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Autore: xbondola    06/04/2016    1 recensioni
Cosa fare quando ci si rende conto di essere innamorati del proprio migliore amico? Restare in bilico non è possibile, si sa: prima o poi, si cade, e Thomas deve fare una scelta.
Thomas sentì lo stomaco stringersi in una morsa, richiuse lo sportello e si allontanò. Sbuffando, si gettò sul divano accanto a Winston, e si massaggiò le tempie. L'immagine di Newt che con un dito si accarezzava la pelle nuda, adagiato contro il muro della stanza dei genitori di Minho, gli si era attaccata sotto le palpebre: Thomas chiudeva gli occhi e lui era lì, languido, gli occhi lucidi, non consapevole dell'effetto che aveva sul suo migliore amico.
Thomas batté un piede sul pavimento e si lasciò sfuggire un gemito di frustrazione.
Non poteva restare lì.
Quella consapevolezza lo colpì all'improvviso, come un pugno, e lo costrinse ad alzarsi. Si diresse verso la stanza di Minho, raccolse le sue scarpe dal pavimento, se le infilò ai piedi e uscì di casa senza avvertire nessuno.

Storia pubblicata anche su WATTPAD con lo stesso titolo.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Minho, Newt, Newt/Thomas, Thomas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V


Thomas percorse il corridoio che gli era stato indicato dall'infermiera e si fermò di fronte alla porta recante il numero 55. Era in quella stanza che avevano spostato Newt dopo l'intervento alla gamba, che lo aveva visto costretto sotto ai ferri per diverse ore. Thomas fece per bussare, la mano stretta a pugno a pochi centimetri dalla superficie di legno, ma si trattenne. Non vedeva il suo migliore amico dal momento in cui era stato caricato in ambulanza e trasportato in ospedale, sotto gli occhi di decine di ragazzi curiosi. Minho si era occupato di avvisare i suoi genitori, poi aveva preso l'auto e se n'era andato da casa Bennet, trascinandosi dietro Thomas, Brenda e una Teresa piuttosto confusa, che non riusciva a impedirsi di fare domande. Erano arrivati in ospedale e si erano fermati lì per parecchie ore. Brenda si era accasciata su una sedia in sala d'attesa, la testa appoggiata alla spalla di Minho, e aveva finito per addormentarsi lì. Thomas aveva continuato a camminare in cerchio, torturandosi le dita delle mani. L'immagine di Newt che cadeva nel vuoto, i suoi occhi scuri spalancati dalla paura, le labbra dischiuse in un respiro smorzato... tutto continuava a ripetersi nella sua testa in un loop infinito, mentre il senso di colpa che gli attanagliava gola e stomaco si faceva più pesante a ogni suo passo.
« È tutto a posto, ragazzi », aveva detto un medico, tentando di tranquillizzarli. « Il vostro amico sta bene. Non c'è alcun bisogno di restare qui. Andate a casa ».
Thomas avrebbe preferito accamparsi in quella sala d'attesa e non andarsene finché non avesse sentito Newt pronunciare quelle stesse parole, ma Minho l'aveva convinto a lasciar perdere, « ché hai delle caspio di occhiaie così profonde da far invidia a L di Death Note! »
Così se n'erano andati e Thomas si era ripromesso che sarebbe tornato presto in ospedale, magari il giorno stesso, gli serviva giusto il tempo di una dormita; ma già lungo la strada verso casa il suo coraggio era venuto meno, rimpiazzato dell'incertezza, dal senso di colpa, dalla paura di ciò che avrebbe visto negli occhi di Newt (accusa, collera, odio, delusione?) e il solo pensiero era così difficile da affrontare, così doloroso, che credeva non ci sarebbe mai riuscito davvero. Lo aveva ferito in così tanti modi e senza neanche rendersene conto...
Erano passati due giorni. Alla fine, Thomas non aveva trovato più motivi per rimandare ed eccolo lì, davanti alla stanza numero 55, le nocche a poca distanza dalla porta, il corpo rigido, la mente focalizzata sugli scenari peggiori che si potessero concepire.
Dall'interno non proveniva alcun rumore. Thomas non ne era sorpreso, aveva incrociato la madre di Newt al piano inferiore, accanto ai distributori automatici, e ciò significava che Newt era solo. Thomas inspirò a pieni polmoni un paio di volte, nel vano tentativo di mettere un freno al battito del suo cuore, prima di trovare il coraggio e dare qualche colpo esitante alla porta. L'aprì prima che chiunque potesse dargli il permesso e sbirciò all'interno.
La stanza era luminosa. La finestra aperta lasciava passare l'aria fresca del tardo mattino e i raggi del sole, che si riflettevano sulle pareti dipinte di un bianco sporco. Newt era sdraiato in un lettino singolo. La sua gamba era imprigionata in un gesso che già recava i segni di svariate visite: schizzi fatti a penna, firme, messaggi e auguri di pronta guarigione. Il ragazzo si voltò verso la porta. Confusione, sorpresa e irritazione si susseguirono sul suo volto nel tempo di un secondo.
Thomas si schiarì la voce. « Ehi, Newt », lo salutò, mostrandogli una mano tremante.
Newt tornò a rivolgere la sua attenzione alla finestra. Sembrava annoiato. « Tommy », disse solo.
Thomas si guardò intorno, a disagio. « Come stai? », si sforzò di chiedere, sentendosi molto stupido un attimo dopo. Gli occhi di Newt incontrarono i suoi e Thomas si pentì di aver desiderato che lo facessero: nel suo sguardo era visibile l'astio che ne consumava le iridi scure. « Oh, tutto bene, come puoi vedere ». Il sarcasmo nella sua voce costrinse Thomas a distogliere lo sguardo. Il ragazzo si morse l'interno della guancia e annuì. « Per quello che è successo... », mormorò. Newt inarcò un sopracciglio. « Ricordi quello che è successo, vero? »
La risata amara di Newt si diffuse nella stanza. Lui scosse la testa e si passò una mano tra i capelli biondi. « Forse sarebbe meglio per te se non lo facessi », disse, « ma, mi dispiace deluderti, non ho ancora cominciato a soffrire di Alzheimer ». Il suo tono era tagliente, la voce brusca. Thomas non ricordava di averlo mai sentito parlare in questo modo. Non a lui, almeno. La cosa gli faceva più male di quanto avesse immaginato. Thomas dischiuse appena le labbra per replicare e cancellare ogni traccia di quel silenzio insopportabile, ma non riuscì a trovare niente da dire e tacque. Newt gli indirizzò un'occhiata che gli bruciò la pelle come fuoco vivo, poi distolse lo sguardo e lo puntò sulla sua gamba, nascosta sotto strati di gesso e messaggi scritti di fretta. « Senti, vattene da qui, Tommy », disse alla fine e la rabbia nella sua voce aveva ceduto il posto all'esasperazione. « Vattene. Non riesco nemmeno a guardare la tua brutta faccia di caspio ».
Thomas spostò il peso da un piede all'altro, torturandosi le dita delle mani. La pelle gli bruciava, lì dove le unghie avevano scavato solchi rossastri. « Io - ».
Newt gli impedì di continuare la frase. « Perché sei venuto qui? », sbottò. La vergogna divorò Thomas dall'interno, come un tarlo, impedendogli di articolare alcun pensiero coerente. Newt si lasciò sfuggire un'altra risata priva di allegria. « Ti aspettavi un cacchio di abbraccio, eh? »
Thomas tentò di ritrovare la voce. « Mi dispiace », gracchiò. Avrebbe voluto dire di più, ma la sua gola si era stretta nello sforzo di trattenere le lacrime, e il dolore si irradiava come veleno giù nel suo petto, impedendogli di respirare.
Newt non lo guardava. « Questo non rimette a posto la mia gamba, Tommy ». Fece per aggiungere qualcosa, ma si trattenne, mordendosi l'interno della guancia. « Senti, vattene. Davvero. Va' via, adesso ».
Thomas deglutì e annuì appena. Raggiunse la porta della stanza e uscì, combattendo contro le lacrime.
Non ebbe neanche la forza di dirgli ciao.

« Oh, avanti! » Le dita di Thomas tremavano. Compose il numero di Newt per la terza volta consecutiva. Pochi squilli, poi la segreteria.
« Newt, mi dispiace », disse Thomas. Aveva perso il conto delle volte in cui gli aveva ripetuto quella frase, tre parole che gli apparivano ormai prive di significato.
Strinse le labbra. « Richiamami », mormorò. « Ti prego ». Non riuscì a trattenere le lacrime, ma staccò la chiamata prima che la sua voce si spezzasse. Gettò il telefono in un angolo della stanza immersa nella penombra e si portò le ginocchia al petto, affondandovi il viso. « Mi dispiace », ripeté ancora, la voce rotta dai singhiozzi. Si lasciò scivolare su un fianco, la guancia umida appiccicata al pavimento. Chiuse gli occhi.
Ho rovinato tutto.

La suoneria di un cellulare si infilò tra i sogni di Thomas, creando un ponte con il mondo reale che lui percorse a fatica, fino a raggiungere la sua camera. Si stropicciò gli occhi con le mani e cercò nell'oscurità la fonte del suono. Il led del telefonino lampeggiava in un angolo. Thomas si precipitò a rispondere e la voce di Minho risuonò al suo orecchio. « Ehi, pive! È da dieci minuti che tento di rintracciarti, dove caspio eri finito? »
« Scusa ». Thomas sbadigliò e allungò il braccio libero per stiracchiarsi. « Dormivo ».
« Si sente », ridacchiò Minho. « E stamattina? Non ti sei fatto vivo a scuola ».
Il ricordo della mattinata passata in ospedale ricadde sulle spalle di Thomas con prepotenza, mozzandogli il fiato. Per lui fu come cadere da un precipizio che non si era reso conto di costeggiare. « Sono andato a trovare Newt », riuscì a mormorare, la voce impastata dal sonno e dalla tristezza. 
« Era ora! Hai visto quello che gli ho scritto sul gesso? » Minho rise.
« No », mormorò Thomas. Tirò su col naso e strinse le labbra. Non si fidava più della sua voce: se avesse provato a pronunciare una frase più lunga, sarebbe stato scosso dai singhiozzi, lo sapeva.
« Oh, caspio ». Minho sospirò: aveva abbandonato ogni parvenza di allegria. « Cos'è successo? »
Thomas scrollò le spalle. La parte razionale del suo cervello gli gridò che Minho non poteva vederlo, ma lui tenne le labbra serrate per impedirsi di dire qualunque cosa. Chiuse gli occhi, sentendosi scivolare una calda lacrima lungo la guancia.
« Thomas? »
« Hm », mugolò l'altro, maledicendosi per la sua debolezza.
« Che non si dica in giro che Minho non aiuta gli amici in difficoltà. Aspettami, arrivo ».
Thomas avrebbe voluto fermarlo, dirgli che andava tutto bene e che non c'era bisogno che lui lo raggiungesse, ma Minho staccò senza dargliene la possibilità. Passarono circa venti minuti prima che si presentasse a casa dell'amico. Aprì la porta della sua camera senza esitazione e si fermò sulla soglia, le mani piantate sui fianchi, il viso distorto in un'espressione di biasimo. « Sapevo che aspettandomi il peggio non sarei rimasto deluso », borbottò. Si mosse verso Thomas, ancora riverso sul pavimento, e gli si sedette accanto. « Cosa caspio vi è successo, a te e quell'altro rincaspiato di Newt? »
Thomas gli lanciò un'occhiata, ma non disse nulla. Il silenzio si protrasse per alcuni minuti, poi Minho sbuffò. « Brenda mi ha raccontato tutto. La conversazione, tu che ti nascondevi dietro le siepi e tutta quella sploff lì ».
Thomas scosse la testa, come per cercare di allontanare dalla sua mente la patetica immagine di lui che si nascondeva dietro al cancelletto sul retro per origliare. « Quindi sai anche che Newt... ».
« Ti muore dietro da mesi? » Minho rise. « Penso che tu sia l'unico a non essertene accorto e questo, non so perché, non mi stupisce più di tanto ». 
« D'aiuto come al solito, eh? » Thomas alzò gli occhi al cielo e si strinse le ginocchia al petto.
« Qual è il problema? » Minho si agitò sul posto e strinse la spalla dell'amico con una mano, costringendolo a voltarsi per farsi guardare in faccia. « Lui ti piace, no? », gli chiese.
Thomas emise un verso strozzato e distolse lo sguardo, gli occhi sgranati che cercavano in vano un appiglio nella stanza buia. 
« Cosa? Perché? »
Minho roteò gli occhi. « Perché è bello e biondo e sexy », disse, poi sbottò: « Cosa cacchio ne so, io!? Non è il mio tipo, davvero. Troppo magro ».
Thomas ridacchiò e gli diede una spinta con una mano. « Lo sai cosa intendevo. Perché pensi che mi piaccia? »
Minho scosse la testa, le labbra distese in un sorriso triste. « Non lo so, pive. È il modo in cui vi guardate, in cui scherzate... be', non sono nella tua fottuta testa. La mia era una domanda ».
Thomas sospirò. « Non lo so. E questo mi ha causato più problemi di quanto sia disposto ad ammettere. Ne ha causati tanti anche a Newt. Quello che è successo... ». Thomas strinse i denti e chiuse gli occhi, cercando dentro di sé il coraggio di ammettere ad alta voce ciò che lo divorava dall'interno. « È colpa mia ». Fu un sospiro a malapena udibile. « È caduto da quelle scale per colpa mia ».
« È stato un incidente, Thomas ».
Thomas scosse la testa. « Vorrei poterti dare ragione ». Si voltò verso la parete. Sentiva lo sguardo di Minho bruciargli sulla nuca, ma non poteva sopportare l'idea di leggervi dentro l'accusa e la collera che aveva percepito in quello di Newt. « È stata colpa mia. Non mi perdonerà mai ».
« Non conosciamo lo stesso Newt, mi sa ». Minho gli circondò le spalle con un braccio. « Non riuscirebbe a starti lontano neanche se fosse costretto ».
« Avresti dovuto esserci, all'ospedale. Non sai come mi ha guardato, quasi fossi la causa di tutto ciò che di male c'è nella sua vita. Forse è così ».
« O. Mio. Dio ». Minho si allontanò dall'amico e si rimise in piedi con uno scatto. « La smetti con questi piagnistei? » Tenne lo sguardo fisso sull'amico, che non si mosse né disse qualcosa. Minho si lasciò sfuggire un verso esasperato. « Ho avuto pazienza, okay? Mi sono precipitato qui e ho assistito al pietoso spettacolo di te che ti rotolavi nelle tue cacchio di lacrime come una cacchio di sedicenne tumblr-dipendente, ma ora basta ». Si sporse verso la parete e spinse l'interruttore della luce. Thomas batté le palpebre un paio di volte, disturbato dalla luminosità improvvisa che gli ferì gli occhi. Minho scosse la testa. « Non è morto nessuno, Thomas ».
« Sarebbe potuto succedere ».
« Sei serio? Non voglio crederci, amico. Dammi il numero del tuo spacciatore ché lo gonfio di botte, cacchio! » Il silenzio di Thomas lo spinse a continuare: « Certo, sarebbe potuto succedere », ammise infine. « E il corso dell'evoluzione avrebbe potuto prendere una piega diversa, consentendo all'essere umano di sviluppare le branchie, ma sai una cosa? Non è successo! E tutto ciò è orribile, non credi? Perché se fosse successo ora me ne starei ancorato al mio fottutissimo scoglio, ascoltando i fottutissimi pesci e non le tue stupide lamentele su quanto il mondo faccia schifo perché il ragazzo che ti piace ha smesso di rivolgerti la parola! » Minho si fermò per respirare e lui e Thomas restarono così, fermi a fissarsi negli occhi per un lungo istante. Alla fine, Thomas scoppiò in una risata isterica che poco aveva di allegro. Avrebbe voluto trattenersi, ma rise così tanto che le lacrime cominciarono presto a bagnargli gli occhi. « Davvero, Minho? Le branchie? », riuscì a chiedere a fatica, la voce scossa. Minho cedette e tornò a sedersi accanto all'amico. « Mi sto rincaspiando appresso a voi deficienti, cacchio », disse con un sorriso. « Ricordami perché continuo a frequentarti ».
Thomas si asciugò gli occhi con il dorso della mano. « Perché senza di me saresti perso ». Indirizzò all'amico un sorriso storto e si lasciò scivolare contro il letto alle sue spalle. L'allegria, la finta allegria che gli aveva fatto dimenticare la sua tristezza per un attimo si era dissolta nel nulla. Thomas fece un respiro profondo. « Forse hai ragione », disse. « È stato un incidente, ma ho la mia dose di colpe ».
« Sei un disco rotto, pive ».
« Fammi spiegare. C'ero io su quelle scale: non tu, non Brenda. C'eravamo io e Newt ».
« Ti ascolto, ma sappi che mi riservo il diritto di rifilarti un calcio rotante in faccia nel caso sentissi altre stronzate uscire dalla tua caspio di bocca ».
Thomas annuì. « Io l'ho spinto. Lui voleva parlare, ma ero così confuso, volevo che mi lasciasse in pace ». Il respiro gli si bloccò in gola e Thomas dovette fermarsi per riprendere il controllo. « Mi ha afferrato un braccio, non ricordo bene, so solo che me lo sono scrollato di dosso e all'improvviso lui era... ».
Minho gli poggiò una mano sulla spalla. « Non è stata colpa tua. Non m'interessano i tuoi tentativi di convincerti del contrario ».
« Ma Newt - ».
« Newt è arrabbiato. E ferito. È - be', è qualunque cosa si diventi dopo una delusione d'amore ». Minho si strinse nelle spalle.
« Non voglio che lui diventi un estraneo ».
« Gli passerà. Piuttosto », Minho si alzò in piedi e lo indicò con un cenno del capo, « tu dovresti fare un po' di chiarezza nella tua testa, pive ».
« Non ci riesco », sbottò Thomas, frustrato. « Un minuto prima sono lì che penso a Newt in modo strano, ma l'attimo dopo penso che non dovrei! »
« Allora è questo il problema? Pensi che ciò che provi sia sbagliato? » Minho si strinse nelle spalle. « Non lo è. Gay, etero o uno qualunque degli strani orientamenti sessuali che vanno di moda oggi, chi se ne frega? »
Thomas gli fece segno di no con la testa. « Non è questo », mormorò e nel momento in cui lo disse si rese conto che era la verità. Ciò che Newt aveva tra le gambe non era un problema, non lo sarebbe mai stato. Non gli importava. C'era qualcosa di più profondo dietro a tutto questo, un sentimento venefico, tossico, radicato nel suo cervello. Thomas sbarrò gli occhi. « Io ho paura di mandare tutto a puttane », sussurrò, quasi senza rendersene conto.
« Io ho paura di perdere i capelli com'è successo a mio padre, ma vado avanti e continuo a mostrare la mia chioma al mondo, giorno dopo giorno ». Thomas inarcò un sopracciglio e Minho ghignò. « Sto cercando di dirti che tutti hanno paura. Se non hai paura non sei umano, ma non puoi fuggire da te stesso ».
« Questa l'hai rubata da una scatola di cioccolatini ».
« La tua mancanza di fiducia in me è snervante, amico, sul serio ».
Thomas sbuffò. « Cosa dovrei fare? »
« Non lo so, pive. Parlagli ».
« Che gli dico? »
« Digli quello che ti passa per la testa. Quello che provi. Quello che vuoi ».
« Non sono sicuro di ciò che voglio, ma so cosa non voglio: non voglio perderlo ».
« Voi due mi farete venire il diabete, cacchio ».

Newt era stato dimesso dall'ospedale e Minho aveva detto a Thomas che sarebbe tornato a scuola subito dopo il weekend.
Fu il weekend peggiore della storia, per Thomas. Lo passò trascinandosi da uno stato emotivo all'altro in un vortice di aspettativa e smarrimento, paura ed eccitazione. Il nervosismo gli chiuse lo stomaco e cancellò i suoi buoni propositi di studiare. Fissava le pagine colme di caratteri e immaginava ciò che avrebbe detto a Newt non appena si fossero rivisti. Faceva lo stesso anche prima di addormentarsi.
La notte che separava la domenica dal lunedì fu la più terribile: Thomas non fece altro che fissare il soffitto della sua stanza, attanagliato dall'ansia e dal terrore. Quando per miracolo cedeva a Morfeo, erano i suoi stessi sogni a riscuoterlo.
L'alba del lunedì lo trovò sveglio, seduto al centro del letto, la schiena adagiata contro la testiera e gli occhi stanchi fissi sulla parete. Thomas neanche si rese conto della luce che piano s'insinuava oltre la finestra, gli accarezzava i piedi e poi le gambe, le braccia, il torace, il collo e infine il volto, costringendolo a chiudere gli occhi. La sveglia trillò il suo buongiorno e Thomas la spense con un gesto rapido, il fastidio che gli si accendeva dentro come fuoco. Si trascinò in bagno e si preparò ad affrontare la giornata con i crampi che lo torturavano.
Arrivò a scuola in anticipo e attese di scorgere l'auto di Minho oltrepassare il cancello. Quando la vide, quando vide la sagoma di Newt seduto al posto del passeggero, il suo cuore accelerò i battiti e le gambe gli tremarono appena. Thomas si avvicinò all'auto a passo spedito, cercando di ignorare l'ammasso di nodi in cui si erano trasformate le sue interiora. A ogni passo il suo coraggio veniva meno, sostituito dalla voglia impellente di fuggire e non farsi più vedere. Forse era ancora in tempo, poteva trasferirsi dall'altra parte del mondo, farsi crescere i baffi e i capelli e cambiare nome e...
La voce di Newt lo riscosse dai suoi pensieri. « Hai intenzione di lasciarmi passare? »
Thomas sbatté le palpebre: Newt era appena sceso dall'auto di Minho e lo osservava in cagnesco. La sua gamba era ancora imprigionata in un gesso, ricoperto da una rete di messaggi ancor più fitta dell'ultima volta. Thomas strinse la mascella e focalizzò la sua attenzione sulla stampella a cui Newt si aggrappava per camminare. Un'ondata di senso di colpa gli attraversò le viscere, ma tentò di reprimerla.
« Mi fai passare o no? », sbottò Newt, il volto arrossato e l'espressione scocciata.
« Oh ». Thomas si spostò, lasciando all'altro ragazzo lo spazio necessario. « Sì, scusa ».
Minho li osservò per un istante, poi salutò Thomas con un cenno della mano. Non disse niente, lanciò un'occhiata fugace all'amico che claudicava ancorato alla sua gruccia e si allontanò a passo svelto. Newt gli mostrò il dito medio e gli rivolse uno sguardo torvo, poi si avviò verso l'ingresso, zoppicando.
Thomas lo raggiunse con due falcate. « Possiamo parlare? »
« Ora ho lezione, Tommy, e anche tu, nel caso te ne fossi scordato ».
« Non ti ruberò molto tempo ».
« Lo hai già fatto ». Gli lanciò un'occhiata di sottecchi. « Mi hai già rubato troppo tempo », aggiunse, leggendo la confusione sul suo volto.
« Senti, mi dispiace per quello che è successo alla festa, io - ».
« Me lo hai già detto », lo fermò Newt, l'esasperazione che s'intrecciava alle sue parole. 
« Quante volte ancora hai intenzione di ripetermelo? Giusto per farmi un'idea di quanto dovrò sopportarti prima che tu chiuda quella bocca ».
Thomas emise un verso carico di frustrazione e batté i piedi sull'asfalto. Erano quasi arrivati all'ingresso della scuola. « Lo so che sei arrabbiato con me e non hai idea di quanto io mi senta in colpa per quello che è successo, Newt, ma cosa posso fare? Mi sono scusato con te, ti ho intasato il cellulare di chiamate e messaggi, ho passato gli ultimi giorni senza chiudere occhio, ho delle occhiaie che mi fanno sembrare un tossicodipendente! » Disse queste parole senza fermarsi a riprendere fiato, mentre il sangue gli affluiva al viso, imporporandolo. « Cosa caspio devo fare ancora? Dimmelo e lo farò, ma smettila di trattarmi come se fossi la causa di tutti i tuoi problemi, smettila di guardarmi come se mi odiassi, perché non lo sopporto ».
« Odiarti? Odiarti? » Newt rise senza allegria. « Mio Dio, Thomas, sei stupido di natura o ti ci metti d'impegno? Io vorrei odiarti, cacchio, ma non ci riesco e questo mi fa odiare me stesso più di quanto potrei odiare chiunque altro nella mia vita! »
« Non dirlo ».
« È la verità. Se ti dà fastidio, lasciami in pace e fa' finire questa dannata conversazione ».
Quasi come a voler esaudire la sua richiesta, la campanella annunciò l'inizio delle lezioni. Newt e Thomas raggiunsero l'aula di chimica in silenzio. Minho aveva riservato loro due posti in fondo, ma Newt gli lanciò un'occhiataccia e occupò uno dei banchi in prima fila, chiedendo a un loro compagno di corso di passargli una sedia su cui poggiare la gamba ingessata. Thomas lo superò a testa bassa e si sedette accanto a Minho, che inarcò le sopracciglia e gli indirizzò uno sguardo interrogativo. Thomas si limitò a scuotere la testa e affondò il viso nell'incavo del gomito.

« Newt è in cortile », gli disse Minho. Era da poco cominciato l'intervallo e Thomas non aveva ancora avuto l'occasione di chiarire con Newt.
« Se provo a rovinargli anche la pausa mi ammazza », borbottò. 
« Non dire stronzate e va' immediatamente a rovinargli la pausa! », gli intimò Minho. « Quel rincaspiato di Newt se lo merita, dopo tutta la sploff che ti ha fatto passare! »
Thomas roteò gli occhi, ma si ritrovò ad annuire. Raggiunse il cortile di corsa e si guardò intorno, finché non vide l'oggetto delle sue attenzioni: era seduto su di una panchina. Teneva un astuccio in grembo e un quaderno aperto sulle gambe. Stava scrivendo qualcosa e quasi non si accorse della presenza di Thomas accanto a lui finché quest'ultimo non si schiarì la voce, costringendolo ad alzare lo sguardo.
« Ancora tu », biascicò Newt, esasperato. Le sue guance si tinsero di rosa e lui abbassò la testa, tornando a concentrarsi sugli appunti che aveva di fronte.
Thomas gli si sedette accanto. Dato che quasi l'intera panchina era impegnata dal gesso di Newt, dovette accontentarsi di occuparne il bordo. Newt lo guardò di sottecchi e distolse lo sguardo un attimo dopo.
« Sei ancora arrabbiato? » Thomas si diede del deficiente, ma tentò di non darlo a vedere. Se fosse stato in Newt, si sarebbe colpito con la gruccia più e più volte, fino a che non fosse stramazzato al suolo.
« Tu che dici? »
« Dico che stai evitando di rispondere alla mia domanda ».
Newt si immobilizzò per un attimo e scosse la testa. « Certo, tutto quello che vuoi. Ora mi lasci stare o ti serve un invito scritto? Forse preferisci un'ordinanza restrittiva ».
Thomas alzò gli occhi al cielo. 
« Non ho intenzione di lasciar perdere, se è questo che speri di ottenere comportandoti così ».
« Così come? »
« Non vuoi che te lo dica ».
« Adesso decidi anche cosa voglio e cosa non voglio, Tommy? » Thomas sentì il cuore accelerare quando notò le labbra di Newt prendere una piega che somigliava molto ad un sorriso. Durò solo un istante, ma fu sufficiente per infondergli un po' del coraggio che aveva perso.
« Cosa vuoi che faccia per aggiustare le cose? Qualunque cosa, ma dimmelo ».
Newt trattenne il respiro. Alzò lo sguardo e i suoi occhi scuri, così profondi, così belli, pensava Thomas, incontrarono quelli dell'altro ragazzo. Thomas si sentì sollevato quando non vi trovò alcuna traccia di collera, ma il sollievo si tramutò in un dolore sordo, non appena ebbe letto quello sguardo con maggiore attenzione. C'era tristezza, lì, e c'erano rassegnazione e paura. C'era la promessa che nulla sarebbe mai stato come prima.
Forse non doveva esserlo. Forse era ora che le cose cambiassero, era ora di saltare giù dal filo su cui Thomas si ostinava a rimanere in bilico.
Newt sospirò. « Non si possono aggiustare le cose, Tommy », mormorò. « Non quando si sono rotte in miriadi di frammenti tanto piccoli da sembrare polvere ». Tornò a guardare il quaderno di appunti e lo strinse così forte da stropicciarne le pagine. « Non sono più arrabbiato con te. Forse non lo sono mai stato, non lo so. Forse proiettavo su di te la rabbia che mi provocava tutto il resto. Tu, la tua dannata amicizia e la tua dannatissima, bellissima faccia ». Arrossì. « Io non so neanche cosa cacchio sto dicendo. So solo che non ho intenzione di fingere che non sia successo niente e non voglio starti vicino sapendo che tu - ». Si fermò senza completare la frase quando si rese conto della pericolosa vicinanza di Thomas: si era alzato in piedi e poi si era inginocchiato sull'erba, in modo che i loro volti si trovassero alla stessa altezza. Gli si era avvicinato senza dire niente, senza far rumore. La distanza tra le loro labbra era quasi inesistente e continuò a diminuire, fino a che divenne un nonnulla, lo spazio di un sospiro, di un sussurro...
« Tommy, non è divertente », mormorò Newt, ma non si mosse.
« Io non sto ridendo ».
Un millimetro più vicini.
« Cosa cacchio stai facendo? »
Due millimetri. 
« Tentavo di capire una cosa ».
Tre millimetri.
Newt chiuse gli occhi, il corpo scosso da brividi leggeri. Il mondo perdeva i propri contorni e Thomas diventava l'unica cosa vivida, l'unica cosa vera in un mare di sfocate illusioni. « E ci sei riuscito? », gli chiese Newt, il fiato corto, il cuore che accelerava al centro del suo petto. 
Thomas annuì e la distanza che li separava si dissolse in un bacio.

Fu la campanella a riportarli alla realtà. Quella e i commenti degli studenti che passavano da quelle parti (Trovatevi una stanza, ci sono dei bambini qui!).
Thomas si allontanò da Newt, gli occhi ancora chiusi.
Non era stato un vero bacio: niente scontri di lingua, nessuna violazione di confine. Era stato un contatto leggero, labbra contro labbra, uno sfiorarsi appena, ma Thomas lo sentiva ancora bruciare sulla pelle come fuoco e sfrigolare sulla bocca come elettricità. Il suo intero corpo era stato attraversato da una scarica elettrica: riusciva a sentirne gli effetti lungo la spina dorsale e gli arti, fino alla punta delle dita, aggrappate al braccio di Newt, quasi questo fosse il suo unico sostegno.
Newt aprì gli occhi e incontrò quelli dell'altro ragazzo. « Io non so cosa mi hai fatto », borbottò Thomas, distogliendo lo sguardo, le guance in fiamme. « Non lo so e ho una paura che non t'immagini neanche, ma... ». Allungò una mano verso l'astuccio che Newt teneva in grembo. Vi rovistò all'interno e ne estrasse un pennarello nero. Si avvicinò alla gamba tesa di Newt e cercò uno spazio in cui scrivere, le labbra increspate in un sorriso malizioso. Non poteva davvero affrontare il discorso in modo serio. Quando ebbe finito, gli fece cenno di leggere e Newt si sporse in avanti, per poi rivolgere a Thomas uno sguardo confuso. Gli ci volle qualche secondo prima che nei suoi occhi si accendesse una scintilla di comprensione. Newt rise e si coprì il viso con una mano per nascondere l'imbarazzo. Thomas pensò che fosse la cosa più bella del mondo e non riuscì a impedirsi di ridere a sua volta, ma non disse niente. Continuò a fissare Newt, il suo volto e poi la sua mano, quando questa scese a sfilargli il pennarello dalle dita per tracciare, tremante, la sua risposta.




 

La proposta della panna 
è ancora valida?

Quando vuoi, Tommy.

 
   
 
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