Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Brooke Davis24    13/03/2016    4 recensioni
Emma Swan e Killian Jones. I ruoli sono invertiti, gli animi diversi. Emma è il capitano della nave pirata più temuta che abbia mai toccato le coste di Thrain, la città in cui Killian è tenente al servizio della Corona, ed Emma ha una missione da compiere, una missione che si porrà in netto contrasto con quella di Killian. E se fosse difficile essere nemici ma non potessero essere altro? E se i sentieri di Emma Swan e Killian Jones si fossero incontrati nella vita sbagliata? E se, invece, non ci fossero tempo, luogo, motivo più esatto?
Genere: Angst, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo XX
La fase delle trattative 


(https://www.youtube.com/watch?v=ymJvCqECR44)
 
Aveva perso la rotta, così silenziosamente, così irrimediabilmente, così tristemente da renderle impossibile trovare le coordinate per tornare sulla retta via. Era come una nave allo sbaraglio, preda del mare e delle sue correnti, impossibilitata a imporsi per tracciare il cammino che avrebbe voluto perseguire, eppure altrettanto desiderosa di farlo. E più chiedeva a se stessa di darsi un contegno, più i marosi sconquassavano il suo apparente equilibrio fino a renderle chiaro che, no, non sarebbe potuta fuggire neppure stavolta.
 
Ma come era possibile pretendere che si gettasse a capofitto in quell’ennesima sfida, stavolta contro le ferite che la vita aveva lasciato su di lei senza dar loro il tempo di risanarsi, se non sapeva più chi fosse? Ora che ogni cosa pareva essere tornata al suo posto, era lei a sentirsi fuori luogo nella sua stessa pelle, quasi al punto da non sopportarne il contatto, e osservare tutte quelle lacerazioni, tutti i segni che anni di dolore avevano scavato sulla sua carne aveva l’insostenibile sapore dell’ira e, insieme, dello scoramento. Riusciva a scorgere il pulsare di ognuna di esse, la deturpazione che avevano cagionato alla sua anima e il modo in cui essa se ne crucciava come non era mai stata in grado di fare; e la connessione che la quiete aveva d’un tratto ristabilito con la parte più umana di lei ebbe, infine, a toglierle il respiro, lontana anni luce dall’essere pronta a sentire ciò che si era rifiutata di ponderare fino ad allora.
 
D’un tratto, le sue preoccupazioni erano mutate e il centro delle sue angosce si era spostato, rendendola punto focale di un’attenzione che non si era mai dedicata. Adesso sentiva, provava, languiva inferma nello stato di abbattimento ove la frustrazione e il dolore l’avevano gettata; e in quel limbo di sensazioni mai provate aveva finito per perdersi. Sapeva esattamente come governare la Nostos, come comportarsi con Henry e con i suoi uomini, come solcare i mari e rifuggire le tempeste, perché non aveva fatto e aspettato altro da che aveva memoria, da che aveva avuto inizio la sua seconda esistenza e la fiamma del suo io si era accesa di colori tanto vividi quanto spaventosi; ma sapeva anche che non sarebbe bastata tutta l’esperienza accumulata per renderle meno gravoso il compito di scendere a patti con le conseguenze delle sue azioni. Poteva vederli, così nitidamente da spezzarle il cuore, i risultati di ciò che aveva compiuto e ciò che essi le avevano fatto, cosa l’avevano resa: un cumulo di macerie che non sapeva se sarebbe stata in grado di ricostruire.
 
La verità era che ne sentiva la mancanza: di Stecco e del suo viso smilzo e dispettoso, del suo passo claudicante e del modo in cui iniziava una risata a labbra strette per evitare di perdere il legnetto che teneva sempre con sé. Le mancava il modo in cui il suo sguardo, di tanto in tanto, finiva per posarsi su di lei e vederlo assumere quell’espressione a metà tra il fiero e il commosso. Ma, più di tutto, sentiva la mancanza della sua essenza per tutta la Nostos, dalle prime luci dell’alba fino alle ultime ore del giorno.
 
Stecco era quel genere d’uomo nato per solcare i mari e, in quanto tale, amava ogni aspetto della vita per i meandri di un elemento per natura sì incostante. Benché spettasse anche a lui un posto sottocoperta, Emma lo aveva visto stendersi sulle assi del ponte della Nostos innumerevoli volte, con una mano incastrata tra le scapole e il braccio a mo’ di cuscino. Un giorno, ella gli aveva chiesto quale fosse la ragione che lo spingeva a rifiutare la comodità di una branda per la durezza di quelle assi e, quasi senza rendersene conto, era andata perfino oltre. In quell’occasione, Emma ricordava di non essere ancora stata certa della stima e della fiducia dei membri dell’equipaggio, ma ricordava con altrettanto nitore l’audacia che l’aveva spinta a domandargli quale fosse la riflessione più ricorrente alla quale era solito abbandonarsi. Egli l’aveva sorpresa e, invece che uno dei suoi soliti mottetti, le aveva regalato la verità: “Pensavo che sono felice, capitano, maledettamente felice qui e ora, su questa nave con voi e con tutti questi scavezzacollo che mi ritengo fortunato a chiamare fratelli. Quando attracchiamo in un porto, provo pena per quelle anime ingabbiate che vivono sulla terraferma: li vedi affannarsi per quella o quell’altra cosa e realizzi che non trovano mai il tempo per godersi il presente. Che diamine di spreco!” Emma aveva sorriso della sua intemperanza e, benché tutti i suoi pensieri fossero stati rivolti proprio al futuro contro il quale Stecco aveva appena inveito, si era trovata d’accordo con lui. Gli aveva promesso, dunque, che, quando avesse trovato Henry e fosse riuscita a portarlo sulla Nostos, si sarebbe impegnata a fare tesoro delle sue parole. “E, se doveste dimenticarvene, ci sarò io pronto a ricordarvele!” In quel preciso istante, il loro rapporto era cambiato. Doleva, ora, rendersi conto che non avrebbe potuto mantenere il suo proposito e doleva ancora di più, per Emma, sapere di essere stata cagione di tanta sventura.
 
Guardando l’orizzonte, le sue mani carezzarono il timone prima di stringerlo saldamente e, in un sospiro, si arrese alle paure, ai timori che aveva così audacemente tentato di scacciare, finché il suo sguardo non divenne disperato e nei suoi occhi non passò nitida l’accorata richiesta di aiuto alla Nostos. Aveva bisogno che fosse Lei a portarla in salvo stavolta, che la guidasse finché non fosse stata al sicuro e la tempesta non fosse passata, che le restituisse ciò che non si era neppure accorta di aver perduto lungo la via. Una lacrima solcò la sua guancia, cadendo in picchiata verso il pavimento e infrangendosi silenziosamente sulle sue assi logore, ed Emma seppe che avrebbe voluto fare altrettanto: lasciarsi andare, solo un po’, solo stavolta, per scoprire cosa si provasse ad essere salvati e a non avere alcun controllo su ciò che le stava accadendo. E, mentre quel pensiero dolce e terrificante a un tempo le sfiorava la mente, quasi ad accogliere la sua tacita richiesta d’aiuto, il legno scricchiolò sotto il peso del tenente Jones, che, nei colori tenui di quell’alba nuvolosa, si accingeva a raggiungerla.
 
Mantenendo lo sguardo dinanzi a sé, Emma lo udì fermarsi in cima alle scale, percepì lo studio attento cui la sottopose e, infine, attese che la oltrepassasse per accostarsi al parapetto com’era solito fare da quando avevano salvato Henry. Tacquero a lungo e quel silenzio fu confortevole a tal punto che, per un momento, entrambi vi si crogiolarono e sperarono bastasse a sistemare ogni cosa. Eppure Killian sapeva che auspicare un risvolto tanto positivo fosse da sciocchi, perché l’inerzia non sarebbe stata sufficiente a colmare la voragine che aveva visto inghiottire la donna alle sue spalle e martoriarla in ogni singolo istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lei. Sicché si volse in direzione dell’altra, ne osservò la sagoma per un brevissimo frangente e, infine, la raggiunse, fermandosi a così poca distanza dalle spalle della giovane che, quando un breve soffio di vento alitò verso di loro, esso portò con sé il profumo del pirata che oramai conosceva più di quanto fosse disposto ad ammettere. Sapeva di sangue e di disperazione.
 
«Non dite nulla.»
 
La voce di lei, arrochita dalle lunghe ore di mutismo nelle quali si era relegata al timone della Nostos, proruppe in una richiesta che il tenente avrebbe tanto voluto assecondare, ma alla quale non avrebbe potuto dare alcun seguito. Le aveva dato tutto il tempo necessario per chiedere aiuto, pur nella consapevolezza che ella lo avrebbe usato per tormentarsi, e il risultato era che, da quando avevano fatto ritorno sulla Nostos ed erano salpati in fretta e furia dal porto di Durin, l’aveva osservata perdere, giorno dopo giorno, una parte di sé fino a renderlo quasi nostalgico al pensiero del pirata che era stata. Killian sospirò ed Emma seppe che la sua richiesta lo avesse frustrato, come se si fosse aspettato altro da lei, come se si fosse augurato di sentirla tradurre a voce la richiesta d’aiuto che l’intero suo essere stava inviando a chiunque le stesse accanto. Ma era più di quanto le si potesse domandare, perché Emma non era abituata a cercare alcun sostegno, perché Emma non era in grado di ammettere quanto la terrorizzasse l’idea di avere bisogno di qualcuno.
 
«Stecco è morto,» disse lui, in maniera così semplice e brutale da dare l’impressione fosse un ordine, «Stecco è morto.»
 
La potenza di quella frase la investì con tutta la dirompenza di cui avrebbe potuto caricarsi grazie ad un effetto sorpresa: di tutte le parole che ella si sarebbe aspettata, l’evocazione di quella mera statuizione non era tra di esse.
 
Nella settimana che era seguita al ritorno sulla Nostos, Emma aveva preso le distanze dal mondo che la circondava e dai suoi abitanti e, quasi inconsapevolmente, aveva dato il via ad un’esistenza intima ed esclusiva come mai ne aveva vissute da che era divenuto capitano di quel vascello. Al timone dell’unico elemento della sua vita che le desse conforto e stabilità, aveva trascorso ore ed ore immersa nei suoi pensieri, schermandosi dietro una facciata di freddo cinismo che le sarebbe servita per affrontare ciò che l’aspettava; ma la verità era che, a poco a poco, più consapevolmente del previsto, aveva cominciato ad accarezzare l’idea di rifuggire il confronto per il quale si stava preparando. Nella sua mente, era stata chiara e quasi confortante l’idea che, presto o tardi, sarebbe stata forte abbastanza da ricacciare, per l’ennesima volta, i suoi demoni in un angolo e tornare ad essere il pirata di un tempo. Nessuno scontro, nessuna conseguenza.
 
E, nel partorire siffatto piano, non aveva mai creduto che qualcuno potesse avere l’ardire di farsi avanti e sfondare con prepotenza ciò che aveva laboriosamente innalzato a realizzazione di un piano ancora da terminare. Perciò, rimase impreparata di fronte agli effetti che tre semplici parole furono in grado di scatenare. Il suo corpo si irrigidì d’istinto, perché era ciò che Emma lo aveva abituato a fare di fronte a una minaccia, nella consapevolezza che l’unico modo che avessero per uscirne vittoriosi fosse resistere; ma lo sfinimento e la sofferenza avevano piantato radici troppo profonde nel suo essere perché le ultime difese rimaste reggessero allo sforzo. Killian la vide crollare poco a poco ma inesorabilmente e, mentre le mani di lei allentavano la presa sul timone ed Emma si lasciava piegare dal peso della colpa e dell’afflizione, tutto ciò che poté fare fu sorreggerla perché non cadesse; e in lui crebbe la consapevolezza di avere tra le braccia la versione più fragile e vera della persona che aveva conosciuto in tutto quel tempo.
 
Un suono greve, straziante lasciò la bocca di lei, a metà tra uno spasimo e un singulto, e l’impatto fu così spaventoso che Killian si sentì toccare nel profondo dalla sofferenza che Emma ebbe a rivelargli in quell’istante. E, finalmente, vide la donna oltre il pirata e ciò che quella maschera di crudeltà e spavalderia aveva fatto alla persona che ella era stata: si accorse, d’un tratto, che non c’era alcuna cicatrice nell’animo Emma, ma carne viva, pulsante, esposta alla crudeltà delle intemperie; che non c’era alcuna pace per lei all’orizzonte, nessun perdono, nessuno sconto di pena e che avrebbe dovuto patire tutto quel dolore fin quasi a morirne, prima di potersi rialzare.
 
In cuor suo, nonostante le atrocità che le aveva visto compiere e nonostante il disprezzo che queste avevano suscitato in lui, Killian pregò, implorò silenziosamente che quel supplizio finisse, che la donna che stava stringendo tra le braccia fosse graziata e il suo dolore sparisse, risucchiato dalle profondità dell’oceano per non tornare a galla mai più. La Nostos si agitò, oscillò e s’inclinò pericolosamente come piegata a sua volta dal dolore di Emma e, quando il vecchio Hank li raggiunse per capire cosa stesse succedendo, il suo viso riflesse la preoccupazione del tenente e i suoi occhi si riempirono di lacrime, mentre Killian indietreggiava appena e l’uomo prendeva il suo posto dietro al timone, abbassando il cappello sul viso rugoso per nascondere la commozione.
 
Scivolarono a terra, addossati al parapetto e schiacciati dal patimento che emanava da lei, ed Emma poggiò il volto rigato di lacrime contro il braccio del tenente, le spalle scosse dal pianto, il corpo sconquassato da tremori. Dinanzi agli occhi della sua mente, scorsero le avventure degli ultimi anni ed ella rivide se stessa dalla prospettiva di uno spettatore esterno: per la prima volta in assoluto, notò di quanta solitudine e tormento fossero stati compunti i suoi giorni e le sue notti, perfino quelle che era stata solita ricordare con un sorriso, e finalmente comprese cosa si celasse dietro ognuna di quelle ferite. Non amava semplicemente Henry per il legame che intercorreva tra loro, né perché chiunque si sarebbe aspettato che una madre amasse un figlio per il solo fatto di averlo messo al mondo. Emma amava Henry poiché aveva portato nella sua vita bellezza, stabilità e ordine come mai ve ne erano stati, dando un sapore nuovo ai suoi giorni. Era stato Henry a darle la vita, non il contrario. E, nel preservare a tutti i costi quanto li legava, nello spasimo d’amore più intenso che il suo essere avesse provato fino ad allora e che l’avrebbe mai animata anche in futuro, aveva sacrificato non solo alcune parti di se stessa, ma buona parte di quanto la circondava. Così, senza prestarvi nemmeno attenzione, il mondo intorno a lei era divenuto parte di una vita di cui ella aveva bisogno e che, purtroppo, aveva pagato le conseguenze delle sue necessità. Come Stecco, la cui esistenza era stata votata alla realizzazione di un piano dei cui frutti non avrebbe potuto godere. Era, allora, sbagliato sentirsi responsabili? Era sbagliato che Emma sentisse su di sé il peso di quella e di molte altre vite recise fino al punto da desiderare che anche la sua si spezzasse?
 
In ciascuno dei sussulti che la scossero, era nascosta una preghiera, una richiesta di perdono, un urlo di disperazione che svegliò l’intera sua ciurma e, mentre Killian la stringeva e caricava su di sé parte di quella sofferenza come gli appartenesse, Henry e Liam li raggiunsero, osservando la scena da lontano con la stessa impotenza di una piccola imbarcazione nel bel mezzo dell’oceano. Infine, Henry prese ad avanzare verso di loro con il passo deciso di un uomo e cadde sulle ginocchia dinanzi ad Emma, adesso di nuovo bambino. Piano, si protese in avanti e si strinse a lei, adempiendo allo stesso compito dell’uomo alle spalle della madre. Il braccio del capitano della Nostos lo circondò prontamente e la sua mano si posizionò sulla nuca di colui che aveva desiderato avere accanto con l’ardore instancabile che solo una madre avrebbe potuto avere.
 
Per quello che parve un tempo infinito, la Nostos risuonò della disperazione del suo capitano e l’eco che il mare continuava a rimandare scosse l’imbarcazione e i suoi occupanti senza sosta, fino a raddoppiarne la pena e, insieme, alleggerirla. Il percorso di redenzione che Emma aveva a lungo temuto era appena iniziato, tra le braccia di due uomini che, ognuno a modo suo, avevano fatto la differenza per lei e l’avevano cambiata. Quando la nebbia di dolore che le aveva offuscato la mente prese a diradarsi ed ella fu in grado di percepire la saldezza dell’abbraccio nel quale si trovava, realizzò, in un ultimo momento di lucidità, di avere tra le braccia la persona per cui aveva così strenuamente lottato da ridurre in brandelli la sua stessa personalità. E, prima che la stanchezza la sopraffacesse concedendole la tregua che ella non era stata in grado di accordarsi, seppe di essere più amata di quanto meritasse.
 
*
 
A quel punto, la situazione era precipitata senza che nessuno riuscisse a prevederlo.
 
Dopo averla condotta nelle sue stanze e lasciata in un sonno all’apparenza tanto pacifico quanto profondo, i compagni di viaggio del famigerato Capitan Swan avevano tirato un sospiro di sollievo. Quei lunghi giorni di rigidità e silenzio, in cui l’avevano vista trincerarsi da che il corpo esanime di Stecco era stato inghiottito dagli abissi marini, erano parsi giungere a conclusione e tutti avevano creduto che una nuova alba fosse in procinto di sorgere. Ma, nel dimostrarsi tanto ottimisti, ciascuno degli occupanti della Nostos aveva sottovalutato il dolore della perdita e, insieme ad esso, la tortuosità del cammino verso la sua elaborazione.
 
Nottetempo, un urlo li aveva colti di sorpresa prima che la sagoma di Henry venisse fuori dagli alloggi del capitano con fare trafelato. Liam, Killian e Diego erano accorsi prontamente per trovarsi innanzi un essere che avevano faticato a definire umano: col viso e gli occhi arrossati dal delirio della febbre, Emma era apparsa loro in uno stato che li aveva impediti nei movimenti tanta la sorpresa che avevano provato nel riconoscerla. Quasi senza vederli, ella aveva cominciato ad urlare frasi sconnesse di odio e rancore e, d’un tratto, era tornata pericolosa alla stregua della fama che si era guadagnato il suo nome. All’interno di quelle quattro mura, pareva che l’inferno fosse salito per darle un assaggio della punizione che meritava e che Emma stesse combattendo per impedire al padrone di quelle fiamme di sopraffarla, lungi dall’arrendersi. Solo per un istante, brevissimo eppure infinito, gli occhi farneticanti di lei li avevano raggiunti e tanto era bastato perché capissero quanto lontana dalla salvezza ella fosse.
 
 Era stato Diego a muovere il primo passo e lo aveva fatto con decisione. Come se si fosse aspettato quel risvolto, come se sapesse esattamente cosa fare. Da quel momento in poi, aveva preso in mano le redini della situazione e, allontanando dalle stanze di Emma chiunque all’infuori del dottore e di Dorothy, si era preso cura del suo capitano con instancabile solerzia e devozione. In turni ininterrotti, i tre si erano affiancati a quella donna ora malata, ora temibile e li aveva costantemente accompagnati l’impressione di non conoscere colei che avevano di fronte. Era come un insieme di macerie che, troppo a lungo, la nebbia aveva nascosto ai loro occhi, dando l’impressione che la rovina fosse grandezza, che un cimitero di detriti fosse un forte. L’indomita combattente che ciascuno a modo suo aveva ammirato, temuto e disprezzato aveva finito per rivelarsi loro nella sua versione più fragile, mostrando la profondità di ciò che l’aveva plasmata e mutilata nel tempo.
 
Per intere settimane, il resto dell’equipaggio non aveva avuto accesso a quegli alloggi e tutto ciò che li aveva accompagnati era stato il sentore di ciò che stesse accadendo lì dentro. Perché, quanto più quiete erano le acque che sospingevano la Nostos alla volta dell’ennesimo viaggio, tanto più pareva crescere il tormento e il dolore in quelle stanze. La voce di Emma, un lamento ancestrale e tenebroso col potere di zittire un’intera ciurma, era stata l’unica costante di quell’avventura che pareva non avere fine. E, in qualche modo, di quella perdizione che aveva avviluppato l’anima della donna erano rimasti vittime i suoi stessi uomini: ad ogni gemito del loro capitano, i pirati parevano perdere il loro ardore ed ottimismo e, dopo un’intera settimana, avevano preso a ciondolare per la nave con aria smarrita, sconfitta.
 
Non era servita a rifocillarli la vista del viso di Diego quando, il decimo giorno da che il delirio aveva fatto la sua apparizione, egli si era spinto sul ponte. La preoccupazione e l’avvilimento che emanavano dal suo viso, insieme alle innumerevoli ferite che pulsavano ancora sulla pelle ricoperta di abrasioni, erano stati quasi sopportabili rispetto ai singhiozzi che l’avevano scosso fino a che non si era accasciato a terra. Henry, Liam e l’intero equipaggio erano rimasti come paralizzati dall’idea che quella reazione aveva fatto sorgere nelle loro menti, ma Killian era presto giunto a smentirli. Nel panico che il pianto di Diego aveva seminato, infatti, il tenente aveva indirizzato i suoi passi verso la cabina per accertarsi che, no, una febbre non potesse averla messa fuori gioco per sempre, non una combattente come lei; e aveva avuto ragione, non meno che timore. Quando si era accostato al suo letto, non era riuscito a scorgere, nelle membra smagrite e martoriate di quel corpo dormiente, nulla della donna che aveva conosciuto.
 
“Se vuoi, puoi sederti un po’ accanto a lei,” gli aveva detto Dorothy e Killian, colto di sorpresa dalla vicinanza della voce di lei, si era quasi risentito di quell’interruzione verbale al flusso dei suoi pensieri. Una parte di lui, quella che non riusciva a comprendere quanto grave fosse la situazione e temeva il peggio, si era convinta che il silenzio potesse bastare a congelare ogni cosa, finché non si fosse presentata una soluzione adeguata.
 
Il risentimento aveva avuto vita breve ed egli si era limitato ad annuire e a prendere posto sulla sedia più vicina al letto. La mente, allora, lo aveva riportato al ricordo della visita che Emma gli aveva fatto quando, dopo averlo preso come suo prigioniero sulla Nostos, lo aveva affidato alle cure del medico di bordo perché si rimettesse dall’infezione che la ferita alla spalla gli aveva causato. Le sue labbra si erano inclinate in un sorriso stanco, divertito e quasi nostalgico nel ricordare la promessa che le aveva fatto quella notte: di riportarla alla luce fino a risvegliare in lei la donna che era stata e far sopire per sempre il pirata. Una promessa pressoché impossibile, aveva realizzato col senno di poi, in quanto non era dato che l’una esistesse in assenza dell’altro. E cosa non avrebbe dato Killian per riaverlo con sé, il corsaro di un tempo, proprio ora che ogni indizio ne faceva presagire l’imminente scomparsa.
 
Le aveva preso una mano tra le sue e ne aveva carezzato il dorso ricoperto di bende come se un semplice gesto potesse bastare per infonderle parte della forza di cui ella aveva bisogno e, insieme, dare a lui la speranza per non abbattersi di spirito. Henry lo aveva raggiunto poco dopo e l’espressione sul suo viso era stata così atterrita che Killian lo aveva preso per mano e avvicinato a sé con lo stesso istinto di protezione che avrebbe usato per un figlio suo. Il bambino si era accostato al suo grembo, divorando con gli occhi i lineamenti della madre senza trovare il coraggio di toccarla, e il tenente lo aveva sentito irrigidirsi con l’insorgere del pianto. Era stato teneramente stoico nell’esternare il dolore che portava dentro: si era limitato a tirare su col naso e a tamponare di tanto in tanto il viso con l’orlo della camicia da pirata di cui andava tanto fiero nonostante fosse di parecchie taglie più grande di lui.
 
“Non è colpa tua, Henry,” si era premurato di ricordargli Killian, ma aveva ottenuto l’effetto contrario a quello sperato. Gli occhi del bambino si erano riempiti delle lacrime fino ad allora trattenute e, poco dopo, si era piegato della stessa disperazione di Diego. Il tenente lo aveva circondato con le braccia e stretto saldamente a sé. “Non farti questo e non farle questo. Sarebbe molto triste se sapesse una cosa del genere,” aveva sussurrato vicino al suo orecchio, la grande mano posizionata sulla schiena mingherlina di colui che, in un certo senso, gli aveva restituito suo fratello Liam. Henry si era aggrappato al suo collo e aveva nascosto il viso contro la sua spalla e, in fondo al cuore, Killian aveva sperato che il pianto di Henry bastasse perché Emma riprendesse coscienza. Ma nulla di tutto ciò era accaduto.
 
Dopo quel momento di sconforto, Killian aveva tentato di dare nuova vita all’equipaggio della Nostos e, aiutato da Ulan e dal vecchio Hank, era riuscito a ripristinare l’ordine che era andato perduto, organizzando la vita di tutti i giorni in maniera quanto più funzionale possibile. Il merito del cambio d’umore, però, doveva essere principalmente tributato al giovane Julio e all’iniziativa della quale si era fatto promotore. Colpito dal lutto forse più di chiunque altro dei suoi compagni, aveva organizzato una breve fiaccolata sul ponte della nave: accompagnati dal solo scroscio delle onde e dal crepitare del fuoco sulle torce, il tempo si era come fermato sulle assi di quella casa galleggiante e gli uomini che vi vivevano avevano trovato il modo per elaborare il lutto come la frenesia dei primi giorni non gli aveva permesso di fare. Il tenente aveva scorto nella penombra della sera i loro visi commossi e, quando, più tardi, si era accomodato sui gradini che portavano a poppa, il ricordo di quelle espressioni lo aveva accompagnato nelle sue riflessioni notturne. Mai, nella sua esperienza come tenente, aveva dubitato dell’essenza animalesca dei pirati e mai si sarebbe aspettato di essere smentito in maniera tanto lampante dai contorni della realtà.
 
“Alla salute, vecchio mio!”
 
A mo’ di brindisi, aveva alzato la fiaschetta verso l’alto, porgendo i suoi saluti a Stecco e, insieme, ai pregiudizi di cui si era liberato negli ultimi due anni. Liam si era presto unito a lui.
 
*
 
La nostalgia è un sentimento così prepotentemente strano. Un odore, un suono e sensazioni che pensavi di aver eliminato per sempre dal bagaglio di ciò che è dato provare tornano a galla con l’irruenza che solo chi non chiede permesso o scusa può avere.
 
Se Emma avesse dovuto darle un volto, una forma, avrebbe guardato ad essa come a un ibrido tra la volpe e il drago, poiché riteneva che questa possedesse il fare scaltro e silente dell’una ma la carica distruttiva dell’altro. E, a fronte degli ultimi avvenimenti che ne avevano funestato l’animo, Emma quasi riusciva a figurarsela, la nostalgia, acquattata nei recessi più desolati e dimentichi dell’io, esemplare reietto nella folla delle emozioni. Pazientemente in attesa del suo momento e laboriosa quanto una formica, poteva scorgerla perfino attingere qui e lì dal baule dei ricordi, stipato com’era dei frutti dell’instancabile selezione operata dal cervello: una dose di cuore spezzato, una di amarezza di parole mai venute al mondo, una degli errori per i quali il perdono non voleva saperne di sopravvenire e il gioco era fatto.
 
Ogni cosa taceva di un misticismo insperato tra le quattro mura che formavano la cabina di Capitan Swan. Le tavole di legno sapevano della spossatezza che seguiva il patimento più acuto e regnava sovrano il silenzio, cullato dal ritmico scroscio delle onde che mai avevano smesso di cantare la loro nenia, neppure quando il buonsenso avrebbe suggerito di tacere. Il peggio era passato, oramai. La febbre e i suoi deliri avevano trovato finalmente pace e le lacerazioni che l’anima di Emma portava timidamente su di sé avevano smesso di sanguinare per ora, per un po’. Aleggiava, tra i presenti, un tacito accordo di rispetto reciproco: nessuno di loro avrebbe infranto la bolla nella quale si erano chiusi, stremati com’erano dalla stanchezza cui la veglia li aveva costretti. E, nel dare seguito a quella promessa quasi solenne, Dorothy si era finalmente inabissata nel mondo dei sogni presso un angolo della stanza e il dottore aveva lasciato la camera per fare altrettanto.
 
Diego sospirò piano, sistemandosi meglio sulla sedia e strofinandosi gli occhi con un sorriso sulle labbra. Era felice, felice e soddisfatto come da tempo non si era più sentito! Da quel calvario iniziato tanti anni prima, erano usciti vittoriosi e, benché il Fato si fosse preso alcune rivincite su di loro, Diego sapeva che Henry fosse al sicuro e che, finalmente, altrettanto potesse dirsi per Emma, salva quantomeno dall’infezione che aveva minacciato di stroncarla. Sapeva, però, che quell’ottimistico pensiero portava con sé una postilla, poiché l’uomo non avrebbe potuto asserire con altrettanta certezza che ella fosse del tutto in salvo, non da se stessa e dalla lotta che avrebbe potuto potenzialmente riuscire laddove la febbre non era arrivata.
 
Con lo sguardo, ispezionò rapidamente la stanza e, nell’individuare l’armadietto degli alcolici, seppe di essersi meritato ben più di una sbronza per tutto quello che aveva fatto. A passi pesanti, raggiunse la piccola credenza, ne estrasse una bottiglia smezzata di rum e, stappandola lungo il percorso di ritorno verso la scrivania, bevve direttamente da essa. Non aveva né la forza né la voglia di attenersi a qualsivoglia convenevole e il suo corpo rispose prontamente, grato, quando il liquido scese senza indugi a scaldargli lo stomaco vacante. Se qualcosa di positivo poteva essere trovato in quelle ultime settimane infernali, era che la preoccupazione avesse attenuato il suo senso di fame al punto da fargli perdere qualche chilo.
 
«Non hai scordato la via eh, vecchio mio?!» fece rivolto al rum, osservando svogliatamente la bottiglia tra le sue mani. «Così si fa!»
 
Rise nel realizzare che quella conversazione si stesse svolgendo nient’altro che col liquido che la tradizione soleva accostare ai pirati; e, quasi con fare presuntuoso, brindò al Fato e alla disfatta cui l’avevano costretto. Fu difficile per lui, stanco com’era, rendersi conto nell’immediato che, in verità, il riso si fosse ben presto trasformato in pianto. Per alcuni minuti, pesanti lacrime scorsero lungo il suo viso senza essere notate, infrangendosi ora contro il tessuto dei suoi vestiti, ora contro la superficie della scrivania, e fu solo quando un singhiozzo, più prepotente degli altri, lo fece sobbalzare sulla sedia che si riscosse dallo stato cui era caduto in preda. Stecco è morto, sussurrò una voce nella sua testa e Diego bevve grosse, imponenti sorsate per farla tacere. Ma Emma è viva!
 
«Vedo che ti sei preso delle libertà in mia… assenza!» La voce di Emma lo raggiunse, fioca, e Diego spalancò gli occhi per trovarsi davanti il capitano della Nostos in tutta la sua nuova, fragile bellezza. E quasi si strozzò nel processo! «Date a un uomo un dito e si prenderà tutto il braccio,» sentenziò lei con un sorriso sornione sulle labbra.
 
Con le dita tozze, il pirata cancellò dal suo volto i segni lasciati dal pianto. «Come vi sentite, capitano?»
 
«Come se qualcuno mi avesse strappata via dal mio corpo, gettata all’inferno e costretta a ritornare in ginocchio senza fornirmi di alcuna mappa.»
 
L’altro le sorrise e la osservò prendere posto sul baule alle sue spalle con lo stesso affetto di un padre, quello che Emma non aveva mai avuto. E, nello scrutarla e nello sperimentare il sollievo che quell’inatteso risveglio fu capace di donargli, Diego percorse a ritroso la strada che avevano coperto insieme fin sopra al punto in cui tutto era iniziato e i loro diversi, intrecciati cammini avevano preso a fondersi.
 
Da che si erano conosciuti, era stato per lei tutto quello che un capitano avrebbe potuto desiderare: non solo un quartiermastro, ma anche un consigliere, un amico, un esecutore e, a tratti, perfino la voce della sua coscienza. Eppure non era stato sincero con lei, questo no! Benché si fosse ripromesso di non mentirle e benché, a suo modo, avesse mantenuto tale proposito, si era costretto a tacere l’unica verità della quale Emma non avrebbe mai potuto sospettare e, probabilmente, l’unica che avrebbe avuto diritto di sapere. Nell’incrociarne il verde degli occhi, ora così limpido da apparire quasi estraneo, Diego decise che fosse giunto anche per lui il momento di lasciarsi alle spalle i fantasmi che lo avevano accompagnato e sperò di avere l’opportunità di meritarne il perdono. Perché, se qualcosa aveva appreso in quegli anni, era che non sarebbe riuscito a separarsi da lei senza uscirne distrutto!
 
«Emma,» iniziò e, nonostante si fosse imposto di dire tutto d’un fiato, non fu in grado di proseguire, non subito. L’altra lo guardò con sospetto, fiutando nell’aria l’arrivo di una notizia che avrebbe potuto non compiacerla, ma mantenne la calma come l’aveva vista fare decine di altre volte in ognuno dei loro colloqui. Era ancora così se stessa da fare spavento! Alfine, il pirata si decise a continuare: «Io sono tuo zio.»
 
Per un attimo, lo aveva sfiorato l’idea che il modo migliore per iniziare fosse una premessa, così da disegnare i tratti della vicenda e spiegare le sue ragioni prima che l’ira lo precedesse sul tempo e impedisse alle motivazioni di penetrare nella mente della sua interlocutrice. Tuttavia, si era presto costretto a darsi dello sciocco: conosceva Emma e sapeva – poiché vi aveva già assistito – che quella precauzione sarebbe suonata alle di lei orecchie come una giustificazione, a tratti perfino come una macchinazione. E lui era troppo stanco per quel gioco, per l’interrogatorio che sarebbe seguito, per la corsa volta a sconfiggere i dubbi che sarebbero insorti ad ogni suo tentativo di spiegarsi. Voleva soltanto liberarsi di quel fardello!
 
La vide irrigidirsi, ma non volle prestarvi attenzione e continuò. «Il fratello di tua madre, per l’esattezza, e maledico il giorno in cui non sono venuto a prenderti quando ho saputo della sua morte.»
 
Dette a distanza di così tanto tempo e senza alcuna sollecitazione che lo costringesse a una confessione, le sue parole suonavano come una musica folle e inaspettata che investì Emma dell’irruenza di cui si faceva portatrice.
 
«Siamo cresciuti insieme a Pleuk, figli di due brave persone senza arte né parte. Erano due contadinotti che vendevano una parte del raccolto al mercato del paese e che, con quello che guadagnavano, speravano di poter crescere la famiglia.» L’espressione di Emma era confusa, incredula come di chi non riesce ad afferrare il significato delle parole che sta udendo e, allo stesso tempo, non può fare a meno di vedervi un inganno. «Non fraintendermi, Emma: li amavo, ma sarei un ipocrita se non ammettessi la loro mediocrità, perché è da essa che discende la mia.»
 
Si mosse sulla sedia, a disagio. Quella rivelazione aveva un retrogusto amaro che sapeva di risentimento: pur essendo sceso a patti con i suoi limiti, Diego imputava in parte ai genitori la carenza di scelte che era stata una costante della sua vita. Non che pensasse di avere un talento nascosto che avrebbe potuto renderlo un uomo di successo, ma la consapevolezza che la pirateria fosse parsa l’unica opzione plausibile alla versione sedicenne di se stesso portava con essa gli strascichi della rassegnazione, una rassegnazione che sapeva essergli stata inculcata.
 
«Io e tua madre eravamo i figli maggiori di altri cinque fratelli e tua madre era…» fece una pausa, scuotendo il capo con una smorfia che tradiva una grande amarezza e, al contempo, una profonda affezione. «Dio, tua madre era tutto, Emma! Dovunque andasse, portava luce e bellezza. C’era qualcosa di puro e meraviglioso in lei che non saprei neppure spiegarti a parole, perché non ne saprei trovare di adeguate.» Seguì una breve riflessione, dopo la quale si convinse ad ammettere: «Su una cosa aveva ragione quel buono a nulla di tuo padre: Hillary era un sole.»
 
Il suo racconto proseguì sciolto e senza troppi giri di parole. Era un fiume in piena che Emma non avrebbe potuto – e, a un certo punto, neppure voluto – arrestare. Le parlò della loro infanzia disgraziata, del rapporto instaurato con la sorella, di quanto quell’amore incondizionato lo avesse reso protettivo ai limiti della gelosia e di come, alfine, quel legame e la sua cocciutaggine fossero stati la causa del disgregarsi della loro intesa. Le confessò senza vergogna, dunque, di aver fatto quanto in suo potere per ostacolare il matrimonio con quello che sarebbe divenuto il padre di Emma e di aver operato con un’ostinazione tale da costargli la fiducia della sorella. Col senno di poi, ammise Diego, aveva capito che, per quanto inetto fosse quell’uomo, amava Hillary e la rendeva felice e che lui avrebbe dovuto avere la forza, se non di accettarlo, quantomeno di tollerarlo.
 
«Non sempre quello che pensiamo sia il meglio per gli altri corrisponde a quello che loro desiderano, ma, soprattutto, non sempre abbiamo ragione. Piuttosto che starle accanto, adirato con lei e con me stesso per aver fallito sotto ogni punto di vista, mi sono imbarcato su una nave pirata e sono fuggito: l’amore fraterno che provavo per tua madre era l’unica cosa a rendere Pleuk tollerabile. Senza di lei, che senso avrebbe avuto rimanere? Così, sono andato via senza alcun rimpianto, convinto che lei fosse la sciocca e io quello nel giusto e che, se lei aveva preferito un imbecille conosciuto pochi mesi prima a me che le ero stato accanto una vita, evidentemente non meritava di avermi nella sua. Ma è ovvio che mi sbagliassi!» Fece quell’ultima ammissione guardando Emma dritto negli occhi, con un candore cui ella non avrebbe potuto non credere. «Ho saputo di te solo molti anni dopo, una delle poche volte che ho avuto occasione di tornare a Pleuk, ma non ho avuto la forza di perdonarla… O, forse, di chiedere il suo perdono!»
 
A quel punto, si era arrestato. La sua mascella si era contratta e i suoi pugni stretti fino a che le nocche non erano sbiancate. Capendo quale dolore lo avesse preso d’un tratto, Emma lo raggiunse e gli porse la bottiglia di cui lo aveva privato all’inizio del racconto; poi, tornò a sedere sul baule, in attesa. Diego bevve due lunghi sorsi di rum, annacquando il senso di colpa che si portava dietro come un fardello da chissà quanti anni, ed Emma vide quanto fossero simili per la prima volta da che si conoscevano. Ma, soprattutto, comprese finalmente per quale ragione Diego le fosse stato accanto anche quando il buonsenso avrebbe suggerito di prendere distanza dalle sue azioni. A modo suo, aveva tentato di espiare le sue colpe e porre rimedio agli errori commessi e, nel farlo, era divenuto per Emma quella presenza costante che avrebbe voluto essere – ma non era stato – per la defunta sorella.
 
«Quando hai scoperto che era morta?»
 
«Pochi giorni prima che tu arrivassi sulla Nostos,» rispose dopo lunghi minuti di silenzio, in cui era parso che Diego stesse lottando con tutte le sue forze per recuperare i ricordi, oltre le pieghe della sofferenza e di ciò che non riusciva a perdonarsi. Tutto per darle quello che meritava: la verità. «È assurdo,» esclamò d’improvviso, rialzando lo sguardo al suo indirizzo e sorridendole di un’incredulità quasi puerile. «Il tuo arrivo sulla Nostos è stato provvidenziale. Sei approdata su quella nave come se sapessi che quella era la tua unica chance e lo hai fatto nell’unico momento in cui un’impresa tanto bizzarra avrebbe avuto una possibilità di riuscita.»
 
Emma inarcò le sopracciglia, faticando a comprendere. «Che intendi dire?»
 
«Gli ultimi mesi di navigazione, prima che attraccassimo nel porto di Tartaros, si erano distinti per un dilagante malcontento dell’equipaggio nei confronti del capitano: da tempo oramai, era diventato sciatto, superficiale e lasciava inascoltati i bisogni dei suoi uomini. Si vociferava, tra i più risentiti, che fosse d’obbligo una sostituzione per votazione e pareva che io fossi quello ritenuto più idoneo. Ero io a sopperire alle mancanze del capitano, io ad occuparmi degli abbordaggi delle navi, sempre io a tenere d’occhio gli uomini e le loro mambasse.» Bevve ancora dalla bottiglia, finché il contenuto non si fu esaurito e le parole cominciarono ad uscirgli dalla bocca appena strascicate, complici la stanchezza e l’inappetenza delle ultime settimane. «Perdio, ero lusingato, lo ammetto,» disse, battendo il pugno sulla scrivania come a liberarsi di quella scomoda verità. Emma lanciò un’occhiata a Dorothy, che dormiva all’altro capo della stanza, per appurare che quell’ultimo scatto non l’avesse svegliata. «Dopo aver passato una vita a credere di non poter fare nulla, ad affogare nella mia stessa mediocrità, era arrivato il momento del riscatto e devo ammettere che, all’inizio, ne sono stato lusingato.»
 
«Però, non avevi la stoffa e lo sapevi.»
 
L’osservazione del capitano della Nostos arrivò come un fulmine a ciel sereno. Per l’intera durata del racconto, quasi si stesse riservando la possibilità di saggiarne il contenuto per decidere se credervi o meno, aveva limitato il più possibile ogni forma di intervento. C’era qualcosa di così incredibilmente assurdo in una confessione tanto inaspettata! Echeggiavano, nella mente indebolita di lei, un numero così portentoso di domande e, insieme, di risposte che darvi un ordine pareva impresa impossibile. Eppure, proprio nell’assurdità travolgente di cui erano portatrici ognuna di quelle informazioni, Emma trovò la ragione per capire e addirittura perdonare. Finalmente, buona parte delle incongruenze cui, a suo tempo, non aveva saputo dare spiegazione avevano smesso di essere un enigma per lei e ogni cosa ebbe a rivelarsi nel suo aspetto più vero e credibile.
 
Diego la guardò torva, ma, alfine, annuì. «Io sono un bravo esecutore e un eccellente quartiermastro, ma un capitano… Un capitano deve avere la tempra del leader, dev’essere in grado di ispirare gli altri, anche timore se necessario. E io, ahimè, non posseggo alcune di queste caratteristiche!»
 
Lo ammise con pacifica consapevolezza. Aveva fatto pace con se stesso molto tempo prima, imparando a convivere con i suoi limiti senza crucciarsene e scommettendo sui suoi punti di forza fino a elevarli per diventare una persona completa. Anni addietro, si era chiesto quale giovamento avrebbe tratto la sua vita dall’odio di sé e la risposta che si era dato aveva giocato un importante ruolo sul suo futuro: sarebbe diventato come Jack il guardaboschi, un uomo morto dentro che sua sorella aveva provato a salvare senza troppi risultati.
 
«Nonostante i dubbi avessero cominciato a farsi spazio nella mia mente in proposito, gli uomini erano ancora decisi a propormi come sostituto del capitano e io sentivo di avere le mani legate. Quando siamo giunti a destinazione, però, sono venuto a sapere della morte di mia sorella e sono quasi impazzito di dolore.» Diego ricordò lo strazio che aveva sperimentato nell’apprendere la notizia più dolorosa della sua vita a distanza di tanti anni; il volto invecchiato di sua madre, rimasta vedova, quando era andata a cercarla nella speranza di una smentita; e la profondità della voragine che si era aperta sotto di lui, minacciando di inghiottirlo. «Gli uomini erano annichiliti nel vedermi in quello stato e coloro che mi sostenevano cominciavano a dubitare che la sostituzione potesse essere fatta: le probabilità che facessi far loro una fine ancor più misera di quella imputabile al capitano allora in carica erano alte e io stesso non avrei saputo dargli torto. Poi, sei arrivata tu…»
 
Era stato come vedere un fantasma, o forse un angelo, dirompere nella sua vita per scuoterlo dal marasma in cui si era inabissato. Un angelo dalle sembianze di sua nipote, così rassomigliante alla sorella perduta da provocargli uno spasimo al cuore. Nell’istante in cui ella aveva consumato la sua vendetta e con un’innocenza quasi sciagurata aveva annunciato di voler prendere possesso della nave, qualcosa in lui si era riacceso e aveva saputo esattamente cosa fare.
 
«Eri una donna ferita ma inesperta, che sperava di poter governare una ciurma di pirati per piegarli al tuo volere. Ci avevi liberati da quel fardello panzuto che era il nostro capitano, ma, per un problema che avevi risolto, ne avevi creato un altro. Chi sarebbe succeduto a capo della nave?» Gli occhi di Diego, ridenti, incontrarono quelli di Emma ed ella vi riconobbe lo stesso affetto e la stessa, piena fiducia in lei che vi aveva scorto quel giorno di fitta nebbia in cui si era fatta adulta. «Tu,» disse l’omone seduto a qualche passo da lei, «nessun altro che tu.»
 
Emma gli sorrise. «Perché non me l’hai detto prima? Perché proprio adesso?»
 
«Non volevo che smettessi di credere in te stessa come stavi facendo in quel momento. Non volevo pensassi che la conquista del posto da capitano fosse merito mio.»
 
Ella inarcò le sopracciglia e chiese: «Vorresti farmi credere di non aver interceduto per me con gli uomini della Nostos?»
 
«Io non ho fatto nient’altro che il mio lavoro: ho detto loro che la tua presa di posizione era legittima, ma che non potevo imporla a nessuno. Se non credevano fosse la cosa giusta, potevano andarsene e cercare posto presso un’altra nave,» le spiegò ed Emma annuì sommessamente. «Li ho spinti, però, a guardare i vantaggi della situazione: si erano sempre fidati di me e delle mie capacità di giudizio al punto da volermi nella posizione che tu stavi reclamando. Se ti avessero dato il beneficio del dubbio, io mi sarei assicurato che saresti stata un buon capitano. Solo Stecco sapeva della nostra parentela.» D’un tratto, il sorriso sulle sue labbra si era trasformato in aperta risata: «Ma dissi loro che c’era un altro vantaggio: avere una donna a capo di una nave pirata avrebbe facilitato i saccheggi, perché avresti riportato a galla il timore dei più vecchi presagi del mondo marino e nessuno avrebbe osato attaccarci.»
 
Emma scosse il capo e rise insieme a lui. Sapeva bene che, quando le vicende di cui stavano discorrendo si erano svolte, fosse stata naif a tal punto che, senza l’aiuto di Diego, Stecco e in un secondo momento di Ulan, le sarebbe stato impossibile muovere i suoi passi nella giusta direzione per acquisire l’esperienza necessaria a forgiare il suo presente. Pur con una certa resistenza e una buona dose di scetticismo da parte di Stecco, Diego e lo smilzo compare erano riusciti a garantirle i rudimenti di cui aveva bisogno per diventare un buon leader; ed Emma era stata strabiliante non solo nella rapidità con cui li aveva appresi ma, soprattutto, nell’acume con cui li aveva resi propri. Non c’era voluto molto affinché si conquistasse, dapprima, il rispetto e, infine, la devozione di Stecco per mantenerla fino alla fine dei giorni.
 
«Mi stai dicendo che hai fatto leva sulla loro scaramanzia?»
 
«Esattamente. Conoscevo tutti loro come le mie tasche ed ero consapevole che molte riserve nascessero dal fatto che fossi una perfetta sconosciuta e, soprattutto, una donna. I pirati sono molto suscettibili a riguardo e averti a bordo era per alcuni di loro di cattivo auspicio. Così, ho provato a fregarli sul tempo, portando a galla l’argomento e costringendoli a discuterne apertamente. Ho imparato con gli anni che l’unico modo per assicurarsi la collaborazione degli uomini è convincerli che ciò che stai proponendo sia la scelta più sensata e mettere a tacere i loro dubbi, piuttosto che lasciarli crescere nell’ombra. E, come quartiermastro, mi sono servito delle mie capacità persuasive per fare breccia nelle loro convinzioni.»
 
«E come hanno reagito?» chiese lei, curiosa.
 
«Beh, alcuni col segno della croce,» rispose lui sogghignando, «altri, meno superstiziosi, erano concentrati sui vantaggi di avere una donna a bordo. Sono uomini, sai com’è!» Emma annuì e fu sul punto di avanzare un ulteriore quesito, prima che l’altro la interrompesse. «È stato Hank a giocare un ruolo determinante.»
 
«Hank?! Il vecchio Hank?!»
 
«Proprio lui,» le confessò Diego.
 
«Ma se è il più scaramantico della ciurma!»
 
Diego osservò lo stupore accendere quel volto provato dalla febbre e si preparò a darle molto più di quello che avrebbe potuto aspettarsi.
 
«Hai presente quella volta che Hank raccontò di appartenere ad una famiglia caduta in disgrazia e menzionò il fatto di avere una sorella di poco più piccola di lui?»
 
«Cosetta, sì,» fece lei, spingendosi avanti sul baule come a volerlo incalzare.
 
«Non stava mentendo. Fu lui a prendermi nella ciurma quando ero ragazzino e, dopo qualche tempo, mi confessò di avere avuto una sorella, morta di fame pochi mesi dopo la sua partenza sulla Nostos. Avere questo vissuto in comune ci ha resi più vicini e…» Le parole gli morirono in gola ed Emma lo scrutò per comprenderne il motivo. Sul suo volto scorse sentimenti come il pudore e l’imbarazzo, ma non ne individuò la ragione. «Mettiamola così, il vecchio Hank mi fece promettere di fare un giro per il porto delle città in cui saremmo attraccati per assicurarmi che non ci fossero donne in difficoltà.»
 
Emma lo guardò con espressione spiazzata. «È per questo che sparite per interi pomeriggi dopo ogni attracco?»
 
«Esatto, ma è meno nobile di quello che sembra,» tentò di spiegarle. «Sono davvero poche le donne che non cedono alla prostituzione quando i morsi della fame si fanno sentire. Quindi, la parte più difficile della beneficenza è trovarne una che rimanga viva, nonostante l’orgoglio. Il giorno che voi siete arrivata sul nostro vascello e avete ucciso il vecchio capitano, Hank non era ancora di ritorno dal suo giro di ronda. Lo fu soltanto quando la discussione in merito alla vostra nomina era già inoltrata e rimase in disparte per un po’.»
 
«Lui sapeva….» La realizzazione del significato di quel racconto la travolse prima che Diego potesse terminare. «Lui sapeva di Henry, sapeva cosa mi era accaduto.»
 
Quando i suoi occhi si alzarono per cercare quelli di Diego, egli le sorrise dolcemente. «Aveva assistito alla scena con la mendicante al porto e aveva ottenuto da lei il resoconto per qualche moneta.»
 
Emma abbassò lo sguardo sul pavimento, senza fiato. Come i pezzi che componevano la struttura di una casa, gli avvenimenti di cui era costellata la sua vita si erano incastrati a quelli della vita di altri in maniera incredibilmente perfetta. Da quello che aveva ritenuto essere un fortuito e isolato incontro con la vecchia megera, erano poi stati coinvolti Hank, Diego e l’intero equipaggio del vascello che, allora, veleggiava sotto il nome di Pescecane. Gli occhi le si velarono di lacrime e un enorme senso di spossatezza precipitò su di lei fino a sfibrarla. Poggiando la schiena contro la parete alle sue spalle, tacque a lungo e Diego con lei.
 
Solo dopo un arco di tempo sufficientemente dilatato, l’uomo trovò il coraggio di dirle: «La verità è che non te l’ho detto prima nel timore che non avresti capito, che non ti saresti più fidata di me, che mi avresti fatto fuori, fisicamente o metaforicamente.»
 
«Cosa ti fa pensare che le mie reazioni possano essere diverse adesso?» chiese lei, ma non sopraggiunse alcuna risposta, poiché non ve ne fu bisogno. In cuor suo, Emma lo aveva perdonato molto tempo prima che quel racconto giungesse a compimento. «Non aspettarti che ti chiami ‘zio’, né di avere trattamenti preferenziali,» fece lei dopo qualche istante ed entrambi risero.
 
«Per me sei tutta la mia famiglia, Emma,» le confessò lui a quel punto, «lo sei stata dal primo momento in cui hai messo piede su questa nave e i miei occhi si sono posati su di te. E ho giurato a me stesso di proteggerti a qualunque costo, ma, ancor prima, di non commettere gli stessi errori che ho commesso con tua madre.» Ecco perché non le aveva mai imposto il suo pensiero, ecco perché le era stato accanto perfino quando le sue azioni si erano fatte brutali oltre ogni ragionevole dubbio. «Ma sei la mia famiglia in quanto Emma: Emma madre, Emma capitano, Emma pirata. Il fatto che condividiamo lo stesso sangue ha solo conferito eternità al mio giuramento di devozione, non l’ha forgiato.»
 
Il capitano della Nostos lo osservò a lungo, prima di raggiungerlo e prendergli una mano tra le sue.
 
«Grazie,» gli disse, «per tutto quello che hai fatto per me, Diego, e per tutto ciò che so che farai in futuro. Grazie per avermi permesso di salvare mio figlio e, conseguentemente, me stessa.» Si sorrisero a vicenda, vicini come lo erano sempre stati. «Anch’io ho una cosa da dirti,» confessò lei, infine, «e ho bisogno anche di Ulan.»
 
«Vado a chiamarlo!»
 
Diego fece per adempiere al suo dovere, ma, prima di lasciare la stanza, un pensiero gli attraversò la mente e gli impedì di proseguire. Voltandosi in direzione del suo capitano e osservandola prendere posto dietro la scrivania e assumere quell’aria solenne che suggeriva la serietà del piano, egli seppe di avere ragione prima ancora di ottenere la conferma che cercava.
 
«Si tratta dei fratelli Jones, non è così?»
 
*
 
«E direi che possiamo anche fermarci qui, per oggi.»
 
Con un lieve tonfo, il libro che Emma stringeva tra le mani si chiuse, mentre, alla luce delle lampade, la copertina esibiva con orgoglio il titolo in lettere scarlatte, Storie di Pirati. Sorrise. Ricordava l’esatto momento in cui quel tomo era entrato in suo possesso: a fargliene dono era stato il membro più taciturno e anziano della ciurma, nonché medico di bordo, il cui nome era Gustave. L’aveva osservata con piglio severo quel giorno, le sopracciglia inarcate a composizione di due archi del tutto asimmetrici, e, solo dopo lunghi minuti, si era deciso a parlarle: “Per capire il presente, bisogna conoscere il passato” le aveva detto e, senza darle il tempo di replicare, aveva lasciato gli alloggi del capitano ed era tornato alle sue occupazioni.
 
Col senno di poi, Emma aveva realizzato che quello di Gustave fosse stato nient’altro che un tentativo di metterla alla prova. Più che scettico sulla scelta degli uomini di consentire ad una ragazzina di mettersi a capo di una nave pirata, aveva deciso di concederle il beneficio del dubbio e saggiarne il potenziale: non gli sarebbe importato che fosse una donna, men che meno che avesse un quarto dei suoi anni, se ella avesse dimostrato di possedere in germe ciò di cui quella combriccola di spiantati necessitava. Aveva visto talmente tanto del mondo da sapere che le apparenze fossero spesso più che ingannevoli e che caderne preda fosse un segno di castronaggine che un uomo di intelletto come lui non poteva permettersi. E, alfine, aveva avuto ragione, perché Emma lo aveva stupito.
 
Così, quando la sua salute era migliorata e finalmente la sua routine aveva assunto una parvenza di normalità, il capitano della Nostos aveva voluto conoscere suo figlio ed essere per lui ciò che non era stata in quei lunghissimi cinque anni. Prima che Henry facesse ingresso nella camera per la prima volta da che era cosciente, lo sguardo di Emma si era posato sullo scaffale ricolmo di volumi e pergamene alle spalle della scrivania e non aveva avuto alcun dubbio su cosa fosse giusto fare. In quella che era parsa una prigionia imperitura, Henry aveva perduto l’occasione di apprendere e vivere molti degli insegnamenti che gettavano le basi per la formazione di una persona ed Emma intendeva porvi rimedio. Era stato doloroso e insieme consolante, per lei, vedere il volto di lui accendersi di entusiasmo alla prospettiva che gli venisse insegnato come leggere e scrivere, doloroso e consolante non meno che per Henry.
 
A distanza di una settimana da che quel primo punto di contatto era stato instaurato, Emma osservò con un sorriso soddisfatto le mani impiastricciate di inchiostro del figlio e l’espressione imbronciata sul suo volto. Allungando il braccio, gli scompigliò i capelli in una carezza materna e si sporse in avanti per lasciargli un bacio sulla tempia. Era assurdo constatare quanto spontaneo e del tutto naturale fosse per lei approcciarsi al pirata in miniatura che aveva davanti! A dispetto delle riserve più radicate e dei timori che da esse erano scaturiti, il suo istinto le era venuto in soccorso per colmare il vuoto lasciato dallo strappo inferto al loro rapporto tutto quel tempo prima. Non v’erano frizioni, incertezze, titubanze, non più. Si trattava di dare ascolto alle sue sensazioni prima ancora che i dubbi potessero sopravvenire.
 
«Sono un buono a nulla,» fece Henry, strofinandola manica della camicia contro il naso per ricacciare indietro il pianto. Il tentativo fu tanto goffo quanto adorabile. «Non c’è nulla che io sappia fare!»
 
«Beh, non sono d’accordo,» lo corresse lei, «perché mi pare tu abbia un certo talento nel buttarti giù dinanzi agli ostacoli.» Henry si voltò a guardarla, gli occhi infiammati per l’indignazione e le lacrime non ancora versate, e a Emma si strinse il cuore. «Se così non fosse,» continuò, mentre tornava a poggiare le spalle contro lo schienale della sedia, «ti saresti accorto che buona parte delle persone che compongono questa ciurma non sappia nemmeno da quale parte aprire un libro, o che tanti altri sappiano a malapena far di conto.» Il suo tono rimase vago ma fermo e i suoi occhi non abbandonarono mai quelli del bambino. «Se così non fosse, sapresti che nessuno nasce con un’abilità pienamente sviluppata. Bisogna lavorare per riuscirci!»
 
Una lacrima oltrepassò la linea delle ciglia per riversarsi sulla tenera guancia e il mento di Henry prese a tremare, mentre le chiedeva: «E fossi nato senza nessuna abilità?»
 
Emma si protese verso di lui per prendergli una mano. «Ne dubito fortemente, Henry,» gli disse e usò la stessa ferma convinzione con cui era solita ribattere alle perplessità sollevate dai suoi uomini in merito a quella o quell’altra questione. «Sei mio figlio, Henry, e hai dato prova di avere in te non solo un grande coraggio, ma anche una spiccata intelligenza. Credi davvero che sia cosa da tutti resistere nelle condizioni in cui hai vissuto tu?» Le costò uno sforzo immane attingere a quella parte delle loro vite che avrebbe voluto solo dimenticare, ma seppe di aver fatto breccia nelle incertezze del figlio quando ne vide mutare l’espressione. E, allora, si disse che il gioco valeva la candela. «O che sia cosa da tutti credere in un’altra persona come hai fatto tu? Hai creduto in me, nel fatto che ti avrei salvato e che saremmo stati insieme come neppure io sarei riuscita a fare. Qui,» disse lei, sfiorando la porzione di camicia sotto alla quale batteva il cuore, «c’è molto più di quello che pensi. Molta più forza, molta più tenacia di quanto immagini.» Si fermò un istante e la sua espressione si raddolcì. «Nessuno ha mai creduto così fermamente in me e ti ringrazio per questo.»
 
Lo slancio con cui si gettò su di lei quasi le mozzò il fiato. Mentre lo stringeva a sé e ne carezzava lentamente la schiena per consolarlo, il corpo e la mente di Emma rivissero la dolce atrocità di un momento simile e neppure troppo lontano, quello del loro ricongiungimento. Piano, poggiò il viso contro il capo di lui. Non c’era nulla che potesse fare per impedire agli spasimi di tormentarla di dolore e paura al solo ricordo di ciò che avevano passato, ma neppure per un secondo ebbe la pretesa di farlo. Sarebbe stato un po’ come pretendere di cancellare una porzione della loro storia che, per quanto amara fosse, rimaneva comunque parte del vissuto che li aveva condotti a quel preciso istante. Sarebbe stato un po’ come pretendere di dimenticare Stecco.
 
«Sai che c’è?» esordì d’un tratto Emma, prendendolo per le spalle e costringendolo a fronteggiarla. «Fammi un favore. Va’ dal vecchio Hank e avvisalo che ci approprieremo del timone per un po’. Credo che sia arrivato il momento per te di sentire quanto è potente la Nostos.»
 
«Dici sul serio?» le chiese con espressione sgomenta.
 
«Mai stata più seria in vita mia,» rispose Emma e l’entusiasmo di cui si accese Henry alle sue parole la ripagò di tutte le frustrazioni degli ultimi tempi.
 
Dopo averle schioccato un bacio in fretta e furia, Emma vide il figlio schizzare in direzione della porta e quasi inciampare nei suoi stessi piedi, tanta era l’eccitazione che lo animava. Ridendo sommessamente, il capitan pirata si rilassò contro la sedia e, gettando il capo all’indietro, chiuse gli occhi per un momento. Ora come mai, sentiva di aver ricomposto una parte di ciò che era andato distrutto dentro di lei e, benché i momenti di sconforto riuscissero ancora a coglierla impreparata di tanto in tanto, sapeva che voleva superare ciascuna di quelle difficoltà al di sopra di tutto. Il formicolio alle mani le ricordò che il fantasma di ciò che aveva affrontato non fosse ancora andato via, ma Emma decise di non prestarvi attenzione. Per quanto angosciante fosse dentro di lei il peso della lotta che ancora aveva da compiersi, era ancora più ferma nel suo animo la convinzione di non poterle concedere alcuna vittoria. Sì, aveva perduto se stessa e non aveva ancora trovato la via per riprendersi ciò che le apparteneva, ma il clangore della battaglia non sarebbe bastato a spaurirla perché lei valeva ogni minuto, ogni goccia di sudore, ogni spasimo speso alla ricerca della persona che sarebbe stata. Doveva trovarsi ma, soprattutto, voleva trovarsi, un po’ come aveva trovato Henry.
 
Il legno del pavimento adiacente alla porta scricchiolò come di consuetudine ed Emma si chiese se fosse Henry, già di ritorno per spronarla a darsi una mossa. Con un sorriso sulle labbra, fece per alzarsi, ma, quando il suo sguardo scrutò la stanza alla ricerca del figlio, non vi trovò quello che si era aspettata.
 
«Killian!»
 
Ritto a pochi metri da lei, con un’espressione indecifrabile, stava il tenente Jones in tutta la sua dignitosa figura. Per giorni interi, nel timore che scorgesse nel suo comportamento i segni della macchinazione ordita, Emma si era premurata di lasciare le sue stanze solo quando le fosse stata fornita la certezza che non l’avrebbe trovato sul ponte. Le provocò una strana sensazione di vuoto allo stomaco averlo così vicino così inaspettatamente e la sua bocca rimase schiusa in segno di stupore per alcuni istanti, prima che riuscisse a ricomporsi. Il modo in cui il nome di lui le era uscito di getto e il suono che riprodusse una volta nell’aria sorprese entrambi. Alzandosi, Emma non poté fare a meno di notare che il viso del tenente apparisse ancora più altezzoso sbarbato di fresco e che costui avesse deciso di chiudersi la porta alle spalle.
 
«Come state?»
 
La domanda di Emma rimase sospesa nell’aria, mentre Killian restava fermo nella sua posizione quasi a dare l’impressione che stesse decidendo sul da farsi. Infine, Emma lo vide avanzare e muoversi a grandi falcate verso di lei, sul volto quella stessa espressione che la giovane non avrebbe saputo decifrare nonostante si vantasse di conoscerlo meglio di quanto lui credesse. In un gesto istintivo, mentre lo osservava aggirare il tavolo per raggiungerla, ella poggiò la mano sulla copertina di Storie di Pirati come se quel tomo potesse aiutarla a comprendere prima che fosse troppo tardi. Ma non fu così. Quando il tenente Jones fece scontrare la sua bocca contro quella di lei, stringendole il viso tra le mani, Emma non avrebbe potuto essere più impreparata.
 
La baciò con la medesima intransigenza che Emma gli aveva usato la prima volta, in un isolato corridoio della taverna di Durin, con la convinzione di chi sa quello che vuole e non indugia a prenderselo. Ma Emma fu di gran lunga più inerme del Killian di allora, poiché non era quel genere di battaglia che si era aspettata e perché ancora adesso non era sicura di volerlo. Si lasciò trascinare forse per la prima volta da che si conoscevano e gli diede esattamente quello di cui pareva avesse bisogno: sentirla viva e reale sotto le sue mani, lontana dalla spirale di deliri e svenimenti che gliel’avevano quasi portata via, lontana dal baratro in cui aveva minacciato di cadere per settimane intere. E la baciò così arditamente e instancabilmente che, quando decise infine di concedere a entrambi una breve tregua, Emma si ritrovò ansante, le guance imporporate da tutto ciò da cui non era riuscita a schermarsi per tempo. Killian rimase dov’era, la fronte appoggiata a quella di lei e le mani a cingerle il viso. Per diversi istanti, ogni cosa ebbe a confondersi e tale si mantenne. Infine, le braccia dell’uomo scivolarono dietro al collo e attorno alla vita di lei per avvolgerla in un silenzio senza pretese. Quasi impercettibilmente, le baciò il capo e, quasi timidamente, Emma ricambiò la stretta.
 
Era tutto così sbagliato, confuso e indecifrabile. Killian sapeva di lei più di quanto avrebbe mai immaginato di poter apprendere: conosceva i difetti e le imperfezioni dietro cui l’aveva vista trincerarsi nel tempo trascorso insieme, le debolezze in grado di mostrare le falle nell’impietosa apparenza che voleva dare di sé, l’intensità con cui provava ciascuna emozione fino a consumarsi e consumare chi le stava intorno. Era proprio di quella passione che aveva acceso i suoi uomini fino a far affezionare un branco di pirati ad un ragazzetto di cui sapevano poco o nulla; era di quella passione che aveva acceso Liam e, alfine, anche lui, fino a renderli competitori di un amore che probabilmente nessuno dei due avrebbe avuto. Allo stesso tempo e allo stesso modo, Emma aveva finito per realizzare e disattendere la promessa che gli aveva fatto, perché aveva imparato a riconoscere di lui le zone d’ombra e quelle di luce, ma si era spinta più in là di così: aveva finito per trovarle familiari. Eppure, che senso aveva tutto ciò alla luce della diametrale opposizione che li vedeva protagonisti? Che lo avessero voluto o meno, erano andati ben oltre i limiti del consentito e del ragionevole e almeno uno dei due ne era consapevole.
 
Poggiando entrambe le mani sullo sterno dell’altro, Emma lo spinse via e indietreggiò nello stesso tempo; poi, si diresse verso la porta e la oltrepassò per raggiungere l’esterno. La fredda aria notturna la accolse con l’empietà di uno schiaffo ben assestato, fino a restituirle la lucidità che, solo per un breve frangente, aveva finto di perdere. I suoi passi la condussero da Henry e, nel dargli le spiegazioni che aveva promesso, strinse le mani attorno al timone della Nostos affinché le desse la direzione e la stabilità di cui aveva bisogno adesso che non sapeva più chi fosse.
 
Ma Killian non era disposto a demordere, quantomeno quella sera. Li raggiunse poco dopo, poggiandosi al parapetto alle loro spalle per osservarli manovrare il vascello come fossero un’unica persona di cui egli desiderò essere parte. Il cassero era vacante, eccezion fatta per loro tre, e la Nostos taceva di un silenzio pacato e soddisfatto ora che il capitano era tornato al posto che gli spettava.
 
«Credo che Henry possa provare a manovrare da solo, per un po’.»
 
La vide irrigidirsi appena sotto il tessuto della giacca, mentre il figlio le chiedeva: «Posso?»
 
Emma indietreggiò di un passo, poi si voltò per incrociare lo sguardo mezzo divertito di Killian e chiarire quale fosse la sua posizione in merito. Qualunque cosa avesse in mente l’altro, non era mettendo bocca su quello che avrebbe dovuto fare o meno con suo figlio che l’avrebbe ottenuta. A passi decisi, il tenente la osservò avanzare verso di lui, ma, prima che qualunque suono potesse lasciare la sua bocca, quando fu a distanza sufficientemente ravvicinata perché la potesse toccare, la afferrò per il bavero della giacca e la tirò a sé. Ancora una volta, le sue labbra cercarono e trovarono quelle di Emma e le invitarono ad una danza alla quale le altre rimasero sorde.
 
Quando schiuse le palpebre, la trovò con la stessa espressione indispettita di poco prima e non poté impedirsi di ridere. «Non stasera, Emma,» la supplicò, così vicino a lei che non avrebbe saputo dire dove finisse il suo respiro e iniziasse quello dell’altra, «non stasera, ti prego.»
 
«Perché?»
 
Killian schiuse le labbra e inspirò, ma nulla di tutto ciò che disse dopo suonò vagamente simile a quello che avrebbe voluto dire. I suoi occhi blu, nel buio appena rischiarato dal benestare delle stelle, scandagliarono i recessi più remoti di quelli di Emma, dando l’impressione di essere alla ricerca di qualcosa, forse una conferma. Non li abbandonò mai quella sfumatura supplichevole che Killian aveva espresso anche a voce.
 
Egli sospirò, prima di dire: «Non lo so.»
 
Emma non credette alle sue parole, ma convenne con lui che fosse la risposta più appropriata al momento e alla loro situazione. Nulla di buono sarebbe venuto fuori da ciò che pareva – soltanto pareva – possibile ma che, in realtà, non lo era neppure lontanamente. Tutte le fantasie, le possibilità, i buoni propositi partoriti dalla mente avrebbero dovuto scontrarsi con la dura verità, che, impietosa, sarebbe calata su di loro presto o tardi fino a smentire qualunque consapevolezza si fossero illusi di avere. Erano stati due anni intensi, a tratti perfino folli e sia Emma che Killian ne erano usciti fuori profondamente cambiati. Molti dei tratti più spinosi delle rispettive personalità avevano dovuto scontrarsi con quelle dell’altro e molte delle rispettive convinzioni erano state spesso smentite o, quantomeno, messe in discussione. E, in quel continuo smussare di angoli e prospicienze ingannevoli, avevano scoperto di essere più simili di quanto si fossero aspettati ma, comunque, non abbastanza.
 
Divaricando le gambe per avvicinarla a sé più di quanto già non fosse, poggiati al parapetto della nave, Killian osservò il viso di Emma e le sorrise: gli era cara. Per quanto ostinate potessero essere le sue riserve su di lei e su tutto ciò che rappresentava, il tenente sapeva oramai di avere a cuore lei, suo figlio e il futuro che li aspettava; e sapeva che una parte di lui desiderasse esserne parte, pur contro ogni forma di buonsenso. La prospettiva di perderla aveva avuto sul suo animo un effetto dolorosamente rivelatore che si era manifestato in tutta la sua irruenza proprio quando l’aveva rivista, sana e salva, pochi istanti prima.
 
«Sei il mio più acerrimo nemico,» sussurrò e diede l’impressione di essere rivolto più a se stesso che alla persona che aveva davanti, «e rappresenti tutto ciò che ho sempre combattuto. Quando ci siamo conosciuti, ero risoluto a vedere il tuo corpo penzolare dalla forca.» Emma aggrottò la fronte, lungi dall’essere compiaciuta, e Killian le sorrise. «Beh,» fece, lanciando uno sguardo di apprezzamento all’esile figura che stringea tra le braccia, «non avevo idea che questo fosse il corpo del mio più acerrimo nemico, altrimenti suppongo che le mie priorità sarebbero cambiate,» si corresse e l’espressione di lei divenne meno arcigna. «Ricordi cosa mi dicesti il giorno che ci incontrammo?» chiese, «e non mi riferisco alla battuta sul sangue blu di cui vai tanto fiera.» Emma rise di quella precisazione. «Dicesti che i miei occhi erano pieni di buoni ideali, ma che non avevo combattuto per nessuno di essi. E forse, solo forse,» precisò in risposta al compiacimento nello sguardo di lei, «avevi ragione.»
 
«Ricordo anche cosa dicesti tu,» gli fece eco Emma. «Mi chiedesti se credessi nella redenzione.»
 
«Credi che siano due cose possibili, Emma? Che sia possibile cambiare vita e rimediare ai propri errori, da un lato, e ottenere la redenzione, dall’altro?»
 
Ella parve riflettere sulla questione una buona manciata di secondi. «Ti ci vedo al posto di quel vecchio panzuto a governare Thrain,» disse e Killian la rimbrottò con lo sguardo, come da tempo non faceva. «Inoltre,» proseguì e, stringendone i lembi della camicia tra le dita, si avvicinò pericolosamente al viso dell’altro, «i rapporti tra marina e noi povere anime dannate potrebbero diventare più cordiali, non trovi?»
 
Lo sguardo del tenente scese a carezzare le labbra di lei. «Mh,» mugugnò brevemente, «il famigerato Capitan Swan non starà mica proponendo una tregua tra marineria e pirateria? Lo credete possibile, nonostante tutto?»
 
«Se non siete interessato, governatore,» lo stuzzicò Emma e, nel farlo, ampliò brutalmente le distanze tra loro, «non c’è motivo di insistere.»
 
Killian la strattonò finché non poté sentirne di nuovo il calore del fiato sulla pelle del volto. «Siete un tipo davvero permaloso, capitano, se non sapete reggere un po’ degli stuzzicamenti tipici della fase delle trattative.» Mantenere la concentrazione nel pronunciare quell’ultima risposta gli costò un enorme sforzo di resistenza. «Che, a proposito, sarebbe più opportuno continuare in privato nei vostri alloggi.»
 
L’invito fu tutto fuorché sottile, almeno quanto la provocazione che seguì. «Il ponte di una nave è troppo sconsiderato come luogo per la vostra virginale saggezza?»
 
«State giocando col fuoco, capitano,» mormorò lui con voce roca, lanciando uno sguardo all’indirizzo di Henry, «ma suppongo che sappiate di essere protetto da quel ragazzino lì.»
 
Emma gli sorrise. «Siete più pirata di quello che date a vedere!»
 
«Mamma?»
 
La voce di Henry li interruppe e, con un sospiro, Emma prese le distanze per raggiungerlo. Prima che l’ultimo residuo di contatto venisse meno, tuttavia, si voltò a guardarlo, mentre la mano di Killian stringeva ancora le sue dita fasciate. Delicatamente, accostò la sua bocca a quella di lui e lo sentì fremere al solo contatto. La baciò ancora, stavolta con minore impeto ma in modo più lento, profondo fino a scaldarla laddove, fino a quel momento, Emma non aveva percepito che vuoto e perdizione; e, con una modestia simile al pudore, Killian rinvigorì quella fiammella per impedire che si spegnesse. Per un attimo, Emma tornò ad ardere del vigore di un tempo fin quasi a togliergli il respiro. Quando si scostò da lui e i loro sguardi s’incrociarono, Killian scorse tra le macerie un piccolo di fenice pronto a risorgere dalle proprie ceneri.
 
«Grazie per esserti preso cura dei miei uomini, mentre io non potevo.»
 
«Grazie per non aver smesso di combattere.»

_______________________________________________________________

Spazio dell'autrice:

Sono passati tre mesi dall'ultimo aggiornamento e non me ne ero neppure resa conto. Non perché mi fossi dimenticata di Nostos e di voi nostossiani, ma, al contrario proprio perché in questo mondo tutto mio ho cercato tanto spesso rifugio da non essermi accorta della mancanza... La mia mancanza nei vostri confronti! Vi chiedo scusa sinceramente per questo ritardo inaspettato: avevo già detto che parte di questo capitolo l'avessi bella che scritta tempo fa ed era vero. Il problema è che mi sono resa conto di essere agli sgoccioli e, come per tutte le altre storie che ho scritto, l'idea di dover lasciare Emma e tutti gli altri compagni di questa storia mi toglie il fiato. Non sono pronta, non sono pronta nemmeno per idea e a pagarne il prezzo, purtroppo, siete voi che aspettate i miei aggiornamenti. Mi spiace tanto!

In compenso, credo di aver scritto il capitolo più lungo di questa storia e avrebbe dovuto essere addirittura più lungo, ma ho deciso di smezzarlo perché il prossimo capitolo ha un'identità sua propria che merita di essere celebrata senza altre distrazioni nel mezzo. A proposito, vi avviso che siamo a tre capitoli dalla fine, sempre che non me ne pento prima e decido di agguingerne un'altra ventina, pur di non lasciare la Nostos e il suo dolce cullar.

Vi ringrazio tutti dal più profondo del cuore. In questi tre mesi, non solo alcuni di voi si sono presi la briga di lasciarmi una recensione, ma le visualizzazioni della storia sono cresciute a dismisura e contro ogni mia aspettativa.Credetemi se vi dico che vorrei conoscervi uno per uno, o miei nostossiani, per sapere verso chi indirizzare la mia gratitudine e poter dare quantomeno un nome a tutti quei numeri che mi rendono sempre felice.
Lady Lara, k_Gio_, simogi, pandina e Lely_1324, siete nel mio cuore e con voi le vostre recensioni. E siete nel mio cuore come in quello della nostra ciurma, che senza di voi non sarebbe mai arrivata a questo punto. Potrà sembrare poco vero, ma è con le vostre parole nell'orecchio che riesco a stilare i vari capitoli e sono le vostre parole che leggo e rileggo all'infinito. Prometto di ringraziarvi a dovere nella prossima recensione, perché devo scappare a un festival del vino che non posso perdermi.

Buona lettura e buona puntata per stasera!
Grazie! <3
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Brooke Davis24