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Autore: martaparrilla    12/04/2016    9 recensioni
Henry ha 8 anni e non parla più da diciotto mesi. Sua madre, Regina, è convinta che quella sia la giusta condanna per non essere riuscita a proteggerlo dal dolore per la perdita del padre. Un giorno, le loro vite incrociano quelle di Emma che, cauta e silenziosa, riuscirà a conquistare la fiducia del piccolo Henry.
E forse, anche quella di sua madre.
Basterà questo a farlo parlare di nuovo? Henry odia davvero sua madre come essa afferma?
Anche stavolta ho dovuto alternare il punto di vista dell'una e dell'altra, è una cosa che non riesco a evitare per riuscire a spiegare al meglio le decisioni prese da entrambe e come queste influenzino positivamente la crescita del rapporto dei tre protagonisti.
La storia è puramente frutto della mia fantasia, nonostante si tocchino argomenti che troppo spesso le donne sono costrette ad affrontare da sole e in silenzio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Tremo.

Tremo per quello che sono riuscita a dire per la prima volta a voce alta.

Tremo per l'odio con cui ho pronunciato certe parole.

Tremo per come ho definito mia madre.

Tremo per come ho definito il mio primo marito.

Tremo per come ho definito Robin.

Tremo per come, dopo avere urlato il mio disprezzo, l'odio verso di loro è quasi scemato.

Tremo perché Emma mi ha stretto come se fossi il cristallo più fragile al mondo.

Tremo perché il mio cuore non ha pace.

Tremo per il calore che ha invaso il mio corpo quando mi ha guardato dritta negli occhi e più in profondità, come a volere eviscerare il mio dolore e farlo suo.

Tremo perché il desiderio di baciarla ha superato la paura di farlo.

Tremo perché se ripenso alla sfacciataggine con cui le ho detto che volevo andare a casa con lei, arrossisco.

Tremo perché durante il viaggio di ritorno, teneva strette le mani sul volante e io ne ho presa una e l'ho stretta forte.

Tremo perché lei ha ricambiato la stretta altrettanto forte, e nel suo sguardo potrei giurare di aver letto la parola “finalmente”.

Tremo perché non so come spiegare né dare un senso a quello che voglio da lei in questo momento.

Tremo perché siamo di fronte a casa e io voglio solo essere dentro, con la porta chiusa alle mie spalle.

 

Tremo.

 

La porta è chiusa, e le quattro mura ci proteggono dal mondo là fuori che forse non capirebbe tutto questo. Lei è ferma e decisa a non fare il primo passo, non vuole forzare una porta che solo io posso aprire.

Prendo il cellulare dalla borsa senza mai staccare il mio sguardo dal suo.

Chiamo l'ospedale e mi do malata.

Lei, stupita, prende a sua volta il cellulare e alla velocità della luce digita qualche sms, per poi lasciare quel fastidioso oggetto sul primo mobile disponibile.

Si lecca le labbra e mi guarda. Continua a guardarmi incessantemente, continuo a leggere versetti interi di poesia dentro quegli occhi color acquamarina. Allunga un passo verso di me e io ne faccio uno indietro, verso le scale. Sembra turbata da questo mio allontanamento, ma voglio che mi segua. Desidero che quei versetti siano solo per me e c'è un solo posto dove sono certa che non saranno mai contaminati da sguardi o persone: la mia camera.

In preda a un tremore ormai incontrollato, percorro gli scalini. Piano, uno ad uno. A ogni passo il mio respiro si fa sempre più profondo. Ho fame d'aria, l'ossigeno non mi basta e la temperatura che sembra avere raggiunto il mio corpo mi dà la sensazione di essere in preda a un febbrone da cavallo.

Ferma di fronte alle scale, solleva una gamba e posa il piede sul primo gradino. Poi ritorna nella sua posizione di partenza. Solo allora le faccio un leggero cenno con la testa, un cenno di approvazione. Da lassù inizio a slacciarmi le scarpe, in attesa che lei mi raggiunga. Rimangono lì, nel percorso fatto dal mio corpo e dal suo. Mi imita slacciando le sue, disinteressandosi della loro collocazione nel lungo corridoio. I suoi capelli cadono morbidi sulle spalle e i passi verso di me sono fastidiosamente lenti, una lentezza che segue la mia in ogni movimento, quasi come un'ombra.

Il cuore ha ormai raggiunto una velocità senza eguali. Le faccio strada attraverso la porta, che chiudo alle mie spalle nel momento in cui la supera, poggiandomici contro, per sostenermi.

Rimango lì, ferma, con le braccia lungo i fianchi e la bocca socchiusa, mentre lei si sfila la leggera felpa che lascia cadere sul pavimento, rimanendo con una sola canotta addosso. Ammiro quel corpo di donna con la stessa curiosità di un bambino che scopre le sue mani.

Vorrei imitarla ma nello stesso istante in cui afferro i bordi della maglietta lei con un balzo mi interrompe. Pochi centimetri separano i nostri visi, il suo fiato caldo si mischia col mio.

«Chiudi gli occhi» mi dice con voce incerta.

Ubbidisco senza replicare.

Una viva fiammella si accende nel basso ventre quando le sue mani sfiorano le mie, e piano percorrono tutta la lunghezza delle braccia fino ad arrivare al collo. È una lentezza estenuante ed eccitante, come i suoi palmi che si spostano lungo la schiena e afferrando la maglia posteriormente e dal basso, la sollevano e la sfilano.

Tremo.

Quei cinque centimetri di differenza tra la mia e la sua altezza mi fanno sentire totalmente sovrastata da lei. Più di Robin che mi superava di venti centimetri. Mi sovrasta in decisione e delicatezza. In tenerezza e precisione.

Sento un altro tremito.

«Non voglio che tremi quando sei con me» mi afferra i fianchi facendoli aderire ai suoi. Io imperterrita continuo a tenere gli occhi chiusi, ma le mani passano inevitabilmente sui suoi fianchi, cercando la pelle sotto la canotta.

«Ora guardami».

Voglio guardarla, ma non ne ho il coraggio. Sento che tutta la perfezione del momento potrebbe essere distrutta dalla realtà dei suoi occhi che guardano i miei con passione.

«Regina guardami, ti prego» ormai la sua voce è una supplica.

Alzo le palpebre. Quello che vedo quasi mi sconvolge.

Due labbra rosse, umide, gonfie. Le gote rosse. Gli occhi lucidi e le pupille quasi completamente dilatate mi guardano nonostante tutto con dolcezza. Ha gli occhi tormentati dal desiderio, le pupille dilatate lo confermano, eppure ciò che traspare è solo dolcezza.

Il mio cuore fatica a pompare il sangue nei punti giusti.

Il cervello ormai annebbiato perde qualunque connessione con la realtà. Una realtà dove una donna sta sconvolgendo la mia vita come mai mi è successo, e io glielo sto lasciando fare, le ho aperto la porta e l'ho invitata a entrare, come il più pericoloso dei vampiri. E come tutti i vampiri, il loro fascino li rende irresistibili.

Di nuovo le mie labbra sfiorano le sue, come a voler sancire la mia totale resa al suo volere, che era mio prima ancora che diventasse suo.

Un bacio profondo e lento ci accompagna fino al letto. Mi siedo lentamente, mentre lei posa titubante le sue labbra tra i miei seni, coperti solo dal reggiseno nero. Un altro tremito mi scuote.

Le sue mani, esperte nei movimenti, scivolano sui pantaloni, sfilandoli velocemente. Eppure io ho fatto una gran fatica a indossarli.

Si ferma e mi guarda.

«Sei così incantevole che non so come toccarti senza rendere bello quello che faccio almeno la metà di quanto sei bella tu».

Non può davvero avermi detto questo.

«Ma sei vera?» mi sussurra sulle labbra per poi baciarmi di nuovo.

Il suo bacino giace sopra il mio, con le ginocchia piegate e le gambe parallele alle mie cosce. Raddrizzo la mia schiena e affondo il viso sul suo petto, deliziandomi del suo odore e portando via quella maglia che mi separa dalla sua pelle. E mentre lascio delle piccole scie con le labbra attorno al reggiseno, le sue abili mani fanno sparire il mio.

«Per favore, togliti i pantaloni».

Un sorriso sghembo accompagna quel breve spogliarello che concede ai miei occhi. Quello che inconsciamente ho immaginato, si mostra a me. Bianche, muscolose e perfette gambe rendono completo quel corpo che brama il mio.

La passione dei suoi baci, la delicatezza del suo tocco, la protezione della sua stretta, fanno tornare a galla ogni insicurezza avuta in passato, e leggere lacrime cadono sulle lenzuola. Le nota immediatamente, ma al contrario di quello che tutti avrebbero fatto, ovvero spaventarsi e mettere in discussione la mia sfrontatezza, bacia le mie lacrime, bacia le mie labbra, bacia le mie più profonde paure.

«Ti meriti questo e molto di più» la sua bocca sussurra sopra la mia pelle marchiandomi con le sue parole.

«Non piangere Regina, vivi ora. Vivi insieme a me. Questo che senti adesso è quello che devi sentire sempre, perché ti rende bella come non mai» parla al mio orecchio, in un sussurro soffocato «e anche se hai paura perché sei con me, un giorno smetterai di averne con chi tu vorrai. Perché c'è qualcuno a questo mondo che non aspetta che di baciare le tue labbra, incantarsi col tuo sorriso, morire tra le tue braccia nella più delirante passione».

Da quale opera letteraria è uscita quella donna che ho avuto la fortuna di incontrare? Per quale strano incrocio di astri lei ora è sul mio letto e l'unica cosa che voglio è che mi faccia sua? I nostri occhi incatenati temono qualunque movimento. Ma la sua mano improvvisamente si sposta sul seno per poi scendere sull'addome e sulla biancheria che mi copre. Con l'altra mano mi massaggia la nuca prendendosi un bacio lento e profondo, dove io non so più quale sia il confine tra il suo corpo e il mio.

Come trasportata in un'altra dimensione, non mi accorgo nemmeno quando lo slip non copre più la mia intimità, sostituita dalla sua gamba, su cui continua a scivolare dall'alto in basso. Quello stridere di pelle si accosta nella mia mente all'immagine di due pezzi di legno che improvvisamente prendono fuoco, aiutati da qualche foglia secca.

E noi stiamo decisamente e inevitabilmente bruciando.

La mia pelle si infiamma quando, come se nulla fosse, afferra le mie caviglie e le posa sulla parte bassa della sua schiena. Caldi baci mangiano tutto quello che riesce a raggiungere tra viso, collo, bocca e seno. Insaziabili, inarrestabili come un treno in corsa. Faccio fatica a guardarla negli occhi tanta è l'eccitazione che scorre nelle mie vene. Ma quando la sua mano sfiora ciò che di più sensibile ho in questo momento, un urlo soffocato riempie la stanza.

«Em-ma...» pronuncio il suo nome come una preghiera. Quella dolce e inaspettata tortura che quella donna mi sta infliggendo avrebbe presto avuto una fine. Io bramo quella fine (o quell'inizio) e allo stesso tempo la temo, ignara di ciò che quell'atto avrebbe significato per me e per lei. Le tocco una guancia, guidando il suo sguardo nel mio. Piega la bocca di lato e bacia il mio palmo. Poi la afferra e la porta sopra la mia testa, incrociando le dita con quelle della sua mano.

A quel punto con la mano libera, si insinua in me. La schiena si inarca senza controllo, innalzando il bacino verso di lei.

«Mi stai facendo perdere la ragione» le dico senza pensare.

Questa volta spinge più forte dentro di me, e le dita scivolano con una facilità inaudita.

La sua bocca si piega in un flebile sorriso, accompagnato da uno scuotere della testa. Così dai suoi capelli si sprigiona un profumo che mi rende necessario far avvicinare tutto il suo corpo al mio con l'unica mano libera. Non importa quanto avrebbe faticato, devo averla addosso. Quel mio gesto la sorprende, glielo leggo negli occhi.

«Oh credimi, stiamo superando l'Acheronte insieme verso l'altra riva del fiume. Sei la tentatrice più terribile che abbia mai incontrato».

Continua a citare opere che io a mala pena conosco. È un pozzo di bellezza senza precedenti. Le sue dita sembrano conoscere alla perfezione quello che stanno toccando, cosa stanno facendo.

Rotoliamo sul letto un numero indefinito di volte. Sta facendo di me quello che vuole e sembra non bastarle mai. Poi scivola verso il basso con la bocca e per un attimo temo che possa cadere dal letto...ma anche in quel caso lei sa esattamente cosa fare.

Inginocchiata sul pavimento, mi trascina letteralmente lungo tutto il letto, facendomi sedere sul bordo, così che possa avvolgerla tra le mie gambe. Sfiora le mie cosce fino ad arrivare alle caviglie, per poi risalire. Solo quando la sua bocca prende il posto della mano sulle gambe, capisco quel che vuole fare, e mi irrigidisco.

Inclina la testa verso l'alto, uncinando con le mani la zona posteriore delle ginocchia e avvicinandomi ancora di più a lei.

«Non devi avere paura. Fidati di me...»

Quella voce, quella sicurezza nello sguardo, mi rende totalmente sottomessa a lei. Il mio volere è assolutamente inutile.

O forse combacia col suo.

O forse è primariamente il mio.

Le afferro il viso con entrambe le mani per darle un bacio soffocante. Con le mani ancora tra i suoi capelli, mi incoraggia con un altro bacio verso le lenzuola e io mi sostengo sui gomiti. Le sue roventi labbra baciano piccoli punti sparsi sul mio corpo, senza uno schema ben preciso, così che io, impreparata, rimanga sempre sorpresa.

La sua bocca, la sua lingua, sanno toccare punti che parole umane non sono in grado di descrivere. Non riesco a descrivere lei, non riesco a descrivere l'eccitazione ulteriore data dal mio sapore sulle sue labbra quando queste, poi, tornano sulle mie.

Perdo totalmente la cognizione del tempo fino a che, senza nemmeno lasciarmi il tempo di prendere fiato, all'ennesima spinta dentro di me urlo il suo nome, senza freni, senza... me.

Io non sono più in quel corpo, quella non sono io.

Le sue labbra sulle mie, solo quelle mi fanno tornare da lei. E quando le sue dita mi abbandonano, mi sento per un attimo vuota. Si scosta da un lato per non pesare sul mio corpo, e mi avvolge in un abbraccio.

Mi rannicchio su di lei. Stremata e sudata, marchiata dai mille baci e dalle mille carezze regalatemi da lei, tengo gli occhi chiusi sopra il suo petto. Ne ascolto l'irregolarità, la forza. In silenzio, come due criminali che si nascondono dal mondo.

Ancora non ho avuto il coraggio di guardarla negli occhi. Mi aiuta lei, posando due dita sotto il mento e sollevandomi il viso. Mi accarezza con lo sguardo, come fossi un oggetto raro e prezioso, da contemplare. Mi ha guardata in questo modo per tutto il tempo probabilmente.

«Vorrei dire talmente tante cose che credo me ne starò zitta» esordisce prima di sfiorarmi la punta del naso con le sue labbra.

«Non mi ricordo il passaggio tra quella roccia e casa mia, qui, con te. Ho un vuoto di qualche ora e non credo di essermi mai sentita meglio».

È vero. Perché nasconderglielo? Non ho intenzione di nascondere quello che sento, come mi sento a quella che a quanto pare è l'unica amica che ho.

Amica.

Devi rivedere il concetto di amicizia, Regina.

«L'ho scordato nel momento in cui mi hai baciata».

Arrossisce e io la seguo a ruota. Sembriamo due ragazzine alla prima cotta. Che poi non so nemmeno se definirla così, so di certo che certe sicurezze tra le braccia di qualcuno non capitano tutti i giorni.

«Ne ho avuta un'immensa voglia in quel momento e anche dopo» le sorrido sulle labbra, baciandole «e anche adesso...».

Mentre la bacio, sorride.

«Cos'è quel sorrisetto? Stai gongolando» mi sollevo e poggio il viso sulla mano e il gomito sul letto. Le sfioro i fianchi mentre lei mi sistema i capelli.

«Niente...» lascia la frase in sospeso «sono felice che mi abbia permesso di farti sentire come spero ti sia sentita».

Come mi sento ora?

Libera dall'odioche è praticamente scivolato via in quel pianto liberatorio.

Libera dal timore che qualcosa possa anche solo lontanamente intaccare questo momento.

Libera dall'ansia di non riuscire con Henry.

Libera di sentirmi una donna.

«Ho una malsana voglia di toccarti» dico.

Quando ho staccato il cervello dalla bocca?

«Oh...» dice lei con finta sorpresa.

«Ma non credo di essere nemmeno lontanamente capace di fare quello che hai fatto tu».

Stampa dei piccoli baci sul mio viso, soffiandoci sopra.

«Credimi, queste labbra» me le sfiora con le sue dita «e queste mani... possono fare tutto quello che tu vuoi... ma leggo nel tuo sguardo che non ne sei davvero sicura, e io voglio solo che faccia quello che senti» afferra il lenzuolo e lo sistema sopra di me. Inizio ad aver freddo in effetti.

«E ora voglio stringerti ancora un po'...»

Mi lascio cullare da quelle sottili e forti braccia che mi fanno sentire al sicuro come mai prima.

Mille pensieri sfrecciano nella mia mente... li vedo passare ma non presto attenzione a nessuno di loro. La vista si annebbia, i muscoli si rilassano e senza nemmeno accorgermene, mi addormento.

 

Mi sveglio improvvisamente. Nel sogno Henry urlava il mio nome e io non riuscivo a raggiungerlo. Emma accanto a me mi guarda spaventata.

«Va tutto bene?»

«Sì, solo un brutto sogno... che ore sono?» quella donna mi scombussola troppo.

La sveglia sul comodino segna le 7 pm.

«Ho dormito davvero tanto» dico sorpresa.

«Evidentemente ne avevi bisogno...»

Rimango in silenzio a guardarla. Ho di sicuro compromesso la nostra amicizia e la sua lucidità a prendersi cura di Henry. Ma nonostante tutto sono felice.

Di comune accordo decidiamo di dormirci comunque su, almeno per quella notte, nessuna vuole definire quel che è successo, né dargli troppo peso. Rivestirsi diventa una fatica dopo tutto quel trambusto di mani, labbra ed emozioni.

Le stampo un lieve bacio sulle labbra prima di aprire la porta. Lei semplicemente mi abbraccia e il mio cuore riprende a cavalcare in modo inconsulto.

«Di' al tuo cuore di calmarsi o non sopravvivrà» mi sussurra tra i capelli.

La stringo più forte. Non voglio che quella sensazione di completezza e tranquillità esca da questa casa. Quando si allontana e apre la porta mi stringe la mano.

«Farò del mio meglio... ci vediamo domenica» le dico senza pensare.

Mi manda un bacio, incorniciato dal sorriso più bello del mondo.

Chiudo la porta con una immensa fatica. La mia mano trema di nuovo e stavolta conosco esattamente il motivo: voglio che rimanga con me questa notte. Non sarebbe una buona idea richiamarla indietro. Nel momento in cui la mia testa partorisce questo pensiero, il campanello di casa suona.

Lei ha avuto il mio stesso pensiero e non si è fatta nessun problema a tornare. La mia Emma.

Apro la porta.

«Hai dimenticato...» il respiro muore tra le mie labbra.

Mia madre.

«Mamma che ci fai qui?» richiudo la camicia da notte che ho infilato di fretta per accompagnare Emma.

Con un'espressione di disgusto dipinta sul suo volto varca la soglia senza nemmeno chiedere il permesso.

«Ti ho detto al telefono che Henry torna domenica, che ci fai qui oggi?»

«Da quando sei diventata lesbica?»

Una freccia in pieno petto. Non mi ha offeso la parola lesbica, mi disturba e non poco il fatto che mia madre abbia già messo bocca in qualcosa che non conosco nemmeno io.

«Io credo che tu te ne debba andare» rispondo cercando di mantenere la calma.

«È lei la baby sitter di tuo figlio?» alza la voce e inizia a passeggiare di fronte a me come se non ci fossi.

«E credi che andando a letto con lei tuo figlio ti amerà o ti parlerà di nuovo? Non credi che questo non farà altro che aumentare l'odio e lo schifo che prova nei tuoi confronti? Ma che razza di madre sei?».

«TU CHE RAZZA DI MADRE SEI!» esplodo.

«Mi hai messo nelle mani di un uomo che non amavo solo perché volevi i suoi soldi! Quando Robin è morto non hai avuto per me nemmeno una parola di conforto, anzi, hai sputato sul fatto che mi avesse tradita e che non fossi riuscita a tenermi vicina nemmeno lui! Ti dico una cosa, cara mammina, se io sono così è colpa tua! I figli si trasformano in base all'amore, alle attenzioni e agli insegnamenti dei genitori» sono arrabbiata, furiosa. E questa sarà l'ultima volta che mette bocca nella vita mia e di mio figlio. I suoi occhi sono piccoli e carichi di odio, ma non le permetto di replicare. Non stavolta.

«Mi hai insegnato che la felicità non esiste! Che i soldi sono più importanti di qualunque cosa, anche della felicità dei propri figli! E cara la mia mammina, io sarò anche un disastro come donna ma sono la regina delle madri che non butta il proprio figlio nelle mani di carnefici solo per ottenere qualcosa» mi avvicino a lei con fare minaccioso e lei, turbata, indietreggia.

«Per cui ti dico una cosa, cerca di ricordarti per bene la mia voce e i lineamenti dei mio viso, conservati le foto, guardati un filmato perché oggi è l'ultima stramaledetta volta che vedrai la mia faccia e sentirai la mia voce, ok? Tu, per me, sei morta!» la cattiveria delle mie parole rimbomba nella stanza.

«E ora fuori!» aggiungo.

«Non sai quello che dici...» tenta di rispondere ma non le lascio il tempo.

«HO DETTO FUORIIII!»

La saliva nella mia bocca è praticamente inesistente. Le tempie pulsano dolorosamente e un peso si fa strada nel mio petto. La osservo muovere piccoli passi fino alla porta, con le spalle ricurve e la testa bassa, sconfitta.

È finita.

Me ne sono liberata.

Così, accasciandomi a terra, mi concedo un ultimo pianto liberatorio.

Forse ciò che è accaduto con Emma è sbagliato. Ma una cosa sbagliata può farti sentire tanto bene? Devo proteggere Henry. Emma con me si sarebbe distratta e io voglio che lei pensi solo ed esclusivamente a lui. Queste saranno le mie parole qualora mi chiedesse qualcosa.

Se questa è la cosa giusta perché lo stomaco si contorce? Perché il dolore di quell'allontanamento (non di mia madre ovviamente) sembra squarciarmi il cuore con un coltello?

Non voglio e non posso darmi una risposta adesso. Forse il tempo sistemerà le cose.

Oppure le distruggerà.

 

Note dell'autrice: Eccomi qui!

Non vi ho fatto aspettare poi tanto per questa tanto agognata scena, no? Ci ho messo tutta la delicatezza possibile nel personaggio di Emma, visti i precedenti di Regina. Ho voluto che Emma toccasse molto più del corpo di Regina e spero di essere riuscita a trasmettervi questo.

Grazie a Susan e Nadia per le correzioni.

A martedì prossimo <3

  
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