come ghiaccio. Era affilata come la lama di una
delle sue
spade. Ma lei era ancora là, da qualche parte.
L’oscurità non l’aveva ancora
risucchiata nel suo vortice.
“Perché
ti serve Excalibur? E
cos’abbiamo fatto a Camelot? Se me lo dicessi... forse
potremmo risolvere
tutto”.
“Sono
io che risolverò tutto. Voi
non siete in grado”.
Mancavano
tre metri all’impatto con l’asfalto, quando una
densa nuvola magica lo avvolse
e un istante dopo Killian si ritrovò in piedi in mezzo al
parcheggio vuoto.
Vuoto a parte Emma, che gli stava dinanzi, le mani dietro la schiena,
l’espressione
mortalmente seria, le labbra serrate.
-
Eri sicuro che ti avrei salvato.
-
Beh, direi di sì. Devo sapere che cos’è
successo. Che cosa intendevi quando hai
detto che ti abbiamo tradita.
-
Non è così semplice.
-
Potrebbe esserlo. Qualsiasi cosa tu abbia fatto, io ti ho
già perdonata...
Emma
spalancò gli occhi. – Non ho bisogno di essere
perdonata. Siete voi che
dovreste chiedermi perdono.
-
Non siamo riusciti a salvarti? È questo? Abbiamo pensato di
poterti salvare e
per qualche ragione non ci siamo riusciti? – Killian
aprì le braccia. – Dimmelo
e basta. Ho fatto molte cose terribili nella mia vita. Tu le hai
accettate.
-
Oh, pensi che sia la stessa cosa? Tu non ne hai la minima idea...
– Ora Emma
era furiosa.
Killian
sollevò la mano, mostrando i suoi anelli. Prima gli fece
vedere quello
sull’anulare. – Questo apparteneva ad un uomo di
nome Barnaby. Mi ha chiamato
Jones Mano Monca ed io l’ho ucciso davanti a sua moglie. Poi
ho preso il suo
anello.
-
Ho sentito abbastanza...
Gli
fece vedere quello sull’indice. – Questo qui...
Egg. Un marinaio. Ha bevuto il
vino del capitano. L’ho annegato.
-
Ma che storie terribili... – commentò Emma,
sarcastica e pungente.
Il
pirata la fissò, leggermente attonito.
-
Che ne dici di questo? – Lei aprì la mano. Nel suo
palmo c’era un anello
agganciato ad una catenella d’argento.
-
Credevo di averlo perso a Camelot... – mormorò
Killian.
Emma
glielo lanciò. Lui non lo prese e l’anello cadde,
tintinnando.
-
Perché lo stai facendo?
-
Non mi serve più, questo anello. E ti conviene tornartene a
casa ad annegare i
tuoi dispiaceri nel rum. La conversazione è terminata.
– Emma gli voltò le
spalle, pronta ad andarsene.
-
So che non lo pensi.
-
Perché non ricordi. Ecco perché sei
così sicuro di quello che dici.
-
Emma...
Lei
agitò una mano davanti alla sua faccia e Killian cadde a
terra, svenuto. L’anello
rimase là sull’asfalto, vicino alla manica della
sua giacca, luccicante.
La
catenella d’argento era spezzata.
***
Camelot.
Tre settimane prima della
maledizione.
Emma
stringeva tra le mani il cofanetto nel quale era rinchiusa la fiamma
quando
Lily, in forma di drago, planò nel punto in cui
Artù aveva portato tutti gli
altri.
I
suoi genitori, Uncino, Regina e Robin erano legati agli alberi, i polsi
chiusi
da robuste catene, mentre la strega e il re attendevano il suo arrivo.
Merlino
era accanto ad Artù, ubbidiente come un cagnolino
ammaestrato. Malefica era
legata come tutti gli altri, ma era anche priva di sensi, in modo che
non
potesse trasformarsi. Zelena aveva preso il suo scettro.
Artù
sollevò Excalibur non appena vide il drago, con Emma in
groppa. Quando toccò
terra, la creatura mutò di nuovo, recuperando la forma
umana.
-
Eccovi qua, finalmente! Cominciavo a chiedermi quando sarebbe
cominciata la
festa! – esclamò Zelena. Aveva indossato la sua
migliore tenuta da strega, con
tanto di cappello a punta. Il nero del vestito metteva ancora
più in risalto
gli occhi azzurri, che dardeggiano divertiti.
-
Dammi quello che ti ho chiesto, essere maledetto. – disse
subito Artù ad Emma.
– E tieni a bada quel mostro che ti accompagna.
Emma
mise una mano sulla spalla di Lily e poi si fece avanti.
-
Emma, non lo fare! – gridò Regina, armeggiando per
liberarsi dalle catene.
Erano catene robuste ed erano anche incantate. Merlino, eseguendo un
ordine di
Artù, le aveva costruite con la sua magia, una magia che
Regina non conosceva e
non era in grado di distruggere.
-
Oh, lo farà, invece. – rispose Zelena, elargendo
un sorriso splendente alla
sorella.
Emma
continuò a tenersi stretta la fiamma di Prometeo. Lily aveva
poggiato una mano
sull’elsa della spada.
-
Vediamo... – disse la strega, notando l’esitazione.
– Chi dovrei giustiziare
per primo? Il tuo fidanzatino con una mano sola? O tuo padre?
Emma
lanciò un’occhiata ad Uncino e poi a David. Infine
porse il cofanetto a Zelena.
– Puoi avere la fiamma.
Zelena
la prese immediatamente.
-
Controlla che sia la vera fiamma! – ordinò
Artù.
Lily
stava già sorridendo, quando la strega aprì la
scatola.
Vi
fu un rumore secco, come di una frustata. Poi la magia che Emma aveva
fabbricato appositamente esplose, afferrando Zelena per le braccia e
trascinandola indietro. Sorpresa, lei non ebbe il tempo di reagire. Si
ritrovò
con la schiena schiacciata contro il tronco di un albero e con delle
cinghie
dotate di vita propria che le serravano il busto e le braccia.
Regina
sorrise, estasiata e orgogliosa.
Lily
recuperò lo scettro di Malefica. Non aveva la minima idea di
come usarlo, ma
improvvisare era la soluzione migliore, al momento. Quindi lo
puntò contro il
sovrano.
-
Hai intenzione di restituirmi la mia famiglia o dobbiamo continuare a
combattere? – chiese Emma, con calma.
-
Merlino! – gridò Artù, alzando la
spada.
-
Per favore, Emma... – la supplicò il mago.
– Dagli la fiamma. Non è una
battaglia che puoi vincere.
-
Sentite il mago più potente del reame... –
ribatté Lily. – Non è nemmeno in
grado di controllare l’oscurità! Lui che ha creato
il pugnale...
-
Lily... non rendere le cose più difficili. Siete molto
potenti. Ma non
abbastanza. – le rispose Merlino.
Lo
stregone diresse il suo potere contro l’Oscuro, che rispose
raccogliendo tutte
le sue energie. Le magie si scontrarono e cercarono di respingersi a
vicenda,
lampi di luce azzurri e bianchi che scaturivano dalle loro mani. Emma
capì
immediatamente che Merlino era troppo forte. Lei era
l’Oscuro, ma lui aveva
mille anni ed era immortale, aveva bevuto dal Graal e l’aveva
rimodellato per
creare Excalibur, aveva creato il pugnale per controllare Nimue e
sapeva come
distruggere la sua oscurità.
Stava
per cedere, quando lo scettro di Malefica prese vita nelle mani di Lily
e
un’onda di potere esplose, colpendo Merlino alla testa. Lo
stregone venne
scaraventato all’indietro e cadde ai piedi di Azzurro.
-
Che diavolo fai, Merlino?! Rialzati! – urlò
Artù, in preda alla furia. –
Combattili!
Emma
vacillò sulle gambe. Regina lottò con
più ferocia contro le catene.
Merlino
si alzò, scuotendo il capo. – Ti supplico, Emma...
vorrei che tu potessi
sconfiggermi. Ma non puoi...
-
Merlino, sbrigati! Uccidi la mutaforma che ha tanta voglia di imitare
sua
madre!
Emma
aveva la testa inondata di confusione e le orecchie le fischiavano
orribilmente. Aveva voglia di uccidere. Di prendere Artù per
il collo come
aveva fatto con Sir Morgan e ucciderlo. Definitivamente.
Merlino
si girò verso Lily. – Mi dispiace...
-
Fermo! – riuscì a gridare Emma. – Devi
combatterla!
-
Non posso. – Lo stregone puntò una mano contro
Lily.
-
Se mi darai la fiamma, nessuno si farà male, Oscuro.
– le ricordò il re,
venendo avanti. – Fiamma e pugnale. È tutto
ciò che mi serve. In caso
contrario, assisterai alla morte delle persone che ami!
-
Sei lo stregone più potente che sia mai esistito!
– urlò Emma, ignorandolo. – Se
tu non riesci a sconfiggere l’oscurità, allora
nessuno può!
Gli
occhi di Lily cambiarono colore, diventando dorati. Lasciò
cadere lo scettro.
Il
corpo di Merlino era scosso dai brividi. Gli occhi sembravano in
procinto di
scoppiargli nelle orbite e il suo viso era sempre più teso.
Le dita si mossero
sensibilmente e Lily venne arpionata per il collo prima che potesse
completare
la trasformazione.
-
L’hai creata tu, quella spada! – urlò
Emma, fuori di sé. – L’hai creata tu!
Possibile che non ti rimanga un briciolo di forza per combattere tutto
questo?
Che razza di stregone sei? Dov’è l’uomo
che diceva che avrebbe distrutto
l’oscurità?
-
Uccidi la mutaforma, Merlino! – ordinò di nuovo
Artù. Pareva stesse delirando.
Aveva la fronte imperlata di sudore, i capelli in disordine, la bocca
distorta
in una smorfia animalesca. – Ferma la dannata profezia!
Camelot è il mio regno!
Tu mi hai indicato come re! È anche colpa tua se siamo
arrivati a questo!
Adesso ti ordino di aiutarmi a salvare questa terra!
Merlino
si rivoltò contro di lui. Con un ultimo, immane sforzo, si
sottrasse al potere
della spada e lasciò libera Lily.
-
Ho detto: uccidila! – ricominciò Artù.
– Nel nome di Excalibur, io ti comando
di ucciderla!
- Non posso... controllarlo
a lungo. – disse
Merlino.
Lily
recuperò lo scettro di Malefica e, non appena le mani lo
strinsero, il potere
racchiuso in esso si manifestò di nuovo, dirigendosi verso
il bersaglio. Artù
si ritrovò gambe all’aria e perse la spada.
Merlino approfittò del momento di
tregua per liberare tutti i prigionieri dalle catene. Lily si
affrettò a
gettarsi in avanti per recuperare Excalibur. Killian e David accorsero.
E
tuttavia il re fu molto più rapido di loro;
riafferrò l’elsa e roteò
l’arma in
tutte le direzioni, costringendoli ad indietreggiare.
-
Questa spada mi appartiene. – sibilò
Artù.
Il
drago prese vita prima ancora che lui avesse finito la frase. Lily
guardò sua
madre che puntava il sovrano con i suoi occhi accesi e le narici
fumanti. Una
delle sua zampe quasi lo calpestò, schiacciandolo sotto il
suo peso. Artù
scansò l’arto del drago e Killian ne
approfittò per fargli uno sgambetto. La
spada cadde un’altra volta tra le foglie.
-
Prendete Excalibur! – gridò Regina.
Formò una sfera di fuoco. – Io e la mia
vecchia amica facciamo i conti con questo pseudo-re.
Malefica
si stava già occupando di Artù.
Abbassò la testa e spalancò le fauci davanti
alla faccia dell’uomo.
Mary
Margaret raccolse la spada.
-
Io aggiungerei: prendete Excalibur e riconsegnatela al legittimo
proprietario.
Non ti sembra più giusto, sorellina? – Zelena
usava Lily come scudo personale.
Le cinghie che l’avevano avvinghiata al tronco erano state
brutalmente
spezzate. Le era caduto il cappello nero da strega ed ora i capelli
rossi erano
una massa infuocata che le ricadeva ai lati del viso.
Emma
guardò in su. Ancora non si sentiva molto padrona di
sé. Zelena premeva un
pugnale contro la gola di Lily.
-
Metti giù Excalibur, mammina. Oppure il piccolo drago si
farà molto male. Abbiamo
giocato abbastanza per oggi.
-
Merlino... – iniziò Mary Margaret.
-
Rischio di fare del male anche a Lily, se intervengo. – disse
lui. – E alla
bambina della strega.
-
Oh! – esclamò Zelena. Accennò un
sorriso vittorioso e pieno di orgoglio. – Mi
stai dicendo che... è una femmina? Sono estasiata. Hai
sentito Robbie?
Malefica
emise un ruggito basso e cupo. Regina non sapeva che cosa fare. Sua
sorella non
era in grado di darsi per vinta. Trovava sempre un modo per raggirarli.
-
La spada, grazie. – disse Zelena. – Dopo
sarà la volta del pugnale e della
fiamma.
Emma
si alzò da terra. D’improvviso il suo piano si era
complicato, rivelandosi un
fallimento e lei sentì di avercela con il mondo intero. Con
se stessa e con i
suoi genitori, che una volta avevano tentato di salvarla
dall’oscurità, ma
avevano solo rimandato l’inevitabile. Con Regina,
perché lei si era
sacrificata, diventando l’Oscuro, per aiutarla. Con Uncino e
con Merlino. Con
Lily, che si metteva sempre nei guai. Con Nimue. Con Tremotino. Con
tutta la
stramaledetta compagnia. Perché toccava a lei essere quella
che reggeva il peso
principale? Che specie di ingiustizia era mai?
-
Mamma... dalle Excalibur. – disse Emma.
-
No.
Emma
la fissò, trasecolata.
-
Forse non ha capito la minaccia. Mi sembra un po’... dura di
comprendonio. –
osservò Zelena. Premette di più il coltello
contro la pelle di Lily e un rivolo
di sangue corse giù per il collo.
-
Ho capito perfettamente. – disse Mary Margaret, pronunciando
ogni parola in
modo ben chiaro. Il suo sguardo era fermo. – Io devo pensare
a Emma.
-
Mary Margaret... – prese a dire David.
-
State indietro.
-
E poi dicono che io sono perfida. – Zelena emise la sua
risatina folle. –
Guardate chi è la vera strega cattiva, qui. Sorellina, ti
stanno rubando il
posto.
-
Mary Margaret, non fare follie... – mormorò
Regina.
Ma
la madre di Emma non aveva la minima intenzione di ascoltare. Quando le
lanciò
un’occhiata, senza rispondere alla sua supplica, Regina vide
il suo viso. Lo vide per davvero e
per alcuni secondi
scorse nello sguardo di lei uno scintillio che conosceva. Conosceva
anche
quell’espressione. Gelida. Distaccata da tutto, eppure
lucida. La stessa che aveva
nella cripta quando le aveva dato il cuore maledetto di Cora.
-
Io sono una madre. – rispose Mary Margaret. – E
scelgo di salvare mia figlia.
La
liana scese, come un serpente diligentemente ipnotizzato e
abbrancò Zelena per
il collo, arrotolandosi intorno ad esso. Colta alla sprovvista, Zelena
lasciò
cadere la sua arma e boccheggiò.
Artù
sferrò un calcio, colpendo Killian alla gamba e si
alzò, correndo verso la
strega. – Andiamocene via da qui, dannazione!
Zelena,
nonostante la liana che rischiava di soffocarla, riuscì a
trasportare se stessa
ed Artù lontano da lì, schioccando le dita.
Mary
Margaret chiuse gli occhi, osservando la spada rotta e il nome di
Merlino sulla
lama. David si avvicinò alla moglie. Malefica
recuperò la sua forma umana e
strinse sua figlia tra le braccia.
-
Swan, stai bene? – chiese Uncino.
-
Sto bene, sì. – rispose Emma. – Lily...
-
Non so come ci sono riuscita. – rispose lei, portandosi una
mano al collo, alla
ferita superficiale che le aveva provocato il pugnale di Zelena.
-
Aspetta, sei stata tu? – chiese il pirata, attonito.
-
Naturalmente. – rispose Emma, sorridendo a Lily.
-
Diciamo che volevo solo salvarmi la vita.
-
Istinto. – disse Malefica, sinceramente ammirata. –
Ti sei comportata bene. Non
avrei saputo farlo meglio.
Lily
le restituì lo scettro. – Penso che questo sia
meglio che ce l’abbia tu.
-
Beh, abbiamo la spada. E anche la fiamma. –
osservò Killian. – Direi che è
andata come speravamo.
Mary
Margaret porse Excalibur ad Emma. – Adesso... possiamo
distruggere l’oscurità.
Emma
le strappò la spada di mano con fare sprezzante. Gli occhi
dell’Oscuro erano
neri e lampeggianti. Regina si rese conto che Emma era furibonda. Non
in
collera, ma addirittura fuori di sé.
-
Emma... – cercò di intervenire.
-
Lasciami stare. – rispose lei, scostandosi. Si rivolse a sua
madre. – Lily
poteva morire.
-
Mi dispiace. Non riuscivo a pensare. Non potevo consegnarle Excalibur.
È la tua
unica possibilità per tornare ad essere ciò che
eri prima. – Mary Margaret
allungò una mano per toccarle il viso.
Emma
glielo impedì, afferrandole il polso. - Non a costo della
vita di qualcun
altro.
-
Emma... io sono tua madre. Tu...
-
Non mi importa!
-
Emma... – disse ancora Regina. Stavolta riuscì a
metterle una mano sul braccio.
Oh, lei capiva benissimo l’ira nel suo sguardo. Mary Margaret
era pronta a
sacrificare Lily per salvare sua figlia. Era pronta a sacrificare la
ragazza
che era stata maledetta proprio perché lei l’aveva
voluto.
L’Oscuro
continuava a serrare il polso della madre. Avvertiva a stento le dita
di
Regina.
-
Fermati, Swan, le stai facendo male. – disse Uncino,
preoccupato.
“Lo
puoi sentire, Emma! Puoi
sentire il potere e anche l’ombra. L’ombra che si
avvicina a Camelot! Io la
vedo! E tu? Tu la vedi?”
“Non
sono ancora morta, fanciulla”.
-
Emma! – Regina colse qualcosa nel suo sguardo. Sulle prime
non riuscì a capire
che cosa stesse vedendo. Poi si accorse che il verde dei suoi occhi si
era
come... allargato. Il verde era diventato più intenso e
aveva invaso la sclera,
nascondendone il bianco.
Questa
non è Emma. Chi c’è qui con
noi?
Infine
Emma lasciò andare Mary Margaret. -Torniamo al
Granny’s. Abbiamo ancora del
lavoro da fare.