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Autore: Loser_like_me    05/04/2016    2 recensioni
"Se qualcuno avesse chiesto ad Alec di raccontargli la serata, lui non sarebbe stato in grado di dire dopo quanto tempo fossero finiti sdraiati sul letto a parlare, e probabilmente nemmeno ciò di cui avevano parlato; quel che avrebbe narrato, però, sarebbe stata la descrizione nei mini dettagli di come si sentiva, perché Alexander Gideon Lightwood si sentiva libero, e con la libertà era arrivata la felicità"
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole al tramonto inondava New York di luce rosso sangue, che bagnava i grattaceli e si disperdeva nel fiume, dandogli un aspetto poetico e terrificante al contempo. Alec sostava sulla banchina, un piede che scavava lentamente nella ghiaia, sporcando di polvere biancastra l’anfibio nero corvino; scavava e guardava il fiume, incurante dei pochi passanti che fissavano dubbiosi il solco aprirsi da solo nel terreno, ignari della presenza del ragazzo; un cane – più simile ad un topo di grosse dimensioni – si avvicinò al piccolo buco con il pelo alzato, ringhiando sommessamente, come se comprendesse che qualcosa non andava, che c’era dell’anormale in tutto ciò. Il padrone lo tirò via, borbottando un: “Le acque sono così inquinate che corrodono la terra, ormai” che fece sbottare Alec in una risata ironica: che stupidi, i mondani! Non andavano mai oltre a ciò che si trovava sotto il loro naso, non si soffermavano a pensare che potesse esserci qualcosa di più grande del loro noioso mondo fatto da famiglie, lavoro e scampagnate domenicali.
Alec guardò le ombre accanto a sé distendersi, come se si protendessero per poter fuggire all’oscurità che le avrebbe ingoiate a momenti e le avrebbe tenute per sé fino al mattino seguente; non aveva un orologio, ma osservando quelle chiazze d’ombra poteva calcolare a grandi linee che ore fossero, e capì di essere in ritardo; o al limite della puntualità, ma era certo che Magnus fosse il tipo di persona che si irritava per queste sottigliezze.
Il ragazzo abbandonò il suo scavo e risalì l’argine, spostandosi sul marciapiede che si fece via via più trafficato man mano che si avvicinava al centro: uomini e donne eleganti di ritorno dal lavoro, signori di mezza età che portavano a spasso il cane, gruppi di ragazzi che uscivano a divertirsi… Alec non si era mai chiesto come sarebbe stata la sua vita se fosse nato mondano, forse perché non gli interessava saperlo, a dirla tutta; i mondani erano noiosi, e poi non capiva cosa ci fosse di divertente nell’andare in quei locali con la musica così alta che ti spacca la testa; Izzy, lei sì che era il tipo di persona che avrebbe amato quella vita fatta di balli e occhi puntati addosso, ma lui preferiva la sua divisa nera da Cacciatore, nera come le ombre, nera come la notte.

Ora i marciapiedi erano di nuovo vuoti e file di depositi abbandonati si ergevano imponenti ai lati della strada. Un gatto scattò fuori da un mucchio di pattume, soffiando contro Alec e correndo al lato opposto per trovare rifugio in un vicolo scuro; il ragazzo lo osservò noncurante, poi proseguì per la sua strada.
Si fermò davanti ad un anonimo magazzino ed iniziò a salire lentamente la scalinata: più si avvicinava alla porta che sorgeva alla fine, più il suo cuore accelerava i battiti ed il suo stomaco si stringeva in una morsa; non aveva più visto Magnus da dopo il bacio, ma gli aveva promesso un appuntamento e quindi eccolo lì, malfermo sulle gambe e con il respiro affannato come se avesse corso per tutta la strada che separava l’Istituto dalla fatiscente ma ben nascosta dimora di Magnus Bane.
Una volta raggiunta la porta di mogano – ben nascosta dietro un’illusoria visione di una porta di legno ormai marcia – Alec respirò a fondo e bussò due volte, immergendo poi con forza le mani nelle tasche dei jeans, come alla ricerca di un coraggio che sembrava perdere ogni volta che i tratti orientali di Magnus gli si paravano davanti. La porta si aprì dopo uno scatto della serratura, e lo stregone apparì con la sua solita eleganza; se Alec era nero come un corvo, Magnus sfoggiava i colori di magnifici uccelli tropicali, che gli conferivano un aspetto solenne nonostante la vivacità. “Alexander – disse quasi sussurrando, mentre un sorriso compariva sul suo volto – sei in ritardo” Alec arrossì leggermente, forse senza nemmeno rendersene conto: esattamente come aveva pensato, Magnus era maniaco di certe cose quali l’ordine e la puntualità: ”Non… Non era mia intenzione… Pensavo che… E’ solo che...” Magnus rise sommessamente e sollevò una mano per zittirlo, scostandosi per farlo passare; mentre Alec entrava nella casa si morse l’interno guancia, ripromettendosi mentalmente di smettere di balbettare ogni volta che parlava con lo stregone.
Magnus superò rapidamente il minore, facendogli cenno di seguirlo mentre attraversava il salotto e si addentrava nel corridoio, soffermandosi davanti alla porta della camera da letto: “Ti crea problemi se ci mettiamo di qui? Sto rifacendo il salone, l’arredamento aveva iniziato ad darmi noia e la pelle nera sta meglio su di te che sui miei divani” disse con nonchalance, mentre Alec ridacchiò nervosamente, sistemandosi il giubbino lucido e dimostrando la sua totale incapacità di accettare i complimenti; Magnus lo notò e sorrise, schioccando le dita e facendo sparire il giubbotto in una lieve nuvola di fumo azzurrognolo: “Per quanto io lo apprezzi, stai meglio senza” disse anticipando le lamentele del ragazzo, per poi avvicinarsi al tavolino sul quale erano posate una quantità indefinita di bottiglie di liquori, sicuramente tutti molto pregiati.
Alec lo seguì e rimase ad osservarlo mentre preparava due drink, affascinato dai movimenti sinuosi delle mani del maggiore: aveva un modo di fare elegante sia nei modi che nel parlare, viveva di eccessi ma non sembrava mai eccessivo, conosceva i piaceri della vita ma li narrava con una malizia così sottile che a tratti diventava inesistente. Lo stregone si girò e porse ad Alec un bicchiere da cocktail riempito da un liquido trasparente che ad uno schiocco di dita venne sovrastato da lievi fiamme blu, quasi trasparenti; Alec esibì un sorriso sghembo, portando gli occhi dalla coppetta all’uomo davanti a lui: “Questo lo conosco già” “Volevo rievocare il ricordo del nostro primo brindisi, Alexander, ma non ero certo che te ne saresti ricordato” rispose Magnus piacevolmente sorpreso, per poi sollevare leggermente il suo tumbler contente un paio di dita di liquido ambrato; Alec capì cosa stesse per dire e lo precedette, non senza un leggero tremolio nella voce: “A noi”. Magnus esibì nuovamente l’espressione di lieve stupore, poi ripeté le parole del ragazzo e bevve un piccolo sorso dal bicchiere, iniziando a passeggiare per la stanza sotto lo sguardo vigile di Alec.

Calò il silenzio, e con esso arrivò l’ansia di Alec. Il ragazzo la sentì salire insieme al calore provocatogli dal liquore che stava bevendo, impossessandosi della sua mente; avrebbe voluto dire qualcosa, ma cosa? Si sentiva la bocca impastata, e non era mai stato un asso della conversazione; poteva colpire il centro di un bersaglio in movimento con una freccia senza nemmeno guardare, ma quando si trattava di parole era un vero disastro. Quando capì che il silenzio di Magnus era intenzionale, prese un respiro profondo e puntò lo sguardo verso le tende del letto a baldacchino, riuscendo finalmente a parlare, o almeno a fare qualcosa di simile: “Allora… Tu… Stai cambiando i mobili, giusto?” Magnus lo guardò divertito e produsse un basso suono con la gola che il minore prese come un sì: “E… Che pesi di prendere?”. La risata che Magnus aveva trattenuto fino a quel momento uscì di colpo, pura e cristallina, incontenibile, facendo avvampare Alec che tenne lo sguardo ben fermo sui drappi di tessuto: “Lo stai chiedendo a me o alla seta delle cortine, Alec Lightwood? – disse riprendendo fiato, avvicinandosi a lui – ma soprattutto, lo stai sul serio chiedendo?”.
Alec, ormai color porpora, si strinse nelle spalle ed abbassò leggermente lo sguardo, in modo da guardare in volto lo stregone che nel frattempo si era posizionato tra lui ed il letto, intralciando il suo intenso gioco di sguardi con le tende: “Era solo… Non sapevo cosa dire…” “Vedi, Alexander – ribatté Magnus, facendo roteare lentamente il liquido rimasto nel proprio bicchiere – potrei restare delle ore ad esporti le mie indecisioni tra lo stile provenzale e quello coloniale, o a parlarti della preoccupazione che il bianco avorio come colore dei divani sia tanto bello quanto facilmente rovinabile… O potrei spiegarti la differenza tra stile antico ed antiquariato, ma dubito fortemente che potrebbe interessarti” Alec sorrise incerto, arricciando leggermente il naso e bevendo un sorso dal bicchiere: “Potrei sorprenderti” disse dopo aver ingoiato il liquido: “Su questo non ho dubbi, giovane Lightwood” rispose Magnus quasi con un sussurro, poi riprese fiato per pronunciare qualche frase delle sue ma venne interrotto dalle labbra di Alec premute all’improvviso contro le proprie.
Magnus Bane aveva ricevuto tanti baci nella sua lunghissima vita, così tanti che ne aveva perso il conto ed il ricordo, ma quello che provava grazie a quelli di Alec l’aveva provato solo un’altra volta, oltre un secolo prima, seppur con sfumature diverse: nei baci di Alec lui percepiva qualcosa di dolce-amaro, come una forte paura illuminata da un barlume di felicità che cercava di farsi largo nel buio a colpi di piccoli scintillii. Dopo un tempo lungo come un secolo e breve come un millesimo di secondo, i due si divisero e rimasero a guardarsi; c’era complicità nei loro sguardi, mista a necessità di dire qualcosa che però non voleva uscire perché aveva paura di rovinare tutto; Alec tentò di nuovo di parlare, cercando di non commentare cose idiote come il colore dei capelli di Magnus o le piastrelle dal dubbio gusto, poi finalmente una frase attraversò la sua mente come una freccia, apparendo a chiare lettere nella sua testa; quando aprì la bocca per proferirla, però, non fu altrettanto chiaro: “Senti… Noi… Cioè tu ed io… Si insomma no… Quel che voglio dire…”Magnus sbuffò una risatina e scosse la testa, allontanandosi leggermente mentre sussurrava un quasi inudibile: “Adorabile”, poi finì il liquore ed andò a posare il bicchiere sul tavolino in cristallo: “Anche con Jace balbetti?” chiese senza voltarsi, ed Alec sgranò gli occhi: non aveva mai parlato a Magnus dei suoi sentimenti per Jace, sentimenti che d’altronde lui stesso rinnegava, ma era abbastanza certo che si ricordasse del volto del biondo apparso nel turbine creatosi mentre evocavano il demone. Si schiarì la voce e cercò di parlare senza far notare il panico, ma la sua voce uscì tremante come quella di un bambino spaventato: “Cosa… Cosa c’entra Jace, ora?” Magnus si voltò e sorrise, passando una mano adorna di anelli tra i ciuffi di capelli per riavviarli all’indietro: “Ho vissuto troppi anni perché tu possa sperare che io non abbia notato i tuoi sentimenti per il tuo migliore amico, Alexander” disse con tono piatto, senza lasciar trasparire emozioni. Alec si strinse nelle spalle e finì il proprio cocktail, iniziando a giocare nervosamente con il bicchiere: “E’ una cosa che resterà nascosta in eterno, Magnus… E che verrà sostituita” “Se provi quello che provo io, Alec, credo che potrebbe già essere pronta ad essere sostituita”; Alec sbuffò a metà tra una risata ed un mugolio di nervosismo: “Quello che provo per te non è nuovo ma è altrettanto spaventoso, per me… Mi terrorizza, e lo sai – disse alzando leggermente la voce – non… Non puoi arrivare nella mia vita e vietarmi di essere innamorato di Jace, così, di punto in bianco” la determinazione nella voce di Alec frenò la lingua dello stregone centenario, che sorrise sollevando solo leggermente gli angoli della bocca ed abbassò il capo, consenziente: “Il sentimento non è ricambiato?” “Cosa?” “il sentimento per Jace, non è ricambiato, dico bene?” “Oh no, non lo è – disse Alec, senza riuscire a nascondere un velo di amarezza – è un po’ come Clary e quel mond- Voglio dire, vampiro – disse correggendosi ma mantenendo un tono piuttosto acido – lui ha dato un nome a questa cosa… Un nome da mondani…” La sua fronte si corrugò nello sforzo di ricordare, per poi ritornare piatta mentre la parola spuntava nella mente del giovane: "Friendzone… Quando tu ami qualcuno ma per lui sei un semplice amico” Magnus sorrise, questa volta ampiamente: “Tu non sei un semplice amico per Jace, sei il suo parabatai, o sbaglio?” Alec annuì e poi fece una smorfia: “Quindi sono tipo… In parabataizone?”; Magnus scoppiò a ridere, e quel suono sciolse il peso che si era formato nel petto di Alec, che piegò la testa all’indietro e si unì alla risata; a quel gesto, Magnsu si fermò e rimase a sentirlo, come se nemmeno la musica più delicata e perfetta potesse essere paragonabile a quel suono: la risata di Alec Lightwood era appena diventata la sua melodia preferita.

*

Se qualcuno avesse chiesto ad Alec di raccontargli la serata, lui non sarebbe stato in grado di dire dopo quanto tempo fossero finiti sdraiati sul letto a parlare, e probabilmente nemmeno ciò di cui avevano parlato; quel che avrebbe narrato, però, sarebbe stata la descrizione nei mini dettagli di come si sentiva, perché Alexander Gideon Lightwood si sentiva libero, e con la libertà era arrivata la felicità. Per lui che aveva sempre vissuto secondo le regole, arrivando a sopprimere la sua vera essenza pur di non infrangerle, sembrava assurdo aver trovato la felicità solo dopo aver calpestato il suo credo di una vita intera; certo, c’erano stati dei momenti felici nella sua vita, ma in quanti di essi poteva definirsi libero? Forse due o tre, o forse nemmeno quelli.
Mentre guardava le costellazioni che Magnus aveva fatto apparire sulla seta del baldacchino tesa sopra di loro, Alec capì che la sua felicità non dipendeva dall’aver infranto le regole e nemmeno – o almeno non al 100% - dall’aver rivelato la sua identità, ma bensì dall’aver accanto quel dannato stregone ultracentenario con gusti eccentrici e le punte dei capelli sempre di un colore diverso. Non appena lo realizzò a pieno, il giovane shadowhunter si sollevò su un gomito e fermò con le proprie labbra il fiume di parole che usciva dalla bocca di Magnus a proposito di una qualche pozione che se fatta sbagliata produceva chissà quali effetti collaterali apparentemente esilaranti, visto che Magnus non riusciva a trattenere piccole risatine mentre lo spiegava; lo stregone non fu dispiaciuto dell’interruzione, ma la sensazione di piacevole stupore annebbiò di nuovo la sua mente: sarebbero potuti passare secoli, e non si sarebbe mai abituato ad un Alec che prendeva iniziativa e lo baciava, soprattutto se il suddetto ragazzo iniziava ad usare un trasporto che non rispecchiava esattamente l’idea di romantico e dolce.
Secoli, già.
Il cuore di Magnus saltò un battito quando si ritrovò a pensare che loro non avevano secoli, ma solo miseri anni umani. Smise di pensarci subito, terrorizzato all’idea di spaventare Alec, di frenarlo, di fargli del male.
Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto pensarci molto, almeno non mentre la lingua di Alec si faceva largo tra le sue labbra e raggiungeva la propria, intrecciandosi in una danza frenetica che mozzava il respiro e faceva impazzire il cuore.
Alec, dal canto suo, non sapeva nemmeno cosa stesse facendo, ma quando la mano di Magnus gli sollevò l’orlo della maglia e sfiorò la sua pelle sentì una scarica elettrica talmente piacevole che spense il lato razionale del suo cervello e spinse il suo corpo a spostarsi su quello dello stregone, mentre le mani slacciavano la camicia di seta blu elettrico come se non avessero mai fatto altro, come se fosse la cosa più naturale al mondo; gli uscì spontaneo anche spostarsi a baciare il collo di Magnus, lasciare che lui gli sfilasse la maglia, che gli slacciasse i pantaloni neri e leggermente stretti e che percorresse la sua schiena con le dita, facendolo rabbrividire per il freddo degli anelli a contatto con la pelle. Lasciò fare e fece un sacco di cose, ma quando riaprì gli occhi e si rese conto che entrambi indossavano solo l’intimo, la parte razionale si riaccese e Magnus poté vedere le sue pupille dilatarsi per il panico; lo stregone sorrise bonariamente e mise le mani sulle guance del ragazzo, accarezzando gli zigomi con i pollici e guardandolo dritto negli occhi, quasi senza sbattere le ciglia: “Di cosa hai paura?” Sussurrò, e questa volta Alec non colse provocazione, malizia o seduzione nella sua voce, ma solo preoccupazione: Magnus si stava preoccupando per lui. Alec rilassò leggermente i muscoli delle spalle, contratti per la tensione, e si ritrovò a balbettare per l’ennesima volta: “Io non… Io non ho mai… E non so cosa…” Magnus spostò un pollice dallo zigomo alle labbra del ragazzo, senza perdere il sorriso, e le accarezzò lentamente: “Andremo avanti solo se te la senti, Alexander, ma sappi che un amante inesperto non è una tragedia, né tantomeno un limite”; Alec emise un sospiro che da un lato era di sollievo e dall’altro serviva a calmarlo, poi si sollevò leggermente sulle braccia con l’intenzione di spostarsi e smetterla li, ma così facendo il corpo di Magnus gli apparve interamente sotto agli occhi, ed il suo cuore saltò un battito.
Era bellissimo.
Alec sapeva che Magnus Bane aveva una cura della propria persona ai limiti del maniacale, ma non pensava che uno stregone amante degli eccessi potesse avere quel genere di fisico; Magnus aveva i muscoli giusti, non erano né troppi né troppo pochi, la linea che divideva i pettorali scendeva sicura a tracciare gli addominali, fermandosi all’ombelico; non compariva un solo pelo sulla pelle leggermente scura del mago, ed Alec provò l’incontenibile desiderio di baciarne ogni millimetro. Riabbassò le braccia e premette le labbra sul petto di Magnus, che chiuse gli occhi e si lasciò baciare, permettendo al ragazzo di scoprire il suo corpo e, al contempo, di affrontare con i suoi tempi le sensazioni nuove che lo stavano invadendo.

“Non so cosa fare” sussurrò Alec, la voce che tremava e il respiro affannato; Magnus lo guardò seriamente negli occhi, le mani intente ad accarezzare i fianchi del minore: “Ti posso guidare, se vuoi” ribatté lo stregone tenendo la voce bassa, come per non spaventare il ragazzo, che annuì arrossendo leggermente sugli zigomi; Magnus lo trovò talmente bello che credette di impazzire: Alec era ancora un ragazzo, ma fisicamente era un uomo fatto e finito, con tanto di peli sul petto e corpo perfettamente sviluppato, in ogni aspetto; aveva passato la vita ad allenarsi, per imparare a controllare azioni e parole, eppure quando era con lui quell’uomo si trasformava in un ragazzo impaurito, che balbettava ed arrossiva.
“Non ti servirà una runa del coraggio per questo, te lo assicuro” sussurrò lo stregone, strappando una risatina al ragazzo che lasciò che la sua mano venisse guidata lungo il fianco del maggiore fino alle sue natiche; Alec posò la fronte contro il petto di Magnus, tentando di nascondere il rossore sulle proprie guance, e lasciò che lui portasse la mano tra le proprie natiche e gli sussurrasse all’orecchio cosa fare, e come farlo; il minore capì che davvero non era la prima volta che Magnus aveva a che fare con un amante inesperto, come l’aveva definito lui, e si fidò delle sue parole. Sollevò la testa e guardò il maggiore negli occhi, riuscendo così a vedere le sue pupille dilatarsi leggermente per il piacere quando entrò in lui con il primo dito, lentamente, muovendosi come gli era stato detto. Quando aggiunse un secondo dito, dalle labbra di Magnus uscì il primo gemito di piacere: era come un sussurro leggermente più alto, non era volgare, era sensuale, era da Magnus, ed Alec lo adorò in ogni sua sfumatura.
“Sai, apprezzo che… Tu abbia acquisito dimestichezza con questa cosa delle dita, Alexander, ma… Credo sia il caso di… Come posso dirtelo…” “Passare allo step successivo?” Suggerì incerto Alec, beandosi dei gemiti che intervallavano la frase detta da Magnus, che annuì e si leccò il labbro inferiore; il ragazzo si abbassò e lo baciò, muovendo lentamente le labbra sulle sue: mentre lui faceva stare bene Magnus, Magnus aveva fatto star bene lui, l’aveva messo a suo agio nonostante la situazione lo rendesse teso come la corda del suo arco; i loro respiri affannosi e i gemiti sussurrati si erano fusi in un unico suono tutte le volte che si erano baciati, ed Alec sapeva che arrivato a quel punto non poteva tirarsi indietro. Ma a dirla tutta, non lo voleva.
Sfilò le dita e passò la mano aperta sulla natica dello stregone, risalendo lungo il fianco mentre l’altra mano – guidata da Magnus – discendeva lungo la gamba opposta, ora sollevata e divaricata; Alec si sistemò sul corpo del maggiore, e lui fece il resto: “Fai piano, non vado con un uomo da una discreta quantità di anni” sussurrò il mago, innervosendo ulteriormente Alec che però si lasciò guidare, lasciando che la mano del mago guidasse il suo membro dove prima si trovavano le sue dita e spingendosi lentamente in lui.
Magnus chiuse gli occhi e si morse forte il labbro inferiore, tenendo però i muscoli rilassati e stringendo una mano ad Alec, che iniziò a muoversi piano dentro di lui, cercando a sua volta di abituarsi; quando finalmente vide i muscoli del viso di Magnus rilassarsi e sentì un gemito leggermente più forte di quelli precedenti levarsi dalle sue labbra riuscì a calmarsi, capì di star facendo la cosa giusta e continuò, abbassandosi per riprendere a baciare le labbra del compagno e facendo fondere nuovamente i loro gemiti che divennero più forti, più frequenti, come le spinte di Alec nel corpo di Magnus.
Il maggiore portò la mano di Alec al proprio membro, ed il ragazzo capì al volo cosa fare e perché farlo; iniziò a muovere il proprio polso con la stessa cadenza delle spinte, sentendo il corpo di Magnus inarcarsi sotto il suo e tendersi per il piacere, mentre un nuovo gemito lasciava le sue labbra per fondersi a quelli di Alec.
Vennero insieme, nello stesso istante, come se i loro corpi volessero confermare che in quel momento erano una cosa sola, un solo cuore che batteva veloce, un solo respiro accelerato, un solo orgasmo che si fondeva grazie all’unione delle loro labbra, quelle sottili di Magnus contro quelle più carnose di Alec.

*

Alec stava sdraiato con la schiena contro le lenzuola di lino, mentre Magnus era girato su un fianco, la testa posata sulla sua spalla e la mano destra intenta a tracciare disegni immaginari sul petto del minore, mentre la sinistra stringeva quella del ragazzo, che ne accarezzava distrattamente il dorso con il pollice.
Un pallido raggio di sole entrò dalla finestra della camera da letto e Alec si rese conto solo allora che era arrivata l’alba; aveva raggiunto Magnus al tramonto ed erano rimasti insieme fino all’alba. Pensò che Izzy si sarebbe spaventata a morte non trovandolo nella sua stanza all’Istituto, ma poi si ricordò che lei era l’unica a sapere che la sua uscita serale aveva uno scopo preciso e che ne era stata più che entusiasta.
La voce di Magnus interruppe il filo dei pensieri di Alec, che abbassò lo sguardo su di lui e sorrise: “Scusa, non stavo ascoltando…” Magnus ripassò più volte il segno di una runa presente sul petto del ragazzo e corrugò la fronte: “Questa è la runa della buona sorte?” Alec guardò la runa e scosse la testa: “Quella è calma rabbia… Quella della buona sorte è questa” prese delicatamente la mano di Magnus e la spostò sul proprio fianco, dove lo stregone tracciò i segni dell’altra runa, per poi sistemarsi sul materasso e riprendere a tracciare le rune sul petto del minore: “Questa è quella del potere angelico… Questa invece della flessibilità – sussurrò seguendo con il dito una specie di mezza luna con delle linee disegnate intorno alla curvatura – questa non mi viene in mente” disse quasi scocciato, ed Alec ridacchiò: “Legame… Fa coppia con quella di Jace” disse sussurrando il nome dell’amico: “Giusto, roba da parabatai, noi stregoni non siamo così sentimentali”. Alec sospirò e scosse la testa, sorridendo ampiamente, un sorriso che avrebbe illuminato una grotta buia meglio di qualunque stregaluce esistente al mondo: “Mi sei sembrato piuttosto sentimentale, prima” disse guardando lo stregone, che si strinse nelle spalle e baciò lievemente il collo del ragazzo, che poté sentire un sorriso tirare le labbra del maggiore: “Io sono l’eccezione alla regola, Alexander, ancora non l’hai capito?” “Da cosa avrei dovuto dedurlo?” “Ad esempio, dal fatto che nessuno stregone si è mai impegnato sentimentalmente con uno shadowhunter”; Alec alzò un sopracciglio e sollevò la testa dal cuscino: “Sul serio?” Magnus annuì, sollevando a sua volta la testa: “Siamo una novità sia nel mondo dei Nascosti che in quello dei Nephilim, Alec… E’ un bel rischio, non trovi?” Alec ingoiò a vuoto, sentendo una morsa all’altezza dello stomaco, come se un demone lo stesse artigliando con particolare forza: “Perché lo stai facendo, allora? Perché corri questo rischio?” Disse cercando di non sembrare troppo preoccupato; Magnus si sollevò su un gomito e portò una mano sulla guancia del ragazzo, accarezzandola lentamente e guardandolo negli occhi: poggiò delicatamente le labbra sulle sue, lasciando che si sfiorassero appena, e poi parlò con un sussurro lievissimo: “Perché sono innamorato ti te, Alexander Gideon Lightwood – Alec sentì i peli della nuca rizzarsi – e so che tu provi quel che provo io”.
Alec non rispose, ma lo baciò, perché sapeva che era vero.
Era innamorato del sommo stregone Magnus Bane, e non se ne vergognava più.
Con l’amore aveva trovato la libertà, e nell’amore libero c’è solo bellezza.
Magnus era bellezza, Magnus era libertà.
Magnus era amore.

 

   
 
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