Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: martina_26    06/04/2016    0 recensioni
Non si può scrivere una vera trama. E' solo la raccolta di un mucchio di pensieri profondi. Spero possano interessare, nonostante il contenuto! :)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L'abisso. Era lui che mi aveva cercata di nuovo. Mi fissava affamato, con quei suoi tremendi occhi neri. Mi aveva trovata; legata alle sue pesanti catene venivo trascinata giù, sempre più a fondo. Pareva non possedere alcun limite. Precipitavo, e più divenivo sua preda, più tutto diventava buio; ogni cosa perdeva il suo significato. Vivere mi richiedeva una quantità sempre maggiore di energie e consumava tutto di me. Non conoscevo giorno in cui i miei occhi non si bagnassero di lacrime amare e lo stomaco conoscesse pace. Non c'era istante in cui la voragine che avevo nel petto si stancasse di spaccarmelo. Ma dovevo andare avanti. Non c'era soluzione al mio respiro interrotto, alla felicità perduta, alla serenità e alla tenerezza spazzate via. Non c'era più niente che io potessi fare. In nessun luogo mi sarei potuta sentire al sicuro. Ovunque era pericoloso. Pensavo, comunque, che ogni posto sarebbe stato migliore di questo. Da cosa tentavo di scappare? Da quale pensiero o sensazione volevo così intensamente liberarmi? Non c'era luce in fondo al tunnel. Restavo immobile ad assaporare la mia sconfitta, a godere del sangue che sgorgava dal mio cuore, impetuoso come un fiume in piena. Avevo dimenticato cosa volesse dire ridere fino a che non si perde il controllo del respiro. Non riuscivo ad immaginare i contorni di un sorriso sincero e pieno. Sentire il petto libero dai macigni creati insistentemente dai miei pensieri era qualcosa di amaramente impossibile. E se il mio essere non fosse coinciso col mondo? E se provare a liberarmi avrebbe portato ad altra sofferenza? O, magari, ad altre terrificanti sconfitte? Chi ero io? Polvere. Briciole in balìa di qualcosa che mi stava attraversando e che, lentamente, si impadroniva di tutta me stessa.
Inutile immaginare gli splendidi visi delle persone che amavo: mi uccideva e basta. Io non potevo più averle. Non avrei mai più provato la sensazione di tornare a casa e trovarle lì, pronte a stringermi in quelle braccia che per me erano il solo Paradiso. Era inutile tornare, prima o dopo avrei dovuto rinunciarvi comunque e sarebbe sempre stato un coltello ficcato nel fianco del quale la cicatrice mi avrebbe accompagnata per sempre. Ma avevo una voglia matta di spaccare le catene dell'abisso e tornare a casa. Il cuore urlava pazzo il suo desiderio di essere amato, ricercato e desiderato. Non sarebbe mai stato più forte della mia testa. Era lei che mi imponeva tutto. Era lei che mi stava massacrando con le sue idee fisse, le sue contorte paranoie e i suoi desideri tanto infiniti da essere irrealizzabili. Forse, era per questo che ero di nuovo confinata nell'Abisso. Perché io pensavo sempre all'infinito. Desideravo sempre cose di immensa bellezza, che mi avrebbero risollevata per sempre. Ma nessuno aveva mai desiderato la stessa cosa. Nessuno mi era venuto a salvare dall'Abisso e aspettare mi sarebbe stato fatale. Non poteva durare per sempre. No, non poteva. Attendevo in maniera disarmante che quelle maledette catene si arrugginissero e che io risalissi a galla senza avere mosso un dito. Ma non funziona così. Ero io a dover spezzare le catene; dovevo essere io la protagonista del mio Destino. Il fatto era che non ero affatto capace di esserlo. Mi ero sempre data tutta agli altri; avevo schiacciato mortalmente tutti i miei desideri e i miei voleri per accontentare e far sopravvivere quelli altrui. Era forse per questo che ancora non avevo trovato me stessa? Era forse per questo che l'Abisso riusciva sempre a raggiungermi? Non mi ero mai nascosta da lui. Gli dicevo sempre dove mi trovassi e in quale istante. Mi facevo catturare come una preda senza le gambe e mi facevo trascinare via. Non gridavo mai aiuto a nessuno. Il grido era dentro me. Potevo sentirne l'eco potente. Aspettavo che qualcuno lo sentisse e venisse a salvarmi. Ma la vita non va così. Non si può essere la principessa che viene salvata. Si deve essere la guerriera che si salva da sola. Ho bisogno di scappare. Sto soffrendo. L'Abisso mi tormenta. Ma che cosa è, in fondo, l'Abisso stesso? E' indigestione di sofferenze? E' il sentirsi inadatta in ogni cosa? E' tormentarsi su cose che neanche esistono? E' solitudine marcita troppo a lungo? Forse, è la ricerca di qualcosa di troppo profondo. Qualcosa di introvabile, se non a livello metafisico? Ma io ero stanca di ricercare nell'aria. Avevo necessità di qualcosa di palpabile, che riempisse la mia vita come mai niente aveva fatto. Avevo 20 anni. Ero nel nucleo della mia vita, nel periodo delle cose belle. Ma ancora il mio momento non era giunto. Non avevo mai trovato niente che mi facesse dire “Mi sento viva”. Mi sentivo spenta, un corpo che si muoveva per inerzia ma senza scopo alcuno. Dovevo liberarmi. Dovevo scappare dall'Abisso, ma come?
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: martina_26