Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Simply Yeats    01/04/2016    1 recensioni
Jules, una ragazza delusa e insoddisfatta della propria vita, partecipa per una scommessa ad un concorso per vincere un meet and greet con gli One Direction. A lei non sono mai piaciuti e di fatto non si aspetta di vincere, eppure ciò accade, e inaspettatamente avrà l'opportunità di cambiare se stessa e la sua vita.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
17 Luglio 2013.

Mi risvegliai notevolmente stordita in un orario che ad intuito poteva andare dalle 3:00 alle 5:00, non saprei dirlo esattamente, ma una cosa è certa: fuori era ancora buio.
Non avevo torce con me, né avevo idea di dove potessi aver lasciato il mio cellulare, ma il semplice tatto mi bastò per rendermi conto che non ero sola nel letto: accanto a me c’era qualcun altro e nel letto in fondo qualche altro ancora che russava in maniera spropositata.
Cercai di capire dove il tipo avesse messo la testa, in modo da poter trovare una posizione comoda e, possibilmente, non schiacciarlo. L’operazione però, si rivelò piuttosto complicata e realizzai immediatamente che la soluzione migliore sarebbe stata quella di accendere l’abajour e “chi se ne frega se sveglio tutti”.
Allungai quindi il braccio verso il comodino, afferrai il filo della lampada, lo percorsi con le dita fino a raggiungere l’interruttore e lo schiacciai: la stanza si illuminò violentemente e di botto, con una luce tutt’altro che soffusa. Mi voltai curiosa e mi resi conto di stare condividendo il minuscolo letto con il biondissimo Niall, il quale, non a caso, sembrava già in procinto di cadere.
- Scusami. - Dissi tra me e me, cercando di risollevarlo. - Spero di non trovarti steso in terra domattina. Nel letto accanto, invece, dormivano stretti stretti come due sardine, Zayn e Louis, e il rumorista era, inaspettatamente, il minuto Louis.
Mi scappò un sorriso, ed anche una spontanea domanda: perché avevano preso così pochi posti letto? D’altronde non penso gli mancassero i soldi per prendere una camera in più.
Tralasciando ogni ipotesi, spensi la luce, sicura di non aver svegliato nessuno e tornai a dormire, trattenendo un quasi irrefrenabile bisogno di fare pipì.

17 Luglio 2013, ore 9:18.

Una comunissima suoneria ruppe il silenzio che regnava nella camera mentre io dormivo profondamente e Zayn si affaccendava nella sistemazione delle valigie.
Il ragazzo, ansioso com’era, afferrò il cellulare e, senza neppure curarsi di chi stesse chiamando, rispose svogliatamente:
- Pronto?
- Tesoro, buongiorno!
- Ehm... Scusi, con chi parlo?
- Ah, sono la madre di Jules, e tu chi sei?
- Cazzo... - Disse tra se e se, rendendosi conto di avere preso il mio cellulare - Signora, sono Zayn, faccio parte del gruppo che sua figlia doveva incontrare. - Ricominciò poi, cercando di non suscitare cattive impressioni.
- Certo, immaginavo. E Jules è lì con te? - Chiese, in toni poco preoccupati.
- Si, lei è qui, gliela passo subito... Jules... Jules, sveglia! - Cominciò a scuotermi, senza alzare la voce. - Alzati, cazzo.
- Chi è? - Chiesi, assonnata e poco cosciente.
- Alzati, c’è tua madre al telefono.
-Ma tu che...? - Risposi turbata, in un primo momento. - Ah si, scusa, dimenticavo... che ore sono?
- Rispondi, è tua madre!
- Va bene... Un momento, devo fare pipì, cavolo. - Mi lamentai, sollevandomi con la dovuta lentezza.
Passato il momento critico, sedetti in un angolo a contemplare la moquette verde e dopo pochi secondi, mi decisi finalmente a rispondere al telefono.
- Mamma?
- Jules, buongiorno!
- Scusa se non ti ho più chiamata ieri, ma sono crollata, sai?
- Immagino... Ma dove hai dormito? Non mi avevi detto fosse previsto un alloggio per te. Mi hai fatta preoccupare.
- Infatti non lo era.
- Capisco, poi mi racconterai meglio. Quando posso venire a prenderti?
- Non c’è bisogno che tu venga a prendermi, mi riaccompagnerà un collaboratore della band.
- Ah, va bene allora, stai attenta, mi raccomando.
- Non preoccuparti, ciao mamma.
Dopo quelle parole staccai la chiamata e mi guardai attorno:
- Ma dove sono gli altri?
- Niall e Louis sono scesi al piano terreno, James doveva parlargli.
- James è il bel tedesco, vero?
- Come, scusa? - rispose, schiudendo le labbra e guardandomi con un’espressione più che divertita.
- Il tipo che mi ha accompagnata qui, intendo! - Precisai, cercando di evitare quella che sarebbe potuta diventare una discussione decisamente imbarazzante.
- Si, proprio lui. - Rise infine, tornando alle sue valigie.
- Posso darmi una sciacquata in bagno?
- Ovvio che puoi, sii svelta però.
- Grazie, corro!
Quindi mi diressi subito in bagno. Era una stanza piccola, ma dai colori caldi, pulita e accogliente; d’altronde, cosa avrei dovuto aspettarmi da un hotel di lusso?
Scartai una delle saponette sulla mensola sotto lo specchio, aveva il classico profumo delle saponette degli alberghi, quelle che alla fine della permanenza metti in valigia, intenzionata a farne uso, per poi gettarla nella spazzatura dopo averla lasciata una settimana a marcire sulla mensola dello specchio del bagno di casa tua.
Mi lavai il viso e le braccia, ripulii il trucco sbavato con un po’ di carta igienica e diedi una rudimentale sistemata ai capelli con un pettine trovato sul lato destro del lavandino, che evidentemente era già stato utilizzato dal momento che tra un dente e l’altro erano aggrovigliate diverse ciocche di capelli. Ad intuito non poteva che averlo usato Harry il giorno prima.

-Ho finito. - Annunciai, uscendo dal bagno.
- Okay... Ah, dimenticavo, tieni questi soldi, Niall mi ha pregato di darteli. - Disse poi il ragazzo, affondando una mano nella tasca della felpa nera sul letto - Potrai comprarti una fetta di torta ed un cappuccino al bar.
- Mi stai chiedendo implicitamente di andarmene? - Risi.
- Diciamo di si, siamo tutti in straritardo, dobbiamo farci perdonare in una qualche maniera.
Accennai un sorriso quasi malinconico e, annuendo, feci spalline.
- Ce l’hai un sogno? - Mi chiese poi.
- Beh, ora come ora, andare in Irlanda. Perché?
- Scherzi? - Esclamò, piuttosto sorpreso - Sai che Niall è irlandese?
- Sei serio? - Ribattei, sbalordita.
- Serissimo! Va dai suoi parenti in Irlanda praticamente tutti gli anni.
- Questo vuol dire che potrebbe regalarmi un biglietto aereo per l’Irlanda?
- Non esageriamo, hai solo quattordici anni, non puoi andare in Irlanda da sola!
- Ne ho quasi quindici. - Precisai, poco contenta della sua affermazione.
- La situazione non cambia, sei sempre minorenne! Puoi chiedergli di portarti qualche souvenir, a noi li porta sempre. - Propose in toni scherzosi.
- No grazie, meglio niente. - Conclusi, afferrando la mia borsa e dirigendomi verso l’ingresso. - Ciao Zayn, grazie di tutto.
- Di nulla, giù alla reception dovresti trovare James pronto per riaccompagnarti a casa.
- Va bene.
- Un momento, non vorrai andar via con quei trampoli ai piedi, spero!
- Li avevo anche ieri, dov’è il problema?
- Si vede lontano un miglio che non hai mai indossato dei tacchi, prendi le scarpe sotto il termosifone, lì vicino a te.
- Non ne ho bisogno, grazie.
- Come ti pare, poteva essere una valida scusa per rivedere gli One Direction.
Mi voltai di scatto, con la mano già poggiata sulla maniglia:
- Ma a me non piacciono gli One Direction, lo hai dimenticato? Ti auguro buon viaggio.
Sorrise con espressione rassegnata, scuotendo il capo, e ricambiò con un cenno della mano.
A quell’ultimo gesto, oltrepassai la soglia dell’uscita e mi chiusi la porta alle spalle.
In un primo momento pensai di tornare dentro e chiedere dove si trovassero Harry e Liam, così da poterli salutare, ma dopo la mia ultima ed effettivamente vera affermazione, non sarei stata contraddittoria? Quindi, come sempre, l’orgoglio fece bene la sua parte e continuai dritto, verso l’ascensore.
Giunta al piano terreno, trovai una situazione decisamente diversa rispetto a quella della sera prima, infatti, la hall brulicava di persone a modo e ben vestite, intente ad usare il cellulare o a fare due chiacchiere con l’amico o l’amica.
Spostai lo sguardo verso il bancone della reception ed oltre ad un’anziana coppia che ritirava le chiavi della propria camera, notai James in compagnia di Louis e Niall, quindi, senza pensarci due volte mi diressi verso di loro:
- Buongiorno. - Esordii, pacatamente.
- Buongiorno signorina. - Rispose educatamente il bel tedesco.
- Ciao Jules. Dormito bene? - Chiese Louis.
- Più o meno! - Sorrisi, capendo che la domanda era ironica.
- Hai sentito Louis che russava? - Si inserì Niall, beccandosi uno spintone dal diretto interessato.
- L’ho sentito eccome! Ma non è colpa sua se ho dormito male.
I ragazzi annuirono, mantenendo un accenno di risata.
- E tu Louis, come mai non hai dormito con Harry? - Scherzai.
- Perché io e Niall siamo crollati accidentalmente nello stesso letto, e beh, che dire? Mi è mancato il mio amore, ma tu non dirlo a nessuno. - Ironizzò, ricordando la mia domanda al gioco “obbligo o verità”.
Risi: - Ti ringrazio di non avermi tirato una sberla.
- Non mi permetterei, Jules.
- Lei è pronta per andare, signorina? - Interruppe James.
- Si, sono pronta.
Così Louis mi salutò: - Allora noi saliamo, penso che Zayn abbia bisogno di aiuto. Ciao Jules. - E mi tese la mano - Mi raccomando, non raccontare stronzate.
- E’ stato un vero piacere vederti così interessata alla nostra musica! - Aggiunse ironicamente Niall, emulando il gesto dell’amico.
- Dovete scusarmi, davvero.
- Non preoccuparti... Non fa nulla. - Mi rassicurarono.
A quel punto, sistemata la tracolla, uscii dall’hotel accompagnata da James; la lussuosa automobile era posteggiata proprio di fronte l’ingresso, quindi l’uomo mi aprì lo sportello, facendomi cenno di entrare, per poi dirigersi al suo lato e mettere in moto la vettura.
- Come mai quelle scuse? - Mi si rivolse improvvisamente James.
- Oh nulla, diciamo che è successa una cosa... inaspettata.
- Del tipo?
- Nulla di che, davvero! - Curioso il ragazzo - dissi tra me e me. Ma fortunatamente si rassegnò subito, non mi sembrava il caso di divulgare troppo la notizia che io non fossi una fan e che avevamo trascorso la serata ad imbottirci di champagne facendo giochi stupidi.

Giunsi a casa intorno alle dieci e mezza: un’auto come quella sa come farsi spazio nel traffico del centro. Mia madre era senz’altro impaziente di vedermi e magari farmi qualche domanda sulla mia verginità, che grazie a Dio, salvo avessi subito violenze sessuali post-svenimento, era ancora lì.
- E’ questa la sua abitazione, signorina?
- No, è poco più avanti, però se vuole può lasciarmi qui.
- Non si preoccupi, mi dica lei quando fermarmi.
L’auto avanzò di pochi metri, giusto tre case avanti: - Stop! - Esclamai.
- Non c’era bisogno che urlasse!
- Mi scusi, camminava piuttosto svelto e…
- Vengo ad aprirle la portiera. - Mi interruppe.
- Non ce n’è bisogno, davvero, la ringrazio. Buona giornata.
- A lei.
Afferrai allora la borsa che mi era scivolata dalla spalla, aprii lo sportello e, scesa dalla vettura percorsi a passo svelto il vialetto per raggiungere l’ingresso di casa mia. A quel punto, bussai e mia madre aprì:
- Jules, tesoro! - Esclamò, abbracciandomi forte.
- Non mi vedi soltanto da ieri sera, mamma. - Risi, cercando di staccarmi.
- Entra e togli le scarpe qui, davanti la porta, perché ho lavato il soggiorno.
- Va bene.
- Beh? Non mi dici niente?
- Sulla serata?
- Direi di si.
- Non è stata nulla di che, abbiamo giocato a carte, poi abbiamo parlato di musica e bevuto del succo d’ananas.
- Ma a te non è mai piaciuto il succo d’ananas!
- Neanche a loro! - Precisai, senza entrare nei dettagli.
- Ma questi ragazzi? Come sono? Raccontami qualcosa.
- Nulla di speciale davvero, sono dei ragazzi comuni. Avrei preferito un meet and greet con Slash o con i Kiss!
- E’ inutile che ti chieda di nuovo perché hai partecipato, vero?
- Io non credevo certo di vincere, e poi...
Improvvisamente squillò il mio cellulare ed era niente meno che la mia amica Liz.
- Mamma, mi sta chiamando Liz, parliamo dopo.
- Okay. - Sospirò, continuando i lavori casalinghi tralasciati nel resto della settimana.

Mi diressi in camera, rischiando un doloroso scivolone per via della cera sul pavimento, chiusi la porta a chiave e risposi alla chiamata:
- Pronto, Liz?
- Jules! - Esclamò, tutta eccitata.
- Cos’è questo affiatamento?
- E me lo chiedi? Beh, come è andata la serata?
- Pensavo non te ne fregasse nulla. - Ridacchiai.
- Non ascolto gli One Direction, ma sono curiosa lo stesso. Ti sei finta una fan o hai deciso di essere sincera?
- Indovina?
- Hai detto loro la verità.
- Esattamente e... Si sono messi a ridere!
- Non mi dire! - Rispose, divertita.
- Già, e quindi abbiamo ordinato uno champagne e abbiamo fatto due chiacchiere.
- E di cosa avete parlato?
- Di segreti personali e... Harry ascolta la nostra stessa musica, sai?
- E chi sarebbe Harry?
- Il ragazzo con i capelli più lunghi, per intenderci.
- Ah si, il tipo con il fungo in testa. Quel... coso... ascolterebbe musica metal?
- Non propriamente metal, ma gli piace il rock e adora gli Aerosmith!
- Non lo avrei mai detto, ora mi piacerebbe sapere perché canta in un gruppo così squallido.
- Sarà per soldi e fama, non ho avuto occasione di chiederglielo.
- Beh. E gli altri? Tutti sfigati?
- Ehm... Si, sapessi... Un branco di sfigati. Tutti quanti.
- Lo immaginavo. Almeno fra vent’anni potrai dire alle tue amiche quarantenni che tu conoscesti i loro idoli!
- Beh, sicuramente. - Sorrisi, abbassando il tono della voce: pensare al futuro spesso mi rattrista.
- Jules. - Disse in tono pacato dopo qualche attimo di esitazione - Ti sento giù, tutto bene?
- Certo! Perché dovrei stare male? -
- Non so, magari... Perché ti mancano le quattro carotine! - Esclamò poi sarcastica, emettendo una fragorosa risata.
- Quei bimbiminchia? - Risposi, accompagnando la sua risata. - Ma figurati Liz, mi sento come se nulla fosse mai successo... Ah, comunque sono cinque!
- A quando un concerto?! - Continuò, sempre più sarcastica.
- Oh, li raggiungerei perfino in Italia pur di vederli dal vivo! - Risi, stando finalmente alla sua ironia.
- Senti - Disse poi, cambiando argomento - Dato che hai bisogno di riprenderti dall’esperienza, che ne diresti di venire con me al Rafferty’s, stasera?
- Cosa ci sarà al Rafferty’s?
- Non hai visto i manifesti? Vengono i Dark Rogers, la band di Jacob.
- Jacob?
- Cavolo, non ricordi? L’amico di Jesu, quello con i capelli ricci con cui prendemmo una birra al Carosello qualche mese fa.
- Ah si, adesso ricordo! Perdonami, vuoto di memoria. Beh, sono bravi? Che genere fanno?
- Ne fanno tanti, l’ultima volta hanno suonato i Guns N’ Roses, ma anche i System of a down. Se la cavano e il bassista è un figo da paura!
- Se la metti così, ci sarò!
- Ottimo, ci vediamo lì allora!
- A più tardi, Liz!

Chiusi la chiamata e misi in carica il telefono, la cui batteria era ormai al lastrico.
Era il momento di mettere via l’abitino da sera e tornare ai vestiti di sempre: maglie nere, camicioni, borchie e pellame vario. Quella ero io, o ciò che Orgoglio voleva ch’io fossi.
Feci una doccia calda e pensai che sarebbe stato bene chiamare anche Claire, un’altra amica secolare con la quale mi sentivo non più di una volta al mese: non era per noncuranza dell’una verso l’altra, semplicemente sapevamo che la nostra amicizia non cambiava a prescindere dalle volte in cui ci vedevamo. Quella sarebbe stata un’ottima scusa per chiamarla, sapevo che l’argomento le sarebbe interessato ed io ero impaziente di raccontarlo a qualcun altro, quindi decisi di farlo dopo pranzo, se non fosse che invece, fui io a ricevere una chiamata decisamente inaspettata da parte dell’Hotel Montgomery:
- Pronto? - Risposi.
- Hotel Jim Montgomery, buonasera, parlo con Jules Nicole Bartram?
- S-si, sono io! - Balbettai perplessa.
- Mi è stato riferito che questa mattina ha dimenticato un paio di scarpe da ginnastica nella camera 406.
- Delle scarpe da ginnastica? Oh no, ci dev’essere stato un errore, io non avevo scarpe da ginnastica, apparterranno sicuramente ad uno dei ragazzi che erano con me.
- Ne è sicura? Perché a me le ha consegnate proprio uno dei ragazzi.
- Potrei sapere chi di loro, esattamente?
- Oh, non ne ho davvero idea, signorina. Mi dispiace molto.
- Capisco. Beh, in questo caso verrò a ritirarle nel pomeriggio.
- La aspettiamo. Buona serata.
- A lei.

Un paio di scarpe da ginnastica. Io non avevo indossato delle scarpe da ginnastica! Chi poteva averle lasciate lì? Ma soprattutto, perché avrebbe dovuto dire che mi appartenevano? Avrei dovuto recarmi lì molto presto per non fare tardi al concerto di quelle sottospecie di rockettari dei Dark Rogers, quindi mi rivolsi a mia madre chiedendole di pranzare un po’ prima del solito. La sua risposta fu: sandwiches al tonno, o meglio: - Beh Jules, a dire la verità ho parecchie cose da fare, sai, ho deciso di dare una ripulita alla soffitta, se hai bisogno di mangiare presto potresti prepararti dei sandwiches al tonno!
Detto fatto. Se vostra madre dovesse mai decidere di ripulire la soffitta in un giorno in cui voi vi troverete inaspettatamente pieni di impegni, loro potrebbero essere la vostra unica salvezza.

Verso le ore sedici uscii nuovamente di casa per tornare in hotel, per una pessima causa, peraltro, come se quella strana nottata lì non fosse già stata abbastanza. La situazione fu la solita: caloroso saluto a Finn che faceva ritorno alla comunità, corsa al posto nell’autobus (che in ogni caso nel primo pomeriggio non è mai troppo pieno), fermata in Montgomery Street. Salutai cordialmente l’autista e scesi con la dovuta attenzione, i due gradini.
- Hoop-la! - Mormorai tra me e me, poggiando i piedi per terra. - Si fa ritorno in albergo.

Percorsi pochi metri, l’hotel si trovava dall’altro lato della strada e per chissà quale assurda predisposizione rischiavo puntualmente di farmi investire da un’auto ogni qual volta mi ritrovavo a spostarmi da un marciapiede all’altro. Guardai a destra, guardai a sinistra, le auto erano abbastanza distanti per poter passare senza problemi, ma come al solito preferii fare un’imbarazzante corsetta.
L’ingresso era lì. Le scalinate erano più pulite di come le avevo lasciate quella stessa mattina, e all’interno della hall sembrava esserci una certa quiete. Bussai e feci per entrare, il portiere era intento a discutere di chissà cosa con quel grand’uomo del receptionist, ma nonostante ciò mi accolse con un cenno del capo e con un cordialissimo “Buonasera”.
Senza troppe paranoie, adocchiai un divanetto libero non distante dal bancone e accostai lì in attesa che il receptionist si liberasse, e fu l’ennesima occasione per guardarmi intorno ed accorgermi di quanto splendido fosse quel posto, anche senza lampadari accesi.

- Signorina. - Mi chiamò all’improvviso il receptionist.
- Salve! - Esclamai, distogliendo all’improvviso l’attenzione da certi modiglioni dorati agli angoli del soffitto.
- Posso aiutarla?
- Sono Jules Bartram, sono qui per quelle famose scarpe.
- Scarp... Oh si, certo, ora ricordo. Può seguirmi alla reception.
Mi alzai dal divano cercando di risultare una persona composta e feci quanto richiesto.
- Ecco qui le sue scarpe, signorina.
- La ringrazio ma, glielo ripeto, non sono mie. Le sto prendendo solo perché lei mi ha obbligata.
- Oh no, io non obbligo nessuno! Dovrebbe parlarne con il ragazzo che me ha date, è stato lui a dirmi ad assicurarmi che le appartengono, signorina.
- Non può proprio dirmi chi è stato?
- Non lo ricordo, sono tutti uguali quei ragazzi lì, non li ha visti?
O forse era lui ad essere troppo vecchio per quel mestiere... Glielo avrei detto, davvero, ma con gli anziani non si discute, poi si sa come va a finire: tu rispondi sgarbatamente e loro ti rifilano tutte le argomentazioni sul rispetto che ai loro tempi si aveva verso i più grandi e sulla seconda guerra mondiale, che alla fine, in un modo o nell’altro tirano sempre fuori anche se non c’entra nulla con il discorso.
- Va bè, pazienza, vuol dire che porterò con me un souvenir. - Mi arresi, afferrando la scatola. - Scusi, le spiace se la apro e do un’occhiata?
- Certo che no, ma lo faccia sul pavimento, per favore, non credo sia opportuno poggiare delle scarpe sul bancone.
- Si, è chiaro, la ringrazio.
Ero proprio curiosa di sapere di che scarpe si trattasse e se magari le avevo viste indossare a qualcuno della band. Dunque poggiai la scatola per terra, mi chinai e tirai fuori il contenuto: erano, per l’appunto, un paio di scarpe da ginnastica nuove di zecca con ben quattro colori diversi: la superficie era rossa con striature dorate, la suola era alta e bianca ed i lacci neri. Erano belle, davvero. Non ne avevo mai viste come quelle, forse erano ultimo modello, oppure non erano ancora entrate in commercio, d’altronde appartenevano a un componente di una band di fama mondiale, non ci sarebbe stato da meravigliarsene!
Stavo per rimetterle a posto, come sempre confusa su come posizionarle all’interno della scatola, quando notai un dettaglio, o più precisamente una scritta in oro sul lato del tallone. Questa scritta diceva, molto chiaramente: Harry.
Ammetto che la cosa mi sorprese non poco. Evidentemente le aveva fatte fabbricare a posta per se e ciò avrebbe spiegato l’unicità del modello, ma per quale motivo avrebbe dovuto dire che erano di mia appartenenza? Forse erano un regalo? O forse era un semplice invito a non indossare mai più i tacchi? Nella mia testa cominciarono ad accavallarsi mille ipotesi che ricaddero immediatamente nell’assurdo, ma mi sembrò giusto avvisare il receptionist nel caso in cui avesse avuto la possibilità di contattare Harry e chiedergli spiegazioni.
-Signore, posso finalmente provarle che le scarpe non sono mie. Qui c’è scritto il nome di uno dei ragazzi. Vede? Senza contare che si tratta di un modello prettamente maschile!
- Non vorrei risultare sgarbato, ma osservando il suo abbigliamento non risulta difficile pensare che quelle scarpe possano appartenerle. - Mi fece notare l’uomo, con quel pizzico di simpatia che bastava per non offendermi.
- Certo, ha ragione. - Confermai, mettendo subito una pietra sopra la risposta che avrei voluto dargli. - Ma qua dietro c‘è scritto Harry, lo vede? Harry è uno dei ragazzi, non possono che essere sue!
- Lei avrebbe modo di contattare questo ragazzo?
- Io no. Ma voi avrete sicuramente un indirizzo a cui rivolgervi dal momento che avete ospitato la band.
- Mi informo subito con la segretaria del capo.
-La segretaria del capo? - Pensai. Il tipo era evidentemente sprovveduto: non aveva assolutamente idea di chi entrasse ed uscisse dall’hotel in cui lavorava, nonostante fosse proprio lui a far firmare i documenti per l’alloggio ai clienti!

-Un paio di scarpe... Mah! - Continuai a ripetermi girando in tondo, nell’attesa che il mio amico tornasse.
- Signorina, mi è stato riferito che siamo in possesso del numero di telefono del Manager della band, la segretaria Brenda si sta affrettando a chiamarlo, le faremo presto sapere.
- La ringrazio, quindi posso andare? Mi ricontatterà lei?
- Assolutamente.
- Ottimo, arrivederci, allora.
- Buona serata.

Feci dunque ritorno a casa, e lungo la strada mi tornò in mente il brano che il gruppo aveva cantato la sera prima. Ricordai giusto poche note, quelle poche che avevo avuto l’opportunità di ascoltare e per un paio di attimi sentii che non mi bastavano. Repressi immediatamente quella sensazione, perché? Perché era sbagliata: a Liz non sarebbe piaciuta e neanche a quel gran manzo del batterista della band che sarei andata a vedere quella sera, sarebbe piaciuta. Non è che i miei gusti musicali dipendessero da loro, niente affatto, ma temevo di tradirli e soprattutto di tradire la mia cara amica. La verità è che, con quella repressione delle emozioni, tradivo me stessa, solo ed unicamente me stessa.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Simply Yeats