Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: TheSlavicShadow    09/04/2016    2 recensioni
Quando all'improvviso decidi di prendere in mano le redini del tuo destino e ci sono delle scelte da compiere.
{JeanMarco; sequel di "Three Days Till..."}
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Three Days'
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“Bodt.”

Marco aveva alzato lo sguardo, osservando l'uomo che gli si era fermato di fronte. Il tempo sembrava quasi essersi riavvolto. Gli sembrava quasi di essere tornato indietro, quando erano ancora adolescenti.

“Ciao, Jean.”

Debolmente gli aveva sorriso, ma non aveva alcuna voglia di sorridere. Era ancora troppo scosso da quello che era successo nel pomeriggio. Troppo scosso dall'odio che i genitori potevano provare per i loro figli. E Jean era l'unica persona che voleva e non voleva vedere in quel momento. Non voleva vederlo perché il biondo era la causa di tutto quello che era successo.

E voleva vederlo perché Jean era l'unica persona al mondo che poteva lenire il suo dolore. Anche quando erano solo due ragazzi, quando Marco si sentiva giù, quando succedeva qualcosa di brutto a scuola o a casa, sapeva che in Jean avrebbe sempre trovato conforto. Il biondo allora non avrebbe parlato, perché non era per nulla bravo a consolare. Semplicemente lo avrebbe avvolto con le sue braccia, stringendolo al proprio petto. Lo avrebbe lasciato piangere se necessario. Avrebbe ascoltato le sue parole. Oppure avrebbe accarezzato la sua schiena finché non si fosse calmato. Finché tutti i suoi demoni non si fossero sopiti da qualche parte, in attesa del prossimo risveglio.

“Ricordi quando giocavamo a calcio qui?”

“Si, e tua sorella faceva il culo ad entrambi.”

Jean gli si era seduto accanto. Aveva aspettato che il moro parlasse prima di fare qualsiasi mossa. Si era seduto semplicemente. Aveva estratto il pacchetto si sigarette dalla tasca del giubbotto, portandosene subito una alle labbra e accendendola.

“Mi ha mandato Ymir.”

“Scusa?”

Marco si era voltato verso di lui. Osservava il suo profilo, e Jean continuava a guardare dritto di fronte a sé.

“Mi ha telefonato mentre ero ancora in ufficio perché qualcuno non risponde al telefono, chiedendomi se sapevo dov'eri. Visto che non sono la tua balia l'ho mandata al diavolo.”

“Eppure sei qui.” Marco aveva sorriso debolmente, continuando a guardarlo.

“Perché Ymir mi ha detto che eri andato dai tuoi. E sinceramente immaginavo che non sarebbe andata bene.” Jean si era passato una mano tra i capelli, fermando la mano sulla nuca, sui capelli rasati da poco. “Scusami. Non dovevo presentarmi al caffè a cui mi hai invitato a Londra.”

Marco aveva sospirato, voltando di nuovo il viso verso il campo da gioco su cui dei ragazzini giocavano a calcio.

“In un certo senso te ne sono grato. Ho evitato di fare l'errore più grande della mia vita.” Aveva abbassato lo sguardo sulle proprie mani. “Mi hanno detto che non sono più loro figlio. E questo mi ha fatto più male del previsto. Sapevo che non sarebbe andata bene, ma dovevo vederli. Sono patetico. Credo di essere un uomo adulto, quando invece ho ancora bisogno dell'approvazione dei miei genitori. E il loro rifiuto è qualcosa di molto doloroso.”

“Sai che ti ho sempre detto di fottertene di quello che avrebbero detto loro.”

“Non è così facile, Jean! Tua madre è un angelo!” Sbuffando lo aveva guardato di nuovo.

“Ha pianto anche lei quando le ho detto che mi piaceva un ragazzo. Ha cercato di farmi ragionare per qualche tempo, ma poi si è arresa alla mia testardaggine. Ha pianto anche quando ho divorziato, e abbiamo anche litigato.”

“Jean, non sto parlando di questo...” Marco aveva ridacchiato. “So bene quanto spesso litighiate. Ho assistito a più di un litigio tra di voi. E ho sempre invidiato il rapporto che avete. Tua madre è sempre dalla tua parte, qualsiasi cosa tu faccia lei ti è accanto. Sono convinto che se tu commettessi un omicidio, lei ti aiuterebbe a disfarti del cadavere.”

“Beh, dove credi abbia seppellito il corpo della mia ex moglie?” Jean aveva ghignato, ammiccando e cercando di essere sexy con la sigaretta tra le labbra. E Marco aveva riso guardandolo. Aveva riso sinceramente.

“Dai, Bodt.” Si era alzato all'improvviso, porgendogli la mano. “Ymir mi ha detto di riportare a casa il tuo culo.”

Il moro lo aveva guardato. Aveva osservato la sua mano. E senza pensarci ulteriormente l'aveva stretta.

 

 

***

Ymir lo aveva abbracciato non appena aveva messo piede nell'appartamento. Lo aveva stretto con forza, come se non volesse più lasciarlo andare. Come se così potesse cancellare tutte le cose brutte che erano successe, che era sicura fossero successe.

“Mi hai fatto preoccupare. Avevo temuto ti fossi buttato nella Senna.”

“Non mi chiamo Javert.”

“No, ma vai in giro con Jean Valjean.”

“Oddio, Ymir! Non l'hai detto sul serio? Ti prego!” Jean le aveva puntato un dito contro, ancora fermo sulla porta, un passo dietro a Marco. “Questa è la cosa peggiore che tu abbia mai detto! Ma quanti anni hai?”

La mora aveva riso sguaiatamente, stringendo il fratello ancora per un attimo, prima di lasciarlo andare.

“Dai, entrate. Historia ha preparato la cena per tutti. Si, anche per te Jean, è inutile che mi guardi così. Ho anche già telefonato a tua madre per dirle che un impegno ti ha trattenuto così resterai a cena da noi.”

“Perché hai telefonato tu a mia madre?”

Jean aveva seguito Ymir in casa, e Marco si era fermato all'ingresso a guardarli. Era una scena così casalinga che avrebbe potuto abituarcisi subito.

“Perché lo faccio abitualmente. Joséphine è una delle fan più affezionate che ho.”

“Oddio, stai scherzando, vero? Mia madre non può leggere i tuoi libri.”

“Ne hai mai letto uno?” Ymir aveva inarcato un sopracciglio, mentre entrava in cucina. Marco l'aveva sentita parlare piano e poi ridacchiare. E sembrava tutto così tranquillo che quasi aveva dimenticato che il terreno sotto i suoi piedi era crollato del tutto. “Marco, credo tu già conosca Historia. Ma in ogni caso, Historia, questo è mio fratello, Marco. E quello con la faccia stitica è Jean. Quello per colpa del quale il matrimonio di Annie è saltato.”

“Grazie Ymir. Splendida presentazione.”

Historia aveva ridacchiato e aveva stretto la mano che Jean le porgeva. Marco riusciva soltanto a guardarlo. Non si erano chiariti, non era cambiato nulla, eppure Jean era lì. Era lì per lui, anche se era stata Ymir ad orchestrare tutto. Ma non era scappato. Non aveva fatto finta di non aver mai ricevuto la telefonata della donna. Anche se ne avrebbe avuto tutto il diritto.

 

 

***

Marco doveva ammettere che Historia era un'ottima cuoca. Conosceva poco la ragazza, anche se spesso era uscita con lui, Annie ed i loro amici. Ed ora eccola lì, seduta accanto a sua sorella, che continuava a rendersi più ridicola del solito, ma quello doveva solo essere il suo modo di dimostrare la sua felicità.

Non aveva mai visto Ymir in compagnia di qualcuno. Non l'aveva mai neppure vista sorridere come faceva ogni volta che guardava la bionda. Aveva notato che ad un certo punto della cena le aveva stretto la mano, e Historia le aveva sorriso dolcemente. E sua sorella gli sembrava quasi una ragazzina alla prima cotta, e forse lo era.

“Bene.” Ymir si era alzata da tavola, iniziando a mettere apposto una volta che avevano finito di mangiare. “Noi andiamo a fare un giro in centro, visto che Historia non è mai stata a Parigi di sera. Vi unite a noi?”

“Voglio solo morire da qualche parte.” Aveva mormorato Marco, avvicinandosi alla macchinetta del caffè.

“Magnifico.” Ymir aveva scosso la testa. “Jean, te lo affido. Se si butta dalla finestra o si impicca usando le tende ti riterrò responsabile.”

“E se usa le lenzuola?” Il biondo si era seduto sul divano, controllando il proprio cellulare.

“Guardate che vi sento!” Marco si era sporto dalla cucina, per guardarli male, ma probabilmente non li aveva convinti, visto il modo in cui Ymir gli sorrideva mentre indossava le scarpe, imitata da Historia. Jean stava scrivendo probabilmente a qualcuno, ma ghignava. Quel ghigno così tipico di quando era divertito da qualcosa. In questo caso da lui.

E ne era contento. Non gli importava se Jean rideva di lui se questo gli faceva fare quell'espressione che non aveva visto da così tanto tempo.

“Pronte!” Ymir aveva indossato anfibi e giubbotto di pelle, venendo così squadrata da Jean, e stavolta era stato Marco a sorridere. “Non guardarmi così, Kirschtein. Non sei il mio tipo.”

“Tranquilla. Preferisco altri Bodt.”

Marco stava quasi per sputare o strozzarsi con il caffè che aveva appena iniziato a bere. Jean che pronunciava quelle parole e Ymir che si chinava verso il biondo lo avrebbero condotto ad una morte prematura.

“Oh, così ti voglio, Jeanbo.” La mora gli aveva tirato una guancia, sorridendo come una vecchia volpe.

Jean le aveva schiaffeggiato la mano, guardandola male. “Stronza, solo mia madre può chiamarmi così.”

La donna si era raddrizzata, andando verso le porta, dove Historia la stava già aspettando.

“Bene, bambini. Vedete di non andare a letto troppo tardi. Il lubrificante lo trovate nel cassetto del mio comodino. E non fate troppo rumore, mi raccomando. ” Aveva fatto l'occhiolino ad entrambi, facendo quasi morire Marco di nuovo e arrossire Jean che le aveva tirato contro un cuscino; mentre lei, ridendo come se avesse detto la cosa più divertente del mondo, chiudeva la porta alle proprie spalle.

“Quant'è insopportabile tua sorella.” Jean aveva abbandonato la testa contro lo schienale del divano, fissando il soffitto.

“Jean, puoi anche andare a casa. Non ho intenzione di uccidermi.”

“Lo so, non sei il tipo. Sei un codardo patentato e poi pensi troppo a non disturbare la gente che ti sta attorno.”

“Questa non era una cosa carina da dire.” Marco aveva messo il broncio, mentre si sedeva sul divano e appoggiava due tazze di caffè sul tavolino. “Il suicidio non è mai una soluzione ai problemi.”

“Giusto.” Il biondo si era subito mosso per recuperare la sua dose di caffeina. “Ho avvertito mia madre che rientro tardi. O che forse non rientro affatto, ma questo dipenderà da te.”

“Secondo te, tua madre mi adotterebbe?” Marco si era portato una mano sugli occhi, massaggiandoli stancamente. “Oggi sono stati orribili, molto peggio del solito. Sono adulto e queste cose non dovrebbero più ferirmi. Eppure mi fa male come quando avevo 17 anni e per la prima volta dicevo a mia madre di noi due.”

“Si, ricordo che già non ero il benvenuto in casa tua perché i miei sono divorziati. Poi è stato solo peggio.” Jean aveva sbuffato, mettendosi più comodamente sul divano. “Cos'hai intenzione di fare ora, Marco?”

“Bella domanda. Ci sono troppe cose che vorrei fare. Molte riguardano la mia vita a Londra. Sento di dover chiedere scusa a tutti. E poi qui, a Parigi. Sono tornato per te, ma ho ancora paura. L'altro giorno ti sei arrabbiato quando ti ho detto di averne ancora. Solo che sono cose che non scompaiono da un giorno all'altro. Non lo si può cancellare con una passata di spugna.”

Si era voltato verso il biondo, non aspettandosi di trovare il suo viso così vicino al proprio.

“Lentiggini, smettila di farti così tante seghe mentali. Sono fottutamente arrabbiato con te, ma non è nulla di nuovo, no? E ora sono qui, nonostante tutto quello che è successo e tutto quello che è stato detto.”

“Jean...”

Si era sporto verso di lui, colmando la poca distanza che li separava.

Quello era l'unico posto a cui le sue labbra potevano appartenere.

 

 

***

Quando si era reso conto in che verso stavano volgendo le cose – quando la maglia di Jean aveva preso il volo per finire solo dio sapeva in che angolo del salotto, quando le sue labbra si erano chiuse attorno ad uno dei capezzoli del biondo, e quando i suoi stessi pantaloni stavano iniziato a stringerlo – allora si era alzato dal divano, con Jean in braccio. Le gambe del biondo strette attorno ai suoi fianchi, e le labbra di nuovo incollate. Sentiva le dita di Jean che si facevano spazio tra i suoi capelli, tirandoli un po' dove erano più lunghi.

Non appena lo aveva appoggiato sul letto, Jean non aveva perso tempo. Lo aveva attirato a sé e aveva continuato a baciarlo. La foga, il bisogno, la passione. Non era passato neppure un secondo. Avevano di nuovo vent'anni. Erano di nuovo solo due ragazzi che si amavano. Che forse non avevano ancora capito quale fosse la vera forma dell'amore. Oppure lo avevano capito e non gliene importava, perché l'unica cosa che contava era essere uno accanto all'altro.

Marco aveva baciato il biondo sotto l'orecchio, prima di morderne il lobo. Sapeva che quello era uno dei punti deboli di Jean. Ricordava ancora esattamente quali erano i punti sensibili suo corpo, e aveva intenzione di riscoprirli di nuovo.

Quella notte era solo la prima di una nuova vita. Quello era il punto di svolta.

 

 

***

Per la prima volta dopo molto tempo, la mattina lo aveva accolto dolcemente. Aveva aperto gli occhi e Jean dormiva beatamente tra le sue braccia, ed era un'emozione a cui non avrebbe più potuto rinunciare. Per troppo tempo lo aveva fatto. Per troppo era fuggito da ciò che realmente lo rendeva felice. Da ciò che lo rendeva sicuro.

“Da quanto sei sveglio?” Jean aveva mormorato, stringendosi di più a lui. Sentiva il suo respiro sulla pelle ed era tutto così diverso rispetto a solo pochi giorni prima.

“Da pochissimo. Vuoi che ti porti del caffè?”

Non aveva neppure bisogno di sentire la risposta, e già si stava quasi alzando. La mano di Jean gli aveva accarezzato il fianco.

“Sei ancora più sexy da adulto...”

Marco aveva riso, infilandosi i boxer per poi chinarsi su di lui e baciargli la fronte. “Stai ancora dormendo, Jean!”

Era uscito dalla stanza, sentendo del rumore provenire dalla cucina. Pregava qualsiasi divinità esistente che fosse Historia, e non sua sorella. Ma Dio non era mai misericordioso, ed eccole entrambe in cucina a preparare la colazione. Si era fermato ad osservarle. Sembravano felici. Ymir sorrideva in un modo sconosciuto. Dolce. Protettivo. Modi in cui aveva sorriso a lui per anni, ma che ora erano completamente diversi mentre guardava la bionda.

“Marco!” La mora aveva urlato voltandosi verso di lui. “Cosa ti avevo detto sul fare rumore? La gente in questa casa vuole anche dormire ogni tanto!”

“Ma tu non dormi mai di notte!” La voce che era uscita dalla sua gola era stridula ed imbarazzata, e probabilmente il suo viso era diventato rosso come un semaforo.

Ymir rideva sguaiatamente, come faceva spesso, rischiando di svegliare l'intero palazzo – o almeno quelli che ancora dormivano – e Historia accanto a lei la guardava male, e le dava una gomitata.

“Non prenderlo in giro. Ieri sera eri preoccupata per lui e non hai dormito per questo.”

“Lui questo non deve saperlo.” Si era voltata di nuovo verso i fornelli e stava iniziando a sistemare qualcosa su un vassoio. “Tieni. Portagli la colazione a letto. Se lo merita per una volta.”

“Se lo merita sempre.” Marco le aveva sorriso dolcemente. Lei aveva alzato gli occhi al cielo, forse imbarazzata perché era stata colta impreparata dall'uscita di Historia.

Aveva raggiunto subito la camera, trovando Jean di nuovo addormentato, che abbracciava un cuscino. Dopo aver appoggiato il vassoio con la loro colazione sul comodino, si era seduto sul letto, aveva passato le dita tra i capelli di Jean, che aveva mugugnato e aperto un occhio.

“Sento odore di caffè.”

“Si, Ymir ci ha preparato la colazione.”

Si era chinato per baciargli di nuovo la fronte. E Jean aveva alzato il viso per poter catturare le sue labbra con le proprie.

“Ma ora dammi il mio caffè.”

Il biondo si era subito staccato da lui, mettendosi seduto per poter prendere una tazza. Marco aveva ridacchiato nel guardarlo. Ed era tutto fin troppo naturale. Tutto fin troppo spontaneo.

“Jean, ma non dovresti essere al lavoro adesso?” Il moro gli aveva chiesto una volta che iniziato a fare colazione.

“No, ieri sera ho mandato un messaggio al mio capo dicendo che stavo male.”

“Ma non stavi male, vero?”

“Bodt, sei troppo ingenuo.” Aveva scosso la testa, prima di riprendere a parlare. “Se fosse andata male sarei andato a sbronzarmi da qualche parte, per cercare di dimenticarti almeno per un po'. E se fosse andata bene... Beh, non avrei voluto lasciare questo letto.” Jean era arrossito, cercando di nascondere il viso con la tazza.

Marco lo aveva guardato, restando per qualche attimo in silenzio. Solo dopo qualche attimo aveva preso coraggio, stringendo la sua mano.

“Marco, cosa vuoi fare adesso? Non credo di poter sopportare di nuovo tutta la fase della separazione.”

“Voglio te.” Marco si era stupito della sicurezza con cui aveva pronunciato quelle parole. Jean si era voltato verso di lui, speranzoso, ma poteva notare anche qualcosa di più. Sogni infranti. Cuori spezzati. E ferite ancora aperte. Quelle parole le aveva già dette, e poi era tutto finito. “Voglio te. Ogni giorno della mia vita. Voglio svegliarmi accanto a te, come stamattina, e voglio che tu sia la prima cosa che guarderò ogni volta che aprirò gli occhi, da qui fino alla fine dei miei giorni. Ho sbagliato così tanto e sono scappato per così tanto tempo. E alla fine del tragitto ci sei di nuovo tu.” aveva visto Jean voltare un po' il viso, per nascondere gli occhi lucidi. “Non ho alcun diritto di chiedertelo dopo quello che ti ho fatto. Vorrei riprovare a percorrere questo tragitto con te. Possiamo anche riprendere da dove lo avevamo interrotto oppure iniziarne uno completamente nuovo. Ma vorrei riprovarci con te.”

Si era morso le labbra, osservando il profilo del biondo. Erano passati solo pochi secondi, ma attendere la risposta di Jean era una lentissima tortura, che con molta probabilità si era meritato.

“Era ora, maledettissimo idiota. Temevo di diventare vecchio mentre attendevo il tuo ritorno.”

Jean aveva stretto con forza la sua mano.

E quella era la risposta che gli bastava.



Fine.


NdA: Anche questa parte è giunta al termine. Ci sono altre due parti. Una sono delle side stories degli altri personaggi che sono comparsi e una sono altri 7 capitoli della loro vita futura. 
Grazie a tutti voi che avete letto questa storia <3

   
 
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