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Autore: Curiosity    31/03/2016    4 recensioni
“Sarebbe stato davvero così orribile, Will? Venire via con me?”
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AU post Mizumono (2x13). Dopo che Hannibal lascia Will a dissanguarsi sul pavimento quest’ultimo cade in depressione e non lo insegue. Ritrovare la strada che porta all'altro non è semplice come sembra. Che sapore ha un cuore spezzato?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note: Chiedo venia per il ritardo ma la vita vera si è messa di mezzo. Capitolo breve perché il prossimo è l'ultimo e non mi andava di metterne un pezzo in questo solo per allungarlo né di fare un capitolo unico. Titolo e citazione in tributo a David Bowie perché la sua morte è uno scherzo crudele.

Even Lovers Drown

di Curiosity

6. You’ve Run So Long, You’ve Run So Far

How you turn my world, you precious thing

You starve and near exhaust me

Everything I've done, I've done for you

I move the stars for no one

                                               (David Bowie, “Within You”)

Quando Will ricomparve sulla soglia la sera dopo, Hannibal aveva all’attivo solo mezz’ora di sonno nelle ultime ventiquattr’ore, ma fece accuratamente in modo di non darlo a vedere. Si avvicinò invece a Will, che puzzava di alcool e di vestiti umidi non lavati, e gli chiese gentilmente se gli andasse di mangiare qualcosa.

L’altro lo squadrò in silenzio, pesanti occhiaie a segnare i suoi occhi che testimoniavano quanto poco anche lui avesse dormito. Hannibal quasi credette che non gli avrebbe risposto, ma alla fine il profiler annuì.

Nei giorni seguenti non ne parlarono. Le loro interazioni ripresero a procedere come al solito, ma era come se entrambi stessero solo prendendo tempo in vista di un confronto che sapevano essere inevitabile. Will accettò una serie di lavori in città che lo portarono a non essere in casa per la maggior parte del giorno, e Hannibal come al solito accettò la cosa di apparente buon grado.

Will sapeva che quella vita all’uomo stava stretta, ma non sapeva cosa farci. Le esistenze che ognuno di loro avrebbe scelto per se stesso erano del tutto inconciliabili l’una con l’altra, e lo sapevano entrambi: Will era un solitario, segnato dalla vita e alla disperata ricerca di un po’ di pace. Hannibal era un uomo d’azione; adorava l’interazione e le sfide, e una vita di eremitaggio in quel luogo dimenticato da Dio a leggere i libri di Will e a cucinare per lui non avrebbe mai potuto placare la sua fame di nuove esperienze, per non parlare della sua sete di sangue. Sapevano entrambi di essere seduti su una polveriera pronta ad esplodere, eppure entrambi stavano ignorando la questione nella speranza che saltasse in aria il più tardi possibile.

Will tornava sempre piuttosto stanco dalle sue giornate di lavoro, ma non era nulla in confronto alla stanchezza che aveva avuto addosso prima che Hannibal si presentasse alla sua soglia. Sapeva di essere molto più in salute di quanto non fosse stato solo un mese prima, e non certo per merito suo. Non sapendo come ricambiare si era imposto di essere meno scontroso con l’altro, nonostante quello che gli dettava l’istinto, ma come era immaginabile stava facendo un pessimo lavoro. Ora che conosceva i sentimenti di Hannibal per qualche motivo non riusciva a perdonarglieli.

Una sera Will era seduto su una barca rovesciata sul retro di casa sua. La barca in questione era un 6 metri che aveva visto tempi migliori e di cui stava rimettendo in sesto la chiglia dopo che il proprietario era riuscito a schiantarla su una secca durante un attacco di esibizionismo.

La carena metallica era ancora marginalmente calda per il sole lì dove Will aveva posato le mani, le gambe distese di fronte a sé e lo sguardo rivolto al cielo notturno. Sentì la porta della veranda sbattere e Hannibal che si avvicinava, col passo pesante di qualcuno che avrebbe potuto benissimo non fare alcun rumore se avesse voluto ma aveva scelto di farne. Sapeva che se aveva reso così palese la sua presenza era solo per riguardo verso di lui, e gliene era grato.

Hannibal gli allungò un bicchiere, il profilo illuminato dal pallore della mezzaluna alta nel cielo, e quando Will lo prese si issò sulla barca a sua volta per sedere accanto a lui.

“Cos’è?”, chiese Will occhieggiando il liquido apparentemente perlato nella penombra.

“Un tentativo di comporre un Golden Shot.”

Will sollevò le sopracciglia nel buio, sorpreso che con la sua politica verso gli alcolici e il consumo che il profiler tendeva a farne Hannibal avesse deciso di preparargli un cocktail, e uno a base di whiskey per di più.

“Quello con l’uovo?”

“Sì. Ahimé temo di aver esagerato col succo d’arancia”, sospirò l’altro.

Will ridacchiò.

“Allora esiste qualcosa in cui non eccelle al primo tentativo, Dr Lecter. E io che la credevo infallibile”, scherzò con una familiarità che dopo tutto il sangue versato tra loro sarebbe dovuta sembrare irrimediabilmente fuori luogo, ma così non era.

Hannibal si voltò verso di lui nel buio con un mezzo sorriso.

“A quanto pare”, ammise, scontrando il bicchiere col suo in un brindisi. “Puoi perdonarmi?”

La domanda risuonò inizialmente giocosa, ma nella quiete che coincise col loro prenderne un sorso - e il gusto dell’arancia era esattamente come sarebbe dovuto essere a discapito delle parole dell’altro - Will intuì che non stavano più parlando solo di cocktail.

Si leccò le labbra, abbassando il bicchiere fino a posarne la base sulla stoffa rovinata dei suoi jeans, concentrandosi sulla nota di agrumi smorzata dall’uovo e sul calore del liquido che scendeva nel suo esofago.

"Ti perdono per ciò che mi hai fatto, non per quello che credi di provare per me”, rispose a bassa voce dopo un po’, come se temesse che qualcuno potesse sentirli.

Hannibal, che nel frattempo aveva portato lo sguardo al cielo, tornò a posarlo su di lui.

“Non sono l’uno legato all’altro?”

“No. Non è stato per amore che mi hai servito su un piatto d’argento l’opportunità di uccidere Hobbs o Tyer, né che mi hai assecondato fin quasi all’ultimo momento quando stavo per uccidere l’assistente sociale di Peter Bernardone. È stata la curiosità a guidare le tue scelte, e le tue scelte hanno guidato le mie. E per questo ti perdono.”

Will non sapeva quanto fosse saggio continuare a parlare di quell’argomento. Ogni volta che pensava a quello che l’altro sosteneva di provare per lui gli si annodava lo stomaco di rabbia, stupore e una punta di lusingato orgoglio che non avrebbe mai ammesso ad anima viva.

Nonostante tutto, essere l’oggetto del desiderio di una creatura come Hannibal Lecter era qualcosa che mozzava il fiato.

“Mi perdoni per i tuoi peccati”, osservò Hannibal.

“Sì. E perdono me per i tuoi.”

“Ma non riesci ad accettare che provi qualcosa per te.”

Will prese un respiro profondo, scuotendo la testa.

“La tua è… ossessione”, mormorò nel bicchiere, prendendone un altro sorso. Sperava che minimizzare la cosa lo avrebbe aiutato ad allontanare il panico che gli attanagliava le ossa.

“Forse è anche quello. Fa differenza?”

“Sì. Sono la prima persona che riesce a vedere ciò che sei. È normale che tu ti sia infatuato di me. Dell’idea che hai di me.”

“E quale sarebbe la mia idea di te?”

Will si accorse che Hannibal aveva già finito il suo drink, e si chiese se l’uomo non avesse avuto intenzione fin dall’inizio di toccare quell’argomento e l’alcool non fosse stato tanto per Will quanto per lui.

“Qualcuno che ti assomiglia, che puoi facilmente fuorviare con la tua influenza e plasmare a tua immagine  e somiglianza”, rispose. “Purtroppo per te sono un esperimento mal riuscito, come il mostro di Frankenstein.”

“Io ti vedo come mio eguale, Will, non come un esperimento”, ribatté Hannibal, continuando a guardarlo nonostante Will si ostinasse a non voltarsi. “Io e te siamo complementari. Tu sei la mia perfetta metà.”

Will chiuse gli occhi, rabbrividendo a quell’affermazione che pareva tanto inesorabile quanto minacciosa. Si umettò le labbra.

“In ogni caso il tuo è un amore narcisistico. Ami la parte di te che rivedi in me.”

Hannibal sorrise, e Will avvertì lo sbuffo d’aria del suo divertimento anche senza guardarlo.

“L’amore è narcisistico ed egocentrico per sua natura, Will”, gli fece notare. “Amiamo coloro che ci fanno sentire bene, coloro con cui sentiamo di avere qualcosa in comune. Amiamo i nostri figli perché sono ciò che rimarrà di noi dopo la morte, e i nostri coniugi perché ci fanno sentire amati e sicuri. Anche l’amore che avevi per i tuoi cani era egoistico. Tenevi a loro perché non ti chiedevano nulla in cambio e perché non erano in grado di vedere realmente cosa si cela in te. Riflettevano la realtà che avresti voluto fosse reale, ignorando le parti di te che non sei mai riuscito ad accettare.”

Will finì il suo drink e appoggiò il bicchiere in bilico sull’ampia chiglia, voltandosi finalmente verso l’altro e sistemandosi a gambe incrociate. Era buffo come per chiunque altro quella situazione - essere seduti al buio a parlare d’amore sotto le stelle, l’alcool sulle labbra e la luce della luna a illuminarli - sarebbe potuta essere l’epiteto del romanticismo. Will aveva perso il conto di tutte le volte che aveva rimpianto una vita più semplice.

“Stai riducendo l’amore a ciò che tu pensi che sia”, ribatté. “Per te è una creatura affamata, tutta artigli e zanne, avida di possesso. Si riflette nel modo in cui ti sei sempre comportato con me. E’ per questo che averti intorno mi fa così male.”

Hannibal lo osservava attentamente, il capo inclinato appena da un lato.

“Anche adesso?”

“Sì. Perché non è mai esistito nessuno che mi abbia usato e ferito quanto hai fatto tu, e se fossi una persona normale avrei lasciato che l’FBI ti catturasse senza avvertirti o ti avrei ucciso con le mie mani. E invece non ne sono in grado.”

Il lampione sulla strada poco più in là sfarfallò un paio di volte accendendosi, gettando una luce ambrata su un lato dei loro visi e sull’altro ombre decise, come in un chiaroscuro di Caravaggio.

“Ti comprendo troppo bene per lasciarti andare”, continuò Will con la voce di qualcuno che aveva ormai accettato una verità innegabile. “C’è un... vuoto, nella realtà, nel posto che occupavo prima di incontrarti, una sagoma con la mia forma. Dovrebbe essere un incastro perfetto, ma tu mi hai cambiato così tanto che non riesco più a entrarci. Quando ti ho intorno ciò che sei filtra in me e riesco a sentire i tuoi desideri, la tua fame artigliarmi lo stomaco, e non riesco più a distinguere dove tu finisci e dove io cominci.”

Hannibal sembrò soppesare le sue parole prima di rispondere. La parte superiore del suo corpo era angolata verso Will, come se lui fosse il suo centro di gravità.

“Parli come se non avessi alcun appetito per la violenza, ma il tuo è pari al mio”, disse. “La differenza è che tu ti rifiuti di accettarlo e punti il dito contro di me per addossarmi colpe che non ho.”

“Io non traggo alcun piacere dal togliere la vita a degli innocenti”, ribatté Will, ma per una volta non c’era rabbia nel suo tono, solo una stanca fermezza.

“L’innocenza è un costrutto degli esseri umani, e come tutto ciò che li riguarda è soggettiva”, rispose Hannibal. “Ti senti davvero di ergerti a giudice? Nemmeno Dio sembra preoccuparsi di chi ha o non ha colpa quando elargisce morte e distruzione, perché dovrei farlo io?”

“Tu non sei Dio, Hannibal. Sei solo un uomo, anche se non gradisci ricordarlo.”

Hannibal sorrise, come se avesse voluto arrivare esattamente a quel punto del discorso.

“Se lo sono allora perché è così difficile credere che possa provare la più umana delle emozioni?”

Will aprì la bocca per rispondere ma la richiuse, non sapendo cosa dire.

Perché sei uno psicopatico, e non puoi provare amore.

Perché nessun amore dovrebbe costare un tale prezzo in sangue e lacrime.

Perché se fosse vero allora quello che mi hai fatto farebbe ancora più male.

Deglutì, e finì per non dire nulla.

“Will”, iniziò Hannibal, ma Will aveva sentito abbastanza.

“Credo che andrò a dormire”, lo interruppe, scivolando giù dalla barca per allontanarsi, ma Hannibal fece lo stesso.

“Will”, ripeté, allungando il braccio per impedirgli il passaggio, e senza volerlo - o forse deliberatamente - la sua mano cadde sul ventre del profiler.

Entrambi si congelarono sul posto a quel contatto, due statue di sale perfettamente immobili che a malapena respiravano.

Nessuno dei due aveva più fatto alcun riferimento alla ferita che lì giaceva, nascosta solo da un misero strato di stoffa. Così come con l’argomento dell’amore di Hannibal, avevano entrambi preferito fingere che non fosse lì, ma nessuno dei due aveva mai dimenticato che ci fosse. Will aveva sempre accuratamente evitato di spogliarsi di fronte all’altro, e l’ex-psichiatra, nonostante la sua reiterata invasione del suo spazio vitale, si era ben guardato dal posare le mani in un punto anche solo remotamente vicino a quello per paura della reazione che avrebbe potuto causare. Will stesso aveva passato mesi a non guardarsi allo specchio, pur di non vedere il marchio che l’altro aveva lasciato su di lui, come un sorriso crudele che lo sbeffeggiava per essere stato lasciato indietro.

Will avvertì il calore della mano di Hannibal passare attraverso la stoffa sottile della sua maglietta, e quando col cuore in gola alzò lo sguardo vide che l’altro sembrava essere pietrificato quanto lui, gli occhi che non riuscivano a staccarsi da quell’unico punto di contatto.

“Vuoi vederla, vero?”, chiese il profiler.

Hannibal aprì le labbra, pronto a elargire una delle sue risposte vaghe, ma Will questa volta non glielo avrebbe permesso.

“La verità”, gli impose.

Hannibal sollevò lo sguardo, e Will poté leggere in quegli abissi scuri il desiderio che fino ad allora aveva accuratamente celato. Nessuno dei due aveva minimamente accennato a mettere distanza tra loro, né ad uscire da quella posa possessiva, il braccio di Hannibal in parte intorno alla vita di Will, come se quello fosse il suo legittimo posto.

“Lo vorrei molto”, ammise a bassa voce.

Will prese un respiro tremulo.

“Perché? Così da poter avere sotto gli occhi il male che mi hai fatto? Il tuo marchio su di me?”.

Le dita di Hannibal si strinsero impercettibilmente sul suo ventre, e alla luce del lampione poté vedere le pupille dell’uomo dilatarsi di piacere al pensiero. Stronzo vanesio.

“Se non vuoi mostrarmela, Will, lo capisco”, disse comunque, anche se con riluttanza.

Will dovette prendere qualche respiro profondo prima di riuscire a muoversi. Lentamente la sua mano scansò quella di Hannibal, prese un lembo della maglietta e ne sollevò l’orlo, rivelando pezzo dopo pezzo la sua pelle chiara.

Gli occhi di Hannibal sembrarono inghiottire quell’immagine con l’ingordigia di un assetato che tocca l’acqua dopo mesi di siccità. Will aveva distolto lo sguardo, ma avvertì l’esatto momento in cui la cicatrice entrò a contatto con l’aria e divenne visibile. Hannibal cadde in ginocchio di fronte a lui, e Will suo malgrado tornò a guardarlo, sorpreso. C’erano desiderio e ammirazione nel suo sguardo scuro, e fame e una forma di stupore reverenziale nelle sue labbra dischiuse.

Quasi sobbalzò quando le dita dell’altro lo sfiorarono, scorrendo leggere come un sospiro sul bordo irregolare della ferita.

“Non è guarita bene”, mormorò Hannibal con una punta di disapprovazione, la voce per una volta roca come se avesse la gola secca. “Il taglio da me fatto era preciso, il segno avrebbe dovuto essere minimo.”

“Sono un pessimo paziente”, rispose Will con una sorta di disperato umorismo. Tremava appena, da capo a piedi. “Temo di aver rovinato il tuo capolavoro.”

Hannibal sollevò gli occhi su di lui, e Will vide lo sguardo di perfetta adorazione che il mostro ai suoi piedi gli stava rivolgendo, come se fosse un'opera d'arte. Come se Will fosse la cazzo di Gioconda e fosse un privilegio trovarsi lì di fronte a lui, in ginocchio, a riempire di pieghe i pantaloni ridicolmente costosi che aveva indosso.

“Sei magnifico, Will”, esalò l’uomo, e Will fu costretto a chiudere gli occhi pur di sfuggire all’intensità del suo sguardo.

Sobbalzò nuovamente, questa volta con violenza, quando sentì le labbra di Hannibal premere contro la cicatrice in un bacio appena palpabile. Suo malgrado un gemito strozzato gli sfuggì dalla gola, e sentì i tremiti che lo scuotevano farsi più forti. Hannibal gli afferrò i fianchi con più forza - non tanta che non avrebbe potuto liberarsi se lo avesse voluto, comunque - e lo tenne fermo lì dov’era. Will riuscì solo a restare immobile, gli occhi chiusi e umidi, del tutto sopraffatto da quanto giusta e sbagliata al tempo stesso fosse la sensazione della lingua di Hannibal che sostituiva le sue labbra in quell’esplorazione.

“All’inizio continuavo a sognarti”, confessò Will in un soffio senza realmente sapere perché lo stesse dicendo. “Mi inchiodavi a terra e mi strappavi i punti dalla ferita coi denti, lasciandomi di nuovo a morire dissanguato.”

Hannibal sollevò lo sguardo su di lui, leccandosi le labbra.

“Sogni spesso che io ti faccia del male?”

Non aveva alcun diritto di suonare così calmo.

“Non ho bisogno di sognarlo”, rispose Will, tornando a chiudere gli occhi quando Hannibal riprese ad esplorare la sua pelle con le labbra come se fosse il suo modo di scusarsi.

Le terminazioni nervose in quell’area dell’addome di Will erano state danneggiate dalla ferita. Per mesi erano state quasi del tutto insensibili, ma in quel momento sembrava che avessero deciso di risvegliarsi tutto d’un botto sotto le attenzioni di colui che le aveva segnate, come se riconoscessero il tocco del loro legittimo proprietario.

A un certo punto perse cognizione di ogni altra cosa che non fosse quel contatto tra loro. Seppe che le sue guance erano in fiamme solo quando Hannibal si rialzò e le prese tra le mani, appoggiando la fronte alla sua e respirando sulle sue labbra.

“Mio Will”, sussurrò con quella che poteva essere descritta solo come meraviglia. “Oh, how I long for thee.”

Will emise un respiro divertito, gli occhi ancora chiusi e la certezza che fossero le mani dell’altro intorno al viso a tenerlo in piedi.

“Non so cosa tu possa bramare ancora”, rispose col poco fiato che aveva in gola. “Hai libero accesso alla mia mente da molto tempo ormai. Hai abbattuto ogni singola difesa che ho provato ad opporre, e hai lasciato dietro di te solo terra bruciata. Cos’altro vuoi?”

Hannibal prese un lungo respiro, inspirando l’odore della pelle di Will così vicino a lui.

“L’unica cosa che non posso prendere con la forza.”

Ma certo, pensò Will. La fame di un wendigo non conosceva fine, né poteva essere saziata finché non avesse consumato completamente l’oggetto del suo desiderio. Peccato per il mostro che del suo cuore fosse rimasto ben poco.

“Potresti, se me lo strappassi dal petto”, osservò, prendendo la mano dell’altro tra le sue e portandosela al torace, dove quel muscolo ribelle ancora batteva nonostante tutto ciò che entrambi avevano fatto per arrestarlo.

“Non è quello che voglio”, disse Hannibal.

“No. Non lo è”, concordò Will.

Aprì finalmente gli occhi, e poté vedere ogni speranza e desiderio che si agitava dietro gli occhi scuri dell’altro. Vi erano vite intere di potenzialità in quelle pozze buie, e mondi che sapeva gli sarebbero stati offerti su un piatto d’argento se solo avesse deciso di assecondarlo. Infinita bellezza, e inimmaginabile rovina, e la certezza di appartenere alla persona per cui si è nati.

“Non posso essere ciò che vuoi”, sussurrò suo malgrado, perché era vero.

“Non voglio che tu sia nulla che già non sei”, ribatté Hannibal.

I loro volti erano così vicini che avrebbero potuto colmare la distanza tra le loro bocche in ogni momento, ma non era quello il punto.

“Non ho… appetito per l’omicidio indiscriminato”, insistette Will.

“Tutti abbiamo il potenziale per uccidere. Alcuni di noi richiedono più incoraggiamento di altri.”

Will scosse la testa. A un certo punto aveva affondato le dita nella camicia dell’altro, stringendone la stoffa come per timore di cadere, e nemmeno se ne era accorto.

“Dici incoraggiamento, ma intendi coercizione”, obiettò.

“Non ti ho mai obbligato a fare nulla, Will. Quando hai ucciso l’hai fatto per tua scelta.”

“Randall ha tentato di uccidermi, e Garrett Jacob Hobbs avrebbe ucciso Abigail”, ribatté debolmente, ma anche alle sue orecchie quelle parole suonarono vuote.

“Non l’hai fatto per quello. Fare del male a chi fa del male dà una bella sensazione, tutto qui.”

Will avrebbe voluto che quelle parole non suonassero così vere alle sue orecchie. Per un attimo pensò davvero che fosse tutto così semplice. Che per tutti quegli anni si fosse ingannato, seguendo una sua cieca etica in un mondo che ruotava invece intorno all’estetica della violenza. Per un attimo abbracciò il punto di vista di Hannibal - né bene né male, né giusto né sbagliato, ma solo scale di grigio e coloro troppo stolti per comprenderlo - e si stupì della facilità con cui gli riuscì, come se si stesse infilando un abito che gli calzava a pennello.

Poi lanciò uno sguardo oltre le spalle di Hannibal, dove i fantasmi di Abigail e Beverly lo fissavano dall’altra parte del giardino, e seppe che il senso di colpa ancora dentro di lui non glielo avrebbe permesso.

“Non posso”, disse scuotendo la testa, e questa volta indietreggiò, abbassandosi la maglietta e voltandogli le spalle per tornare verso casa.

Hannibal lo fissò allontanarsi con una sorta di frustrata esasperazione.

“Jack Crawford non merita questa tua lealtà”, gli disse prima che potesse rientrare all’interno.

Will si bloccò sul posto, ma non si girò a guardarlo.

“Non è per Jack che lo faccio”, rispose. Sentì la mano di Beverly posarsi sulla sua spalla, e strinse i pugni per darsi risolutezza. “E’ per rispetto verso la persona che ero.”

  
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