SPIN OFF DI
NOTTE ROSSA DI
PLENILUNIO
ATTENZIONE:
La spin è un
collegamento
tra il capitolo 19 e
26
capitolo di NRDP.
La canzone di
accompagnamento
è la bellissima
My
Heart will go on (Celine Dion)
FAR,wherever you
are
-Lontano,ovunque
tu sia-
Il tempo passava rapido.
I giorni divennero presto
settimane, le settimane mesi.
La clessidra scandiva
inesorabilmente il ritmo della sua eterna prigionia.
Una prigione dorata e confortevole,
ma pur sempre una prigione.
Poteva resistere lontana da
lui?
La lontananza fa
all’amore
quello che il vento fa al
fuoco:
spegne il piccolo e scatena il
grande.
Roger de
Bussy-Rabutin
I chilometri che ci separano
non riusciranno a renderci
lontani.
Perché io e te siamo una cosa
sola,
che nessuna distanza potrà mai
dividere.
Le cose non vanno mai come credi
un'altra notte ti svegli e ti
chiedi
se hai sbagliato per quella
promessa
se hai mentito per una carezza
per questo viaggio ci vuole
coraggio
per questo amore pieghiamo il
destino
ti resto accanto su questo cammino
però ti prego tu dammi la
mano
Giorgia
[Marzo]
Una piacevole sensazione di
freschezza le ridestò la mente dal torpore.
Rilassò i muscoli del viso,
sentendo il panno umido bagnarle la fronte e le labbra
secche.
Le aprì lentamente, mentre
avvertiva un’improvvisa voglia di dissetarsi a causa della gola secca e la bocca
amara.
“Signorina
Akane?”
Udì una voce chiamarla, ma era
talmente lontana e indistinta che non la riconobbe; mugugnò in segno di protesta
quando il panno le fu allontanato dalle labbra.
“Signorina Akane mi
sente?”
La voce cominciò a farsi più
nitida. Una sensazione di familiarità l’avvolse nell’udire quella “r” moscia, ma
la sua mente era ancora troppo intorpidita per associare la voce ad un
volto.
Con calma provò ad aprire gli
occhi, chiudendoli di nuovo non appena un fascio di luce si insinuò tra le
palpebre.
Le immagini che riuscì a
distinguere erano sbiadite, contornate da puntini neri.
Cercò di focalizzare meglio la
stanza.
“Signorina Akane, mi
sente?”
Girò la testa in direzione della
voce, ancora confusa.
Annuì impercettibilmente con la
testa e improvvisamente fu infastidita dalle urla di gioia che riempirono la
stanza, tanto da farle storcere il naso.
Le sue orecchie erano ancora
accoccolate nel silenzio del suo sonno e sentire quei picchi di voce fu molto
irritante.
Cercò di alzarsi dalla posizione
supina, ma un dolore atroce le si irradiò per tutta la schiena, costringendola a
rimettersi stesa con un lamento.
La serva le fu accanto prontamente
“Non dovete alzarvi Akane-sama, le ferite sono ancora
fresche.”
Una volta passata la fitta, Akane
posò la sua attenzione su Huime, la kitsune-youkai.
“Cosa è successo?” Domandò
riacquistando lucidità e ricordando dove si trovava.
Intravide gli occhi della youkai
inumidirsi di colpo, le labbra divennero esangui, mentre si torceva le dita “Non
ricordate nulla?”
Akane scosse piano la testa
avvertendo i muscoli del collo indolenziti.
Huime abbassò il capo “Una
settimana fa siete stata ferita alla cerimonia del
plenilunio.”
*Una settimana fa?*
Impacciata si premette le dita
sulle palpebre, cercando di ricordare quella sera. Aveva ricordi sbiaditi e
sfocati, rammentava di essere stata attaccata da due ookami e di averne ucciso
uno fortunosamente.
Ripercorrendo con la mente ogni
ricordo di quella sera, cercò di ricostruire cos’era accaduto nel lasso di tempo
fra il momento dell’aggressione e quello del combattimento nell’arena con il
secondo ookami, senza però riuscire a colmare quei vuoti di
memoria.
L’ultima cosa che ricordava era
l’immagine di Toshio.
“Volete qualcosa di caldo
Akane-sama?”
Akane annuì, togliendo la mano
dagli occhi e cercando a fatica di mettersi seduta.
La kitsune le porse una tazza
bollente e le sistemò meglio i cuscini dietro la schiena fasciata.
Bevve il contenuto della tazza
tutto d’un sorso, così avidamente che non si accorse nemmeno di essersi bruciata
la lingua e, mentre Huime impartiva ad altre piccole kitsune di preparare
qualcosa da mangiare per lei, Akane si adagiò meglio sui guanciali tirando un
sospiro di sollievo.
Improvvisamente sentì l’atmosfera
farsi più pesante e s'accorse di essere rimasta da sola con la
kitsune.
Akane la fissò, mentre sistemava
la stanza, ma la cosa che la colpì fu che non riusciva a guardarla negli occhi.
“Non dovete sentirvi in colpa per
quello che è successo Huime. Non è colpa…”
Un singhiozzo interruppe a metà la
frase della giovane, che guardò sconcertata le spalle dell’anziana tremare. “Mi
dispiace” riuscì a dire la kitsune, tra le lacrime.
“Se solo avessi immaginato sarei
venuta anch’io con voi.”
L’anziana youkai si nascose il
volto tra le mani e pianse cercando di trattenere i singhiozzi, mentre una
sensazione d’angoscia la coglieva all’orribile ricordo di quella sera, quando un
Hambun-youkai si era presentato con la ragazza svenuta e ferita tra le braccia.
In quel momento aveva provato
ansia allo stato puro nel vedere tutto quel sangue che colava da quel corpo
pallido e sfigurato. Mai si sarebbe aspettata un simile
epilogo.
A questo si aggiunse l’imperativo
ordine del suo padrone che, tornato dalla cerimonia, minacciò di uccidere venti
suoi servi nel caso in cui la ragazza fosse morta.
Così aveva iniziato a vegliare su
di lei e ogni minuto, ogni ora che passava accanto al capezzale della giovane
aumentava in lei il desiderio di vederla ristabilita, consapevole di provare un
forte senso di protezione che nulla aveva a che vedere con il
dovere.
La ragazza era speciale, Huime lo
sapeva.
Akane sorrise e, cercando di
rassicurare l’anziana, tentò di metterle una mano sulla spalla, ma il dolore
glielo impedì.
“Non potevate sapere quello che
sarebbe successo” disse infine appoggiandosi ai cuscini.
La kitsune tirò su con il naso,
avvicinandosi alla giovane a capo chino “Potrete mai perdonarmi?” Chiese a bassa
voce.
Akane notò che la youkai aveva il
volto stanco e profonde occhiaie le solcavano gli occhi. Le era rimasta accanto
per tutto quel tempo.
Sorrise prendendole la mano “Solo
se da oggi ci diamo del tu.”
Il volto arcigno e umido
dell’anziana si illuminò “Grazie Akane.”
La guarigione della giovane fu
rapida, vista la forte fibra che la caratterizzava.
Dopo aver passato una settimana a
letto senza riacquistare conoscenza, una volta sveglia le bastarono altri sei
giorni per riprendersi totalmente dalle ferite, grazie alle amorevoli cure di
Huime e delle altre serve.
Non appena riuscì ad alzarsi fu
convocata immediatamente da Toshio per un’udienza, dove lo youkai le spiegò
brevemente le ferree regole del palazzo.
Fu così sintetico e freddo che da
liquidarla con poche e semplici parole.
“Osa mettere piede fuori dal
palazzo e sarai punita.”
Dopo quell’incontro si videro
soltanto una volta, molto più breve della precedente, durante la quale la
informò che Huime sarebbe diventata la sua dama di
compagnia.
Da quel momento sparì dalla sua
vita.
Divenne solo il fantasma di colui
che l’aveva strappata dalla sua casa.
Era sempre in viaggio e quando
tornava preferiva stare nelle sue stanze in completa solitudine.
Più volte Akane si chiese il
perché l’avesse portata con lui nel suo regno, visto che non si incontravano
mai.
Da una parte fu sollevata da
quella circostanza, visto che Toshio le incuteva molta soggezione e il non
vederlo la tranquillizzava parecchio, ma dall’altra era curiosa di capire la
motivazione della sua prigionia.
Forse dividendoli voleva fare un
torto Ranma?
Possibile che la sua venuta in
quel regno fosse solo il frutto di una stupida vendetta tra
maschi?
Ne aveva parlato a lungo con
Huime, ma l’anziana era rimasta vaga sulla cosa, eppure, secondo Akane, la
kitsune sapeva molte più cose di quanto volesse far
credere.
A poco a poco, cominciò una sorta
di quotidianità per la giovane che, sopprimendo ogni sentimento verso casa, si
buttò anima e corpo negli allenamenti.
Huime cominciò a cucirle i vestiti
e a proibirle di tagliarsi i capelli. Era davvero un’ottima compagnia. Presto
Akane apprezzò ogni lato del suo carattere duro e dolce allo stesso tempo; ella
divenne la sua confidente. Passavano le serate a parlare e Akane cominciò a
raccontarle della sua vita precedente il rapimento, compreso Ranma, ma il dolore
che le provocava parlarne la fece smettere ben presto.
Huime si dimostrò una grande
ascoltatrice, capiva la sofferenza della ragazza e ben presto tra le due si formò un
profondo legame.
Fu qualche settimana dopo la sua
guarigione che fece un incontro inaspettato.
Anzi, più
incontri.
Era una mattina qualunque ed Akane
era intenta a eseguire i suoi kata quotidiani, tra esercizi e allenamenti,
mentre Huime stava impastando la farina in un tegame molto più grande di lei,
tanto da costringerla a salire in piedi su di una sedia per poter lavorare più
agevolmente.
Tra le mani teneva un lungo
mestolo, che muoveva energicamente.
“Non è che ti stai stancando
troppo Huime?” Domandò Akane sferrando un pugno nell’aria.
La kitsune la guardò fintamente
contrariata “Mi stai dicendo che sono vecchia?”
Akane sorrise a quella domanda e
ci pensò su qualche secondo “Beh, non sei più una youkai giovanissima,
magari…”
Improvvisamente uno strano fruscio
di foglie interruppe la risposta di Akane che, di scatto, girò la testa. “Hai
sentito?” Mormorò.
Huime annuì seria, scendendo dalla
sedia e posizionandosi al fianco di Akane, impugnando il grande mestolo come un
bastone.
“Viene da là” asserì l’anziana
puntando il dito verso il muro di cinta, lungo il quale correva una fitta siepe
di pruni in fiore.
La giovane si avvicinò
circospetta, alzando le mani in posizione di difesa nel momento in cui il rumore
si ripeté una seconda volta.
C’era qualcuno nascosto in quella
siepe. O qualcosa?
La sua mente galoppò così veloce
che non poté fare a meno di deglutire, pensando a quale orribile creatura vi si
potesse nascondere.
Una spia? Un
nemico?
Cercò di non badare al battito
troppo accelerato del suo cuore.
*Calma. Stai
calma.*
Si avvicinò ancora, finché non si
trovò ad un passo dalla siepe.
Un movimento improvviso scosse le
foglie.
Strinse gli occhi raccogliendo
tutto il coraggio che riuscì a racimolare.
Dannazione, era un artista
marziale giusto? Non doveva avere paura.
Alzò di scatto il braccio e con un
colpo secco tentò di colpire il cespuglio con il lato della
mano.
“COMBATT….” Ma l’urlo si trasformò
in un grido di paura quando, in contemporanea, vide sbucare dalla siepe un
piccola figura.
Anche lo sconosciuto, preso in
contropiede, urlò di rimando e non potendo fermare l’avanzata del suo salto andò
a sbattere contro la testa Akane.
Entrambi caddero a
terra.
“Akane!” Strillò Huime, mentre
correva a chiamare a gran voce le guardie.
La ragazza si alzò lentamente dal
prato, massaggiandosi la nuca e mugugnando qualcosa di
incomprensibile.
“Ahi! Ahi che male! Cavolo ma
perché non stai attenta?”
Akane si girò sentendo quella voce
sfrontata.
Davanti a lei c’era un ragazzino
di circa nove anni con il volto sporco di terra, i folti capelli neri, dove era
rimasta impigliata qualche foglia, e grandi occhi azzurri.
Per un momento si perse in quegli
occhi, così incredibilmente simili a quelli di Ranma.
“Ma tu chi sei?” Domandò Akane
ancora intontita, vedendo il suo aspetto trasandato, mentre si chiedeva se
fossero macchie di sangue o di terra quella sulla sua
maglietta.
Prima che il giovane potesse
parlare, dallo stesso pruno sbucarono altri due youkai.
Uno della stessa età del primo che
portava sulla schiena un altro cucciolo, probabilmente più piccolo di qualche
anno, vista la corporatura più minutina.
Era coperto da un mantello nero
con il cappuccio.
“Kubo ti sei fatto male?” Domandò l’altro
ookami. Aveva la capigliatura ramata e profondi occhi color cioccolata,
contornati da buffi occhiali.
Anche lui non aveva un
bell’aspetto.
L’amico sorrise cercando di
alzarsi “Tranquillo Hitoshi sto bene.
Kimi?” L’ookami semi-nascosto dietro
la schiena dell’amico annuì stanco.
Hitoshi molto educatamente si
presentò alla giovane un po’ imbarazzato “Ci dispiace averla disturbata signora,
spero che Kubo non le abbia fatto male. Io mi chiamo Hitoshi, lei è
Kimi.”
Akane fissò il piccolo ookami
ramato con molta tenerezza, sorrise sia a lui che alla bambina, ma stranamente
la cucciola cercò di non farsi vedere, rannicchiandosi dietro la schiena di
Hitoshi e sfuggendo così all’occhiata incuriosita della
ningen.
Kubo abbozzò un sorriso; il suo
sguardo birichino si spostò su Akane, mentre con la mano si toccava il principio
di un bernoccolo “Certo che hai la testa dura, eh ningen?”
Akane s’indispettì per quel tono
così irriverente, così… tremendamente
familiare!
“Hei! Anche se sono una ningen, ho
un nome sai?” Rispose di rimando, alzandosi in piedi e sovrastandolo in altezza.
“Mi chiamo Akane.”
“Pfu, che razza di nome” celiò di
rimando il cucciolo, mentre l’amico lo rimproverava.
Akane socchiuse gli occhi
riducendoli a due fessure.
“Perché Kubo è meglio secondo te?
Posso sapere voi…” ma non ebbe neanche il tempo di finire la
frase.
Fu tutto così veloce che riuscì
solo a percepire la mano di Huime che la tirava per la manica, allontanandola.
“Ma che diavolo….”
In un batter d’occhio i tre
piccoli ookami furono circondati da una squadra di cinque hambun-youkai con le
lance puntate contro gli intrusi.
Kubo e Hitoshi si strinsero
schiena contro schiena proteggendo Kimi.
Le guardie di Toshio mugugnavano
versi poco rassicuranti agitando le lance.
Hitoshi scoprì il labbro mostrando
i denti, mentre Kubo si trasformò in ookami. Un lupo dal manto nero. Ringhiò:
anche se era solo un cucciolo ancora inesperto non avrebbe esitato ad attaccarli
uno ad uno, il tempo necessario per far scappare Hitoshi e
Kimi.
Forse si erano sbagliati, forse
non era quello il palazzo che Fukudo
gli aveva indicato prima di morire. Forse non era quello il luogo dove
portare in salvo sua
figlia.
Studiò bene la situazione,
valutando chi fosse l’anello debole di quegli schifosi ibridi che, imperterriti,
continuavano a inveire contro di loro stringendo sempre più il cerchio come una
morsa.
Kubo si decise ad attaccare,
caricò il peso sulle zampe posteriori pronto ad azzannare quelle bestie,
ma…
“Fermatevi!”
Tra le file degli hambun-youkai
sbucò Akane che prontamente si parò davanti ai tre piccoli, ignorando le parole
di Huime che le urlava di allontanarsi.
Lo sconcerto regnò sovrano tra le
guardie, che si scoccarono occhiate allibite.
“Sono solo dei cuccioli” disse
Akane con voce perentoria, vedendo che anche alcuni servi kitsune erano corsi a
vedere cosa stesse succedendo. “Non potete fargli male.”
Una voce parlò, forse un kitsune
“Sono intrusi, il padrone…”
“Non credo che Toshio-sama voglia
che youkai della sua razza vengano trattati in questo modo” li zittì
immediatamente Akane. “Anche se intrusi non vi permetto di toccarli, sono dei
bambini e come tali…”
“KIMII!!!” L’urlo di Kubo, appena ritornato in
forma umana, echeggiò tra le mura del palazzo, impregnando l’aria di una forte
apprensione.
Akane si girò, vedendo la bambina
caricata sulle spalle di Hitoshi, che si accasciava all’indietro, cadendo
svenuta al suolo.
Nel farlo il mantello che la
proteggeva si slacciò atterrando lontano da lei e da sotto il cappuccio nero
sbucarono dei bellissimi capelli candidi come la neve.
Akane rimase affascinata.
Non solo dalla capigliatura, ma
anche dalla pelle così chiara e alabastrina che sembrava cristallo.
Una bellissima bambola di
porcellana.
Ma lo stupore si tramutò in
angoscia quando avvertì dietro di lei il putiferio.
Gli kitsune-youkai gridarono frasi
sconnesse dove Akane riuscì a capire solo alcune parole.
“Bourei **”
“Hakukakotai**”
“IroIro**”
Essi indicavano la bambina a
terra, che venne subito soccorsa da Hitoshi e Kubo “Kimi! Kimi mi senti?” La
chiamò Hitoshi scuotendola per le spalle.
Akane rimase pietrificata.
Chiamavano quella bambina albina
Bourei, fantasma!
Come
potevano?
Cercò di mantenersi lucida mentre
si avvicinava ai piccoli, ma fu estremamente difficile non appena si accorse con
orrore che il corpicino della piccola era martoriato, pieno di ferite e di
morsi.
La rabbia e l’indignazione
montarono in lei come una valanga.
“Che hai da fissare?” Domandò
rabbioso Kubo parandosi davanti.
Solo allora Akane notò che anche i
due maschietti avevano sul corpo gli stessi segni. Gli occhi dell’ookami, prima
irriverenti, ora sembravano spiritati.
Da dove diavolo erano
venuti?
Tentò di rimanere calma “Per
favore, fammi vedere cos’ ha” il tono asciutto di Akane fece scostare Kubo, che
capì in quel momento di potersi fidare.
Doveva
fidarsi!
Akane s’inginocchiò al fianco
dell’albina, sentendole la fronte.
Scottava, maledizione.
Valutò ancora i segni sul suo
corpo e ad ogni toccò, d’istinto, la piccola tremava.
Akane deglutì tirando il fiato nel
momento in cui s’accorse di averlo trattenuto.
Una presenza dietro di lei la fece
girare e incontrò gli occhi piccoli e rudi della sua dama di
compagnia.
“Huime…” il tono di Akane era
implorante.
L’anziana alzò la mano intimandole
di tacere. Guardò con attenzione la piccola, poi chiuse gli occhi e le voltò le
spalle “Chiamate Il curatore Woshi” ordinò con tono inflessibile a due giovani
kitsune “La piccola ookami sta male.”
“Grazie” sussurrò Akane mentre
prendeva in braccio la cucciola che respirava con affanno e, insieme agli altri
due e Huime, corse all’interno del castello.
Da una delle finestre del palazzo
si poteva intravedere uno scorcio di tramonto.
Il cielo limpido aveva delle calde
tonalità dorate, che sfioravano appena le montagne, e che, piano piano,
sfumavano in altre più cupe, color lilla e cobalto, che coloravano la volta
celeste.
Il bellissimo gioco di colori che
la natura stava mostrando catturò l’attenzione di Akane, che sia appoggiò alla
balaustra con i gomiti posando il mento sulle nocche; stava aspettando che il
curatore Woshi, un anziano kitsune-youkai stempiato e dalla barbetta ispida,
uscisse dalla stanza dove stava visitando i tre ookami, assistito da
Huime.
Fu il rumore della porta a
ridestarla dai suoi pensieri e così si accorse dell’invitante profumo del thè
caldo che Huime le porse sotto il naso.
“Grazie Huime” disse Akane
prendendo tra le mani la tazza calda e sorseggiandola con gusto. “Come
stanno?”
Huime si appoggiò al muro, bevendo
a sua volta la bevanda “Direi bene. Woshi ha detto che devono solo riposare. I
due maschi hanno riportato ferite lievi, mentre la femmina è più grave, ma si
rimetterà presto. Stanno mangiando ora.”
Akane si lasciò sfuggire un
sospiro di sollievo: perlomeno stavano bene.
Passarono qualche minuto in
estremo silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri.
“Huime?”
“Mh?”
Akane abbassò lo sguardo “Perché
gli hanno fatto del male? Sono solo dei cuccioli.”
Huime sospirò a sua volta
massaggiandosi il collo “Akane la razza Ookami è la razza sovrana in questo
mondo e…”
“… E quindi non ammette che ci
siano delle eccezioni alla sua purezza, dico bene?” Terminò dura Akane
incrociando le braccia.
“Akane lei è diversa!”
“E’ soltanto un cucciolo albino,
che male potrebbe fare?”
Huime scosse la testa “Lei è un
ibrido e come se non bastasse è albina. I mezzi demoni difficilmente sono
accettati dagli Ookami.”
Akane strinse i
pugni.
Che razza di esseri ripugnanti
potevano mai essere questi ookami-youkai?
“Comunque sia non appena staranno
meglio potranno andarsene.”
La voce di Huime fu come uno
schiaffo per Akane “Cosa? Vuoi lasciarli vagare nel bosco da soli?” Il suo tono
crebbe di una tonalità.
Huime si staccò dal muro “E cosa
pretendi che faccia? Toshio-dono odia gli intrusi.”
Anche la voce di Huime
salì.
“E’ per colpa di Kimi?” Domandò
esterrefatta Akane.
Huime negò “Assolutamente no.
Toshio non ha mai dato peso alla purezza della sua razza. Lui non vuole nessuno.
Chiunque esso sia: ookami, Hebi, ningen… Se venisse a scoprire che abbiamo
ospitato questi tre piccoli verremmo frustati tutti seduta
stante.”
Akane fremette abbassando i pugni,
ma non protestò oltre, poiché dalla porta uscì l’anziano
Woshi.
Era un tipo rachitico, ma dal viso
molto dolce e saggio, che portava sul naso adunco un paio di occhiali senza asta
dalla montatura rotonda.
“Per il momento stanno bene”
asserì il dottore. “Tra un paio di giorni si rimetteranno. Riposano adesso. Sono
dei cuccioli molto forti.”
“Grazie mille Woshi-san” Ringraziò
Akane con un inchino.
“Sei in gamba vecchio mio” disse
invece Huime sorridendo all’amico che, salutando rispettosamente le due donne,
si dileguò.
Akane s’avvicinò alla porta e mise
la mano sul pomello, ma prima di aprirla disse
“Tra un paio di giorni Toshio-sama
sarà di ritorno al castello. Se puoi fammi avere un’udienza con lui, gli parlerò
io degli ookami-chan.”
“Akane…”
“No Huime, non li lascerò andare
via da soli. Mi rifiuto.”
La kitsune abbassò le spalle “Come
vuoi tu amica mia.”
Akane le sorrise entrando nella
stanza.
Era una camera abbastanza grande.
A destra erano posti tre letti a baldacchino, messi uno di fianco all’altro,
alternati da tre comodini antichi e stilizzati.
Dall’altra parte della stanza
troneggiava un camino, affiancato da un grande armadio a muro e davanti ad esso
era posto, su un tappeto, un tavolino con dei cuscini blu scuro.
Sulla parere di fronte alla porta
c’era un finestra che s’affacciava su una piccola
terrazza.
Akane entrò in punta di piedi,
vedendo Kubo e Hitoshi dormire profondamente, ognuno nel proprio letto. Sorrise
nell’osservare che Kubo si era appisolato tutto scomposto, con un cuscino sotto
alla gamba e il lenzuolo a sostituirlo, mentre Hitoshi riposava compostamente da
un lato del suo letto.
Si avvicinò ancora di più
accostandosi all’ultimo giaciglio, ma con grande sorpresa lo trovò vuoto. Le
coperte erano sgualcite, ma di Kimi nessuna traccia.
Stava per allarmarsi, ma una
leggere brezza di vento la indirizzò verso il finestrone.
Osservò le tende mosse dal fresco
venticello che annunciava il calare della sera. Magari…
Con lentezza Akane si diresse
verso il balcone, scostò le tende e uscì fuori.
Un tenue brivido le percorse le
braccia nude.
La trovò appoggiata al muro,
seduta a terra con gli occhi chiusi.
Le si strinse il cuore nel vederla
fasciata, ma nonostante ciò, con il vento tra i capelli, quella bambina era così
eterea. Sembrava un angelo con quei capelli lisci e bianchi come la
neve.
Da quel che aveva capito amava la
solitudine.
La bambina si accorse della sua
presenza e voltò di qualche centimetro il viso verso Akane, che le si sedette
accanto con le gambe di lato.
La vide irrigidirsi per qualche
secondo.
“Come mai chiudi gli occhi?” Le
chiese sottovoce incuriosita, cercando di parlare con tono materno, come avrebbe
fatto Kasumi.
“Per sentire il vento” fu la
risposta della cucciola senza aprire gli occhi.
La sua voce sottile era melodiosa
e soffice.
Come si poteva far male ad una
piccola così tenera?
“Il vento?” Chiese Akane
avvertendo la brezza sfiorarle il viso.
Kimi annuì “Se chiudi gli occhi lo
senti meglio. E’ come se mi parlasse, se cantasse una ninna nanna per me. Ha una
voce bellissima.”
Non riuscì a comprendere ciò che
intendeva la piccola albina, ma non appena la cucciola aprì gli occhi Akane si
perse in quello sguardo, dimenticando tutto il resto.
Non erano rosso fuoco, non erano
rosso sangue, non erano rosso scuro: possedevano tutte le tonalità di quel
tramonto che stava sfumando.
Erano amaranti con calde tonalità
di arancione e rosa antico: l’iride era contornata da una tonalità magenta.
Quegl’occhi irradiavano mistero,
tristezza e amore, ma anche una incredibile forza
interiore.
“Grazie mille per oggi” mormorò la
piccola toccandosi i capelli con fare impacciato e mentre abbassava lo
sguardo.
“Se non fosse stato per…” si tese
di colpo sentendo la mano di Akane accarezzarle il capo. Un impulso naturale di
difesa si insinuò in lei come un brivido, ma stranamente fu subito placato.
Dentro di lei una sensazione di familiarità e sicurezza la pervase, sciogliendo
quel nodo allo stomaco, mentre la calda mano di Akane le sfiorava la testa
nivea.
Kimi si lasciò cullare da quella
percezione dolce e materna. La ningen aveva un buon profumo, come la sua povera
mamma.
Chiuse gli occhi e senza pensarci
appoggiò la guancia sulla spalla di Akane, che dolcemente le cinse le spalle con
le braccia.
Quella bella sensazione di
protezione la avvolse e serena e rilassata si addormentò accoccolata sul petto
di Akane, che le sorrise accarezzandole ancora i capelli.
“Non ti preoccupare, sei al sicuro
adesso” mormorò.
Fissò per un momento le sua
fasciature e il volto le si contrasse “Siete al sicuro, nessuno vi farà del
male, ve lo prometto.”
Salì le scale sentendo dentro di
sé una pesante angoscia che le opprimeva il petto.
I due giorni erano volati troppo
in fretta e il momento dell’udienza richiesta a Toshio era
arrivato.
Ora il problema era che non sapeva
cosa dire per convincere lo youkai a far rimanere i tre piccoli.
Si era preparata un discorso nelle
ultime ore, ma come una stupida se l’era dimenticato non appena arrivata di
fronte all’enorme porta dello studio, all’ultimo piano del
castello.
Tentò di fare mente locale, ma
aveva la mente annebbiata dall’ansia.
Non le restava che improvvisare,
ne andava del bene di Kubo, Kimi e Hitoshi.
Rimase altro tempo ferma, davanti
alla porta di legno massiccio, indecisa se bussare o tentare la fuga. *Forza
Akane.*
Con un forte cenno della testa e
una mano a pugno si diede coraggio. Si avvicinò al portone, stava per bussare,
ma…
“Entra
ningen.”
Il comando inflessibile che
provenne dalla stanza la fece rimanere con la mano a mezz’aria.
Con decisione prese un bel respiro
ed entrò nello studio dello Tsuki no youkai.
Era una stanza cupa, ma molto
raffinata.
Il pavimento era di marmo nero,
lucido, con disegnati dei cerchi bianchi concentrici che s’intersecavano fra
loro, il soffitto era alto e a guglia, con la volta ricoperta da un affresco che
raffigurava la cerimonia dello Tsuki no Youkai.
Di fronte all’immensa porta dalla
quale Akane era entrata c’era un bellissimo rosone di vetro e ferro battuto che
occupava quasi l’intera parete, e sotto di esso si aprivano tre finestre ad
archi stretti.
Ai lati del rosone c’erano dei
mobili bassi pieni zeppi di pergamene e di fogli di cartapecora.
A destra c’era un libreria di
mogano scuro, molto grande con ante di vetro e angoli bombati, mentre dalla
parte opposta troneggiava un camino di marmo bianco sporco con davanti una
poltrona e un comodino. Ai lati del camino c’erano due statue nere raffiguranti
due ookami-youkai, mentre sopra vi era appeso un quadro raffigurante Toshio.
Davanti al rosone c’era una
pregiata scrivania completamente intarsiata, sempre di mogano scuro, ai cui lati
erano posti due lunghi candelabri di ottone con cinque braccia
ciascuno.
Toshio stava appoggiato alla
scrivania, in piedi, mentre leggeva una pergamena.
Akane dovette riconoscere che la
persona di Toshio, soprattutto in quel luogo, emanava un fascino misterioso e
accattivante, uno charme magnetico e attraente; ma era una bellezza fredda e
austera che inquietava invece di ammaliare.
Rimase impalata sulla soglia con
le mani nelle mani, indecisa su cosa fare, su cosa dire.
“La kitsune mi ha riferito che
volevi parlarmi. Ebbene?” Non la degnò di uno sguardo, ma la sua voce così roca
e profonda la agitò.
Deglutì, imponendosi di scacciare via la sgradevole
sensazione focalizzando la sua concentrazione sui tre piccoli. Doveva
farcela.
“Toshio-sama avrei una richiesta
da farvi” cominciò Akane cercando di mantenere la voce ferma. Non ricevendo
risposta proseguì.
“Giorni fa sono entrati a palazzo
tre cuccioli di ookami-youkai.”
Si fermò vedendo che il demone
aveva posato il foglio che aveva in mano, spostando l’attenzione su di lei.
“Erano feriti e stremati e così ho
chiesto a Woshi-san di curarli. Ora i piccoli stanno bene” un sorriso
inconsapevole fiorì sulle sue labbra “Sono in giardino con Huime. In attesa
della vostra decisione.”
Silenzio. Percepì gli occhi dello
youkai puntati su di lei, quasi a scavarle la mente. Non seppe definire bene se
irradiavano rabbia, indifferenza o curiosità.
Akane inchinò il busto giocandosi
il tutto per tutto.
“Toshio-sama, la prego di
acconsentire a far rimanere i piccolo nel castello. La prego non li mandi
via.”
Rimase in quella posizione, in
attesa di una risposta.
Avvertì lo youkai distogliere lo
sguardo da lei e avvicinarsi alle finestre.
Passò qualche minuto di silenzio,
carico di attesa.
Toshio posò i suoi gelidi occhi
sulle tre figure che, insieme alla kitsune, giocavano in uno dei giardini. Non
lo diede a vedere, ma non appena vide la cucciola albina mille pensieri gli
invasero la mente.
Ignorò il pulsare del suo petto,
anche se era strano sentirlo battere dopo tutti quegli anni; oramai era convinto
che fosse divenuto una inutile carcassa che aveva la sola funzione di tenerlo in
vita pompando sangue.
Fissò quegli occhi amaranti e in
quel riflesso vermiglio un vecchio ricordo riaffiorò, ma lo bloccò sul
nascere.
Distolse lo sguardo dal rosone,
continuando a voltare le spalle alla ningen ed emise la sua
sentenza.
“Fa che non mi capitano mai fra i
piedi.”
In un primo momento ad Akane parve
di non aver sentito bene, ma subito dopo il cuore le si riempì di
gioia.
Aveva
accettato!
Potevano
rimanere.
Si inchinò nuovamente ringraziando
il padrone.
“Arigato
Toshio-sama.”
Si congedò subito e corse via da
quella stanza, dove l’aria era più leggera.
Ignara che dentro quell’elegante
studio il più potente degli youkai combatteva con dolorosi ricordi.
Scese le scale fino ad arrivare al
giardino dove i tre piccoli e Huime l’aspettavano vicino ad una
fontana.
Al suo arrivo sul volto
dell’anziana trapelò la preoccupazione, ma il sorriso di Akane sciolse ogni
dubbio.
“Ha accettato!” Urlò
gioiosa.
Fu una festa.
Kubo e Hitoshi saltarono di gioia
schizzandosi l’acqua a vicenda, mentre Akane abbracciò
Huime.
“Come hai
fatto?”
“Non lo so” rispose Akane. Non lo
sapeva davvero!
Risero di gusto festeggiando
l’accaduto.
L’unica che rimase sulle sue fu
Kimi, che invece di festeggiare alzò lo sguardo in alto verso il rosone fino a
che i suoi bellissimi occhi amaranti incontrarono quelli argentati di
Toshio.
Si fissarono, come se cercassero
di scrutarsi a vicenda.
Fu un breve contatto, ma Akane se
ne accorse e in quel momento capì che forse Toshio aveva accettato la sua
proposta per Kimi.
Ma questo rimase una sua debole
supposizione.
Da quel giorno il tempo passò
rapido.
I giorni divennero presto
settimane e le settimane mesi.
Con i piccoli ookami non ci si
annoiava mai e tra le lezioni di arti marziali che Akane impartiva ai piccoli e
ai giochi, le ore di luce finivano troppo presto e questo non faceva che
aumentare le proteste di Kubo, instancabile nel giocare.
“Uffa! Non capisco perché dopo il
tramonto dobbiamo chiuderci nel palazzo e non possiamo più giocare! Mi annoio!”
Si lagnò sprofondando nei cuscini.
Huime, mentre rammendava, rispose
con finta pazienza.
“Invece di lagnarti perché non fai
come Hitoshi e leggi qualche bel libro?”
Kubo sbuffò lanciando
un’occhiataccia all’amico secchione “leggere NON è divertente. E’
barboso.”
Hitoshi di rimando gli fece una
linguaccia “Sei tu che non hai fantasia. Capisci solo lotta e arti marziali.”
Kubo masticò un insulto poco carino guadagnandosi un’occhiataccia da
Huime.
“Allora fai come Kimi e disegna
qualcosa?” Riprese la kitsune, guardando la piccola davanti a lei che colorava
con dei pastelli di cera.
Kubo scosse la testa “Io voglio
giocare, voglio allenarmi con Akane-chan.”
Huime alzò gli occhi al cielo “Sei
proprio un discolo Kubo.”
“Tsè, sono solo un cucciolo che
vuole divertirsi, che male c’è?”
Il battibecco tra i due fu
interrotto dall’entrata di Akane, con un vassoio pieno di biscotti dalla forma
alquanto discutibile.
“Ecco la merenda” gioì posando il
portavivande sul tavolo.
“Finalmente!”
Non ci fu neanche il tempo di
rendersene conto, che l’ingordigia di Kubo ebbe la meglio.
“Che buoni i biscotti!” Esclamò
buttandosi a capofitto sul vassoio prima degli altri e spazzolandone metà; ma
ahimè, il piccolo Ookami era ignaro del difettuccio di Akane per quanto
riguardava la cucina, ed in meno di due secondi si trovò a terra in preda a
forti dolori.
“Ahi! Ahi! Akane, ma che diavolo
ci hai messo in quei biscotti?” Domandò piagnucolante Kubo tenendosi lo stomaco,
mentre Hitoshi lo ammoniva sul suo comportamento.
Akane aggrottò le sopracciglia
facendo mente locale “Miele, zucchero, cannella, farina, uovo, zenzero,
caramello e qualche altra cosa che non ricordo” asserì convinta mentre un grosso
gocciolone scese dal capo di Huime e Hitoshi.
La kitsune si rese conto che forse
non avrebbe dovuto far preparare la merenda alla sua giovane amica.
“Ehm… Akane non è che forse hai
mescolato troppi ingredienti a caso?” Chiese Hitoshi, mentre Kimi annusava poco
convinta i dolcetti mezzi bruciacchiati.
Akane, non capendo a cosa
alludessero, si abbassò su Kubo poggiandosi sui talloni. “Ma perché? Non erano
buoni?” Chiese innocentemente.
Di rimando il piccolo ookami si
alzò in piedi con le lacrime agli occhi, esterrefatto da quella stupida domanda.
“E me lo chiedi? Sono disgustosi!” Sentenziò tenendosi lo stomaco brontolante.
Akane si risentì e gli assestò un
pugno sulla testa. “Screanzato! E io che li ho fatti con tanto
affetto.”
“Dì la verità, ci volevi morti non
è così?”
“Se fosse stato così non avrei
avuto bisogno dei biscotti te l’assicuro.”
“Ah già dimenticavo! La ragazza
dai modi da elefante.”
“Senti chi
parla.”
Huime, Hitoshi e Kimi si fissarono
scuotendo la testa.
“Ok, basta voi due” sentenziò
Huime prendendo per la collottola Kubo e avvicinandosi pericolosamente a lui
“Non è carino dire queste cosa ad una signora.”
“Ma…”
“Ah Ah” Huime lo zittì “Ora zitto
e cuccia!”
Sbatté poco elegantemente il
piccolo sui cuscini che, nonostante tutto, continuò a
brontolare.
Huime poi si rivolse ad Akane,
prendendo uno dei biscotti e assaggiandone un pezzettino. A fatica lo ingoiò,
riconoscendo che forse Kubo non aveva tutti i torti.
Cercando di trattenere un conato
di vomito le mise una mano sulla spalla.
“Bambina mia non sono male” mentì
“Ma se vuoi posso darti una mano io. Cercherò di insegnarti a
cucinare.”
“Possibilmente prima di avvelenare
mezzo palazzo” celiò Kubo, beccandosi l’ennesimo cazzotto in testa, questa volta
da Hitoshi.
Akane non vi badò e il suo volto
s’illuminò di gioia “Lo faresti davvero Huime?”
La kitsune sorrise annuendo e
questo bastò alla giovane per essere felice.
La serata passò tranquilla a parte
le sporadiche lamentele di Kubo.
“Uffa mi annoio! Non possiamo
uscire fuori a giocare?”
“No.”
“Huime
perché?”
“Perché no.”
“Ma non è una
risposta.”
“Fattela
bastare.”
Incrociò le braccia “Uffa, ma
perché non esiste un mondo di soli maschi!?”
Un mondo solo di
maschi?
Un guizzo passò negli occhi di
Akane.
Posò il libro e appoggiò il gomito
sul ginocchio posandoci il mento.
“E se ti dicessi che
esiste?”
Attirò l’attenzione di tutti i
presenti, soprattutto di Kubo che si sporse incuriosito sedendosi sul tavolino.
“Avete mai sentito parlare
dell’isola delle illusioni?”
Era fatta. L’attenzione era stata
catalizzata, soprattutto quella del giovane ookami dagli occhi celesti che,
estasiato, ascoltò rapito la storia di un gruppo di combattenti, capitanati dal
più forte artista marziale del Giappone, che si imbatterono in un principe di
nome Toma, che governava un’isola di soli maschi, per colpa di una strana
sorgente.
Akane parlò senza sosta per più di
un’ ora, parlando di tecniche leggendarie e combattimenti
estremi.
I tre ookami rimasero rapiti dal
suo racconto e la tempestarono di domande.
Il tempo passò rapido e i piccoli
crollarono dal sonno.
“Ti devo un favore amica mia”
celiò Huime.
Akane e la kitsune portarono di
sopra le pesti, sistemandoli nei loro letti, dopo di che uscirono
silenziosamente chiudendo la porta dietro di loro.
Akane
sospirò.
“Parlavi di lui non è vero?” Più
che una domanda quella di Huime era un’affermazione, ma Akane assentì ugualmente
chiudendo gli occhi.
“Non sei costretta a raccontare
loro le sue avventure.”
“No” rispose Akane alzando la
testa e fissando il soffitto “Parlare di lui indirettamente, come se fosse il
personaggio di una storia, fa meno male e mi fa star un po’
meglio.”
Huime le accarezzò il braccio
“Sicura di star bene?”
La giovane annuì regalandole un
sorriso.
“Bene allora, ci vediamo domani
Akane, buonanotte bambina. Dormi bene.”
“Anche tu” e così dicendo entrò
nella sua stanza.
****************
Corse in camera sua così
velocemente che non diede il tempo né a Huime né ai piccoli di chiederle cosa
fosse successo e perché Toshio-dono, incrociato prima nei corridoi, avesse un’
espressione tra il gelido e l’iroso.
“Lasciatemi in pace vi prego!” Li
liquidò così, in poche parole, sperando che capissero il suo
malessere.
Scappò via, voleva stare da sola,
non voleva vedere nessuno.
Come dei flash le immagini di
quello specchio si susseguirono rapidamente nella sua mente. Erano come delle
frecce che le si conficcavano dell’anima facendola sanguinare fino a
stremarla.
Una morsa le attanagliò così forte
lo stomaco da farle quasi mancare il respiro.
Chiuse la grande porta della sua
stanza, sbattendola e schiacciandoci il corpo contro, come a volersi murare, per
difendere se stessa, in quel piccolo mondo confortante che aveva imparato ad
apprezzare.
Il silenzio l’avvolse come un
manto caldo e per un attimo ritrovò la calma.
Cercò di rallentare il ritmo del
suo respiro.
Era buio, ma la luce lunare che
filtrava dalla finestra, donava alla camera un aspetto di
penombra.
Akane rimase immobile con la
schiena appoggiata alla porta.
Metà del volto triste era
illuminato da quel riverbero pallido e argenteo, che faceva brillare
malinconicamente anche le lacrime trattenute nei suoi occhi
socchiusi.
Il suo cuore pulsava furiosamente
ed era inutile cercare di calmarlo.
Non sarebbe servito a nulla, lo
sapeva.
Si staccò dalla porta e camminò
lentamente per la stanza verso la finestra.
Aveva bisogno di aria, aprì le
grandi ante e uscì sulla bellissima terrazza a semicerchio, che dava a picco sul
mare.
Una brezza leggera e fredda
l’accolse, mentre poggiava le mani sulla balaustra.
Rimase lì a fissare l’orizzonte
notturno mentre assaporava l’aria frizzante di salsedine che le sfiorava la
pelle.
Alzò gli occhi agli astri lunari
che s’intravedevano nel cielo nuvoloso e sorrise malinconica quando si illuse di
scorgere, in mezzo alle lune, quel volto tanto amato, il suo volto.
Il suo Ranma, in cielo, le
sorrideva in una maniera così affascinante e disarmante da drogarle i
sensi.
Come quel
pomeriggio.
Kami, sentì il suo corpo fremere.
L’aveva visto, dopo mesi aveva
rivisto Ranma!
Il sangue le arrivò così
velocemente alla testa che se la sentì pensante. Un senso di vertigine la
colse.
Anche se era cambiato, in quegli
occhi Akane aveva ritrovato il suo grande amore.
Era così che se lo sarebbe
ricordato, ogni notte, in ogni suo sogno. Per non dimenticarlo, per ricordare
ogni attimo trascorso con lui.
Every
night in my dreams
I see you.
I
feel you.
That is how I know you go on.
[Ogni notte nei miei
sogni
Ti vedo,
ti sento
È per
questo che so che continui a vivere]
“Ranma” mormorò mentre due lacrime
le bagnavano il volto niveo.
Permise alla sua anima di
abbassare tutte le difese, di fare uscire dalla sua corazza tutto il suo dolore,
almeno per quella notte.
Le mancava
terribilmente.
Anche se Huime e i cuccioli le
riempivano le giornate, lui era sempre presente nei suoi pensieri. Sempre, ogni
istante.
Lo aveva racchiuso in un piccolo
angolo del suo cuore, dove nessuno, nemmeno lo Tsuki no youkai in persona
avrebbe potuto accedervi. Poteva rompere tutti i Kagami che voleva, ma lei era
di Ranma, lei era sua.
Anche se lontano, anche se in
un’altra dimensione, sapeva che non l’avrebbe mai dimenticato, lui avrebbe
continuato a vivere in lei.
Far
across the distance
And spaces between us
You have come to show you go
on.
[Lontano,
attraverso le distanze
E gli spazi tra noi
Sei venuto per mostrarmi che
continui a vivere]
Un brivido.
D’istinto quel benefico calore che
l’avvolgeva come un abbraccio, svanì.
Si portò le braccia incrociate al
petto, stringendosi e sperando invano di ritrovarlo.
Percepì il suo odore muschiato e
fu come una droga.
Abbassò il volto mentre oramai le
lacrime le rigavano le guance umide.
Erano stille così dolorose e amare
che sembravano graffiarle il viso, incidendo la sua angoscia come un marchio
nella pelle.
La sua condanna: Averlo amato e averlo perso. Ancora una
volta!
Il suo cuore aveva osato troppo,
mai nella sua vita aveva provato qualcosa di simile.
E ora quella separazione aveva
riaperto la ferita che mesi prima aveva tentato di chiudere per non sfociare
nella pazzia, nella depressione, nell’angoscia di un futuro senza di lui.
Averlo rivisto, per quei pochi
minuti, averlo abbracciato, facendo rinascere in lei il ricordo sopito della sua
pelle, della sua voce, era stata un’ atroce punizione che il fato le aveva
mandato, poiché aveva ardito sperare, solo per un momento, una vita insieme a
lui.
Avrebbe retto a questa seconda
separazione? O sarebbe morta dissanguata nell’attesa che lui la venisse a
cercare?
Ma era giusto che lui la cercasse?
Era giusto venire meno alla promessa stipulata con Toshio?
Non lo sapeva, tutto quello che
sentiva era un lancinante dolore al petto, come se gli fosse stato stracciato
ancora una volta il cuore.
Doveva andare avanti, per non
affogare!
Love
was when I loved you
One true time I hold to
In my life we'll always go
on
[L'
amore è stato quando io ti ho amato
una sola vera volta a
cui resto aggrappata
nella mia vita andremo
sempre avanti]
Scosse la testa, lasciando cadere
le braccia lungo i fianchi.
Basta pensare, basta rivangare.
Doveva essere
forte.
Ma era difficile, era troppo
difficile.
Si asciugò il volto passandosi le
dita sotto gli occhi, mentre si voltava per rientrare, ma…
Ebbe un altro brivido!
Ma non per il
freddo.
Caldo e avvolgente, così intenso
da scuotere ogni fibra del suo corpo.
Di nuovo quel calore l’avvolse,
avvertiva la sensazione impalpabile delle labbra di Ranma sulla sua
guancia.
Il vento spirò più forte e con
esso portò un sussurro lieve, che giunse al suo orecchio
“Questo è per te
Akane.”
Come a ricordarle che lui esisteva
a mai l’avrebbe lasciata.
Si morse il labbro tremante,
mentre guardò con delicatezza la sua mano sinistra.
Piccole lacrime s’infransero su di
essa e sussultò.
Lui sapeva!
Come poteva dimenticarlo?
Come poteva dimenticare l’altra
metà del suo cuore?
Poteva impedire a quel cuore di
battere per lui?
Poteva impedire a quel cuore di
vivere per lui?
Near,
far, wherever you are
I believe that the heart does go on
Once more you open the door
And
you're here in my heart
And my heart will go on and on
[Vicino, lontano,
ovunque tu sia
Io credo che il cuore continuerà a battere
Ancora una volta
apri la porta
E sei qui nel mio cuore
E il mio cuore continuerà a
battere]
D’istinto avvolse le braccia
intorno al suo corpo, quasi a volersi stritolare.
Con tutta la forza che riuscì a
richiamare lo pensò intensamente.
“Buonanotte baka” sussurrò con
voce spezzata.
Sperò che quel suo abbraccio lo
avvolgesse.
Rientrò chiudendosi la finestra
alle spalle, mentre un senso di calore l’avvolse stringendole la gola.
Si buttò sul letto stanchissima,
rannicchiandosi in posizione fetale, mentre il cuscino piano piano s’inumidiva.
Si cullò tra i singhiozzi,
sperando e pregando che il sonno avesse la meglio.
Voleva vederlo, aveva bisogno di
vederlo.
Ancora una
volta.
Stupida Akane, perché struggersi
l’anima con tale masochismo?
Lentamente la stanza si annebbiò e
le braccia di Morfeo delicatamente l’avvolsero; come ogni notte, lo rivide nei
suoi sogni.
Alto, bello e
fiero.
Questo era il suo Ranma, colui che
le aveva rapito il cuore.
You're
here, there's nothing I fear,
And I know that my heart will go on
We'll
stay forever this way
You are safe in my heart
And my heart will go on
and on
[Sei qui, non c'è
niente di cui io abbia paura
E so che il mio cuore continuerà a
battere
Resteremo per sempre così
Sei al sicuro nel mio cuore
E il mio
cuore continuerà a battere e a battere]
La cose non vanno mai come credi
il cuore è pieno di lacrime rotte
il tempo è ladro di cose mai dette
e so che indietro mai più si
ritorna
eppure ancora ti resto vicino
stanotte resta su questo
cuscino
Giorgia
[Marzo]
Fine Spin
Off
Disegno Kikka-Grafica
Robby
Disegno
AngelsEyes
Note
dell’autrice
Spero che la spin vi sia piaciuta. L’ho scritta di
getto, domandandomi “Ma Akane cosa farà nel regno della luna?” Un piccolo regalo
per voi lettori di NRDP, grazie di tutto!!
Un
bacio fortissimo ai miei angeli dello staff!
Monica, Robby, Kikka, Mary e Ice
VI
AMO
!!Attenzione!!: Mercoledì 8 Aprile metterò il
capitolo 28 di NRDP