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Autore: Marinaoceano    20/03/2016    3 recensioni
STORIA KLAROLINE AU - TUTTI UMANI – Nuovi personaggi – Diversa ambientazione
***
«…Si tratta della più ingente evasione di massa nella storia degli Stati Uniti d’America…» ci informò la voce fuori campo della conduttrice.
Guardai la nonna afferrare il telecomando e spegnere il vecchio televisore, che emise un suono acuto, squittendo.
« Moriremo tutti » commentò.

***
Raggiunto il lato opposto e solitario della strada, voltandomi appena, cercandolo per la prima volta, infine lo trovai: là dove lo avevo lasciato, immobile tra i bidoni lucenti; le braccia così aperte, tese a sforzarsi di raccogliere il gelo e la neve nell’aria. Le palpebre chiuse, chiarissime, il volto quasi cristianamente rivolto al cielo nuvoloso - Klaus (che nome strano!), assurdamente, inspiegabilmente, silenziosamente rideva.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Elijah, Klaus, Nuovo personaggio
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed ecco qui il terzo capitolo, appena in tempo! Presto scoprirete anche che... è molto più corto! Solo di cinquemila parole, invece delle solite ottomila. Chi ha detto che i capitoli devono essere tutti della stessa lunghezza? :) 
Ho deciso di spezzare le azioni. Perché amo tagliare le cose. E perché ho paura della noia. 

Grazie a chi ha recensito, apprezzato, letto e commentato su faccialibro il capitolo precedente. Spero che anche questo fratellino vi piaccia.

Buona lettura e buona domenica sera,
Marina.


 




3.

Il secondo fratello

(L’altra faccia di Giano)

 

[…]

È stato un sogno o tu sognavi me?
Eri tu la lepre ed io ero la volpe?
Ora la mia stupida barca sta accostando
Innamorati infelici (si sono) infranti suoi tuoi scogli
perché tu canti « non toccarmi, non toccarmi, ritorna domani »
Oh il mio cuore, oh il mio cuore rifugge dal dolore

[…]

 

Klaus era un pittore; per di più, un pittore realizzato - quindi, un artista: conoscendo intimamente la categoria, potevo benissimo credere che soffrisse di qualche sotto-genere di paranoia. Avevo sentito parlare di una certa sindrome a New York, diventata famosa negli ultimi anni, battezzata “disturbo evitante di personalità”: quella, o una delle diecimila altre ansie di cui gli artisti pretendono d’essere affetti, era probabilmente l’origine del suo comportamento schivo, riservato, indipendente. 

Continuando ad incedere lenta, rielaborai ogni singola occasione che si era infine trasformata in un incontro con lui: in spiaggia (solo nel parcheggio), tra i bidoni di una città deserta, lungo un sentiero sperduto ed ignoto ai più, in un polveroso, periferico appartamento foderato d’ombra. Avevo ormai raggiunto la libreria di Pilgram quando il volto di Klaus si sbiadì in quello di un altro uomo. Lo straniero.

L’intensità con cui mi aveva guardata appariva così astiosa da spingermi ad immaginare: un orecchio teso, accostato al legno brunito della porta, quindi una voce di donna; un uomo che si allontana furibondo per l’imprevisto ed attende che tale noia evapori nell’aria invernale. Un uomo - chi? Un cliente metropolitano spintosi sino alle gelide porte dell’oceano per i propri quadri? Un amico in visita, forse.  

« Caroline Forbes » chiamò d’un tratto una voce alle mie spalle. Intrappolata com’ero in quei pensieri, non riuscii a celare la sorpresa agli occhi di Pilgram, e proruppi in una colorita esclamazione. 

« Sei l’unica persona che, quando sembra tranquilla, ha sempre, al cento per cento delle probabilità, una guerra in atto dentro di sé » replicò il libraio.

« Sciocchezze » tossii. « Io non ho alcuna guerra in… »

Una macchina sfilò veloce: sobbalzai. « Cosa ci fai qui, comunque? Credevo avessi una libreria da mandare avanti! »

« Se tu sapessi mentire, Caroline, saresti una persona decisamente peggiore. Ti consiglio di non provarci mai » mormorò, iniziando a camminare. Mancavano circa duecento metri alla vetrina traslucida della libreria; procedendo, notai un ragazzino magro, in giaccone e sciarpa e scarponi, che tentava di scrostare il marciapiede dal nevischio ghiacciato prossimo all’ingresso. Mi ricordai di quando ero io a svolgere l’ingrato compito. 

« Si chiama Charlie Abbott » disse Pilgram. Si voltò e mi sorrise con goliardia. « Lavora molto meglio di te e per un prezzo inferiore ».

« Devi esserne davvero fiero, allora… »

« Ovviamente lo sono: grattare il ghiaccio è un’operazione alquanto biasimevole, ma guardalo! Non un lamento! » Il sorriso di Pilgram si dissolse così com’era venuto. « Purtroppo, Charlie odia di un odio feroce e per me incomprensibile la parola scritta. Ogni parola scritta, Caroline. Verso Natale ho tentato di regalargli alcuni fumetti - inestimabili, per giunta: li ho rinvenuti il giorno seguente nel bidone sul retro ». 

Quando entrammo, Charlie Abbott alzò la testa e ci salutò con una semplice occhiata; quindi si chinò e riprese a strofinare il marciapiede. C’era una rabbia avversa, un voler sconfiggere il glaciale nemico che io ero abbastanza certa di non aver mai posseduto. 

« Apprezzo che abbia avuto l’umanità di non stracciarli. A suo modo gentile, non credi? »

Nel negozio, legnosi scaffali traboccavano volumi dai titoli dorati; inspirai profumo secco e avvolgente. « Ecco » macerò Pilgram, sedendosi alla scrivania e facendo segno di accomodarmi « quello il ragazzino non lo fa mai ». 

« Prima Charlie ed ora il ragazzino. Se continui così inizierò a pensare che tu voglia riassumermi… »

« Buon dio, no ». Stiracchiò le mani ed appoggiò la schiena alla sedia, quindi mi guardò dritta negli occhi, in un modo che, un tempo, era stato capace di farmi paura. Ora percepivo una singola, leggera fitta nella parte bassa e periferica dello stomaco: ero propensa a giudicarlo un grande miglioramento. 

« È un interrogatorio? » 

« Non amo negare l’evidenza: potrebbe esserlo ». Tossì appena la tosse secca e affaticata dei vecchi. « Noto che hai dimenticato il cappotto, dolce Caroline… »

« Perché non avevo freddo. Siamo quasi in marzo… »

« Non ricordarmi lo scorrere del tempo, Caroline! »

Non sentivo alcun bisogno di raccontare a Pilgram di Sam Sornoby: appariva losco e sudicio, eppure lontano diecimila anni dal luogo in cui mi trovavo ora. Ricordai Klaus, per un momento, ciò che avevamo fatto, ed indugiai su un’idea precisa; perché mi sembrava di aver già esorcizzato paura e disgusto, quella verbale molestia, il sudiciume? 

« Pilgram, tu credi che una persona possa… »

« Mmm? »

« Che possa sinceramente aiutarne un’altra? »

« Mettiamo che ci siano due persone » iniziò lui dopo un attimo, « e che una sia più bisognosa d’aiuto dell’altra, e che quell’altra decida coscientemente di salvare per puro altruismo la compagna, e che tale compagna sia disposta a farsi aiutare; mettiamo che, in un mondo in cui ogni individuo ha almeno un problema, e quindi tutti gli individui hanno problemi contemporaneamente, una persona scelga di guardare al di là del e non solo il proprio… »

« Per altruismo? » 

Pilgram scosse la testa.

« Così lo percepisce l’aiutato, o la gente intorno a loro, o nessuno, in certi casi. Il vero motivo lo sa o lo immagina solo chi aiuta: egoismo, orgoglio, bisogno di trovare un senso alla vita che imbrogli, ai propri occhi, lo scorrere del tempo… riscatto personale, drammi irrisolti, prevaricazione sull’aiutato e, dunque, se è una donna, sull’altro sesso, mentre se è un uomo, su un suo simile, e viceversa. Quanti aiutano il prossimo celando fini d’inimmaginabile bassezza, Caroline? » 

La frase echeggiò nell’intera libreria. « Così è tutto molto più orribile » borbottai. « E indubbiamente squallido ».

« Non immaginavo certo che credessi nella pura bontà ».

Lo guardai un po’ persa. « Nutrivo una speranza per la gentilezza senza tornaconto… »

Pilgram sorrise. « Non volevo negarne l’esistenza. Bensì ammettere la certezza di una singola cosa. Per rispondere alla tua domanda: sì, una persona può aiutarne un’altra - ma non c’è mai niente di univocamente sincero in tutto questo ». 

« Capisco ». La stanchezza dell’intero giorno mi crollò addosso. Pilgram mi osservava dalla sedia, attento e cordiale. « Tu perché sei sempre così disposto ad aiutarmi? »

« Perché adoro i biasimevoli drammi che affliggono gli altri! …nonché, com’è ovvio, perché la tua compagnia mi rende gioviale invece che burbero, Caroline » disse. « Come vedi, persino io ho il mio personalissimo tornaconto ».

Sembrò che Pilgram, d’un tratto, stesse osservando la mancata convinzione che mi gravava. 

« Caroline, non credere che una persona abbia un tornaconto per una scelta oltremodo cosciente: chi ti ha aiutato, forse neppure sa perché ha sentito il bisogno di farlo ».

« Sciocchezze » liquidai, alzandomi in piedi. 

« Dunque è così… ah! » disse Pilgram. « Dovevo immaginarlo ».

« … »  

Pensai alla spiaggia e ad un uomo che aiuta una donna. « Devo andare a casa, adesso » decisi.

« Vuoi il mio cappotto? »

« E questo che genere di aiuto sarebbe? Esplicitare il tornaconto, per favore ».

« Tutta la città ti vedrebbe sfilare con il mio soprabito, taglia L, dagli inconfondibili bottoni rossi: ho sempre desiderato essere protagonista del pettegolo cicaleccio cittadino, come tu ben sai ».

La porta si aprì mentre ancora stavamo ridendo; il giovane Charlie Abbott entrò trascinando i piedi, il naso rubizzo. Si avvicinò sicuro, guardando soltanto Pilgram. « Ho vinto » proclamò, occhieggiando l’orologio appeso alla parete. « L’ingrasso è pulito e non sono ancora le quattro ».

Osservai Pilgram estrarre una banconota da dieci dollari dal taschino. « Per un pelo. Come da accordi, aggiungili al tuo regolare stipendio, piccolo Eracle ».

« Come mi ha chiamato? » 

Sorrisi. « Meglio non chiedere, se non desideri che ti venga regalato qualche libro sulla mitologia greca… » 

Charlie Abbott inorridì. 

« Per l’appunto » brontolò Pilgram, tornando a sedersi. « Del tutto incomprensibile ».

« Che cosa ti piace, Charlie? »

« Non i libri »

« Ma dai! » intervenne Pilgram.

« La musica ». 

« Un giovane Orfeo, dunque! »

« … »

« Che ha detto? » 

« Pilgram, gradiremmo entrambi che la smettessi ». Tornai a guardare Charlie che, nel mentre, aveva guadagnato qualche centimetro in direzione della porta. « Tuo padre è l’Abbott del negozio di dischi, giusto? »

Charlie arrossì. « Quello è mio nonno! » Parve soppesare un’informazione. « Tutti ne parlano perché pochi giorni fa ha subito un furto ». 

Pilgram alzò la testa da un vecchio volume che aveva iniziato ad esaminare. « Un furto? » 

« Al negozio di dischi. Un vinile… uno di quelli rari! » Charlie sembrò gonfiarsi: « Dicono sia stato uno dei galeotti in circolazione ».

« Sono felice che tu conosca una parola tanto ricercata, Charlie ». Ero arrivata al punto di non ritorno: odiavo con ogni fibra del mio essere l’argomento evasione

« Un vinile? Un galeotto? Che genere di musica? Forse dovrei aspettarmi che vengano a rubare anche qui… buon dio, la biografia di Charles Manson! » 

« Pilgram! Ti supplico… »

Ora Charlie Abbott appariva sinceramente confuso: potevo vedere come iniziava a sospettare una qualche forma di senile demenza nel libraio.

« Il mio è solo interesse, Caroline… dicevi, giovane Ermes? »

« … » 

« Ermes è il messaggero degli Dei e Pilgram ti sta prendendo in giro ».

« Dice? » domandò Charlie. Parve sul punto di scappare, ma qualcosa, probabilmente la buona educazione, gli inchiodava i piedi al pavimento. Pilgram andava matto per quel genere di giochi: capii che Charlie Abbott non sarebbe sopravvissuto facilmente - non senza leggere almeno un racconto… un racconto!

« Io devo proprio andare ». 

Il ragazzino si fece da parte, lasciandomi passare. Mi fermai alla porta  per salutare entrambi; fu allora che Charlie Abbott ammiccò compiaciuto e disse: « Un vinile di… Bruckley, mi pare, signore. Barkley… non l’ho mai ascoltato, ma mio nonno lo adora. Non si chiama così, però… »

Qualcosa si spezzò - forse la spina dorsale, perché rimasi paralizzata.

« Ah, vuoi dire Buckley! »

« Sì, signore » disse Charlie Abbott. Mi guardò di sottecchi. « Non esce, lei? »

Cercai di sorridere, ma non riuscii a farmi da parte.

« Tim Buckley? » continuò Pilgram. Guardai Charlie annuire deciso. « Deve essere stato un adulto a rubarlo… non c’è un ragazzo in tutta Peaceful che ascolti quel genere di musica, potrei giurarci! Forse qualche anziano affetto d’Alzheimer, il vecchio O’Brian, per esempio. L’estate scorsa si è portato a casa una trilogia erotica senza passare alla cassa… pazzesco, una trilogia! A novantadue anni! Ho sempre sospettato che  potesse essere stata pura e semplice vigliaccheria, a quell’età… non vorrei offenderti, Charlie, ma mi sembra che la teoria del galeotto, per quanto divertente e fantasiosa e teoricamente possibile, sia leggermente immaginifica. Se avessi l’accortezza di leggere Sherlock Holmes… Caroline, va tutto bene? »

Poco più tardi mi sarei accusata di aver smarrito la benché minima  traccia di capacità cognitiva in quell’improvviso frangente - ne avrei riso imbarazzata, anche, nell’accaldata corsa a rotta di collo verso l’appartamento numero otto di Concorde Road. Eppure, davanti ai quattro occhi che mi fissavano, fu impossibile non eruttare la sorpresa: 

« Mio dio ». M’aggrappai alla maniglia della porta, fredda come la neve caduta là fuori. « L’ho ascoltato poco fa a casa di… » 

Charlie Abbott spalancò la bocca. « Era l’unica copia! » esclamò. « Da chi l’ha ascoltata? Nessuno ha mai comprato quel disco, in città… era lì da anni e d’un tratto è sparito! Da chi… »

Pilgram si fece avanti. « Sei certa di quello che…? » 

Annuii velocemente. Lo stomaco mi pesava come se qualcuno vi avesse sparato dentro proiettili di piombo. 

« È di Peaceful? »

Abbassai lo sguardo sul pavimento. « No, no. Mi ha detto di essere qui per lavoro. Qualche settimana… il disco potrebbe essere suo; cielo, probabilmente lo è! » Sorrisi a Charlie, paonazzo in viso. « Capisci, Charlie: lo avrà portato da casa… è una semplice coincidenza, non avrei dovuto dirlo ».

« Ma potrebbe non essere così! Potrebbe averlo rubato! Dobbiamo controllare la copia… »

« No, ragazzo. Non così » intimò Pilgram, toccandogli una spalla. « Chi possiede quel disco non ha nessuna colpa. Giusto? »

« … »

Guardai la mano di Pilgram sulla spalla di Charlie.

« Giusto » accordò in fretta il ragazzino. « Ma se… E se… »

Mi affrettai a risolvere la matassa di fili che avevo ingarbugliato: scacciare un’idea dalla testa di un ragazzino mi sembrava, d’un tratto, più complesso che trovare l’uscita del più vasto tra i labirinti. 

« Ascoltami, Charlie. Facciamo così: non si può andare in giro ad accusare la gente di furto, quindi parlerò io con chi possiede quel disco. Subito, va bene? » gli sorrisi.

« Ma negherà! Anche uno stupido negherebbe… » 

« Mi farò prestare la sua copia, allora » dissi. « Te la porterò e potrai controllare se è quella scomparsa. Ma deve essere una cosa veloce, chiaro? Tuo nonno deve aver stilato alcuni registri… non ti sarà difficile controllare il codice ».

Charlie acconsentì; ancora sospettoso, agitato e palesemente pronto all’azione, sembrava però non sapere più che ribattere.

« Charlie rimarrà qui con me fino a sera, Caroline ».

« Cosa? No! » 

« Passa prima delle sei e andremo tutti a controllare ».

Annuii, più confusa che battagliera. Sentii la colpa abbassarsi come una spada sul mio collo; chissà di quale accusa mi avrebbe tacciata Klaus, se Charlie… no, Charlie non avrebbe detto nulla, sembrava assicurarmi l’espressione solida di Pilgram.

« Corro, allora. A dopo » salutai, uscendo nel gelo appuntito dell’esterno e sentendomi nuda. Udii la voce ovattata di Charlie: « E se il disco fosse quello del negozio? »

Mi allontanai senza neppure sapere che direzione prendere; temetti di scivolare sulla neve. Tutto mi era ostile e, sopra ogni cosa, gli occhi freddi della gente. Iniziai a correre in una Peaceful che sembrava un labirinto. Guarda cosa hai combinato, Caroline!, continuavo a ripetermi. Guarda!

 

*

 

Impiegai meno tempo di quello che avevo previsto e non sbagliai mai strada, nonostante l’ansia e il ricordo di Charlie Abbott; dove c’era sempre stato l’asfalto bagnato calpestavo voragini di sabbie mobili, e mine inesplose, e una terra fatiscente. Ma eccola là - Concorde Road; ecco la piccola porta ed il numero otto, cariato di ruggine. Impossibile stabilire se dentro vi fosse vita, tanta era l’alacrità nel celare e sbarrare. Disturbo evitante di personalità.

Abbozzai un sorriso nell’avvicinarmi e sistemai i capelli arruffati; rallentai, accorgendomi di avere la fronte umida di sudore. Mancava meno di un metro, la distanza di un braccio dal campanello. Fu allora che li udii:

« …una pazzia! »

« …e tu avresti qualcosa da suggerire? »

« Niklaus… se ti trova… »

« Smettila di parlarmi come se fossi uno dei tuoi stupidi sottoposti. Io so, io voglio, io pianifico…! »

M’immobilizzai. Non dovevo essere lì. Non dovevo stare lì. Guardai da una parte all’altra aspettandomi pericoli incombenti. Niklaus. Un pugno d’aria fuoriuscì dai miei polmoni. Risentii dunque le voci, piene e maschili e ruvide; pensai cosa fare - ci pensai almeno tre volte, ma ogni proposizione sbiadì mentre un urlo cresceva:

« Come ti permetti di dire a me…? Io che… se non fosse stato per… lui… » 

« Non ti basta? …deve pagare per quello che ha fatto, Elijah! »

Elijah. Lo straniero? Al ricordo fui percorsa da un brivido. Eppure mi sembrava di conoscere quel nome; avvicinai l’indice. Se avessi suonato il campanello sarei stata intonsa.

« Io voglio che mi trovi! » insisté l’unica voce che riconoscevo.

« E poi cosa? »

Una luce immaginaria mi rischiarò: Elijah, il fratello di Klaus, il giocatore di baseball, il maggiore! Me ne aveva parlato, certo che lo aveva fatto! Che sciocca a dimenticarlo. Era venuto in visita, dunque.

« Poi porterò a termine ciò che ho cominciato sette anni fa. Lui sa che sono qui… »

« Avrei dovuto capire perché volevi le chiavi della mia auto. Sai che mi hai reso complice di un crimine? L’hanno ritrovata sul fondo del… »

Riconobbi la risata di Klaus. Ormai non ero più padrona di me stessa - eppure qualcosa mi sibilava d’andarmene via. Il ricordo dello scalpitante Charlie Abbott, d’altro canto, tuonava. Dovevo rimanere lì e risolvere la questione, portarmi via il vinile prima che…

« Hai abbastanza soldi per corrompere, tacitare ed ammonire. E quei tuoi modi eleganti… »

« Ti sembra il caso di fare dello spirito? »

« Oh, perché no? Dopotutto me la sto passando bene. Niente più controlli periodici, orari da rispettare, braccialetti alle caviglie che suonano non appena metto piede fuori casa… »

« Hanno interrogato Finn e Kol. Abbiamo tutti negato di sapere, rischiando… »

« Per questo non dovresti essere qui, Elijah! Se ti avessero seguito, io… »

Mi guardai le mani, rosse e secche per il freddo, piegandomi appena.

« Violare i domiciliari, rischiare altri anni in galera per… »

« Avrei dovuto attendere che mi venisse a cercare a New York? »

« La polizia avrebbe potuto proteggerti… io avrei potuto! »

Qualcosa si ruppe fragorosamente, risuonando in piccoli suoni acuti; non ebbi il tempo di spaventarmi.

« La polizia avrebbe protetto anche lui da me! » Silenzio da entrambe le parti. « Mikael deve pagare, fratello. Qui, dove lei… lui lo sa! Ma è troppo codardo per venire, o almeno così inizio a credere ».

Inciampai retrocedendo sul marciapiede, scivolando a terra e battendo il sedere. Quindi una consapevolezza mi squarciò senza sangue, ricavando un’ansa ed una breccia - e quel sibilo basso che avevo dentro eruttò: Klaus, polizia, domiciliari, violare, anni di galera… scappa, Caroline! 

« Caroline, cosa stai facendo lì per terra? » urlò Matt Donovan, da una macchina immobile nella corsia sgombra. Aveva una voce allegra e tonante, cordiale. « Ti senti bene? Aspetta, vengo a… »

Udii il silenzio piombare nella casa, al di là della porta; un silenzio che era un taglio. Alzai gli occhi a Dio: il legno scomparve velocemente e, invece di Dio, mentre Matt Donovan si avvicinava a grandi passi, ecco comparire il volto pallido di Klaus.

Non disse nulla. Non dissi nulla. Io tremavo, lui no: sorpresa, incomprensione e dispetto si susseguirono nei suoi occhi, mentre stringeva la mascella. Assurdamente pensai di essere un danno collaterale: come se io stessa fossi diventata lui, il suo punto di vista, le sue ragioni.

« Cosa…? » 

« … »

Klaus si chinò e mi sollevò con praticità da sotto le ascelle, stringendomi le braccia.

« Lasciami andare! » gridai. La voce mi ricordò la carta vetrata, quando la si sfrega. 

Klaus strinse forte. Da sopra la sua spalla vidi apparire il volto del fratello, Elijah, che si fece subito da parte e scomparve.

« Caroline » disse Matt, ora al mio fianco. « Stai bene? » 

« Sono caduta… » iniziai, prima di Klaus. « Cioè… sono scivolata a terra e… »

Klaus mi fulminò come mai aveva fatto e incontrai crudeltà nei suoi occhi. Una rabbia che non provavo da anni mi bruciò le viscere, le mani, ogni terminazione nervosa.

« Mi fai male » ebbi il coraggio di dire. Vidi Matt guardare Klaus, l’incomprensione che si trasformava in monito. Dopo essere rimasto un attimo a sopracciglia alzate, Klaus mi buttò tra le braccia di Matt. Si voltò.

« Vieni, Caroline, andiamo. Ti porto a casa… » disse Matt. « Ma… il cappotto? » 

Mi strinse un braccio attorno alla schiena ed iniziò a camminare. Con gli occhi della mente, benché ci fossimo ormai voltati, vedevo ancora Klaus dietro di noi: tra le mani un bastone, i passi leggeri, il volto sicuro oltre quello spettrale, e in ombra, del fratello maggiore. 

« L’ho dimenticato ».

In pochi passi raggiungemmo facilmente la macchina. Matt mi aiutò a salire e mise in moto: accolsi il rombo del motore con un fremito. Partimmo piano.

« Allora, Caroline, è un po’ che non parliamo, io e te! »

Fissai una piccola foto che ritraeva Matt e Mandy sorridenti ai lati di un bambino in fasce, senza davvero vederla mentre fluttuava appesa nell’abitacolo. Il cuore mi pulsava in testa.

« … »

« Caroline? »

« Già, già… da Natale. Come sta…? »

« Marcus. Alla grande! Cresce così in fretta… »

Guardai lo specchietto al mio fianco, oltre il finestrino. Una macchina scura ci seguiva, spuntata da chissà dove.

« … »

« Vicky mi ha detto di aver visto tua nonna la settimana scorsa, da Patty&Sue’s… »

« … » 

« Conoscevi quel tipo? » 

Matt si voltò a guardarmi. Mi sentii perduta. Scossi la testa.

« Affatto ».

L’unica cosa che sapevo era che Klaus aveva mentito; e questo non volevo dirlo a Matt. Sarei andata a casa e avrei chiamato la polizia, dicendo che sospettavo che in città… Di colpo la macchina scura ci superò, sconfinando nell’altra corsia, al di là della striscia gialla. Matt bestemmiò, le mani ben salde sul volante, dunque si voltò a sorridermi. 

« Caroline, sei così pallida… »

Guardai la macchina accelerare come un bolide futuristico, sorpassare altre auto e sfrecciare, dissolvendosi in un’incrocio che era anche l’orizzonte. Era lui? Sentii una presa torcermi lo stomaco come un pugno che si apre e si chiude. Klaus stava scappando?

« Matt, riusciresti ad andare più veloce? » dissi. « Oppure potresti prestarmi il cellulare… ho dimenticato il mio al lavoro, insieme al cappotto e… ». Tacqui. « Puoi? »

« Certo ». Lo guardai frugare la tasca dei jeans per qualche secondo, infine battersi una mano sulla fronte. « Mi dispiace, ma devo averlo lasciato nel baule dietro. Vuoi che ci fermiamo? »

Osservai la strada davanti a noi, semi sgombra di auto; non mancavano che cinque minuti. Matt mi lanciava rapide occhiate, in attesa.

« C’è un telefono pubblico vicino a… dovremmo tornare indietro… ».

Scossi la testa. « No, no. Grazie lo stesso » dissi, deglutendo un macigno d’ansia. « Andiamo a casa ».

« Ormai non manca molto » mi sorrise Matt, sterzando in direzione della costa. « Ecco il faro. Ti ricordi quando ci siamo arrampicati…? »

Annuii mentre Matt raccontava; non riuscivo davvero ad ascoltarlo, né a sperare che non se ne accorgesse. Sentivo la testa pesante, i pensieri ronzanti ed inafferrabili come magri insetti notturni. 

Avrei dovuto provare pietà?

 

*

 

Abbandonai il calore dell’abitacolo: lungo la costa aveva preso a soffiare un vento freddo, che spingeva il mare in ritirata e ne appiattiva la superficie in piccole onde divergenti, contrarie rispetto alla marea che sarebbe presto risalita. La neve scricchiolò sotto i miei piedi, segno che era vecchia e dura.

« Sicura di voler scendere qui? »

Salutai Matt con la mano. La sua testa spuntava oltre il finestrino dell’auto.

« Sì, tranquillo. Più avanti non riusciresti a fare manovra… troppo ghiaccio. Non voglio dover chiamare un carro attrezzi ». 

Matt annuì, il motore ancora acceso e caldo. « Vado, mi si appannano i vetri. Spargi del sale » disse, dando un’occhiata all’asfalto lucente.

Aspettai che uscisse dalla via in retromarcia. L’ansia che avevo provato non si era ancora dissipata; sapevo di dover fare qualcosa.

La nonna era in casa: dalle due finestre della cucina si spandeva una luce. Durante il tragitto avevo progettato di non svelarle niente, ed evitare così la probabile crisi di nervi che sarebbe conseguita all’idea di aver ospitato un criminale in città per intere settimane, e nelle mutandine di sua nipote. Per prima cosa avrei avvertito la polizia, dunque Klaus - Niklaus sarebbe stato segnalato e… m’immobilizzai nel vialetto. Respirai a pieni polmoni.

Klaus aveva violato gli arresti domiciliari. L’avevo udito distintamente e non c’erano bugie che potessi inventare per proteggerlo. Non era vero niente.

Sentii la forza di volontà colmare i vuoti. Avrei collaborato con la Giustizia e quella, ora, mi appariva come la prima cosa vera in settimane: un obbiettivo.

A grandi falcate raggiunsi gli scalini e presto fui in veranda. Estrassi le chiavi ed aprii la porta.

« Nonna ». Il sottile atrio rettangolare era vuoto, illuminato da troppe luci; ne spensi la metà. « Nonna? » 

Camminai fino alla porta della cucina, socchiusa e in ombra; dallo spiraglio sfuggiva la lieve luminosità della stanza che celava. La spalancai con il palmo aperto. « Nonna, non possiamo permetterci di accendere così tante… »

« Eccoti, finalmente. Eccola, eccola, signor… come ha detto che si chiama? Oh, non importa, sono vecchia e non mi ricordo niente. Quest’uomo, tesoro… è di una casa editrice di New York! »

Sentii le ossa della gamba scricchiolare meccanicamente mentre il piede raggiungeva il pavimento della cucina. Poi tutto fu coperto dal frastuono che produsse mia nonna nello spostare la sedia, alzarsi da tavola e venirmi incontro. Disse qualcosa come « Vi lascio soli », quindi mi sorrise e, superandomi a fatica, lasciò la cucina. 

« Non ho intenzione di fare niente » chiarì subito l’uomo seduto all’altro capo del tavolo, senza alzarsi. « Respiri, Caroline ».

Mentre il cuore mi barcollava nel petto, urtando rumorosamente gli organi vicini, notai come la realtà si fosse accartocciata in se stessa; quel volto pallido, ora alla luce, mostrava le forme solide di un incubo.

« … »

« Respiri » ripeté il fratello di Klaus. Mi guardava con attenzione; indossava ancora l’abito elegante di pochi minuti prima.

« Cosa… ». Pensai di precipitarmi alle sue spalle, dove il telefono a muro occupava la parete tra il frigorifero ed il mobile dell’argenteria. 

« Si sieda ». 

« … ». 

Feci un passo indietro. Potevo fuggire dalla cucina, recuperare la nonna e scappare in macchina con lei; cercai le chiavi dell’auto e guardai il fratello di Klaus individuarle prima di me, sulla mensola vicina al lavello.

« Non lo ripeterò un’altra volta, Caroline. Si sieda ».

« Cosa ci fa qui » esclamai, in quella che avrebbe voluto essere una domanda. « Se ne vada o chiamo… »

« La polizia? Immagino lo avrebbe fatto in ogni caso. Non sarei venuto qui per parlarle, altrimenti. Al contrario, Caroline, io voglio parlarle » disse l’uomo in un pacato tono monocorde. 

« … »

« Allora? »

Udii mia nonna canticchiare al piano di sopra, camminando sulle assi scassate del pavimento. « Come si è permesso di venire qui e mentire spudoratamente ad una… »

Lo vidi estrarre dalla tasca interna della giacca un contenitore argentato. Sfilò un foglietto bianco che fece scivolare sul tavolo. Mi avvicinai.

M. Review, un indirizzo ed un numero telefonico, un nome, New York.

« Mi chiamo Elijah Mikaelson » disse. Il bigliettino appariva pretenziosamente costoso. « Una rivista non è una casa editrice, ma ho consegnato a sua nonna il medesimo biglietto e… ».

« Non dica una parola su mia nonna ».

« Certo ».

Guardando l’individuo da quella distanza, notai quanto in realtà apparisse poco a proprio agio; stonava in modo burlesco con le pareti smorte della cucina e l’arredo vecchio, sbiadito, che faceva risaltare la stoffa del soprabito. 

« Sono qui per il bene di Niklaus ».

« Il bene di Niklaus non è tra i miei interessi ».

« Lui sperava nel contrario ».

« Ha cinque minuti prima che chiami la polizia » sussurrai.

Elijah mi sorrise. Una parte di me registrò la pallida somiglianza con il fratello minore.

« Quello può tenerlo lei. Come garanzia ».

« Cosa mi dice che non si è portato anche…? Che non ci farà del male? »

« Immagino niente, Caroline. Ma, se posso permettermi, vorrei rassicurarla sul fatto che nessuno, in questa stanza ed al suo esterno, nutre la minima intenzione di fare a lei e a sua nonna alcun male ».

« … »

« Niklaus è in macchina. E, mi creda, è stato estremamente faticoso convincerlo a non seguirmi. I suoi modi sono più… chiassosi ».

La gola mi si strinse, mentre percepivo l’incombere di un vero e proprio attacco di panico. Chi era Niklaus in realtà? 

« Non siamo assassini, galeotti o quant’altro possa essersi immaginata ».

« Io non mi sono immaginata nulla ». Temevo che la nonna potesse tornare da un momento all’altro. « Io ho sentito ».

« Che cosa? » Il fratello di Klaus controllò l’orologio al proprio polso, dunque mi guardò con impazienza. « Lo dirò io, se non le dispiace. Mio fratello Niklaus ha violato i domiciliari settimane fa. La notte dell’evasione di massa a Boston, pochi minuti dopo aver appreso la notizia, è salito sulla mia auto e si è dato alla fuga. Mi ha riferito di averla incontrata la mattina successiva, appena arrivato in città ».

« … »

« La mente di Niklaus… »

« Non vorrà dirmi che è pazzo » proruppi.

L’uomo si fermò ancora ad osservarmi. Fui colta da un’ansia imbarazzata; mi domandai quanto gli avesse raccontato il fratello.

« Niklaus non è certamente pazzo, benché io creda che entrambi potremmo concordare sulla sua imprevedibilità ».

Mi allontanai dal tavolo. 

« Se è di questo che voleva parlarmi, può anche andarsene ».

Camminai sino ad una delle due piccole finestre quadrate. Non scorsi alcuna vettura al di là del vetro spesso, nel panorama ormai ombreggiato del tardo pomeriggio.

« Eravate voi » mormorai. « La macchina nera che ci ha superato ».

« Sì, certo ».

« Posso sapere dove è stata parcheggiata? »

« Prima della via, vicino alla strada principale ».

Mi voltai appena. Appoggiai le mani al lavello umido e metallico dietro di me.

« Non l’ho vista. Dovete averla nascosta bene ».

Elijah arretrò appena con la sedia, senza produrre frizione. 

« Posso continuare? »

Abbassai appena lo sguardo. Le luci della stanza, solitamente così calde e rassicuranti, splendevano più artificiali che mai. Tutto riluceva teatralmente e odorava di disagio - persino il mio corpo, ed il camino, che giaceva innaturalmente spento.

« Cosa si aspetta da me? »

« Solo che ascolti, Caroline. Dopo potrà decidere lei cosa fare, se è questo che le interessa chiarire ».

« … »

« Caroline? »

« D’accordo ».

« Posso alzarmi? » 

« No, preferisco che rimanga fermo; seduto. L’ascolto ». Una parte di me, al di là di ogni riserva ed incertezza, fremeva di curiosità; era ovvio quanto Elijah desiderasse distogliere il mio interesse dall’avvertire la polizia.

« Questo è nostro padre ». Il mio interlocutore aveva estratto una pagina di giornale dalla giacca. « La redazione del Times è stata così accorta da pubblicare le foto di tutti gli evasi. Ecco, guardi. Questo qui ».

« Cosa…? »

« Non ho molto tempo, Caroline. Vorrei che mi ascoltasse senza fare domande ».

« … »

« Nostro padre era rinchiuso nel carcere di Boston, fino a qualche settimana fa, con una condanna di dieci anni. So che Niklaus le ha riferito qualcosa a riguardo della sua condotta violenta ».

« Silenzio » dissi, sentendo mia nonna scendere le scale. « Così non funziona. Non voglio che lei ci senta… »

« … »

« Vada subito al dunque ». 

Elijah sbiancò. Allora udii la porta della cucina aprirsi, e capii che i rumori non erano stati prodotti da mia nonna. Arretrai nella stanza, in preda ad un panico solido. 

« Caroline » disse Klaus, gli occhi rossi e spiritati. 

Fu Elijah a parlare per primo. Si alzò in piedi e camminò sino al fratello, superandomi. « Cosa ci fai qui? Avevamo… »

Klaus alzò le mani. « Vai in macchina. Arrivo tra cinque minuti ».

« No ».

« Adesso, Elijah ».

Non appena capii che Elijah aveva ceduto, corsi al telefono. Digitai il numero della polizia senza guardarmi le spalle, e gemetti ad alta voce quando la mano di Klaus si posò sul ricevitore. 

Lo fissai atterrita quasi quanto lui, che non sembrava più arrabbiato come quando mi aveva scoperta ad origliare. Il suo volto era foderato d’ombra. 

« Non mi fido di te » esclamai. 

Klaus alzò gli occhi al cielo. « Caroline… »

« Non mi fido di te e voglio che tu te ne vada ».

Strinse il ricevitore tra le mani. « Non posso ».

« Aspetterò qualche ora prima di chiamare la polizia. Così potrai andartene. Nasconderti da qualche parte. Lo giuro ».

Abbassò la testa. « Perché sei tornata all’appartamento? »

« … »

« Caroline ».

Distolsi anch’io lo sguardo. « Fottiti, Klaus. Fottiti e basta ». 

« … »

Mi allontanai a grandi passi. A metà della cucina sentii le lacrime riempirmi gli occhi. « Vai fuori da casa mia! » gridai. « Fuori! »

Allora ebbi davvero paura di lui. Klaus mi arrivò addosso, le mani come uncini, e mi afferrò per le braccia. 

« Che stai facendo? » continuai.

« Sta zitta o ti ammazzo, Caroline. Prendo quel coltello e te lo pianto in gola. Lo giuro » sibilò. Inspirò forte la mia paura. Mi sembrò un pazzo, e allo stesso tempo vittima di un vicolo cieco. Non sentivo più nulla provenire dal mio corpo. Ci riduciamo a spiriti quando le emozioni sono troppo forti. « Giuro che ti ammazzo ».

« … »

« … »

« Non fare del male a mia nonna. Ti supplico… »

La bocca di Klaus si spalancò, ma non disse niente. 

« ...vattene ».

Strinse più forte la presa, poi gemette qualcosa e mi lasciò andare. Prima che potessi accorgermene le sue labbra raggiunsero le mie. Non sentii il sapore di quel bacio; mi divincolai ancor prima che divenisse tale, in verità.

« Vattene, Klaus ».

Era più bianco di quanto fosse mai stato, mentre mi guardava dall’alto. Sembrava sul punto di arrabbiarsi di nuovo, o di esplodere. Poi scosse la testa e si incamminò verso la porta, mentre io scivolavo a terra.

« Non volevo farti del male » sussurrò. « Sei un danno collaterale, Caroline… ».

Mi voltai. Klaus era sulla porta, le spalle curve e l’espressione scura. 

« I danni collaterali non si scopano » esclamai, smettendo di guardarlo. « Sei un bugiardo ». Mi asciugai gli occhi e riuscii ad alzarmi. Non volevo sembrargli più debole di quanto già non fossi stata in sua presenza. « Ed io non avevo bisogno di un bugiardo ».

« Capisco » disse dopo poco. Ero certa di averlo offeso e avevo voglia di vomitare, per quella che l’agente Kinney mi avrebbe svelato essere adrenalina. Klaus se ne andò prima che potessi pregarlo ancora. Guardai il telefono attaccato al muro, la cornetta dimenticata appesa al filo. Mia nonna canticchiò al piano di sopra e sentii il rombo di un’auto in lontananza. Quando digitai il numero della polizia ero certa di fare la cosa giusta. 

 

   
 
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