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Autore: _ayachan_    03/04/2009    17 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 25
09/03/2016

Capitolo venticinquesimo

Il valore delle cose perdute




Dopo averlo bendato e stordito, portarono Yoshi alla stazione di polizia.
Entrando nel grande palazzo severo, a quell'ora semi-deserto, Hitoshi non poté fare a meno di guardare la finestra dello studio di suo padre: la luce era accesa.
Avvertì una stretta allo stomaco al pensiero di incontrarlo. Lo avrebbe riconosciuto anche se era mascherato? Cosa avrebbe pensato? Sarebbe stato fiero di sapere che era stato proprio lui a permettere la cattura di Yoshi, anche senza lo sharingan?
Naruto fece segno al gruppo di fermarsi nel grande atrio dell'ingresso. Ad accoglierli c'erano due poliziotti armati e Sasuke in persona, in attesa ai piedi delle scale. Hitoshi sentì il cuore accelerare nel petto: era proprio davanti a tutti, di fianco a Naruto, e per un folle istante fu sicuro che suo padre lo avesse riconosciuto.
Non era così: Sasuke lo guardò dritto negli occhi e passò oltre senza esitazioni. A gesti indicò il corridoio. Da quando avevano stordito Yoshi nessuno aveva parlato: tutti volevano essere sicuri che non si svegliasse proprio nel momento in cui qualcuno dava importanti dettagli sulla posizione.
Insieme a Sasuke il gruppo arrivò a una scala sorvegliata che scendeva nei sotterranei. Naruto diede indicazioni perché venissero con lui soltanto i due Uchiha e un altro paio di Anbu, ai restanti fu richiesto di trattenersi davanti alla porta.
Era la prima volta che Hitoshi vedeva le celle delle prigioni. Solo scendendovi di persona si rese conto di quanto doveva essere deprimente il lavoro di suo padre: gli spazi angusti, l'aria stantia, i rumori osceni di chi era costretto a seguire i ritmi del corpo nello stesso luogo in cui dormiva...
Yoshi non fu abbandonato in una cella come le altre. In fondo al corridoio c'era una stanza più ampia, ricoperta di piastrelle anche sul soffitto, con un grande tavolo d'acciaio e una sedia inchiodati al pavimento. Non aveva finestre; l'aria veniva ricambiata grazie a una ventola polverosa che si accese insieme alla luce, raschiando rumorosamente. Hitoshi non sapeva se pensare che fosse meglio delle altre, o peggio.
Naruto scaricò il prigioniero sulla sedia, sostituendo le corde ai polsi con delle manette e usando poi le corde per legarlo alla scrivania. Il capo biondissimo di Yoshi era reclinato sul pigiama a paperelle in maniera quasi surreale: sembrava un bambino troppo cresciuto che si fosse addormentato nel posto sbagliato.
A gesti Naruto lasciò nella stanza i due Anbu che li accompagnavano, e uscì insieme a Sasuke e Hitoshi.
«Abbiamo fatto un po' di fatica» confessò a quel punto, senza nascondere la scocciatura. «Di certo non era al livello di uno studente dell'Accademia.»
Hitoshi serrò le labbra: voleva dire a Naruto che Yoshi sapeva che sarebbero andati da lui, che sapeva chi c'era sotto la maschera e probabilmente che sapeva molto più di quello che loro pensavano... Ma come fare con Sasuke davanti? Sbandierare così la sua identità alla prima missione gli sembrava da vero idiota.
Con tutta la concentrazione di cui era capace si schiarì la voce, abbassandola di parecchi toni.
«Sapeva che saremmo arrivati» brontolò in un rantolo gutturale.
Sia Naruto che Sasuke lo fissarono stupiti.
«Come fai a dirlo?» indagò Sasuke, scrutandolo a fondo.
«Conosce la mia identità.»
Naruto trasalì. Lui e Hitoshi avevano parlato della missione solo a casa sua: questo voleva dire che le difese che credeva insuperabili erano state ampiamente abbattute. Si fermò un secondo, chiudendo gli occhi, e comunicò alla copia che aveva lasciato a casa di alzarsi e fare immediatamente un giro di ricognizione.
Mentre questo accadeva, Sasuke studiò attentamente l'Anbu mascherato che parlava con voce malamente contraffatta. Aveva un che di familiare, ma non avrebbe saputo dire cosa.
«Sasuke, dobbiamo occuparci delle scartoffie» annunciò Naruto prima che potesse indagare più a fondo. «Tu, vai a casa mia. Troverai una mia copia, segui le sue istruzioni» ordinò all'Anbu. Quello sembrò esitare un secondo, poi annuì e si allontanò rapidamente.
«Lo conosco?» chiese Sasuke quando si fu allontanato.
Naruto, incerto, lo fissò. Era quasi sicuro che Hitoshi sarebbe volato di corsa ad annunciare a suo padre la promozione ad Anbu, invece sembrava proprio che non lo avesse nemmeno accennato. Idem per Sakura, a giudicare dalla faccia inespressiva di Sasuke. Non sapeva che gli Uchiha non si parlavano da giorni.
«E' il ragazzo che ha fermato Yoshi un attimo prima che ci scappasse» spiegò cauto.
«E prima non è mai...» iniziò Sasuke, poi si interruppe, scrollando le spalle. «Non importa. Andiamo nel mio studio, intanto mando a chiamare Morino.»
I due si rintanarono nell'ufficio ai piani alti, di fronte a una pila di autorizzazioni e incartamenti solo in parte completati. Sasuke, in quanto assistente dell'Hokage, stava firmando tutto a nome Uzumaki perché sapeva che Naruto avrebbe lasciato ammuffire i documenti sulla scrivania.
«Morino dà ancora problemi?» domandò Naruto mentre Sasuke recuperava i documenti per la cattura di Yoshi.
«Sempre più. Se non assisto personalmente agli interrogatori quasi mi ammazza i prigionieri. Non capisce più quando uno non ha altro da dire» sbuffò l'Uchiha scuotendo la testa. «Sinceramente, non so cosa succederà al ragazzo che abbiamo messo di sotto.»
«E' che non ne abbiamo altri abbastanza qualificati. Fanno tutti un po' schifo» borbottò Naruto sfogliando distrattamente gli incartamenti, senza nemmeno prendere in mano la penna.
«Lo so. Dovremmo fare una selezione e mandarne a scuola qualcuno...»
Naruto mugugnò un vago dissenso, perché la tortura non gli andava troppo a genio, poi fissò Sasuke di sottecchi. Lui non alzò lo sguardo.
«Quindi sorvegliavano anche casa tua?» continuò l'Uchiha, iniziando a riempire gli spazi vuoti nei moduli prestampati.
«A questo punto direi di sì. E devono essere bravi, pensavo che mi sarei accorto di qualunque cosa.»
«Farò ricontrollare anch'io tutto il palazzo.»
«Mh.»
Scese il silenzio, mentre Naruto si rigirava la penna tra le mani.
Sasuke sbuffò e si interruppe. «Lascia stare, qui finisco io. Vai da Hinata, se ti preoccupa tanto
Naruto si inclinò all'indietro, con una smorfia meditabonda. Non c'entrava Hinata, a casa c'era già la sua copia. Il punto era un altro: ci aveva messo un po', ma alla fine aveva tratto un paio di conclusioni dal fatto che Sasuke non sapesse della nuova promozione di Hitoshi.
«Se non ho capito male, quello che non mi stai dicendo, ma che hai fatto, in sostanza è...» lasciò la frase in sospeso, dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia.
Sasuke, seduto dall’altra parte della scrivania, non si impegnò nemmeno per capire dove volesse andare a parare. «Quello che non ti sto dicendo ma che dovrei dirti, è che se non hai intenzione di lavorare allora sei caldamente invitato a levare le tende» suggerì.
«No, non è questo!» Naruto sbatté una mano sul ripiano lucido, facendo trasalire Sasuke. «Quello che non mi stai dicendo, perché forse fa schifo anche a te, è che non sei andato nemmeno una volta a trovare tuo figlio in ospedale! Nemmeno una volta!» sbottò.
«Adesso cosa c'entra? E’ rimasto ricoverato solo un giorno...» si difese Sasuke, tacendo che non aveva visto nemmeno Sakura nel frattempo. I suoi occhi si fecero schivi. «Lo vedrò quando tornerà a casa.»
«Ma dai! Vuoi dirmi che hai ripreso a tornare a casa? Qualcuno sostiene che tu viva qui, ormai!»
Sasuke mise giù la penna, fulminandolo con lo sguardo. «Quel che succede a casa mia sono fatti miei. Io non vengo a farti la predica su come cresci i tuoi figli.»
«Non si tratta di te e Hitoshi! Si tratta di te e basta.»
«Peggio ancora: è una vita che cerco di levarti dai piedi.»
«Ma porca miseria! Non impari mai niente dai tuoi errori!» esplose Naruto. «Dovevi solo farti vedere! Dimostrare a tua moglie e tuo figlio che non sei lo stronzo che ti stai rivelando! Dovevi solo far vedere il tuo brutto muso e dire: salve! Sono tuo padre! E lo sarò sempre, anche se fai cazzate!» Sasuke lo scrutò torvo, irrigidendosi, ma Naruto continuò implacabile. «Cosa ne hai fatto del buonsenso? Che ti sta succedendo? Da quando a Fugaku è spuntato lo sharingan hai perso completamente la testa!»
«Precisamente!» lo interruppe Sasuke, alzandosi in piedi. E all’improvviso si scoprì furioso, con l’impiccione che non si faceva i fatti suoi e con le insinuazioni che arrivavano dove faceva più male.
Che ne capiva Naruto della sua famiglia? Nel suo mondo fatato, composto solo di figli felici e mogli devote, che ne sapeva di come andavano le cose altrove?
«Da quando a Fugaku è spuntato lo sharingan, cosa pensi che sia successo a casa?» esplose. «Come pensi che mi sia sentito, io, che ho sempre creduto che Hitoshi sarebbe stato l’orgoglio degli Uchiha? E come pensi che si sia sentito lui, che lo sapeva? E Sakura? Cosa pensi che sia successo? Se ci conosci almeno un decimo di quanto dici, lo sai cosa è successo. Dovrei andare da Hitoshi! Per dirgli cosa? So che hai fallito. Non importa. Mi vai bene anche debole e inutile, perché io sono il tuo paparino! Questo dovrei dirgli? E lui cosa mi risponderebbe, eh?»
Naruto raddrizzò la schiena, scuotendo la testa.
«Sei rimasto il solito coglione!»
«Forse. Ma Hitoshi è coglione quanto me, e so che se io andassi a dirgli mi vai bene comunque, a lui non andrebbe bene!»
«Perché voi Uchiha siete ossessionati sempre dalla stessa robaccia?»
«Perché siamo fatti così. Abbiamo un orgoglio, che conta più di ogni altra cosa, e non ci interessa essere accettati nonostante tutto! Noi vogliamo conquistarcele le cose. Vogliamo essere forti, vogliamo farcela da soli. E mio figlio è come me: della compassione non se ne fa nulla.»
«Lo vedi che sei una testa di cazzo?» sospirò Naruto, passandosi, frustrato, una mano tra i capelli. «Hitoshi è uno shinobi, come te. Ma è anche tuo figlio. Sono due cose diverse, che non hanno a che fare con compassione e orgoglio. Tu sarai anche rimasto orfano, ma lui un padre ancora ce l’ha: forse a te non fregava niente di avere l’approvazione incondizionata di qualcuno, ma a lui probabilmente sì. E se non ti accorgi nemmeno di come la cerca disperatamente, allora che ti parlo a fare?»
Sasuke strinse i pugni sulla scrivania. Lui conosceva suo figlio. Lo conosceva meglio di tutti, meglio di sua madre, dei suoi fratelli, e soprattutto del suo maestro, che non aveva alcun legame di sangue con lui. Aveva bisogno di convincere sé e gli altri di quest’unica, grandissima verità. E per farlo doveva smontare tutte le altre.
«Non venire a farmi la predica sui rapporti padre-figlio. Non tu» sibilò.
Nello sguardo di Naruto passò un lampo d’irritazione. I vecchi ricordi sull’avere e sul perdere tornarono a galla, insieme alla voce di un Sasuke dodicenne che gli diceva che non erano uguali, che Naruto non poteva capirlo.
«Proprio perché tu un padre lo hai avuto, ti dico di non fare cazzate!» disse. «Io andrò anche a tentativi, ma non ho alle spalle né esempi positivi, né negativi. Tu li hai! Per assurdo, in questo caso sei più fortunato di me» abbassò la testa, scrutando Sasuke da sotto in su. «E sai cosa ti dico? Che, per quanto stupido possa apparire, per me Hitoshi è quasi come un figlio. E’ il Sasuke che non ho potuto aiutare quando avevo dodici anni, lo stesso Uchiha che vorrei vedere meno imbecille e più felice. Quella volta ho dovuto combattere per riportarti indietro... ma Hitoshi non lo lascerò andare. Se non sarai tu a tenerlo qui, ci penserò io.»
Nell’ufficio del capo della polizia piombò il silenzio. Sasuke e Naruto si scrutarono, immobili.
«Cos’è, una vendetta tardiva per Sakura?» mormorò Sasuke dopo lunghi e penosi istanti, inarcando a forza un sopracciglio. Era crudele, ma non gli era venuto in mente nient'altro da dire.
«No» rispose Naruto, senza raccogliere. «E’ l’unico modo che ho per non rivederti nello stato in cui eri dopo la morte di Itachi. Ti accorgi di quanto vale una cosa sempre solo quando l’hai già persa.»
L’accenno a Itachi fu troppo. Dopo i ricordi del tradimento e del padre, dopo le allusioni al figlio, arrivare al fallimento della sua vendetta fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Vattene, Naruto» sibilò Sasuke, indicando la porta. «Adesso.»
Naruto sollevò il mento senza nascondere l’insoddisfazione.
«Oh, vai all'inferno!» sbottò alzandosi di scatto, e uscì dall'ufficio senza guardarsi indietro.
Sasuke, ancora dentro, si lasciò ricadere sulla sedia; nascose gli occhi dietro una mano, le tempie martellate da un’emicrania accecante, e per un attimo ebbe quasi voglia di ridere.
Ovunque lui falliva, Naruto era pronto a raccogliere i cocci del suo lavoro, risistemarli e gloriarsene.
Dopo Itachi, si sarebbe preso anche Hitoshi?

Naruto se ne andò dal commissariato pestando i piedi per la rabbia, resosi conto di non aver combinato proprio nulla: poteva anche atteggiarsi a padre con Hitoshi, ma lui, come Sasuke, non avrebbe mai smesso di guardare sempre altrove, all’unica persona della quale volesse davvero le attenzioni. E quella persona, per l’ennesima volta, era cieca e sorda a ogni richiamo.
«Guarda te se deve farmi incazzare così dopo tutti questi anni!» sbottò.
E va bene. Conosceva gli Uchiha, forse meglio di quanto si conoscessero loro stessi; avevano bisogno di una sfida per muovere il culo? Che sfida fosse.
Ricordò le parole di Hinata quando gli aveva suggerito di fare qualcosa per Hitoshi. Perfetto: la questione non era solo alzare la sua autostima, ma dare anche una svegliata a quel rimbambito di suo padre.
Sebbene Naruto sapesse che era impossibile, Sasuke probabilmente temeva che Hitoshi si sarebbe attaccato al maestro più che a lui. Perché non avrebbe dovuto pensarlo, dopotutto? Da ragazzi, prima di sposarsi e avere dei figli, erano stati speciali l’uno per l’altro. E Hitoshi era così schifosamente simile a suo padre che in effetti il pericolo sembrava reale.
Avrebbe messo un po' di pepe sotto il didietro di Sasuke, che lui lo volesse o no.
Se doveva essere guerra, che guerra fosse.


*


Non era stata davvero colpa sua.
Un funzionario del Kazekage si era presentato alla porta dell'infermeria subito dopo cena e le aveva detto che c'era un problema con il documento preparato da Stupido. Cosa avrebbe potuto fare, a parte seguirlo?
Seguendolo, però, si era ritrovata in un corridoio sospetto, che non aveva nulla a che fare con la parte diplomatica del palazzo. Un corridoio deserto. L'avevano fatta entrare in una stanza che decisamente non era lo studio del Kazekage. Avevano chiuso la porta. La luce era spenta. E il funzionario non era un funzionario. Era Baka.
A dire il vero il problema non era nemmeno quello, alle quattro di mattina, senza vestiti, sdraiata a pancia in giù su un letto non suo; il vero, enorme problema, era che avevano appena scoperto che nessuno di loro aveva avvisato Temari della partenza anticipata.
Chiharu fissò il pezzo di carta bianco con la testa piena dell'ira furiosa della signora Nara. Non esisteva niente che avrebbe potuto scriverle per non farsi diseredare. Niente.
«Io non vado a bussarle alla porta in piena notte» ripeté Akeru per la trecentesima volta, seduto a gambe incrociate sul letto accanto a lei.
«Sta' zitto cinque minuti!» sibilò Chiharu, scostando rabbiosamente i capelli che continuavano a ricaderle davanti agli occhi. «Ti sei vantato mezzora che glielo avresti detto! Deficiente!»
«Potevi ricordarmelo prima di spogliarti.»
«Stai rischiando grosso.»
Akeru tacque, appoggiando il mento alla mano. Ripensò alle piacevoli ore che avevano trascorso insieme fino a poco prima. Era un vero peccato che a un certo punto avessero ricordato il dettaglio Temari, perché si era giocato gli ultimi trenta minuti.
«Mentre pensi vado a farmi una doccia» sbuffò deluso, scivolando giù dal letto.
Chiharu affondò la faccia nel cuscino per soffocare un gemito di disperazione. Perché non aveva mai esercitato un po' della rigida disciplina ninja? Se non avesse passato tutte quelle ore a dormire e cercare di schivare le proprie responsabilità, forse avrebbe avuto abbastanza forza per mandare al diavolo sia Hitoshi che Stupido. Che, per inciso, avrebbe avuto nello stesso luogo geografico di lì a tre giorni. Quante possibilità c'erano di riuscire a nascondere a tutti quello che era successo?
Nella sua testa le ore passate con Akeru si sovrapposero a quelle passate con Hitoshi. C'erano molte differenze, tra cui l'abisso di esperienza che separava il gene misogino in dotazione a tutti gli Uchiha e la fama di donnaiolo ora confermata di Baka, ma c'era qualcosa di comune a entrambi e decisamente fondamentale: il disagio.
Non voleva ritrovarsi con loro nella stessa situazione. Non voleva affrontare discussioni sul significato di quello che era successo. Non voleva nemmeno pensarci, a un eventuale significato, e soprattutto non le interessava. Come aveva ampiamente sottolineato Sai, le sue priorità erano ben altre.
Sospirò, costringendosi a tornare al messaggio per Temari. Iniziò firmando il pezzo di pergamena su cui doveva scrivere. Davvero, non sapeva come dirle che partiva senza avvisarla. Non c'era un modo, e anche far leva sulla maggiore età non era sufficiente.
O forse no. Forse una cosa, una sola piccola cosa che poteva salvarla c'era.
Colta dall'illuminazione buttò giù tre righe e le rilesse più volte:
Visto che tu non vuoi dirmi cosa ha fatto papà, torno a Konoha con gli altri. Me lo faccio dire da lui e lo spedisco a riprenderti (se davvero hai ragione).
Ringraziami al ritorno.
Dopo lunga e penosa riflessione, aggiunse anche un fievole 'ti voglio bene', nonostante i brividi scatenati dal movimento insolito della mano. Questo forse l'avrebbe salvata.
Stupido uscì dalla doccia proprio in quel momento, e si protese per sbirciare il messaggio di Chiharu.
«Che è successo con tuo padre?» domandò asciugandosi i capelli.
«Sono fatti nostri» rispose lei ripiegando con cura il biglietto.
«Ti preferisco quando hai la bocca impegnata.»
Questa volta gli arrivò un calcio, e arrivò anche nel posto giusto. Chiharu pensò che era arrivato il momento di mettere in chiaro le cose, almeno con lui.
«Quello che succede a Suna resta a Suna» disse seccamente. «Non ti aspettare trattamenti di favore a Konoha né che io menzioni mai più qualunque tipo di rapporto tra noi. Quando uscirò da quella porta tutto questo non sarà mai successo.»
«Che cos'hai nel cervello?» boccheggiò Akeru, rannicchiato sul letto con gli occhi pieni di lacrime. «Tu potrai anche non volerne più sapere niente, ma questo mi serve ancora!»
«I concetti si ricordano meglio se accompagnati da emozioni forti» spiegò lei inclemente, raccogliendo i suoi vestiti e avviandosi verso il bagno. «Mi lavo e vado a lasciare il biglietto a mia madre.»
«Avrei dovuto non essere gentile con te, stronza maledetta...» bofonchiò Akeru trascinandosi ansimante al bordo del letto.
Anche se si era conclusa in maniera brusca, però, si disse che era stata una notte di vittorie: era stato molto astuto ad attirarla con il trucchetto del funzionario, e si sentiva molto orgoglioso delle sue performances. Jiraya sarebbe stato fiero di apprendere della sua verginità perduta, quando si sarebbero rivisti.
Per quanto riguardava Chiharu, confidava che a Konoha avrebbe continuato con l'ottimo lavoro. Anche se lei blaterava di cose che succedevano a Suna e restavano a Suna, i fatti erano fatti: lo aveva rifiutato verbalmente, ma poi si erano ritrovati nudi sotto le lenzuola. Per ben due volte. Questo la diceva lunga sulla sua capacità di giudizio.
Mentre il dolore scemava lentamente, si concesse un sorriso di soddisfazione. Aveva scoperto i punti deboli di Chiharu, possedeva una perfetta conoscenza dell'anatomia umana e lei gli doveva un enorme favore con quella storia del contratto di custodia... Era praticamente fatta.
Purtroppo non sapeva niente di Hitoshi, e come avrebbe potuto? A Konoha, per rovinare i suoi piani, ci sarebbe stato anche lui.


Partirono alle cinque, perfettamente puntuali.
Incontrandola, Kotaro chiese a Chiharu che fine avesse fatto quella notte, ma lei disse che aveva discusso con Gaara intorno a una clausola stupidissima del contratto di custodia, perché non volevano farla partire e lei non era proprio d'accordo, come lui capiva bene – per rafforzare il concetto accennò con intenzione ad Akeru, sapendo quanto entrambi tenessero a vedersi riconoscere il merito della missione.
Kotaro non fu proprio del tutto convinto. C'era qualcosa che gli puzzava in tutta quella storia del contratto... Akeru non era mai stato loro amico. Tuttavia non trovò nulla da ribattere a Chiharu, e dovette prendere per buono quel che lei gli diceva con una scrollata di spalle. In ogni caso, anche se era riuscito a fare un gran lavoro di restauro con la sua costola, era ancora convalescente, e fare il viaggio tenendo aperta la Porta della Ferita non sarebbe stata una passeggiata; non voleva davvero avere il pensiero di Chiharu a distrarlo, preferiva mettersi il cuore in pace e stare sereno. Dopotutto Akeru faceva ancora Baka di cognome, non era una vera minaccia.
Gai, Rock Lee e i tre ragazzi si congedarono dal Kazekage alle porte della città.
Gaara interrogò con lo sguardo Akeru, che assicurò di aver avvisato Temari, e lui se lo fece andare bene. Non avrebbe corso il pericolo di bussare alla porta della sorella prima dell'alba solo per accertarsene: piuttosto avrebbe fatto ricadere sul ragazzo tutte le conseguenze di un'eventuale menzogna. Ancora non era convinto dell'idea di Akeru, ma il suo contratto era disgraziatamente perfetto, e Chiharu una kunoichi maggiorenne in grado di intendere e volere. Guardandoli, si disse che probabilmente sua nipote aveva sedotto il giovanotto per avere il suo aiuto; ma non aveva autorità né confidenza per intromettersi.
Sospirò, augurandosi che tutto andasse per il meglio e Temari non se la prendesse troppo, e salutò il gruppo di shinobi in partenza.
Mentre se ne andavano, l'alba sorse in tutto il fulgore del deserto. In lontananza, alle spalle di Suna, il cielo si stava tingendo di uno spiacevole rosso, stranamente simile ai bagliori di un incendio.





* * *

Buongiorno a tutti!

Ok, il famoso incontro Hitoshi-Sasuke
forse non è stato proprio un incontro...
Ma spero di essermi fatta perdonare
con un po' di buon NaruSasu vecchio stampo!

Sfortunatamente devo informarvi che da oggi
si aggiorna a singoli capitoli.

Sto impazzendo nel riaggiustare i prossimi,
li ho scritti a dicembre e sono ancora qui che li scrivo e riscrivo e riscrivo.
Spero sia solo un'impasse temporanea,
ma piuttosto che interrompere gli aggiornamenti
preferisco rallentarli.

Se vi consola, sono particolarmente ricchi di azione.
(e con un mucchio di gente. Per questo è così complicato!)
Spero che il risultato varrà l'attesa.

Un abbraccio a tutti!


  
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