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Autore: Ladyriddle    26/03/2016    3 recensioni
Laurie Nott è fortunato nella vita, ma non in amore. Non che sia davvero importante: non ha mai creduto davvero nell'amore. Per dovere, però, deve sposarsi e generare un erede che prosegua la dinastia dei Nott, una delle ultime famiglie Purosangue d'Inghilterra.
Jo Burke è giovane, sveglia, intelligente e romantica con una vena affaristica che non guasta mai. Ha deciso di innamorarsi e di vivere un amore tormentato e poco convenzionale...
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abraxas Malfoy, Altro personaggio, Famiglia Nott, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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A Nuel
che è eccezionale in tutto ciò che fa.

 
Come tutte le vere storie d'amore, la nostra morirà con noi
 
 
“Le donne sono fatte per essere amate,
non per essere comprese”
Oscar Wilde

 
La festa era noiosa, più di quanto si fosse aspettato, ma Theodore aveva dovuto parteciparvi perché sarebbe stato scortese non presentarsi, e perché Abraxas aveva insistito, il che significava che l'aveva praticamente costretto.
     ‘Il caro Ab non si fa mai gli affari suoi’, pensò, guardando l'amico con la coda nell'occhio.
     Abraxas teneva le mani dietro la schiena e il petto in fuori, conversava con alcuni uomini dall'aspetto distinto e sembrava perfettamente a suo agio – era perfettamente a suo agio, si corresse mentalmente.
     Theodore sospirò, non amava né il sarcasmo né l'ironia e Abraxas Malfoy aveva fatto di entrambi il suo modus vivendi. Calibrava ironia, sarcasmo e sagacia in base all'interlocutore, in modo che nessuno si accorgesse di quanto amasse prendere per il culo la gente.
      Rivolse  un' occhiata distratta al soffitto da cui pendevano due enormi e schintillanti lampadari di cristallo, calcolando mentalmente quanto avrebbe dovuto rimanere per non sembrare sgarbato.. 
     “Avanti, Laurie,” lo spronò Abraxas avvicinandosi con un sorriso sottile come la sua linguaccia, “cerca di divertiti un po'. Ecco, manda giù” disse passandogli un bicchiere di idromele barricato. Theodore non avrebbe mai servito dell'idromele a una festa.
     “Ti servirà per sopportare quella strega di Walburga” continuò Abraxas incurante del suo disappunto, troppo concentrato a osservare la donna che, con le movenze aggraziate e passo calibrato, si avvicinava alla cognata, Druella, accorciando le distanze da dove si trovavano loro.
    “L'abbiamo scampata, per il momento” commentò Abraxas voltandosi nuovamente verso di lui con un sorriso sornione.
     Theodore sospirò pesantemente, trattenendosi dall'alzare gli occhi al cielo. “Non eravate amanti?” chiese, per nulla curioso in realtà. Il suo tono rimase asciutto mentre si bagnava le labbra con l'alcolico dal retrogusto dolce e, secondo i suoi standard, scadente.
     “Eravamo” confermò Abraxas con tono noncurante mentre intanto salutava con un lieve cenno del capo alcuni vecchi incartapecoriti dell'Alta Corte Magica. “Ma il caro Orion ci ha quasi scoperti quindi...” agitò elegantemente una mano come a dire che aveva ritenuto opportuno non correre altri rischi.
     “Di' piuttosto che ti eri stancato” puntualizzò Theodore, lasciando andare giù un altro sorso di quell'anonima bevanda. “È durata parecchio, però” commentò, più per dargli noia che per ficcare il naso. “Sicuro di non aver lasciato un ricordino al caro Orion?” chiese con tono appena più interessato, polemico, rammentando distrattamente che la donna avesse due figli.
      Walburga era ancora bellissima, eppure all'apice del suo declino. Quando si era sposata con il cugino, Orion, più basso di almeno una spanna e decisamente noioso, persino Theodore non era riuscito a stare lontano dai vari pettegolezzi. Ne aveva sentiti alcuni interessanti a proposito: uno, in particolare, sulla verginità dubbia della ragazza e sul conseguente matrimonio riparatore con un cugino pescato chissà dove. 
     Abraxas sorrise appena, strappandolo dai suoi pensieri. “Nessuno dei suoi figli è biondo” sussurrò, la voce appena udibile da sopra le note del valzer. “Pertanto non sono miei” garantì sicuro mentre un lampo gli passava negli occhi di un azzurro tanto chiaro da sembrare trasparente. Era come se avesse trovato divertente quell'insinuazione.
     “Come ben sai,” continuò Abraxas, “ho cominciato a vedermi con Walburga per essere un passo avanti al mio avversario. Per fregare un uomo devi portarti a letto sua moglie” sorrise, accentuando le piccole rughette ai lati degli occhi. “Non hai idea di quanto si apprenda tra le lenzuola” rivelò pratico, senza il minimo accenno d'ironia mentre sollevava il bicchiere in direzione di un gruppo di gentiluomini che ricambiarono il gesto con un piccolo cenno educato. “Una volta ottenuto ciò che desideravo non c'è stato più motivo di vederci.”
      Theodore sorrise accondiscendente, annuendo appena. “Dovresti pensare a trovarti una moglie che faccia da madre a tuo figlio” lo rimbeccò serio.
     Il sorriso di Abraxas si allargò ancora, meno sottile. “Lucius non ha bisogno di una madre che gli racconti le favolette. Ha me! A te, piuttosto, serve una moglie” lo rimbeccò finendo di bere, calcando appena quel te, ma evitando il tono strascicato che utilizzava di solito, segno che la sua non fosse una maligna osservazione, piuttosto una semplice constatazione.
      Era la verità, del resto, ma Theodore si accigliò, comunque infastidito da quell'affermazione. Aveva vissuto la propria vita come si confaceva al suo status sociale. Dopo il diploma si era divertito un po', girando il mondo e fatto esperienza, ma quando suo fratello maggiore aveva avuto la brillante idea di farsi ammazzare insieme a quella scipita di sua moglie dai seguaci di Grindelward, Theodore aveva preso il suo posto come erede dei Nott. Quando era stato il momento opportuno, aveva sposato la sorella minore della sua defunta cognata, in modo che il legame tra i Nott e i Crouch fosse rinsaldato da un nuovo matrimonio.
     Elisabeth, Beth, aveva tutte le caratteristiche necessarie per essere una buona moglie: era posata, equilibrata, poco invadente e silenziosa. Peccato che fosse di natura gracile e cagionevole, tanto che aveva avuto difficoltà a rimanere incinta. Non appena era arrivata la tanto attesa gravidanza, aveva dovuto passare i successivi mesi a letto.
     Theodore l'aveva sposata per dovere, ma era stato sinceramente addolorato quando Beth era morta di febbre puerperale tre giorni dopo un parto lungo e tanto sfiancante. La bambina, Lauriel, era nata piccola e gracile ed era mota tre settimane dopo la madre. Era una femmina ed era obbiettivamente inutile, ma l'aveva amata più di quanto avesse amato chiunque altro. Aveva ingoiato il dolore, chiudendolo insieme al corpo di sua figlia in una piccola bara, imparando a convivere col suo dolore. 
     Aveva rispettato il giusto periodo di lutto poi, come ci si aspettava che facesse, aveva cercato una nuova moglie. La millenaria discendenza dei Nott non si sarebbe arrestata con lui e, un anno dopo dall'inizio della ricerca, aveva sposato la secondogenita delle sorelle Rosier, Clarissa, fine, dal portamento elegante e di bell'aspetto. In seguito aveva pensato che neanche se si fosse messo d'impegno, avrebbe potuto fare scelta più sbagliata.
     Clarissa era bella come una rosa, di nobile famiglia Purosangue, di ottima educazione e reputazione, ma era noiosa più del sonno stesso, con una voce acuta e insopportabile. La cosa sarebbe anche stata trascurabile, del resto il matrimonio non era altro che una necessità, se non fosse stata sterile come un mulo. Erano stati sposati per quasi nove anni e, con sommo disgusto di entrambi, avevano continuato diligentemente ad assolvere ai doveri coniugali, senza alcun risultato. Era stato frustrante e umiliante per un uomo come lui: il suo onore gli impediva di ripudiare la moglie, anche se ne aveva necessità visto che gli anni passavano, ma l'idea di mettere al mondo un bastardo e legittimarlo in seguito lo atterriva.
     Alla fine, però, era stata Clarissa stessa a risolvere il problema facendosi strangolare da una delle piante magiche di sua cognata Elania. Un incidente che si sarebbe potuto evitare se Clarissa non avesse avuto il brutto vizio di curiosare in giro.
      Theodore non ne era rimasto sconvolto, piuttosto liberato, ma anche un po' infastidito per via di tutta la curiosità che si era mossa intorno alla cosa. Si era concesso un periodo di lutto persino maggiore, ma ormai era tempo di cominciare a cercare una nuova moglie e l'idea lo annoiava abbastanza. 
     Abraxas trovava divertente l'idea di trovare per lui la prossima Lady Nott, per questo l'aveva trascinato dai Gamp. “La figlia maggiore di Lady Gamp è in età da marito ed è una perfetta fattrice: fianchi larghi” aveva ammiccato con un tono allegro e complice, come se stesse elencando le maggiori virtù della dama, e forse ai suoi occhi era così, ma Theodore non riuscì lo stesso a evitare di arricciare le labbra per la mancanza di classe.
     La figlia maggiore dei Gamp, Cathlìn, aveva effettivamente dei fianchi larghi, da donna fertile. Forse troppo larghi, valutò Theodore, trattenendosi dal lanciare un'occhiata risentita ad Abraxas, sicuro di trovare sul suo viso un'espressione di sottile divertimento. Ovviamente, Abraxas non gli aveva accennato della sorella minore di Cathlìn, Eilìnor, di poco più giovane e sicuramente molto più graziosa. 
    Theodore fu certo che Oleandre Gamp avesse organizzato quella festa non solo per mettere a tacere le voci che la sua famiglia navigasse in cattive acque, ma anche e soprattutto per trovare marito per le sue figlie. A Theodore era bastato poco per capire che la situazione economica dei Gamp fosse più disastrosa di quanto dicessero quelle voci: la sala era sfarzosa, il cibo era buono così come gli alcolici, ma non erano i migliori.
     In compenso, Mrs. Gamp aveva invitato tutti gli scapoli della nobiltà Purosangue, ma anche tutti i ricchi parvenu dallo stato di sangue dubbio che avrebbero volentieri rinunciato a una corposa dote per poter avvicinarsi a una famiglia antica come i Gamp.
     Theodore arricciò il naso sentendosi incredibilmente offeso dalla loro presenza: era un insulto, per lui, respirare la stessa aria di certi individui. 
    Il padre di Theodore, Cantankerus Nott, appassionato di Genealogia Magica, aveva stilato una lista con i nomi delle ventotto famiglie senza neanche un goccio di sangue Babbano nelle vene. Il concetto di Purosangue l'avevano inventato i Nott, pensava Theodore con orgoglio, ed era convinto che le linee di sangue non andassero corrotte per nulla al mondo. 
     ‘Un Purosangue senza erede’ gli sussurrava una vocina maligna che somigliava pericolosamente a quella di Abraxas.
     Sospirò, osservando l'amico mentre salutava con un perfetto baciamano la signora Gamp che, intanto, guardava lui con un occhio calcolatore, degno delle sue origini da Burke.
      Theodore le si avvicinò, cortese, senza far intravvedere la noia e l'irritazione per quella messa in scena. Lasciò che la donna gli presentasse le figlie con intenti tanto palesi da irritarlo ulteriormente, ma sostenne comunque una buona conversazione e concesse un ballo, dopo aver avuto l'approvazione del padrone di casa, a Lady Oleandre e poi alle sue figlie, prima la maggiore e poi la minore.
      Era usanza che a sposarsi fossero prima le figlie maggiori e poi le altre di seguito, ma Theodore pensò che difficilmente Cathlìn sarebbe riuscita a maritarsi prima di Eilìnor.
      Eilìnor era graziosa: fisico slanciato e asciutto, lineamenti regolari e denti candidi e sembrava anche piuttosto sveglia: durante il valzer, non aveva cianciato d'inutili frivolezze, ma aveva semplicemente sorriso, gli occhi accesi da una moderata malizia, facendosi guidare da lui. 
     Theodore la ringraziò, regalandole qualche complimento generale, per poi congedarsi con un cenno rigido. Sentiva la necessità di un po' d'aria: quell'ambiente pieno di chiacchiere, musica e mani che si stringevano per pura forma e necessità gli rammentarono perché amava le sue tranquille serate al castello di famiglia, nel Devon.
    Il terrazzo era deliziosamente silenzioso. Era una notte limpida, ma senza stelle, nonostante fossero sul finire di giugno e i fiori emanavano un delicato odore dolciastro. Da lì, si sentiva la musica proveniente dal salone, anche se attutita appena, e la trovava decisamente più piacevole.
    Theodore si rigirò la pipa tra le dita, valutando ancora quanto sarebbe dovuto ancora rimanere per non risultare scortese, poi, un piccolo risolino lo riscosse dai suoi pensieri.
    Il terrazzo si allungava verso un'altra finestra non illuminata. Tende bianche sventolavano appena cullate dalla leggera brezza serale e, da sotto l'orlo, vide spuntare una scarpetta da camera. Per istinto, afferrò un lembo della tenda, strattonandolo con forza.
     Una bambina dai capelli scuri sobbalzò, spaventata, poi scattò, scappando via. La ragazza che le sedeva accanto cercò di alzarsi, forse per seguirla, ma inciampò nella stoffa della veste. 
   “Liesel, vieni qui!” La ragazza si alzò, rassettandosi la gonna con una mano, girò il volto guardandolo accigliata. “L'hai spaventata!” lo riprese con sguardo severo. “Non potevi fare più piano?”
     La pipa che Theodore teneva rischiò di cadere per lo sgomento, ma fu l'altra mano a lasciare la stoffa sottile della tenda che si richiuse alle sue spalle. Scavando nei ricordi, nessuna donna aveva mai usato un tono del genere nei suoi riguardi, e probabilmente nessun uomo l'aveva mai guardato in quel modo. Il fatto che lo facesse una ragazzina che poteva avere sì e no diciassette o diciotto anni al massimo, lo riempì di sdegno.
     “Signorina, non dovrebbe essere a letto a quest'ora?” le chiese con tono sufficiente e appena appena stizzito.
     La ragazzina sollevò un sopracciglio e poggiò le mani sui fianchi. “In teoria sto dormendo, in pratica ascolto la musica” rispose con un sorrisetto furbo. “Quindi? Non ci vedo nulla di male.”
     “Direi proprio di sì, invece” puntualizzò Theodore, perché puntualizzare era la cosa che gli riusciva meglio in assoluto.
     “Sei un gran guastafeste!” sbottò lei, sbuffando poco dopo.
    “Cosa?” Theodore si ritrovò a boccheggiare. Una ragazzina indisponente aveva dato a lui, Lord Theodore Nott, del guastafeste. Ma che razza di linguaggio! “Signoriella!” ribatté sprezzante, occhieggiandola e accorgendosi solo in quel momento che la ragazza indossava una vestaglia da giorno sulla camicia da notte candida. Per tutti i folletti, imprecò, sollevando lo sguardo imbarazzato e ripuntandolo sul volto della ragazza. Era giovane, ma pur sempre una donna e non era certamente appropriato.
    “Josephine!” Lady Oleandre comparve sotto lo stipite della porta con un'espressione corrucciata. Theodore si sentì imbarazzato per la situazione compromettente, ma ancora troppo indignato per via della lingua lunga di quella mocciosa arrogante.
    “Josephine, cosa ci fai qui? E dov'è Nené?” chiese la donna con voce impaziente e arrabbiata, poi si girò a guardarlo con un'espressione mortificata. “Lord Nott, le porgo le mie scuse. Questa scapestrata...”
     “Stavo solo ascoltando la musica!”
     “...di mia nipote!” La donna si rigirò verso la ragazzina, di scatto, come un serpente, osservando il nodo della vestaglia che sembrava potersi sciogliere da un momento all'altro. “Fa' silenzio!” intimò, facendole corrucciare le labbra e imbastendo un'occhiata ristentita verso Theodore, come se fosse tutta colpa sua se la zia la stava rimproverando.
    “Ti sembra il modo di farti vedere da un gentiluomo?!” sibilò la donna stizzita e imbarazzata, il rossore che le colorava il collo.
    La ragazza, sollevò le sopracciglia. “Veramente io stavo dietro la tenda” replicò tranquillissima. “Lui è venuto a curiosare!” precisò puntandogli un dito contro e l'indignazione di Theodore scattò come mai prima. 
    “Josephine!” Oleandre sembrava essere diventata del color del fuoco. “Non è questo il modo di rivolgersi a un Lord, domanda scusa” la sgridò, spalancando gli occhi quasi volesse incenerirla con lo sguardo.
     “No” protestò la ragazza, alzando il mento e incrociando le braccia al petto.
    “Nenè!” urlò la donna, la voce acuta, Theodore iniziava a sentirsi un po' di troppo, tuttavia rimase immobile, troppo sorpreso per quell'inaspettata scenetta domestica.
     Un lieve 'pop' e una piccola elfa si materializzò, prostrandosi in un inchino cerimonioso e ridicolo.
    “Perché non hai controllato la signorina Josephine?” le chiese Olenadre, sprezzante e vagamente minacciosa mentre l'elfa cominciava a tirarsi le orecchie.
    “Non è colpa sua!” la interruppe Josephine. “Ho messo un cuscino sotto le lenzuola” spiegò alla zia che diventava, se possibile, ancora più imbarazzata.
     Theodore pensò che Oleandre Gamp stesse immaginando che si fosse fatto una pessima impressione dei suoi metodi educativi, cosa vera, tra l'altro. 
     “In camera tua” la obbligò la donna. “E tu,” poi si rivolse all'elfa, “fa in modo che ci resti!” disse, poi si voltò verso di lui con l'aria di una che stava cercando di non morire dalla vergogna e dall'imbarazzo, cercando, con mille scuse, di salvare il salvabile. 
    Mentre Theodore rassicurava con tono annoiato la donna, Josephine si voltò guardandolo da sopra la spalla, sorridendogli aperta e un po' sfrontata.
    Theodore pensò che ne aveva abbastanza per quella sera e che se quella ragazzina fosse stata figlia sua, l'avrebbe rinchiusa in camera per un mese.

 
*

Jo si stava dedicando a una delle cose che più amava al mondo: lasciarsi pettirare i lunghi capelli castani dalla cugina minore, la piccola Liesel, la sua preferita.
     Liesel se ne stava seduta sul letto, sollevata sulle ginocchia. Allungava la mano lasciando correre le dita tra i suoi capelli per districare le ciocche e poi passava la spazzola. Si dedicava a elaborate acconciature con tanto di fiori, nastri e un'infinità di trecce per poi disfare il tutto e ricominciare dall'inizio. Jo non ne aveva a male: adorava farsi sistemare i capelli. 
    “Questo vestito non mi piace” si lamentò Eilìnor dopo un po', girando il busto a tre quarti per potersi ammirare allo specchio. Un broncio corrucciava le labbra piene, color malva, e una piccola linea le increspava la fronte altrimenti candida.
     Cathlìn alzò la testa dal fazzoletto che stava ricamando. “Ti sta benissimo, Eilìnor” le disse con voce gentile, lo sguardo appena malinconico, conscia, forse, che lei non sarebbe stata così graziosa con un abito del genere.
     Jo rivolse loro un'occhiata e pensò che le due cugine maggiori rappresentassero un perfetto cliché: Eilìnor era bella e antipatica; Cathlìn, col suo viso paffuto e i chili di troppo, era di certo meno attraente, ma di buon cuore e gentile.
     “Ti sta benissimo, tesoro” fece zia Oleandre mentre sistemava la gonna della figlia minore con un colpo di bacchetta. “Sei uno splendore” la lusingò con tono zuccheroso, mentre stringeva il corpetto fino a quasi spezzare il laccio.
    “Non è troppo scollato?” chiese Jo con voce acuta toccandosi la lunga treccia che Liesel le aveva acconciato.
      Sua zia si girò di scatto, guardandola severamente. “Fa silenzio, Josephine” la rimbeccò irritata, come se avesse detto una sciocchezza.
      Non è una schiocchezza, pensò Jo che da lì riusciva a vedere chiaramente il solco dei seni di Eilìnor. Strinse le labbra e il naso, come succedeva quando la chiamavano col nome di battesimo. Non le piaceva il nome Josephine perché le sembrava più appropriato per una vecchia rugosa; preferiva Jo o Joey o Genevieve che però non aveva nulla a che fare col suo nome, quindi doveva optare necessariamente per una delle prime opzioni.
Decise di sorvolare, per una volta, perché sua zia era ancora adirata con lei per la figuraccia che le aveva fatto fare alla festa. Ignorò la discussione e piegò la testa all'indietro in modo che sua cugina più piccola potesse scioglierle l'acconciatura e rifarne un'altra daccapo mentre sua zia cianciava sul pic-nic che aveva organizzato per la domenica successiva.
    “Jo, tu te ne starai buona con Liesel e Nick” la informò spostando lo sguardo sull'ultimo dei suoi figli, il piccolo Nicolas, di soli tre anni, che giocava placidamente sul tappeto.
    “Farò la brava” promise con voce lamentosa, trattenendosi dall'alzare gli occhi al cielo solo perché era certa che altrimenti avrebbe fatta arrabbiare la zia ancora di più. “Anzi, non farò proprio niente” sussurrò, facendo sghignazzare Liesel che invece l'aveva sentita benissimo.
   Sua zia stava parlando di quel pic-nic da giorni, solo perché aveva invitato alcuni gentiluomini con la speranza che uno di loro sposasse Cathlìn o Eilìnor.
     Un tempo, sua zia Oleandre non era così. Jo la ricordava più sorridente e rilassata, ma la preoccupazione di avere quattro figli di cui tre femmine in età da marito e poi lei, ovviamente, l'avevano resa nervosa e perennemente agitata: c'erano troppe bocche da sfamare per loro che cercavano di mantenere uno stile di vita che non potevano più permettersi.
Un buon matrimonio era ciò di cui avevano bisogno, continuava a ripetere guardando Eilìnor piena di speranza, certa che sarebbe stata lei la prima a maritarsi.
    “Non voglio indossare questo vestito” si lamentò Eilìnor sbuffando. “Non slancia la mia figura e il colore è così tetro.”
     Jo sorrise alla superficialità della cugina senza commentare, mentre Liesel guardava il vestito della sorella con grande desiderio. “Forse basterebbe una bella fascia” suggerì la bambina entusiasta.
    Eilìnor la ignorò. “Vi prego, madre, non possiamo ordinarne uno nuovo?” le chiese la ragazza con voce lamentosa. 
     Sua madre strinse le labbra, incerta, poi sorrise. “Sì, ma certo, cara” le disse accarezzandole i capelli. “Uno per te e uno per Cathlìn. Oh, Cathlìn, smettila di ingozzarti, altrimenti non ci sarà bustino che regga” disse, facendo arricciare le dita della figlia che si erano allungate per prendere un biscotto allo zenzero.
    “Dovete essere perfette, domani” ricordò loro Lady Oleandre, guardando entrambe con ansia. “Ho invitato i migliori partiti d'Inghilterra, non sarebbe fantastico se uno di loro,” continuò mentre Cathlìn arrossiva imbarazzata, “dovesse piacervi e cominciasse a corteggiarvi?” chiese allargando il sorriso.
    “Ci sarà anche Lord Nott” continuò, intenta a sistemare i capelli di Eilìnor, proponendole una pettinatura alta. “Mi è sembrato molto interessato a te” le confidò complice mentre la ragazza sorrideva graziosamente, fingendosi imbarazzata.
     “Oh, mamma! Abbiamo solo danzato una volta” specificò con voce leggermente acuta, spalancando i grandi occhi in modo innocente.
    Jo si morse le labbra girandosi verso Liesel che arricciò il naso e nascose il viso sottile dietro una mano, per poi cominciare a ridere piano.
    “Non ti staccava gli occhi da dosso” assicurò Lady Oleandre, raggiante, poggiandole le mani sui fianchi in modo che si potesse ammirare di lato allo specchio.
     Eilìnor si scostò dopo una breve occhiata. “È un bell'uomo” ammise. “Anche se trovo più affascinante Lord Malfoy” disse guardando la sorella maggiore che ridacchiò a sua volta.
      “Sì, è vero” concordò Cathlìn facendo agitare la mano della madre in un gesto secco e scocciato.
    “Non dite sciocchezze!” alzò appena la voce, riprendendole entrambe. “Lord Malfoy non ha intenzione di risposarsi: ha già un erede!”
      Jo strinse le labbra, interessata all'argomento per via del cognome. “Lord Malfoy? Per caso suo figlio è Lucius?” chiese, rammentando il ragazzo biondo, di poco più giovane di lei, che faceva parte della Casa dei Serpeverde.
     “Sì, mi sembra che si chiami così” rispose Lady Oleandre con aria pensierosa. “Sicuramente” assicurò poi, osservando le figlie delusa, quasi stesse pensando che fosse un peccato che fossero troppo grandi per il figlio di Abraxas Malfoy. Guardò la piccola Liesel, di nove anni, sorridendo appena e Jo pensò che sua zia stesse valutando che, quando il figlio di Malfoy avrebbe deciso di sposarsi, probabilmente Liesel avrebbe avuto l'età giusta; del resto, gli uomini di buona famiglia aspettavano qualche anno prima di convolare a giuste nozze.
     “Quindi,” la voce di sua zia la richiamò alla realtà, “sarebbe sciocco non valutare Theodore Nott come pretendente. Non c'è di meglio!”
     Jo non riuscì proprio a trattenersi. “Ma è vecchio!” commentò, rammentando l'uomo che una decina di giorni prima l'aveva sorpresa dietro la tenda mentre ascoltava la musica con la piccola Liesel. Era alto e prestante, con i capelli e gli occhi scuri ed elegantemente vestito, più vicino d'età a sua zia che alle sue figlie.
    “Theodore Nott è uno degli uomini più ricchi d'Inghilterra” replicò sua zia sprezzante, come a dire che sottigliezze anagrafiche erano del tutto inutili dinanzi a un consistente patrimonio di un uomo di nobilissima famiglia Purosangue.
“… dicono che la sua famiglia abbia una collezione di gioielli incredibili” concluse la zia sedendosi elegantemente su una poltrona mentre Nené, l'antica elfa domestica della casa, serviva il the in tazze di sottile porcellana.
      Jo raddrizzò subito le spalle, richiamata da quella notizia. “Questo mi sembra un buon motivo per sposarlo” ammise convinta e più seria, facendo ridere le cugine.
     “Josephine!” la rimbeccò la zia arricciando le labbra al bordo della tazza.
       Jo sollevò gli occhi al soffitto sbuffando in silenzio. Osservò distrattamente gli affreschi delicati, pensando che se sua zia poteva dire che un uomo era un buon partito per via del suo patrimonio, lei poteva dire che l'unica cosa buona di un patrimonio erano i gioielli. Tutte le donne amavano i gioielli e quelle che affermavano il contrario era semplicemente bugiarde.
     Ecco, Jo, per esempio, avrebbe voluto essere povera, magari dormire sotto un ponte, ma avrebbe voluto tanti gioielli preziosi, scintillanti e importanti.
     'Ah! Sono piena di contraddizioni' rifletté mentre sua zia cominciava a tessere le lodi dei Nott fino alla terzultima generazione o forse prima ancora. Bah!
    Jo rispettava sua zia Oleandre: era una donna forte e decisa e a lei piacevano le persone che sapevano esattamente ciò che volevano.
Oleandre era nata Burke, Purosangue, ma di estrazione borghese, era riuscita a contrarre un matrimonio migliore delle iniziali aspettative. Da qualche anno, però, se la passavano un po' male, complice la crisi economica e l'inflazione o qualcosa del genere, comunque, erano sempre stata una famiglia abbiente e Oleandre aveva vissuto nel lusso, e quella situazione doveva terrorizzarla.
Jo, invece, conosceva bene cosa significava andare in bassa fortuna. Suo padre, infatti, quando gli affari erano cominciati ad andare male, aveva veduto il negozio al socio, Sinister, così come la casa e la collezione di artefatti magici. Aveva pagato i debiti, accumulato una dignitosa dote per l'unica figlia, poi, semplicemente aveva deciso che quella vita non era più sua e si era suicidato.
     Quando suo padre era morto, Jo aveva visto gli uomini svuotare quello che restava della sua casa – e Jo aveva sempre amato le cose, gli oggetti –mentre la zia la guidava fuori tenendola per mano. Era poco più piccola di Liesel quando era accaduto, aveva circa otto anni e ricordava esattamente l'odore dell'inverno che arrivava mentre, trasportata da una carrozza, era stata catapultata in Casa Gamp, sfarzosa e luminosa, piena di rumore e risate e così, nonostante il dolore fosse sottile ma presente, aveva conosciuto la felicità: aveva avuto due compagne di giochi, Cathlìn soprattutto, a cui era più vicina, e poi era arrivata Liesel e il suo piccolo, adorato, Nicolas.
     Sua zia l'aveva trattata come una figlia, anche se era stata un po' severa con lei, ma Jo non poteva darle torto: sapeva di avere un carattere difficile. Era una ribelle e quel mondo di merletti e tazze da the non faceva per lei, non ancora per lo meno. Le dispiaceva andare contro la zia, ma lei avrebbe vissuto la sua vita come voleva. Non si sarebbe sposata giovane, come la zia desiderava per le sue figlie, ma lo avrebbe fatto solo dopo  aver preso la sua dote per spenderla in giro il mondo. Si sarebbe maritata con un affascinante artista di strada senza mezzi, ma almeno sarebbero stati drammaticamente felici, proprio come in una delle storie d'amore che amava tanto leggere.

Sua zia si girò verso di lei e le sorrise, con un tono più dolce di quanto non avesse fatto quel giorno. “Stai molto bene così, Josephine” le disse, allungando una mano per accarezzarle i capelli folti e castani.
     Liesel gorgogliò soddisfatta. “Le ho messo un nastro blu perché lei è una Corvonero!” spiegò con voce sottile e squillante, mentre Jo allungava le braccia e l'afferrava per la vita, facendole il solletico.
Sì, lei era una Corvonero, anche se non sapeva esattamente cosa ci facesse a Corvonero dato che era particolarmente svogliata nello studio.
In verità, quando era stata smistata, aveva mandato in crisi il Cappello Parlante, c'aveva pure discusso, dapprima chiedendogli se ci fosse della forfora nella stoffa, poi brontolando per la lentezza con cui prendeva quella decisione. Cioè, quanto tempo ci voleva? Alla fine le opzioni erano solo quattro.
  “È che avrei fame” gli aveva detto mentre sentiva che la Sala Grande stava cominciando a dare segni di irrequietezza.
      La voce antica e leggermente incollerita del Cappello Parlante le aveva sussurrato all'orecchio: “Sono molto indeciso. Sepeverde? Sei una Purosangue, ambiziosa e furba, però sei anche testarda, molto, forse Grifondoro. Di sicuro non Tassorosso o forse sì… sei creativa, dopotutto, anche se non c'è un forte spirito di condivisione in te, al momento.”
    A quel punto, Jo si era offesa e aveva suggerito al Cappello il pensionamento immediato poi avevano cominciato a battibeccare.
    “Senta, ma le segrete sono umide?” gli aveva chiesto, quando lui si era quasi deciso a mandarla a Serpeverde e lei, che aveva sentito dire che la Sala Comune era nelle segrete, voleva dei chiarimenti prima di accordargli la scelta.
     “Cosa vuoi che ne sappia io” aveva risposto quello, piccato.
   “No perché se sono umide non voglio andarci. Non voglio i reumatismi prima dei vent'anni!” aveva sussurrato stizzita mentre si sentiva accaldata. “E non voglio andare neanche a Grifondoro, credo sia troppo maschile come casa, che ne pensa di Tassorosso? I Tassorosso sono cordiali. Non importa che io non lo sia, è importante che lo siano loro con me” aveva risposto sorniona mentre il Cappello Parlante le faceva presente che era un ragionamento molto Serpeverde.
Alla fine, Jo aveva concesso di essere smistata a Corvonero, pensando che il blu sarebbe andato bene con i suoi capelli biondi, anche se il Cappello Parlante le aveva fatto presente che non lei non aveva i capelli biondi.
Buah! Dettagli, e poi Jo era sicurissima di vedere dei riflessi dorati tra le ciocche scure, almeno fino a qualche anno prima, quando, aveva dovuto ammettere almeno a se stessa che i suoi capelli erano castani e basta.
Tanto le bionde erano noiose!
Comunque, lei era una Corvonero e forse era la scelta giusta o forse no, ma la verità era che dalla Torre della Sala Comune lei riusciva a vedere le stelle e da lì poteva fantasticare su tutto quello che avrebbe voluto essere, e su tutto ciò che desiderava tanto fare.


 
*

Luglio era appena cominciato, il sole era alto nel cielo, di un colore giallo pallido che non faceva neppure caldo. Jo era seduta sullo sgabello lucido e nero, le mani si muovevano con grazia sui tasti del piano che sua zia aveva fatto spostare in giardino proprio quella mattina, per il pic–nic.
     Jo adorava suonare il piano, quasi quanto leggere, dipingere, pettinarsi i capelli e scegliere bei vestiti. Aveva imparato a quattro anni e non aveva mai smesso: amava la musica, gli spartiti, la sensazione di creare qualcosa e di allietare.
    Tutt'attorno, sparsi per il rigoglioso giardino, mentre le farfalle volavano pigre di fiore in fiore, c'era un brusio di gente disposta attorno ai tavolini in ferro battuto, distesa sui soffici tessuti orientali disposti sapientemente sull'erba appena tagliata.
     Jo suonava per intrattenere gli ospiti, lo faceva perché zia Oleandre le aveva promesso il libro di novelle che desiderava. Jo aveva dato lustro alla sua natura da contrattatrice strappandole due libri e un fermaglio nuovo.
Mentre un sorriso le si apriva in volto e le spalle si rilassavano al ritmo della musica, si guardò intorno: Eilìnor era seduta sul bordo di una sedia, le gambe avvicinate l'una all'altra, non accavallate perché non era signorile. Era accerchiata da amiche che nascondevano il sorriso e le chiacchiere dietro i ventagli che però non nascondevano le occhiate maliziose.
     Ammirò il vestito leggero della cugina: ne aveva scelto uno con pizzo e ricami sul corpetto ed era davvero bella ed elegante. Cathlìn, invece, chiacchierava distesa sull'erba con un ragazzo panciuto dal sorriso ampio che sembrava avere un buon carattere. Se ne rallegrò moltissimo e pensò che quella fosse davvero una bella giornata.
    Dopo il leggero pranzo, alcuni ospiti si erano adagiati pigramente all'ombra degli alberi, altri avevano iniziato a giocare a Gobbiglie, altri anora passeggiavano e chiacchieravano amabilmente di politica –  poteva cogliere pezzi di qualche discorso se si concentrava bene. Smise di suonare perché ormai nessuno le prestava più attenzione e poi le facevano male le dita – due libri e un fermaglio nuovo non valevano un'artrosi– e decise di nascondersi da Liesel, così, per gioco.
   
 Da dietro la corteccia di un grande albero, osservò sua cugina cercarla tra gli invitati, sorrise divertita, pensando che di lì a poco sarebbe uscita e l'avrebbe rincorsa, solo per sentirla ridere forte, anche se forse non era il caso perché forse sua zia l'avrebbe uccisa. Stava ancora decidendo quando una voce aspra la fece sobbalzare.
     “Quindi è proprio sua abitudine nascondersi, signorina… Gamp?”
   Jo sollevò le sopracciglia, trovando la gallina dalle uova d'oro davanti a sé. “Burke” lo corresse, accigliandosi. “Ed è sua abitudine sorprendere così le persone, Signor Nott?” chiese altezzosa. Quell'uomo era davvero irritante!
     “Sì, una delle mie tante attrattive” rispose lui con un sorriso freddo, annoiato.
      Jo lanciò un'occhiata veloce verso sua zia Oleandre, intenta a intrattenere una fitta conversazione con lady Rosier e sua figlia, pensò che fosse strano che l'uomo fosse riuscito a scappare dalle sue grinfie, allora lo guardò in volto ridendo, di petto e divertita.
   “Scommetto che anche lei si sta nascondendo da mia zia, signor Nott” fece, osservando l'uomo mentre sollevava le sopracciglia, leggermente stupito.
     Lord Norr sorrise – cioè, strirò appena le labbra in un mezzo sorrisetto. “Forse” concesse appena, con sufficienza. “O forse mi nascondo da un amico troppo protettivo” schioccò le labbra e a Jo sembrò quasi che stesse ironizzando.
     “Allora, con tutte queste persone da cui vuole scappare, dovrebbe nascondersi meglio, signor Nott” propose, sorridendogli candidamente portandosi le mani dietro la schiena, lasciando sventolare il vestito. “Le faccio da guida” propose camminandogli davanti, voltandosi, quando si accorse che l'uomo non la stava seguendo. “Allora, non viene?”

 
Theodore stava osservando Josephine incuriosito. La ragazza non era particolarmente bella, anzi, in realtà era piuttosto anonima: sottile, capelli castani, occhi nocciola e furbi, non veramente graziosa, ma neanche sgradevole, normale. Aveva un caratterino che a tratti lo irritava e a tratti lo divertiva: non era semplicemente allegra o vivace, sembrava razionale e allo stesso tempo completamente sulle nuvole. Doveva avere un'idea molto precisa di quelle che dovevano essere le buone maniere, ma sembrava ignorarle, quasi come se fosse al di sopra dell'etichetta.
    “Allora, posso chiamarti Theodore?” chiese la ragazza a un certo punto, spiazzandolo totalmente.
     “Assolutamente no!” le disse aspramente, accigliandosi appena.
   “Ma siamo quasi parenti” replicò Josephine saltando agilmente su una radice sporgente, cercando di rimanere in bilico senza tenersi alla corteccia. “Vuoi sposare una delle mie cugine, no?” chiese furba e divertita. Ma che sfacciata!
     “Queste sono cose di cui non parlerei a una ragazzina” rispose l'uomo con gelida lentezza.
    Josephine ridacchiò, saltò dalla corteccia per poi chinarsi sulle ginocchia, ignorandolo completamente e cominciando a cogliere alcuni piccoli fiori bianchi. “Io non sono una ragazzina” rispose placida dopo un po', “comunque, se posso permettermi, ti consiglio Cathlìn.”
    Theodore ingoiò una mezza risata incredula, e il tono arrogante con cui stava per sgridarla per tanta confidenza. “Ma davvero?” chiese invece improvvisamente interessato, quasi come se stesse davvero prendendo in considerazione le sue parole.
     “Sì” annuì seria. “Non perché non voglia bene a Eilìnor, anche se è un pochino irritante a volte, ma penso che non andreste d'accordo. Eilìnor ha bisogno di qualcuno che l'adori e tu mi sembri un pochino...” Josephine lo guardò quasi a valutarlo. “Rigidino e concentrato su te stesso, pertanto non la faresti felice se non inizialmente” spiegò non lasciandogli il tempo di interromperla. “Cathlìn, invece, è più tranquilla e non ha bisogno di tante attenzioni perché ha degli interessi tutti suoi. Lei dipinge su porcellana e ricama, è davvero molto dotata” ciarlò continuando a cogliere fiori, il mazzolino tra le sue mani cresceva e le dita sottili della ragazza sistemavano i rametti in modo che prendesse forma.
    “Comunque,” continuò scrutandolo con sufficienza, “a Eilìnor piacciono le rose, rosse, ovviamente” sbuffò, molto poco elegantemente, strabuzzando gli occhi. "Cathìn preferisce i gigli. Sì, sono un po' scontate.”
     Theodore sollevò le sopracciglia, sentendosi stranamente divertito. “E lei, Miss Burke, cosa preferisce?”.
    Jo sorrise, mostrandogli il mazzolino, si alzò scrollando appena il vestito chiaro. “Fiori di campo. Crescono spontaneamente, sono belli, colorati e profumano” disse, come se fosse ovvio che a lei non potesse piacere qualcosa di scontato e banale, ma che anche in quello dovesse andare controcorrente, pur restando logica, a modo suo, ovvio.
    “Io non mi sposerò” gli disse ad un certo punto, sedendosi sull'erba. Indossava un vestito da giorno, plissettato e bianco ed era ovvio che si sarebbe sporcata tutta, ma la ragazza non se ne curò. “A che serve la magia?” chiese alzando appena gli occhi al cielo quando lui glielo fece notare. 
     Theodore la ignorò. Poggiò la spalla contro il tronco dell'albero e la osservò interessato. “Non ti sposerai?” chiese vagamente ironico.
     “No, cioè, sì: mi sposerò, ma non adesso” rispose Jo, cominciando a districare i fiori che aveva stretto in un mazzolino. “Tra molti anni, dopo che avrò fatto tutto quello che voglio.”
     Cosa mai poteva desiderare una ragazza come quella, si chiese Theodore curioso. “Ovvero, Miss Burke?” non si impedì di domandarle.
     Josephine sorrise, come se avesse sperato che le facesse una domanda del genere. “Io diventerò una pianista e girerò il mondo. Ho intenzione di andare in Australia e in Marocco, e voglio salire su un cammello. Poi ho intenzione di diventare ricca” disse, con un tono così convinto che Theodore scoppiò in una risata piena e divertita. “È vero!” protestò Josephine. “Ho già un piano” gli disse altezzosa attendendo che l'uomo smettesse di ridacchiare.
     Theodore tirò fuori la pipa, e strinse i denti sul bocchino  prima di accenderla. “Sentiamo” la spronò ironico, ma curioso allo stesso tempo.
   Jo sollevò il mento. “Investirò i miei guadagni musicali nella cosmesi” gli disse piano continuando a sistemare i fiori in piccoli mucchietti.
     “La cosmesi?” ripeté incredulo.
    “Certo. La cosmesi” confermò Josephine noncurante, senza guardarlo. “Gli uomini fanno gli investimenti, ma sono le donne che fanno girare l'economia della casa, quindi la grande economia gira con noi” spiegò convinta. “E noi siamo ossessionate dal mito della bellezza e dell'eterna giovinezza per cui… cosmesi o merletto. Il merletto è molto costoso.”
Theodore schiuse le labbra, convinto che al mondo non ci fosse donna più bizzarra di Josephine Burke.

 
 *
 
Quando stai per vivere il giorno più bello della tua vita non sai che sarà il più bello. Non finché lo diventa. Non riconosci il giorno più bello della tua vita finché non lo vivi. Il giorno in cui ti impegni in qualcosa, o con qualcuno. Il giorno in cui ti si spezza il cuore. Il giorno in cui incontri la tua anima gemella, il giorno in cui ti rendi conto che il tempo non basta, perché vorresti vivere per sempre.
Quelli sono i giorni più belli, i giorni perfetti.
 
L'autunno era appena iniziato e il sole ancora non voleva saperne di nascondersi tra le nubi, il clima era rimasto mite proprio come l'estate appena trascorsa. Theodore stava passeggiando per il centro di Hogsmeade, teneva le mani in tasca, aveva lo sguardo curioso mentre osservava gli studenti correre lungo la stradina magica. Ai suoi tempi non ci si comportava certo in quel modo, pensò arricciando appena il naso in una smorfia contrariata.
Continuò a passeggiare, scansando un ragazzino smilzo che per poco non gli andò addosso. Aveva chiesto al vecchio Horace quando ci sarebbe stata la prima gita annuale e gli aveva dato appuntamento per un the informale. Si era poi congedato presto, concentrandosi sul vero motivo di quella visita.
     Aveva trovato la ragazza, Josephine, intenta a guardare la vetrina di un negozio d'abbigliamento con un paio di amiche. Indossava un abito verde con le maniche leggermente a sbuffo e la gonna le scendeva a campana fino alle caviglie, teneva i capelli castani legati in una folta treccia e rideva allegramente, come se non avesse nessun problema al mondo.
   “Buon pomeriggio, Miss Burke” la salutò gentilmente, inclinandosi di poco vicino al suo orecchio e facendola sobbalzare.
     Jo si girò veloce, la mano al petto e gli occhi ben aperti, quando lo vide gli sorrise sorpresa e divertita mentre le sue amiche, al suo fianco, si strinsero a lei e iniziarono a occhieggiarlo curiose.
    “Lord Nott, ciao!” lo salutò la ragazza, buone maniere e selvaggia informalità mischiate ad arte. Tipico di lei, o di quel poco che sapeva di lei, pensò Theodore, ricordando i pochi altri incontri che erano seguiti al pic nic. Non erano riusciti a stare molto da soli in quelle occasioni, ma Theodore aveva avuto modo di confermare la sua idea: Josephine Burke era bizzarra e matta come un cavallo
   “Mi spiace disturbarla” iniziò Theodore, provando a stirare un mezzo sorriso con scarsi successi. “Mi chiedevo se posso parlarti un momento” le disse passando a un registro più colloquiale, cercando di essere meno formale. Fece un cenno di scuse alle due ragazze che l'accompagnavano il cui sguardo divenne immediatamente più malizioso. Donne!
    “Certo” annuì Jo voltandosi a salutare le amiche. “Ci vediamo dopo” trillò, aggrappandosi al suo braccio. Se fosse stato un gesto malizioso la cosa l'avrebbe di sicuro infastidito, Jo, però, sembrava più voler dare un po' di civettuolo spettacolo, notò, osservandola mentre salutava le amiche con un gesto elegante della mano.
Le mancava solo un fazzoletto bianco, pensò Theodore, sollevando gli occhi al cielo.
 
 
“Come mai qui?” chiese Josephine curiosa.
    “Horace, il professor Lumacorno,” si corresse Theodore, “è un mio caro amico. Abbiamo parlato di alcune cose” spiegò vago.
    Jo sorrise. “Se siete amici puoi mettere una buona parola per me? Sono un disastro in pozioni” gli chiese, staccandosi e allungando il passo prima di sorridere con allegria in direzione del suo sguardo corrucciato.
   “Scherzavo! Vieni, milord, ti porto nel peggior postaccio del villaggio” lo stuzzicò facendogli strada verso una stradina piccola e dissestata.
Il postaccio era una sala da the piena di merletti con tanto di parati rosa e porcellane che decoravano le mensole in stile vecchia signora zitella di campagna. Theodore arricciò automaticamente il naso mentre Jo ridacchiava guardandosi attorno.
   “Sì, è terribile,” ammise, facendo un passo all'interno, “ma come vedi è poco frequentato” spiegò, allargando una mano verso l'ambiente. “E chi c'è non si interessa a nessun altro” gli fece notare con un sorriso ampio e saputo.
    Theodore osservò distrattamente la coppietta che si stava scambiando timide effusioni come se non ci fosse nient'altro al mondo. “Vedo” borbottò piatto alzando appena le sopracciglia, forse non avrebbe dovuto trovarsi in un posto così con una ragazzina, pensò.
    Jo scelse il tavolino accanto alla finestra, si sedette prima che lui potesse spostarle la sedia e si sistemò elegantemente il tovagliolo in grembo, come una perfetta signorina di buona famiglia. “Come mai volevi parlarmi?” riprese il discorso. “Vuoi notizie sul fidanzamento di Cathlìn?” gli chiese con un gran sorriso alzando un dito verso la cameriera.
     “No, tua zia mi ha messo al corrente” spiegò diplomatico, scacciando l'immagine di Lady Oleandre che gli faceva capire quanto Eilìnor fosse, invece, libera da qualsiasi impegno sentimentale.
    “Sì, mia cugina è molto felice e io con lei. Nessuno si aspettava che si sposasse prima di Eilìnor ma, ehi, l'amore...” soffiò abbandonandosi a uno sguardo romantico e a un sospirò troppo profondo per essere naturale.
     “Il giovane MacMillan è un ottimo partito” convenne Theodore che conosceva personalmente il padre e non aveva nulla da dire sulla famiglia: instancabili lavoratori, Purosangue da generazioni. Un' ottima scelta per la dolce Cathlìn.
     La cameriera si avvicinò e Jo ordinò the e biscotti per sé, Theodore arricciò le labbra per quella presa di posizione: avrebbe dovuto essere lui a ordinare per primo e per lei! Richiese un'Acquaviola, giusto per prendere qualcosa.
    “Cosa volevi dirmi?” chiese Josephine non appena le portarono il suo the. Aggiunse tre zollette di zucchero con aria estremamente compiaciuta. “Sì, mi piace molto dolce” spiegò incurante, quasi a rispondere al suo sguardo stupito. “Ebbene?” chiese ancora.
     Theodore la guardò nascondendo un sorriso dietro al bicchiere di Acquaviola, sicuro che non si sarebbe mai abituato ai voli pindarici della ragazza. “Sono qui per ringraziarti, in realtà” ammise poggiando il bicchiere sul tavolino in legno, osservando lo sguardo stupido della ragazza con mesta soddisfazione. “Rammenti il giorno del pic nic?” domandò.
    “Certo che sì” rispose prontamente la ragazza, raddrizzando le spalle. “Mia zia mi deve ancora un libro” gli disse, tanto per tenerlo informato, anche se il nesso logico, ovviamente, sfuggiva a Theodore, ma decise di soprassedere, altrimenti non ne sarebbero usciti più.
   “Ecco, sono qui per… sdebitarmi, diciamo” continuò osservando sornione e soddisfatto l'espressione confusa della ragazza. Certo che non fosse cosa da tutti i giorni stupire e ammutolire Josephine Burke.
     “Poco tempo fa mi si è presentata l'occasione di acquistare un grosso carico di oli essenziali ed è stato allora che ho rammentato il tuo consiglio, quello sulla cosmesi.”
    “Mi hai rubato l'idea, piuttosto” precisò la ragazza con un sorriso mentre dava un piccolo morso al mignon alla crema.
     Theodore le sorrise, trovandosi in qualche modo d'accordo. “Se così vogliamo. È stato un barbaro passaggio di mano, in realtà, eppure ho più che raddoppiato l'investimento iniziale” spiegò, estraendo dalla tasca interna del mantello un astuccio in velluto blu. “Di solito non avrei problemi, ma il mio onore mi impedisce di approfittarmi delle idee di una signorina e quindi ho pensato di ricambiare” spiegò allungandole la custodia, facendola strisciare verso il tavolo, attendendo che Josephine l'aprisse, improvvisamente curioso.
   Josephine non tradì le sue aspettative, i suoi occhi si allargarono sorpresi e le sue labbra di piegarono in un  sorriso tutto denti. “È per me? È bellissimo! Grazie” trillò eccitata sollevando il pettinino in oro bianco, perle e brillantini che aveva scelto per lei.
   Theodore la osservò mentre si rigirava tra le mani il pettinino, come a valutarlo. Sangue Burke, del resto...
 “Olio essenziale di rosa” mormorò lei, continuando ad ammirare la decorazione del pettinino gioiello, passando un dito sopra i petali dei fiori che si intrecciavano.
   “Prego?” chiese lui.
    “Tra gli oli essenziali quello di rosa è il più costoso, pregiato e raro, mi concentrerei su quello e basta” spiegò lei, pratica, sistemandosi alla cieca il pettinino tra i capelli, anche se era più un accessorio da sera che da giorno, avrebbe voluto farle presente Theodore.
     “Olio essenziale di rosa” le disse, come a voler prendere nota. “Miss Burke...”
   “Jo” lo riprese distrattamente la ragazza, specchiando il proprio profilo usando il retro di un cucchiaio d'argento. “Adesso che siamo soci devi chiamarmi Jo.
 
*
 
Theodore osservò Abraxas versargli da perfetto padrone di casa due dita di brandy invecchiato. Il sorriso sornione sul viso dell'amico gli parve ancora più largo del solito.
    “Quindi ti sei dato ai petali di rose, ai merletti e alle stoffe” sintetizzò sottile, osservandolo mentre si portava il bicchiere alle labbra.
     “Non l'avrei mai detto, ma è proprio vero che le donne fanno girare una fetta importante dell'economia” gli disse Theodore annuendo con un mezzo sorriso, abituato alla vena ironica dell'amico.
    In quei mesi, lui e Josephine, 'Jo', avevano intrattenuto un fitto scambio di missive. Era stata la ragazza a cominciare, in realtà, come se fosse appropriato 'parlare davvero d'affari' con un uomo.
     Theodore, all'arrivo della prima lettera, era rimasto contrariato dal tono saccente con cui era stata scritta, ma allo stesso tempo si era sentito affascinato dalle idee di quella ragazzina.
Era un uomo ricco, molto ricco, tanto che non aveva bisogno di lavorare per vivere, quindi, allo stesso tempo, era anche un uomo che si annoiava facilmente. Era forse per quello che aveva colto il primo inconsapevole consiglio della ragazza, per noia e per gioco: oli essenziali che aveva rivenduto alle farmacie di Diagon Alley. Con suo sommo stupore, era riuscito a trarne un profitto considerevole in pochissimo tempo, per questo aveva pensato di cercare la ragazza, per ringraziarla un po' per galanteria, ma anche perché era un piacevole diversivo.
     Jo era stata spontanea così come se l'era immaginata: si era illuminata e, in quella sala da the mielosa, in una normale giornata d'autunno, aveva cominciato a sparare idee a raffica, quasi come se fosse stato lui a chiedergliene altre.
  
“Hai idea di quanto tempo ci voglia per realizzare del merletto? Il pizzo?” aveva chiesto agitando una mano, perdendo al tempo stesso l'aria da romantica sognatrice. “Insomma, siamo maghi perché non inventare un incantesimo che permetta di realizzarlo in meno tempo senza rinunciare all'aria artigianale?” aveva continuato alzando un po' la voce, quasi ci avesse pensato e ripensato a quel discorso.
    “Oh, non guardarmi così!” lo aveva poi ripreso socchiudendo gli occhi e scuotendo appena la testa. “Non so come funziona: non sono mica una sarta! Sai, dovresti trovarmene una, di sarta, e uno di quei tizi che inventano gli incantesimi, poi penso a tutto io” gli aveva assicurato agitando una mano, come se nulla fosse, come se lei sapesse già esattamente come e cosa fare.
    Anche in quel momento la noia aveva avuto un ruolo fondamentale: era curioso, e l'investimento iniziale non era stato per niente gravoso, così aveva fatto come lei gli aveva chiesto: le aveva trovato una sarta e un incantatore.
     Jo li aveva incontrati a uno dei festini di Lumacorno e aveva chiarito tutte le sue idee: i disegni, le stoffe, il ricamo, portando entrambi sull'orlo del suicidio, almeno da quanto Theodore avesse intuito dalle lettere di Jo.
    Theodore, contro ogni aspettativa, aveva dovuto ammettere che il progetto era stato un successo: aveva chiuso un ottimo accordo con Madama McClan affinché rifornisse tutte le sue sedi. La donna aveva persino pagando un plus per avere l'esclusiva su Telami&Tarlatame con cui, però, Theodore aveva concluso un accordo per la vendita dei merletti.
    Sì sentiva un mero commerciante, non era molto onorevole per un uomo come lui, ma doveva ammettere che era proficuo. “Non importa dove arrivano i galeoni, son sempre galeoni!” diceva spesso Abraxas.
Era vero, pertanto si era preoccupato di depositare gli incantesimi, nati dal suo finanziamento, all'Ufficio Brevetti e per il resto aveva lasciato a Rubomn, il folletto che curava i suoi affari, le beghe commerciali.
    A Theodore, più che altro la cosa divertiva perché Jo non si era fatta mettere da parte: quella cosa era una sua creatura, come diceva lei, e aveva continuato a interessarsi alla cosa e a informarlo con quelle lettere che, giorno dopo giorno, lo deliziavano sempre di più. Jo, infatti, aveva preso ad assillare Rubomn con le sue strambe idee, piccole postille e consigli schietti, tanto da risultare persino ineducati.
   Il folletto gli rigirava le missive con stizza, ma Theodore non riusciva proprio a non trovare la cosa divertente: forse la stizza del folletto, le postille pignole di Jo su dettagli che a occhio di chiunque altro sarebbero stati inesistenti o forse era tutta la cosa.
Theodore pensava che la situazione fosse un po' disdicevole: seppur non si interessava poi tanto della cosa si parlava pur sempre di soldi e non era certo appropriato intrattenere affari con una donna, anche e soprattutto perché nubile e giovane.   
     Jo si preoccupava che sul mercato ci fossero prodotti di qualità, quindi si premurava di dargli solo qualche piccolo consiglio, ma dopo aver provato i prodotti. Ovviamente. Secondo il suo punto di vista era lei a guadagnarci.
Poi si era messa in testa un'idea su alcune creme di bellezza al veleno d'ape o scorpione – la cosa non era ben chiara a Theodore e forse neanche a Jo. Perché Jo se ne usciva con stramberie che lo facevano ridere, facendogli dimenticare il punto della situazione, come quando gli aveva inviato una lettera in cui gli diceva che aveva bloccato la produzione di un tessuto perché le piaceva troppo e non poteva assolutamente permettere che qualcun altro lo indossasse al posto suo, perché sarebbe stato atroce per lei.
Theodore aveva affogato la risata in due dita di scotch e le aveva fatto confezionare un vestito proprio con quella stoffa. Vestito che Jo aveva indossato nella gita primaverile al villaggio, facendolo svolazzare mentre si faceva ammirare da lui con fare ciarliero.
 
Abraxas esalò una risata bassa, di petto, stappandolo ai suoi pensieri. “Tutto ciò sembra sempre più simile a un corteggiamento” gli fece presente, per la centesima volta.
    Theodore calò le palpebre sugli occhi, annoiato. “No, Abraxas. Josephine è troppo giovane” gli rispose di rimando, sempre per la centesima volta.
    “Ha diciotto anni, giusto un paio d'anni più giovane delle altre pretendenti” gli fece notare ironico, sorridendo appena, in risposta al suo sguardo annoiato. “Una donna con il fiuto per gli affari? Laurie, amico mio, se non te la sposi, lo farò io” sghignazzò arricciando appena il naso, poi rise per la sua espressione che, evidentemente, doveva essere mutata senza che se ne accorgesse.
Theodore si accigliò maledicendo mentalmente Abraxas Malfoy e la sua linguaccia.
 
*
 
Era passato più o meno un anno dalla festa data per esibire le sorelle Gamp come gioielli e, contrariamente a tutte le previsioni, era il giorno del matrimonio di Cathlìn. La cerimonia era stata organizzata in una casa in campagna di proprietà della famiglia dello sposo. Era una giornata soleggiata e il parco, che confinava con un piccolo bosco, era stato addobbato con un grande arco di rami intrecciati a nastri bianchi. Lì, gli sposi si erano giurati amore eterno, tenendosi la mano e guardandosi negli occhi.
La sposa era semplice e graziosa, raggiante di felicità, ma Theodore aveva tenuto lo sguardo fisso su Josephine, damigella per quel giorno.
    Jo teneva tra le mani un mazzolino di fiori – fiori selvatici, notò Theodore, chiedendosi se la cugina maggiore si fosse fatta consigliare da lei o se Jo avesse semplicemente imposto il suo tocco. C'erano lanterne bianche tutte intorno, cestini di vimini pieni di margherite e la musica pastorale non avrebbe potuto essere più adatta, per com'era stata impostata la cerimonia. Theodore sentiva che c'era Jo in tutto quello.
    Non riusciva a non pensare a come si sarebbe vestita la ragazza, il giorno del suo matrimonio, se avrebbe rispettato la tradizione da inguaribile romantica o avrebbe fatto di testa sua con qualcosa di più stravagante. Sorrise, pensando che era tutta quella storia era un azzardo. E lo era.
     Si erano visti in tutto cinque o sei volte – sette, si corresse mentalmente, sapendo di aver contato bene,  ripensato a ogni singola volta, cercando di non ridere a qualche buffa osservazione della ragazza. Si erano scritti,però, incessantemente tutti i giorni, per mesi.
Theodore a volte aveva ricevuto persino due lettere nello stesso giorno: Jo gli scriveva con una grafia trascinata, ma comunque elegante, qualcosa che aveva dimenticato nella precedente missiva, qualcosa di importantissimo che il più delle volte era solo l'ennesima sciocchezza.
Dettagli, piccoli dettagli, diceva lui, cose fondamentali, gli faceva notare lei.
     Eppure, Theodore si era affezionato a quella corrispondenza piena di chiacchiere inutili, appunti, idee, ritagli di giornale, cose che secondo la ragazza doveva assolutamente leggere come libri, riviste, spettacoli a cui lui doveva andare dato che lei, prigioniera della scuola, non poteva.
    All'inizio Theodore aveva creduto che Josephine Burke fosse l'esempio di tutto ciò che lo irritava: una ragazzina egocentrica con la testa perennemente tra le nuvole che sapeva esattamente come bisognava comportarsi e tuttavia continuava a fare di testa sua. Eppure, nonostante ciò, pochi giorni prima, Theodore Nott aveva comunque chiesto la sua mano allo zio acquisito e alla moglie.
     Quando si era presentato alla porta, Oleandre Gamp era rimasta sorpresa e basita, nei suoi occhi, Theodore aveva letto la speranza che lui rinunciasse alla nipote per sposare la sua secondogenita, Eilìnor, per questo Oleandre aveva cercato di dissuaderlo ricordandogli che: ''Josephine è troppo giovane, non adatta al ruolo…Blablabla...'' Puntualizzazioni assolutamente lecite e reali, ma Theodore era rimasto fermo nella sua posizione, perciò, dopo un primo tentennamento, la donna aveva sorriso, dando la sua benedizione, seguita subito da quella del marito.
Del resto, i Gamp non potevano permettersi di dire di no a lui, ci guadagnavano persino loro, aveva pensato, chiedendo alla donna di mantenere il riserbo fino a quando non si fosse dichiarato a Josepphine – Jo, si era corretto mentalmente.
 
 
Stavano passeggiando accanto a una staccionata di legno che divideva la proprietà dei MacMillan dal bosco, Josephine voleva guardare tutto il perimetro. Aveva indossato uno scialle verde sul vestito sottile e teneva ancora il bouquet da damigella tra le mani. Non appena si erano allontanati dal resto degli invitati, però, Jo, aveva sciolto i capelli.
    “C'era un forcina che mi dava un fastidio” aveva detto stizzita, arricciando il naso. Fu in quel momento che Theodore pensò che Jo fosse bella; non una bellezza tradizionale come lo era stata Clarissa, eppure, con i suoi capelli folti e castani, gli occhi luminosi e l'espressione furba, era bella. Bellissima, almeno secondo lui.
“… sostengo che i miei esami pratici siano stati semplicemente fantasiosi, non è colpa mia se la commissione esaminatrice è datata” si stava lamentando straparlando, agitando le braccia come se avesse subito una grande ingiustizia.
     “Forse se avessi studiato di più” insinuò lui sottilmente.
     “E trascorrere il mio ultimo anno di scuola in occupazioni tediose e noiose? No, grazie” rispose Jo girandosi e sorridendogli, il braccio poggiato sullo steccato, le dita che seguivano la linea del legno. “Anche tu sei così privo di fantasia, Laurie?” lo stuzzicò con quella familiarità che esigeva da chiunque, quasi come se tutti fossero suoi pari. Certo, perché Jo, tra le tante cose era una femminista, come diceva lei. Potere alle donne, pari opportunità…
Prima o poi Theodore avrebbe davvero cercato di ascoltare tutto ciò che diceva, il problema era che diceva troppe cose una dietro l'altra e a un certo punto lui andava in training autogeno. Però era così buffa.
     “Sai, Jo,” calcò il nome, perché sapeva che a lei piaceva essere chiamata così, “hai proprio ragione: non sono un uomo fantasioso o meglio, non credevo di esserlo,” sorrise appena, “prima di conoscere te.”
     Jo sorrise candidamente. “Sì, chiunque mi conosca è fortunato” scherzò lei con aria leggera, facendogli sollevare gli occhi al cielo.
     “L'umiltà non è tra le tue tante virtù” le fece notare vagamente ironico.
     “Affatto, ma, in un mondo al contrario avrei più virtù che difetti, pertanto sarei noiosa e poco fantasiosa” si sporse un po' e i capelli castani le scivolarono sulla spalla. “Come te.”
     “Ah...” Theodore rise, esasperato. “Sei… impossibile, Josephine Burke, ma anche in questo hai ragione. Se fossi giusto un po' meno imperfetta non saresti così interessante e io non ti vorrei al mio fianco” le disse, sentendo il sorriso allargarsi sul proprio viso.
     Jo inclinò appena il capo. “Oh” fece, lasciando che un breve silenzio si allargasse tra loro.
     “Ti sto chiedendo di sposarmi” fece Theodore, quasi seccato.
   “Sì, l'avevo capito” replicò Jo, sottraendo la mano dalla sua, sollevando il viso con fare altezzoso. “Mi dispiace, ma devo rifiutare.”
Eh?
      “Ti ringrazio comunque della proposta” disse la ragazza stringendosi lo scialle intorno alle spalle.
      “Per la proposta?” ripeté Theodore stizzito. Come osava quella ragazzina dire no a lui! Cercò di armarsi di pazienza, inutilmente. “E si può sapere per quale stupidissimo motivo?”
     “Prima di tutto,” cominciò Jo con un'aria pratica, “perché tu hai bisogno di un utero, non di una moglie, poi perché ho altri progetti...”
     Theodore sbuffò, sentendosi irritato, piccato e offeso. “Sì, girare il mondo!” ironizzò.
     “Sì, esatto!” rispose lei altezzosa.
     “Josephine, mi spieghi… ma dove vuoi andare?” fece spazientito.
    “In Australia o in Marocco, ma probabilmente prima in Italia” rispose lei convinta.
    “Jo, pensi ancora di avere dei soldi da parte? I tuoi zii hanno dovuto usare tutto, anche la tua dote, per evitare il tracollo” la freddò, ma Jo gli sorrise.
     “Sì, lo so… beh, sarà più avventuroso e comunque non sono affari tuoi” disse più severa, sollevando il mento.
    “Certo che sono affari miei, mi preoccupo per te. Parti per l'Italia, ma saresti capace di ritrovarti in India.”
    Jo cominciò a camminare, ignorandolo. “Sarebbe interessante, mi piacciono i cambi di programma.”
   “Josephine – Jo!” prese a seguirla. “Vieni subito qui, non accetto un no come risposta!”
    Jo si voltò, facendo mulinare i capelli lunghi. “Invece devi proprio. Inoltre, per la prossima volta, ti consiglio qualcosa di più romantico.”
    “Più romantico?” ripeté incredulo. “Io non sono un uomo romantico!” le fece presente, quasi come se fosse un insulto e comunque, per i suoi standard era stato fin troppo romantico.
     “Beh, dovresti sforzarti di più. Tipo, come minimo, avresti dovuto metterti in ginocchio...”
     “Sull'erba?”
     “Le articolazioni ti funzionano ancora, no?” replicò sprezzante, intrecciando le braccia al petto. “E, dato che te lo puoi ampiamente permettere, avresti dovuto almeno regalarmi un gioiello.”
     “Ma non mi hai dato il tempo” replicò Theodore stizzito, portandosi una mano alla tasca dei pantaloni dove aveva riposto in una scatolina uno dei gioielli di famiglia: un anello con zaffiro e doppia fila di brillanti che aveva trovato perfetto per Jo.
     “Ti avrei detto comunque di no e te lo ripeto ancora adesso: no!” insistette voltandosi per allontanarsi.
 
*
 
Liesel osservò Jo chiudersi la porta alle spalle, nonostante ciò, la voce di sua madre trapanò le mura, quasi volesse sfondare la barriera del suono. 
     “Jo, tu sei pazza, pazza!” la senti dire chiaramente a forse due stanze di distanza.
    La cugina sbuffò, stendendosi poco elegantemente su divano, allungando le gambe in modo che le caviglie posassero comodamente sul bracciolo.
    La voce di sua madre, Lady Oleandre, ancora si sentiva chiaramente: “Non può rifiutare un partito del genere. No, me lo sposo io piuttosto!” Liesel sentì, contemporaneamente, la voce più accorta di suo padre che cercava di quietarla.
     Liesel guardò la porta preoccupata, poi spostò lo sguardo verso la cugina che aveva preso a leggere un libricino, tenendolo tra l'indice e il pollice le pagine sottili e ingiallite.“La mamma è arrabbiata con te” le fece presente con un piccolo sorriso mentre le voci si allontanavano, ancora concitate.
     “Sì, ho notato. Le passerà” mormorò lei con voce annoiata.
     Liesel si guardò intorno. La stanza era disseminata da mazzolini di fiori di campo e scatole di cioccolatini francesi. Lo sdegno di Lord Nott per essere stato rifiutato era durato solamente dieci giorni, poi aveva affrontato l'onta con un insistente corteggiamento: lettere, fiori, dolci, regali.
     Jo aveva osservato tutto con aria stoica, sollevando il naso al cielo; intanto, Liesel temeva per il cuore di sua madre che cercava in ogni modo di non strapparsi i capelli dal cranio.
     “Tanto non me lo sposo” ripeteva Jo mentre Eilìnor la guardava come se volesse strozzarla.
     Liesel s' intrecciò una ciocca di capelli castani tra le dita. “Jo, perché non vuoi sposare Lord Nott?” chiese con curiosità tutta infantile. “Non ti piace?”
     Jo lasciò perdere la sua lettura, abbandonandola ai piedi del divano. Si girò, sorridendole. “Sai tenere un segreto?” le chiese e Liesel annuì. Certo che sapeva tenere un segreto.
     “Lo sto solo tenendo un po' sulla corda” le disse a bassa voce.
     Liesel schiuse le labbra. “Stai facendo finta?”
     “No… sono solo una futura sposa indecisa che sta metabolizzando il tutto” spiegò Jo, con un sorriso furbo.
    “Ma..” Liesel rise, nascondendosi la bocca con le mani. “Perché?”
     “Noi donne dobbiamo difendere il nostro diritto a essere corteggiate” disse sognante. “Inoltre non devi dare troppe certezze agli uomini, altrimenti ti daranno per scontata. É facile conquistare un uomo, ma tenerselo è difficile” le disse Jo con voce pratica e spiccia, agitando una mano. Era incredibile come riuscisse a cambiare tono da un momento all'altro.
     Liesel la guardò affascinata, con tanto d'occhi, bevendosi le sue parole come se fossero lezioni di musica.
     “Perché credi che legga tutta questa roba?” chiese Jo prendendo il libricino e sventolandoglielo davanti. “Per essere preparata a ogni evenienza” le rispose, prima che potesse farlo lei. “Quando mi sposerò mi farai da damigella” promise Jo, il sorriso ampio e divertito. “Ma prima voglio vedere Laurie strisciare ai miei piedi come un Vermicolo” spiegò e Liesel rise seguita a ruota da Jo.
 
 
Theodore impiegò esattamente tre giorni a strisciare. Beh, non proprio. Jo dubitava che un uomo come Theodore Nott sarebbe stato capace di strisciare, ma era forse per quello che, la prima volta che l'aveva visto, austero ed elegante che la scrutava severo da sotto lo stipite della porta finestra, aveva deciso che si sarebbero sposati. Aveva deciso, prima ancora di conoscere il nome di quell'uomo, che Theodore Nott era il suo colpo di fulmine. Insomma, erano cose che si potevano programmare, no?
Forse gli altri non potevano, ma lei sì. E infatti la sua scelta d'amore improvviso era stata perfetta perché Theodore era l'uomo che aveva sempre immaginato accanto a sé: qualcuno che sarebbe facilmente impazzito a starle dietro perché c'era bisogno di un po' di dramma in una relazione.
     Oh, beh, c'era la differenza di età: trent'anni era un lasso di tempo sufficientemente drammatico! Senza contare il fatto che Theodore era sentimentalmente costipato, ma ci voleva qualcuno concreto per lei. Qualcuno come Laurie, perché gli opposti si attraggono. Sì, sì.
     Nené, la vecchia elfa, le annunciò che Lord Nott era in salone e che la padrona lo stava intrattenendo in modo che lei potesse ricomporsi.
     Jo stava leggendo un libro che gettò malamente in un angolo della stanza. Si stese sul divano, posandosi una mano in fronte e imbastendo un'aria sofferente. Pensò, però, che forse aveva sbagliato personaggio e che era un po' troppo per l'occasione, quindi andò a sedersi al piano, si sistemò i capelli, ravvivandoli in fretta con le mani, e prese a suonare una lugubre marcia funebre.
    “Lo prendo come buon augurio” disse Theodore entrando nella stanza a passo lento. “Buonasera, Josephine” la salutò con voce sicura, Jo lo ignorò continuando a suonare con solenne intensità.
    “Non hai risposto a nessuna delle mie lettere” le fece presente l'uomo, sedendosi accanto a lei. “Josephine, mi ascolti?” le chiese e Jo sentì che stava ingoiando il tono spazientito, così come lei stava tenendo a bada il sorrisetto canzonatorio, continuando a mantenere l'espressione drammatica che imponeva la sonata.
     “Jo!”
     “Prego?” chiese voltandosi a fronteggiare gli occhi scuri dell'uomo. Aveva qualche filo bianco tra i capelli neri e qualche rughetta ai lati delle labbra, ma Jo aveva sempre pensato che fossero i segni di una lunga vita, avevano qualcosa di affascinante.
    Theodore sospirò piano, come a richiamare ogni briciolo di pazienza di cui fosse capace, poi le sorrise. “Non sono uomo che si mette in ginocchio, ma posso fare delle promesse” propose con calma, come se stesse dando il via a una contrattazione.
    “Tipo?” chiese scettica.
    “Tipo posso impegnarmi a realizzare ogni tuo desiderio” le rispose Theodore serio.
Jo non si lasciò commuovere. No, Theodore Nott avrebbe dovuto sudarselo quel sì. “Dovresti anticipare i miei desideri” gli rispose, facendolo ridere di petto.
     “Jo,” Theodore le prese le mani nelle sue, “come faccio a stare dietro ai tuoi desideri?”
     “Dovresti o meglio, dovrebbe l'uomo che desidera condividere la vita con me” rispose lei, ancora fredda.
     “Posso provarci,” disse mestamente, con un tono che non gli donava molto, “ma sai che non sono un uomo fantasioso” le fece notare, strappandole un primo mezzo sorriso.
     “Prima di incontrare me” lo corresse, ammorbidendosi giusto un pochino.
    Theodore sollevò gli occhi al soffitto, trattenendo un piccolo sbuffo, o forse una risatina esasperata. “Resto pur sempre poco fantasioso, ma per quello ci sei tu. Puoi fantasticare per tutti e due, non te lo impedirò, anzi: voglio che tu lo faccia, così come voglio che tu mi sposi non perché ho bisogno di un erede. Possiamo aspettare, fare insieme tutte quelle cose che avevi progettato.”
     Jo passò le dita della mano libera sulla tastiera, accarezzando i tasti e fingendo di non sentirlo, ma un mezzo sorrisetto soddisfatto si aprì lo stesso sul suo viso.
    “Andremo su un cammello, in Egitto e a fare escursioni… dov'era?” Theodore represse un risata.
    “Australia” precisò Jo.
   “Australia” convenne Theodore, prendendole anche l'altra mano, avvicinandole entrambe alle labbra. “E in Italia, in Marocco e ovunque vorrai… E mi lamenterò per tutto il tempo e sbufferò e non mi piacerà, ma ti ci porterò. Ti farò fumare del tabacco e bere Brandy dalla bottiglia e qualunque altra folle idea che passerà in quella tua testa da mulo” soffiò posando un bacio casto sulla pelle pallida. “In cambio suonerai per me.”
    “Devo pensarci” mormorò vaga. “La mia arte non è in vendita” puntualizzò sollevando il viso al soffitto, mentre il cuore in petto le batteva un po' più veloce perché Theodore si era ricordato di alcune piccole confidenze che gli aveva fatto.
     “Ti regalerò un gioiello ogni volta che suonerai per me” propose.
     Jo si voltò a tre quarti, il sorriso più largo sul viso sottile e l'aria d'affarista realizzata che le sprizzava da tutti i pori. Sì, decisamente, l'aveva fatto strisciare abbastanza, “Passami gli spartiti, Nott” ridacchiò, ma Theo le posò un piccolo, casto, bacio sulle labbra.
 
 
Dicono che la morte sia più dura per chi sopravvive. È difficile dire addio, a volte è impossibile. Non smetti mai di sentirne la mancanza, è questo che rende le cose difficili. Lasciamo briciole di noi dietro le nostre spalle, piccoli ricordi, una vita intera di memorie, foto, fronzoli. Cose per farci ricordare quando non ci saremo più.
 

Nel castello dei Nott, nella camera di Lord Theodore Nott, c'era una scrivania in mogano scuro, uno dei cassetti, il primo sulla destra, veniva tenuto sempre chiuso. Lì, custodito con cura e gelosamente, c'era un album di fotografie e, sfogliando le pagine ingiallite dal tempo, stropicciate dalle dita, si può riconoscere un solo soggetto.
     La donna ritratta nelle foto aveva avuto tanti nomi: era nata Josephine Burke poi Nott, per i suoi cari era semplicemente Jo o Joey, nei salotti da bene era conosciuta come Lady Bijou, per suo figlio era semplicemente la mamma e per Theodore era e sempre sarebbe stata l'amore della sua vita e l'esempio vivente che anche un uomo come lui potesse innamorarsi. Ed era lì, la prova, in quelle foto.
Scorrendo tra le pagine si poteva ammirare Jo con indosso un cappello di paglia con un gran girasole sulla fascia, che tossiva tenendo un sigaro tra le dita, che sorrideva su un cammello e in quella successiva su un elefante. C'era Jo con indosso una camicia annodata in vita e paio di pantaloni attorcigliati fino alle ginocchia, i piedi nell'acqua e tra le mani la trota più grande che avesse pescato.
Più avanti c'era sempre lei, acciambellata sul divano della biblioteca del Castello, la testa appoggiata su uno dei romanzi d'amore che amava tanto leggere e poi c'erano le numerose foto che Jo si faceva scattare prima di andare a qualche festa, elegante e sorridente come nessun altra.
Perché Jo era il tipo di persona che aveva avuto tanti sogni e tanti desideri, cose piccole, come mangiare il gelato con la forchetta per vedere se avesse un sapore diverso, ma allo stesso tempo anche cose spericolate, come  cavalcare un Ippogrifo, sebbene ne fosse stata terrorizzata. Jo aveva sempre pensato che il troppo fosse un concetto relativo che non poteva essere associato ai sogni e ai desideri –almeno non ai suoi.
In quelle foto Theodore non c'era, in nessuna perché lui non amava le foto né i viaggi o le feste, eppure aveva accompagnato Jo nella sua vita, in quel viaggio, felice della sua felicità.
Quando Jo, la sua Jo, era morta, lui era morto con lei.
     Chiunque conoscesse Theodore Nott poteva affermare senz'ombra di dubbio che fosse un uomo scorbutico e burbero eppure, alcuni avrebbero potuto dire che quell'uomo cocciuto, classista e razzista era stato felice.
Sì, Theodore Nott per quindici, lunghi, meravigliosi e infiniti anni, era stato un uomo felice e lo sarebbe stato ancora perché, prima o poi, Jo avrebbe ripreso a suonare per lui.

 

(Fine)

 

Specchietto dei personaggi
_____________________________
Liesel Gamp e Elania Rosier (accenno) sono OC di Kiry. 
Tutti gli altri personaggi, esclusi quelli inventati dalla Rowling, sono Oc di Vaiolo di Drago


Josephine, 'Jo', Burke ha 17 anni e ne sta per compiere 18, è nata nell'ottobre 1953. 
Theodore 'Laurie' Nott invece è nato nel 1923 e ha 47 anni. 
Tra Theodore, Laurie, Nott e Josephine Burke c'è un Age Gap di soli 30 anni. I fatti narrati partono nell'estate del 1970 quando Jo ha 17 anni e sta per compierne 18, ipotizzando che sia nata intorno a ottobre, quando si rincontrano al villaggio, Jo ha raggiunto la maggior età anche nel nostro mondo.
Nonostante ciò, Lord Nott è vecchio stampo, quindi, secondo me, sono andati oltre i bacetti casti solo dopo il matrimonio.
Theodore Nott Jr nasce nel 1980, anni dopo il matrimonio. 

Altre note e precisazioni:

Laurel è il nome di un fiore:Qui 

- Nel testo vi è una piccola insinuazione da parte di Theodore, sul fatto che Sirius e Regulus potrebbero non essere figli di Orion, è dovuta all'ispirazione del momento, una piccola presa in giro per come mi sono immaginata Walburga (che comunque si è data da fare ^.-), ma state tranquille, per quanto la situazione avrebbe fatto ridere Sirius, i due fratelli, sono entrambi Black!

La Os è nata come speciale di Vaiolo di Drago (Capitoli 42 e 43) e scritta in un momento molto particolare della mia vita. Sono molto affezionata a questa storia. Ho deciso di ripostarla come OS singola sistemandola, ampliandola e cambiando il finale (che in pratica è il primo che avevo scritto, slegato da Vaiolo, ma più emozionante, secondo me), in occasione di queste feste spero vi piaccia. 
Ho messo ''in corso'' perché potrei aggiungere altre storie, più avanti, chissà... intanto ecco questa
Buona Pasqua a voi e ai vostri cari
Lady <3

 

   
 
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