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Autore: Claire_Elen    17/03/2016    2 recensioni
'Non voglio innamorarmi. Non sono fatto per l'amore, certe persone sono semplicemente destinate a non trovare l'anima gemella.
E se invece l'amore, la cosa dell'anima gemella, fosse solo un trucco per vendere fiori e cioccolatini?
Se la gente raccontasse che l'amore, quello vero, è annientarsi a vicenda, le persone si innamorerebbero lo stesso?"
"Perchè pensare questa vita separata dalla prossima, quando l'una nasce dall'altra?"
[Fanfic Bucky x OC. Ambientata in pre-Civil War, alcuni eventi dei due film precedenti si possono ritrovare nel testo, ma l'ambiente di CW è stato completamente distorto per far incastrare questo personaggio che, effettivamente, non è presente in nessuno dei film.
Spero vi piaccia!]
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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In realtà, Steve, penso che sia assolutamente l’idea peggiore che tu abbia mai avuto da quando ti conosco.
Claire sbattè le palpebre più volte e lo guardò dritto negl’occhi per cercare di capire se stesse scherzando, ma lui non avrebbe potuto essere più serio di così.
Le porse un fascicolo e continuò a incatenare gli occhi in quelli di lei, intenti ad aprire la busta. Nella prima pagina c’era incisa una scritta in russo, che spiccava a caratteri cubitali su tutta la larghezza. Si apprestò ad aprirlo, ritrovando come prima immagine una foto di un uomo che probabilmente doveva essere lui, sigillato in una camera, ibernato, e in basso a destra una vecchia foto in bianco di nero di lui con i capelli corti ed evidentemente più giovane che sorrideva mostrando una fila perfetta di denti bianchissimi.
L’uomo ritratto nella foto non aveva niente a che fare con quello che aveva visto nel capannone, curvo e chino su sé stesso, con l’aria cupa di chi ce l’ha sempre su col mondo.
Nel modo in cui li aveva fissati tutti quanti aveva capito che quello era uno sguardo di una persona che non vuole ammettere di essere aiutata, una persona che fondamentalmente, sembra essere felice di stare da sola, quando invece è esattamente l’opposto.
Sfogliò e lesse velocemente le informazioni, promettendosi di rileggerle in modo più accurato una volta arrivata a casa, e lo richiuse stringendo l’elastico.
Lesse il suo nome scritto a computer, prima in Russo, poi in inglese, accanto al titolo in prima pagina:
 
‘James Buchanan Barnes.’
 
Alzò lo sguardo verso Steve e passarono circa cique minuti prima che riuscisse a trovare le parole giuste da dirgli, ma al momento di farlo ciò che riuscì a dire fù solo:
 
- Perché io?
 
Anche lui parve sorpreso, era evidente nel modo in cui stava aggrottando le sopracciglia che si sarebbe aspettato una domanda più coerente, e magari più interessata a quello che aveva letto, non una cosa così generica.
 
- Perché sei l’unica che è in grado di aiutarci.
- Che cosa ti fa pensare che voglia aiutarlo?
- Perché ci conosciamo da anni, Claire. Tu vuoi aiutare le persone.
Non ti sto costringendo, ti sto chiedendo di prendere in considerazione la cosa. Se poi rifiuterai questo incarico, beh, non importa. Lo affibierò a qualcun altro.
 
Nello stesso momento in cui disse quelle parole si riprese il fascicolo e si girò verso la macchina, nella quale James e Falcon li stavano aspettando, impazienti.
Seguì il suo sguardo diretto verso l’autovettura e nello stesso istante in cui guardò quell’uomo, lui si girò e ancora una volta puntò gli occhi verso i suoi, esaminandola, questa volta con un lieve sorrisetto che spuntava ai lati delle labbra.
 
 
- Deve odiarmi davvero tanto, per fissarmi in quel modo.
- Odiarti? No, credo che tu gli stia già piacendo.
 
Claire allungò la mano e gli strappò nuovamente la busta dalle mani, stringendola fra le proprie in modo che non potesse riprenderla.
 
- Che cosa intendi dire con questo?
 
Ma mentre formulò quella domanda Steven si stava già allontanando, e salendo al posto di guida.
Maledicendo le proprie gambe doloranti si costrinse a ridurre la distanza fra di loro, ed entrò in macchina sedendosi sul sedile davanti, con uno sbuffo.
Notò con un briciolo di irritazione che questa volta, nel viaggio di ritorno, stava sorridendo contento e, una volta accesa la radio, cominciò a cantare in modo stonato e del tutto fuori tempo una canzone di passaggio, mentre lei e James lo guardavano con disapprovazione unirsi a Falcon nel loro duetto.
Per fortuna, non più di quindici minuti separavano il campo base dal posto in cui erano stati quella stessa mattina, era consapevole che se sarebbe stata ancora cinque minuti in macchina con Rogers, sarebbe impazzita.
Appena furono scesi tutti e quattro Falcon si diresse verso un edificio vicino, mentre loro tre si accingevano ad entrare, illustrando le varie stanze a James come se stessero facendo un giro turistico, beccandosi più di una volta le lamentele  e i rimproveri di Claire su quanto fosse noioso, ricevendo perfino un cenno della testa del suo amico, che probabilmente concordava con lei.
 
- Natasha vuole parlarmi, quindi tempo proprio che dovrò lasciare voi due, ora. Mi raccomando, comportati bene.
 
Anche se mentre lo diceva stava guardando lei, era più che sicura che la raccomandazione fosse diretta all’uomo alle sue spalle, o ad entrambi.
Appena lo vide scomparire oltre all’angolo maledisse sé stessa per non aver provato a fermarlo, o convincerlo a non lasciarla sola con quel tipo, del quale non sapeva assolutamente nulla.
Si costrinse a girarsi e a guardarlo in faccia, cosa che le costò parecchia fatica visto che si ostinava a tenere i capelli in avanti, che gli coprivano buona parte del viso.
Notò solo allora che indossava uno zaino, e socchiuse gli occhi, non ricordando di averglielo mai visto addosso.
Porse la mano verso di lui, infondo doveva pur sempre essere gentile se voleva andarci d’accordo.
 
 
 
 
 
- Io sono Claire Mason, piacere di conoscerti.
 
Lasciò la mano sospesa a mezz’aria mentre lui la guardava in viso, non degnando quel gesto di uno sguardo.
Si strinse nelle spalle come se non gliene fregasse un granchè, infilando le mani nelle tasche della giacca.
Appena Claire vide che non aveva intenzione di afferrarla o di dire il suo nome, la ritirò, frugando nella borsa che si era portata appresso, sfilandone un paio di chiavi e porgendogliele.
 
- Penso che Steven te l’abbia già detto, ma la tua camera è infondo a sinistra, accanto alla mia, nel caso ti serva qualcosa.
 
Stavolta alzò la mano e le prese, mentre lei si girava di spalle e procedeva nella direzione opposta, boffonchiando fra se e sé sul fatto che era stata una stupida ad accettare questo caso se non si degnava nemmeno di presentarsi in modo civile, ma appena arrivò alla fine del corridoio lo sentì parlare, così si fermò in mezzo al corridoio, girandosi verso di lui.
 
- Scusa, hai detto qualcosa?
- James. Mi chiamo James.
- Piacere di conoscerti, James.
 
Aprì le labbra rivoltandole in un sorriso aperto verso di lui, improvvisamente contenta di averlo sentito pronunciare il proprio nome.
Dopo averglielo detto lo vide avviarsi nella propria camera, approfittando del fatto che era girato di spalle per guardarlo meglio, osservando la maglia rossa e notando che sul bordo era strappata, infatti alcuni filamenti stavano penzolando lungo i jeans scuri ma non osò chiedergli se potesse riparargliela, infondo non erano affari suoi.
Optò per raggiungere Steve e mangiare un boccone, infondo non aveva toccato cibo per tutto il giorno e lo stomaco le brontolava sommessamente, così arrivò fino alla mensa dell’edificio, un posto in cui ogni domenica servivano il polpettone più disgustoso mai mangiato da sempre e ogni giorno alle cinque servivano il tè di metà pomeriggio insieme a dei biscotti stantii di almeno una settimana prima.
Notò Steve e Natasha al tavolo da soli, intenti a fare una discussione animata insieme a Falcon, ma non si avvicinò.
Prese la sua dose di pasta alla carbonara e si diresse verso la propria stanza con un vassoio anche per James, bussando un paio di volte alla sua porta.
Non sentendo risposta la aprì lievemente notando che era aperta, così si accinse ad entrare, lasciando il vassoio sul comodino, accanto al suo zaino.
 
- Ti ho portato la cena, ci sei?
 
Rimase in silenzio per altri secondi, poi diede un’occhiata in giro, per semplice curiosità, finchè non tornò alla borsa e sfilò un paio di quaderni rovinati, con gli angoli bruciati e sporchi di terra.
Li esaminò e aprì un paio di pagine, notando che aveva scritto delle date specifiche, nomi, posti che probabilmente aveva visto o dei quali aveva sentito parlare, e scarabocchi a penna senza alcun significato, tracciati talmente a fondo da aver bucato alcune pagine.
Si fermò quando sentì respirare alle proprie spalle, così si girò e vedendolo, fece cadere il quaderno dalle mani, che andò a finire miseramente a terra, a pagine aperte.
James la stava guardando, appoggiato allo stipite della porta che ora aveva spalancato, aveva la mascella così contratta che si potevano sentire i denti digrignare e, nonostante avesse le braccia incrociate, le nocche delle mani erano diventate bianche per lo sforzo di stringerle, mentre non staccava gli occhi da lei, che invece cercò di dire qualunque cosa per sfuggire da quella situazione.
 
- Scusami, la porta era aperta, e io..
- La porta era aperta, e questo ti ha dato il diritto di entrare in camera mia e frugare fra le mie cose?
 
Claire si premette contro il comodino in legno, appoggiando le mani dietro di sé per cercare una via di fuga che non avrebbe trovato mai, visto che lui stava occupando per larghezza tutta la porta, impedendole di uscire.
 
- Sono davvero mortificata, io..
- Ti dispiace, fammi indovinare.
 
Lo vide avvicinarsi a lei e intrappolarla contro il mobile, appoggiando le mani accanto alle sue, senza avere nessuna intenzione di sfiorarle.
 
- Odio chi tocca la mia roba. Vedi di non avvicinarti mai più.
 
Sottolineò quel ‘mia’ digrignando i denti per lo sforzo, probabilmente, di non aggiungere altro che potesse ferirla, e non sapeva se dicendole di non avvicinarsi mai più intendesse solo i quaderni o se si stava riferendo anche a lei.
 
- Non accadrà più, sono mortificata.
 
Girò appena il viso costringendosi a separare quel contatto, sentendo il suo respiro su di sé e avendo le labbra a pochi centimetri di distanza dalle proprie, si sentì tremendamente in imbarazzo.
Si diresse verso la porta e mentre stava per uscire si girò a guardarlo, che raccoglieva i quaderni e li metteva in ordine sopra il comodino, come se fossero stati la cosa più preziosa del mondo.
Infondo da quello che sapeva lei lui non aveva casa, famiglia, o amici che erano andati a soccorrerlo, era completamente solo.
Lui e i suoi quaderni spiegazzati.
 
- La cena è sul tavolo, se hai fame.
 
Mormorò e poi si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi contro di essa nel corridoio, portandosi una mano sugl’occhi e stringendo.
 
 
 
 
 ////STO SOFFRENDO.
 
 
 
 
   
 
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