Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Edgewig    17/03/2016    4 recensioni
PRESENTE: Samir è muto, un'ombra che appare solo quando necessario e che caccia tutti coloro che secondo lui hanno perso il diritto di essere trattati da uomini. Estremamente abile, non riesce a provare pietà, spinto dall'insaziabile e distorto desiderio di rettitudine che guida le sue mosse, lungo un cammino che lo porterà a indagare fino in fondo l'essere umano e le sue atrocità. PASSATO: Samir è un bambino di tredici anni, denutrito, ingenuo, sottomesso ai colpi di una giovane orfana quando Adam Selvig e Lianor Sitwell, due rinomate cappe nere, vanno a prelevare entrambi nella casa famiglia di Riverdook. Ciò che attende il ragazzo è un percorso tortuoso, fitto di disciplina, rigidità, una filosofia di vita che gli entrerà fin nelle ossa e lo porterà a mutare radicalmente le sue idee e capacità. Divenendo una delle più temute cappe nere in circolazione.
Genere: Azione, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 1 – LA CAPPA NERA
 
Presente
Riverdook era una piccola città. Dimenticata dai ricchi e odiata dai poveri. Lasciata da tempo al suo destino come una succulenta, fresca carogna per affamati, pazienti avvoltoi. Il vicolo buio, stretto, desolato entro il quale si era immesso Samir evidenziava lo squallore non solo della zona ma di tutto il dedalo di vie che costituiva quel piccolo labirinto di costruzioni fatiscenti. I bassi tacchi degli stivali rintoccavano a ritmo regolare, lento, evidenziando come l’individuo non avesse alcuna fretta. Indossava un paio di pantaloni nero pece, una camicia bianca infilata per metà dentro essi, un gilet dalle tinte rosse, spente, e due cappe nere: una assicurata alla spalla destra, e che discendeva lungo tutto il braccio del lato corrispondente. L’altra assicurata alla spalla sinistra. Discendevano giù, coprendo parte della schiena, fino all’attaccatura delle scapole e ambo gli arti superiori, occultandoli quasi completamente. In vita teneva assicurata una cintura marrone, ove potevano scorgersi tre foderi: uno al fianco destro e due al sinistro. Accanto al destro, a pochi centimetri di distanza, vi erano legati un piccolo sacchetto di cuoio e un altro un po’ più grande che sembrava contenere qualcosa di solido, dalla forma ben precisa, quadrangolare.
Il rumore dei suoi passi andò scemando, l’individuo si era fermato e stava osservando con occhi attenti, fissi, l’uscita del vicolo dieci metri più avanti. Si trovava praticamente a metà di questo e notò subito era stretto, sia da destra che da sinistra, da alcune strutture che fungevano da magazzini per attività limitrofe. A quell’ora della notte non vi lavorava nessuno, passava poca gente e altrettanto poca avrebbe potuto percepire suoni insoliti, carpire un misfatto, insospettirsi di qualcosa. Era un punto cieco, ove chiunque avrebbe potuto agire in qualsivoglia modo senza esser notato o esser disturbato. Nessuno mai se ne sarebbe interessato ed è proprio questo dettaglio che quella notte attirò l’uomo in quel buco.
Sulla sinistra vedeva alcune casse, e decise di avvicinarsi per dare un’occhiata più attento. Uno, due rintocchi dei suoi stivali e tutto tacque una seconda volta. Si chinò dinanzi la prima delle tre casse disposte lì, a piramide, adocchiando l’area intorno ad essa e facendo sbucare la mano destra da sotto la cappa nera. Essa andò a tastare il suolo, quasi spolverandolo, carezzandolo, prima di sollevarsi e poggiarsi sullo spigolo della cassa più vicina.
Le dita, protette da un guanto nero piuttosto spesso, sfregarono più ruvidamente contro il legno all’altezza di una piccola macchia rossa. Dopodichè ambo le mani afferrarono la cassa e la trascinarono in avanti, in modo tale da allontanarla dal muro.
Samir diede uno sguardo, e in mezzo alla polvere, agli insetti, le ragnatele, trovò quanto stava cercando, e in meno tempo di quanto in effetti si sarebbe aspettato. Quando la mano destra uscì da dietro la cassa tirò fuori dalle tenebre un piccolo pezzo di stoffa: bianco, sfilacciato, sul quale si leggeva solo un’iniziale delle due che si poteva intuire erano state appositamente stampate.
Samir adocchiò il lembo, e anche la “L” sopra scritta, prima di sollevarsi e metterselo in una tasca dei pantaloni. Espirò, mosse qualche passo indietro e fece un’altra analisi della zona, ripassando tra sé e sé ciò che era successo. Il margine di errore irrisorio.
La ragazza, Jane Tumble, di soli diciannove anni, faceva ritorno a casa. Era sera, era buio, aveva fretta ed ingenuamente decise di tagliare per un percorso più insidioso, sconosciuto. Quel vicolo vide un uomo, ancora senza un nome, coglierla di sorpresa, afferrarla da dietro e imbavagliarla senza che lei riuscisse a cacciare un fiato tanto forte da essere udita. Picchiata, violata, la vittima cercò di lottare, riuscendo soltanto a ferire con le unghia il volto dell’assalitore e a strappargli un lembo della camicia. Lo fece scivolare dietro una cassa affinchè lui non venisse mosso dal proposito di perdere tempo e recuperarla, anche se in quel momento la ragazza non realizzava del tutto a cosa potesse realmente servirgli quel gesto.
Samir riprese a camminare lungo il vicolo, con lentezza disarmante. Quasi quanto quella di Jane dopo la violenza di una notte che non immaginava, che non meritava. L’uomo percorse tutto il vicolo, vide l’ombra della vittima muoversi accanto a lui, quasi, indicandogli la via giusta da seguire. Essa portava all’uscita del vicolo, da cui si poteva vedere, metri più in là, l’ingresso della locanda “Daino impagliato”. Ove la giovane era riuscita a chiedere e ricevere aiuto dall’oste. Tutto si risolse secondo le procedure standard: l’arrivo delle guardie cittadine, la deposizione della vittima, la sua descrizione dell’aggressore, il traumatico ricordo, il ritorno a casa e poi ciò che aspettava quasi tutte le vittime di una cittadina morente come quella: il silenzio. Nient’altro che silenzio, dentro e fuori Jane, e l’amara, rabbiosa consapevolezza che l’animale era ancora là fuori, in giro, in agguato, pronto a divertirsi nuovamente a scapito d’altri. La ragazza, la famiglia, non avrebbero sopportato un simile tormento, e Samir ne era ben consapevole. Sapeva cosa fare, quando e come farlo, e caso volle che i suoi propositi coincidessero con quelli dei Tumble in quel periodo. Cercava quell’uomo da diverso tempo, non era la prima volta che agiva e aveva lasciato molte tracce dietro di sé: Jane era solo una delle tante, purtroppo. La paga che gli offrivano i Tumble avrebbe tenuto in vita Samir, le informazioni che l’animale avrebbe potuto offrire lui in cambio della vita, di pietà, avrebbero portato avanti la sua personale missione.
Inspirò a fondo, sbuffò silenziosamente, ed ecco che rivolse i propri passi verso la taverna, percorrendo una via ben poco movimentata: in giro non c’era nessuno, tutte le finestrelle di legno delle case lì intorno erano chiuse, le luminarie spente, il suolo un po’ sporco, tra rimasugli di sterco di cavallo e polvere.
Riverdook non era un bello spettacolo a vedersi ma era peggio a sentirsi, specie perché ormai irretita nelle trame di uomini poco disposti a vivere rettamente entro quei bui vicoletti. Ne erano un banale esempio i quattro ceffi che stavano cominciando a sghignazzare rumorosamente di fronte la taverna.
«Poi mi ha detto “Basta, basta!”, ma cosa credete? Potevo certo fermarmi?»Chiese uno, emettendo una risata irritante, a tratti un po’ forzata, cercando la complicità degli altri tre. Questi bevevano allegramente da una bottiglia, tracannando quello che poteva essere rhum come idromele. Samir non se ne intendeva molto e in effetti neanche si sarebbe scervellato a pensarci: intendeva raggiungere la taverna e non sarebbe stato importante chi avrebbe incontrato o che fastidi avrebbe dovuto ignorare.
«Wo, guarda.»Fece uno dei quattro agli altri della comitiva, indicando con la bottiglia l’avvicinamento cadenzato di Samir.
«Non dovrebbe essere morto?»sussurrò un altro, passandosi una mano sulla faccia e tossicchiando dopo essersi affogato.«Bah.»Si lagnò, sputando un grumo di saliva alla sua sinistra, insozzando ulteriormente lungo cui astava.
«Voi!»La porta della taverna, dall’altro lato della strada, si aprì improvvisamente. Da dentro si sentiva un vociare sommesso, usciva una luce calda e piuttosto accogliente.«Quelle dovete restituirmele! O pagarmele, vagabondi!»si alterò il vecchio oste, piuttosto robusto, sbattendo una mano sulla porta e uno straccio sulla sua coscia. Cercò di palesarsi minaccioso ma i quattro si limitarono a sbuffare e a sbeffeggiarlo bevendo un altro po’ all’altro lato della strada.
Samir sembrava del tutto indifferente, continuava a camminare lungo il centro della via, avendo ormai i quattro sei metri a destra, l’oste sei metri a sinistra. Come stretto in un profondo canyon, tra due sponde completamente opposte, si stava immettendo con coscienza nell’occhio del ciclone.
«Non vi voglio…»L’oste alzò la mano destra, per minacciarli nuovamente, facendo una voce grossa spezzata sul nascere alla vista delle due cappe nere pendenti dalle spalle di Samir. Rimase inizialmente basito, poi si fece titubante e pian piano leggermente più sicuro. «Sparite e basta! Non vi voglio più vedere!» tuonò l’oste, avanzando di un passo e lanciando un’occhiata particolarmente feroce ai quattro più in là, i quali sembravano continuare a sbeffeggiarlo allegramente, sottovoce.
«Uuuh una cappa nera, guardate!» si mise a ridere uno di loro, indicando Samir.
«Una cappa nera dalla pelle negra tra l’altro. L’avete visto?» proseguì un altro, mettendosi la mano in faccia per cercare di soffocare le risate. Gli uomini dalla pelle nera, come Samir, erano da sempre discriminati, presi in giro, allontanati dalla maggior parte delle società in quel periodo. «Ahah diavolo, se lo metti all’ombra non si vede nemmeno!» continuò l’uomo.
«Non li ascolti.» ringhiò l’oste, vedendo Samir arrivargli a un metro e mezzo e fermarsi a guardarlo. Silenzioso. «Sono solo degli animali. E’ qui per mangiare, bere qualcosa suppongo.» Gli fece l’uomo, sforzandosi di essere gentile nonostante la rabbia crescesse in lui di minuto in minuto. Lo invitò a entrare, spostandosi dall’ingresso e stendendo il braccio per indicarglielo. Samir fece un cenno di dissenso. «No?» chiese conferma l’oste, ricevendo in cambio un altro dissenso e una semplice azione: Samir estrasse dalla tasca il lembo di stoffa in precedenza recuperato dal vicolo. Glielo mostrò, dopodiché voltò appena il capo ed indicò col mento la stradina da dove era sbucato, in modo che l’interlocutore capisse cosa ci faceva una cappa nera in quel posto e in quel momento, al suo cospetto.«Aah…» L’oste si fece un po’ più scuro in volto. «E’ per la ragazza di qualche giorno fa.» annuì, passandosi una mano sul capo pelato e chinando quest’ultimo, un po’ rammaricato. «Una brutta storia. Immagino voglia un chiarimento anche da me, la mia versione, per…» In quel momento l’uomo si fermò, non riuscì più a parlare ma solo a mandar giù un boccone assai amaro. Una bottiglia si frantumò accanto a lui, dopo essersi schiantata contro la porta della taverna.
«L’hai mancato diavolo. Ritenta!» sbottò uno dei quattro uomini ancora fermi dall’altro lato della strada.
«Maledetti, io…» L’oste allungò la mano verso Samir e cercò di afferrare delicatamente una manica della camicia per trascinarlo con sé all’interno del locale. Lontano dai problemi e dal pericolo. Ma l’uomo dalla cappa nera fece altro, posando delicatamente la mano destra su quella dell’uomo e stringendogliela appena. La allontanò, gli fece cenno d’entrare e lo sospinse appena indietro. «Che fa?» si chiese l’oste, con un fil di voce, guardando prima la mano di Samir e poi i suoi occhi verdi. Obbedì senza fare resistenza, si lasciò sospingere e nulla fece per impedire all’uomo di chiudergli lentamente la porta del locale in faccia. Era noto non c’era molto da discutere con una cappa nera: se prendevano una decisione era calcolata, studiata, perentoria, e la ragione che li muoveva era quasi sempre valida.
«E’ scappato via.» commentò l’uomo che pocanzi aveva tirato la bottiglia contro l’oste. «Cos’è! Ti ha sbattuto fuori!?» alzò la voce contro Samir, non avendo probabilmente carpito le azioni di quest’ultimo. Egli si voltò, vedendosi i pantaloni insozzati da una brodaglia scura, rossa, che schizzò di qua e di là dopo che una seconda bottiglia venne lanciata ai suoi piedi. I vetri non lo colpirono, e gli stivali si mossero sui loro rimasugli, frantumandoli senza alcun tipo di problema. Samir si immise nuovamente lungo la via, chinando lo sguardo ed evitando di incrociarlo con quello dei quattro lì davanti. Forse non voleva noie, sapeva che cercare rogne di quei tempi non lo avrebbe aiutato e che probabilmente era meglio le acque si calmassero.
Per questo motivo si allontanò di tre metri dalla locanda, un po’ di più dai quattro, ed entrò in un vicolo simile a quello che aveva percorso pocanzi.
«Una cappa nera codarda. Sono morti davvero, non c’è che dire.»scosse il capo uno dei quattro.
«Meglio assicurarsene.»Commentò più seriamente un altro, asciugandosi le labbra col braccio e cominciando a camminare verso il vicolo.
«Che fai? Vieni qui, facciamoci altro rhum.»Lo invitarono gli altri.
«Restate qui, razza di eunuchi. Non ce lo voglio quel negro qui in giro.»fece una pausa, mentre continuava ad avvicinarsi al vicoletto.«Puzza, mi dà ai nervi.»
Gli altri sbuffarono, ma si convinsero e gli fecero da gregari, accompagnandolo.
                                         *
 
Quattro topi in un buco, ben riuniti, inconsapevoli, abbastanza ubriachi da aver annebbiato per la metà i loro sensi. Tutto era andato liscio e solo quattro idioti come quelli avrebbero potuto pensare una cappa nera sarebbe fuggita via innanzi a loro.
«E’ scappato, si vede.»commentò colui che si era posto alla guida della spedizione punitiva, nel momento in cui un’ombra gli piombò addosso come un falco dal tetto di un magazzino, sulla sinistra.
Gli altri non capirono poi molto: era buio, l’unico suono che avevano udito era quello strano, macabro scricchiolio emesso dal muso del loro compagno schiacciatosi al suolo dopo l’imboscata della cappa nera. Questa scattò rapida verso il più vicino dei tre ancora in piedi e non ci mise molto a dargli un calcio a lato della rotula sinistra, lussandogliela, ed un altro col medesimo piede alla guancia, una volta visto l’uomo inginocchiarsi per il dolore. Cadde al suolo, sbalzato via da quel colpo di stivale assestato da Samir, senza riuscire a far nulla per impedire a questi di avventarsi sugli altri due compagni. Uno venne colto di sorpresa da uno sgambetto, che lo fece cadere malamente a terra, di testa, mentre l’altro venne colpito da un montante mancino sotto il mento, poi preso per la gola e sospinto verso il muro più vicino del vicolo. Ivi Samir strinse la presa intorno al pomo d’adamo e spinse con violenza il cranio dell’altro contro il muro: una, due, tre volte, finchè questo non esalò uno stanco rantolo e non chiuse gli occhi.
La cappa nera lo lasciò cadere a terra, esanime o meno, solo dopo essersi sentito afferrare da qualcuno alle sue spalle. L’uomo pocanzi fatto cadere a terra tramite lo sgambetto si era risollevato assai velocemente e aveva messo le braccia intorno al suo collo, cercando di stringere la presa, soffocarlo, sfruttando la sua stazza massiccia, la sua forza, contro quella assai più minuta della gazzella che da un paio di secondi saltava di qua e di là in mezzo a loro. Samir non cacciò un fiato, limitandosi a dare una, due, tre rapidissime gomitate alla bocca dello stomaco dell’uomo, in modo da fargli allentare la presa. Dopodiché gli afferrò le braccia con ambo le mani, riuscì ad allargarle, a liberarsi, girarsi e spingere via l’aggressore: quel metro e mezzo che gli bastava a scattare verso di lui, sollevare la gamba destra al limite delle sue possibilità e tenderla dritta dritta contro il suo mento. Il calcio fu così forte che l’uomo, in quel momento a bocca dischiusa, si sentì la mascella chiudersi tanto vigorosamente da spaccargli quasi tutti i denti. Cadde rovinosamente di schiena, con le mani in faccia, impotente, e ormai consapevole che forse tutti e quattro non avevano preso la migliore delle decisioni quella notte.
«Uuuuh aaah!»L’uomo colpito per secondo, alla rotula, stava ringhiando come un cane per il dolore ed era impossibilitato a sollevarsi dato che il suo ginocchio era rotto e la gamba, quindi, fuori uso. Stava cominciando a fare troppo rumore e Samir, avanzando verso il primo uomo abbattuto, decise bene di dargli un altro calcio alla testa, per zittirlo definitivamente. L’ombra che si aggirava in quel vicolo sembrava non nutrire alcun sentimento per quegli uomini: poteva apparire spietata, maligna, portatrice di morte e null’altro agli occhi di qualcuno. Di giustizia e rettitudine agli occhi di altri.
«Cane maledetto!»tuonò rabbioso l’ultimo uomo ancora mezzo sveglio, risollevandosi in piedi e capendo finalmente che il sasso atterratogli addosso dal magazzino non era altro che l’individuo che i quattro cercavano. Aveva ancora la bottiglia tra le mani e cominciò quindi ad agitarla minacciosamente davanti a Samir, per farlo stare lontano. Questi si fermò a due metri da lui, osservandolo senza dire una parola, fargli alcun cenno, preoccuparsi di stenderlo senza altre perdite di tempo.
«Rosco, Julian, Jaimie!?»ringhiò alla volta dei corpi stesi dietro Samir. Non si muoveva nessuno, come fossero stati travolti da un cavallo più che da un uomo in carne e ossa.«Ros…!»L’uomo fece solo finta di chiamare nuovamente i suoi compagni e lanciò di scatto la bottiglia verso Samir. La mossa era prevedibile, la cappa nera ne aveva viste tante e si limitò a reclinare il capo alla sua sinistra per evitare il lancio assai sbilenco dell’avversario. Scattò rapido verso di lui, gli afferrò il braccio destro ancora teso e dopo averglielo torto come doveva gli schiacciò un palmo contro l’attaccatura del gomito. Esso si ruppe, di netto, tanto che la testa dell’omero sbucò fuori dalla pelle, in un fiotto di sangue rossastro che macchiò il muro limitrofo. L’uomo urlò, non riuscì a reagire, mentre il lucido Samir se lo rigirò come voleva, schiaffeggiandolo prima e dandogli un calcio alla rotula destra poi. Il bruto si inginocchiò, fu costretto, e dopo essersi sentito afferrare la testa dalla cappa nera capì che questa scura figura gliela avrebbe ben presto torta, in modo tale da spezzargli l’osso del collo. Ebbe intuito. Fu quello che accadde.
«Ooh…»Aveva tutti i denti spaccati, si era morso la lingua tanto forte che era un miracolo non si fosse lacerata del tutto e stava cercando di strisciare fuori dal vicolo. Era l’unico dei quattro uomini ancora in vita, in fin dei conti, e sembrava dimostrare un certo attaccamento al ritmico tamburellare del suo cuore nel petto.«Aaah!»Urlò, una volta sentita una lama penetrargli nel polpaccio, uscire fuori e piantarsi nel suo gluteo sinistro. Continuò a urlare. Samir estrasse la lama insanguinata e lo girò sulla schiena, posandogli una mano sulla bocca e scuotendo tanto il suo capo da fargli girare gli occhi. Gli lanciò un’occhiata molto fredda, come a sottolineare non gli importasse molto della vita di un animale incivile come quello, ma l’uomo sembrò non capire che doveva starsene un po’ zitto. Samir rincarò la dose, per punizione, e piantò la lama nell’addome del bruto, rigirandola con un gesto secca e lasciandogliela piantata lì. Fatto ciò sospinse il capo dell’uomo contro il suolo e scosse lentamente il capo, come a obbligarlo al silenzio.«Lasciami…»riuscì a sussurrare agonizzante l’uomo, una volta vista la mano della cappa nera allontanarsi dalla sua bocca.«Lasciami.»Ogni suo fiato era un grumo di sangue e pezzi di denti che scivolavano fuori dalle sue labbra come una densa, orrida valanga.«Non ti ho fatt… niente.»I sensi cominciavano a venir meno, e Samir prese dalla sacca che aveva legata alla cintura un oggetto. Sembrava un piccolo taccuino, all’interno del quale era contenuto un piccolo sassolino dalla forma appuntita e dalle tinte grigie, metalliche. Dopo aver aperto il taccuino la cappa nera cominciò a scrivere, davanti agli occhi confusi e terribilmente spaventati dell’uomo steso accanto a lui.
«”Dimmi di questo e ti lascerò vivere.”»Vi era scritto sulla pagina che Samir fece leggere all’uomo. Questi non capì, fin quando la cappa nera non gli sventolò davanti il piccolo pezzo di stoffa bianca trovata nel vicolo lì vicino.
«Ch…» L’uomo non riusciva a parlare, e Samir ricominciò dunque a scrivere, sperando che questi cominciasse a riflettere seriamente sulla sua offerta.
«”Dimmi a chi appartiene. Lo sai.”» scrisse la cappa nera.
«Lui… non…» L’uomo cercò di indicare con lo sguardo l’individuo a cui pocanzi era stato spezzato il collo. «Jacob, lo conosceva. Io non…. Aaah.» Il dolore divenne insopportabile, l’uomo cercò di mettere mano sul pugnale che Samir gli aveva conficcato nella pancia ma in tutta risposta questi lo estrasse di scatto e lo puntò al triangolo genitale della vittima. Una chiara minaccia, visto non aveva più molto tempo da perdere.«No no, ti preg…aaaah!» ansimò disperato l’uomo, non riuscendo neanche a dimenarsi più di tanto. «Ha una… ferita sulla guancia, era qui due giorni fa, aveva sempre la stessa cam… camicia! Aaaah!»Samir sollevò il pezzo di stoffa.«Si, si… era strappata! C’era un uccell… un uccello! Stampato sul colletto!»urlò, era al limite e stava per soffocare con il suo stesso sangue. Samir allontanò la lama dalle sue gambe e lo guardò per un istante, prima di mettere via stoffa e taccuino, in tutta calma.«Lasciami… andare.»tentò di convincerlo un’ultima volta l’uomo, senza successo.

 
Note autore: Grazie a chiunque abbia visitato questa pagina e altresì a chiunque abbia speso del tempo per leggere questo primo capitolo. Spero di avervi intrattenuto in modo adeguato e altresì che possiate darmi pareri a tutto tondo, consigli et similia a riguardo, qui di seguito. Ogni recensione, sia essa breve o lunga, è molto importante per me e il punto di partenza necessario a limare i propri metodi. Grazie a tutti.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Edgewig