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Autore: Little Redbird    15/04/2016    3 recensioni
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Ormai Simon non sapeva più chi – o cosa – fosse. Non era umano, quello era certo, ma non era nemmeno un vampiro – non uno vero. Di giorno si rintanava nella sua camera a fissare il soffitto e di notte si aggirava per le strade senza sapere bene cosa fare.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Raphael Santiago, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dissonance

 

Rows of houses, sound asleep, only street lights notice me
I am desperate, if nothing else, in a holding pattern to find myself


Devi solo adattarti alla tua nuova vita, gli avevano detto. Col tempo sarà più facile, gli avevano assicurato.
Simon si guardò intorno nella strada deserta, camminava sul marciapiede a stento illuminato del quartiere che precedeva l'Hotel DuMort, le luci nelle case erano spente e, pure col suo udito da vampiro, gli unici suoni che sentiva venivano da lontano. Seppur abitata da Mondani, quella zona faceva parte del territorio del Clan dei vampiri di New York, e nessun Nascosto non appartenente a quella cerchia si azzardava a mettervi piede. Il quartiere era deserto, così come l'Hotel, ma non era quello a farlo sentire isolato. Simon si sentiva solo anche tra quelli che ora erano i suoi simili, anche in quella gabbia dorata e dotata di ogni comfort, dalle cui finestre il sole non entrava da anni.
Si sentiva dimenticato, ecco.
Dimenticato dalla sua famiglia, che non aveva più avuto il coraggio di cercare; dimenticato da Clary, troppo impegnata con i suoi doveri di Shadowhunter; dimenticato da Raphael, che continuava a guardarlo con sospetto nonostante affermasse di essersi messo alle spalle il suo tradimento.
Ormai Simon non sapeva più chi – o cosa – fosse. Non era umano, quello era certo, ma non era nemmeno un vampiro – non uno vero. Di giorno si rintanava nella sua camera a fissare il soffitto e di notte si aggirava per le strade senza sapere bene cosa fare. Prima aveva gli allenamenti con Raphael, le chiacchiere al telefono con Clary, la sua chitarra, ma gli sembrava tutto sfocato, come una vita passata.
S'incamminò verso il DuMort, nonostante avesse ancora qualche ora di buio da poter passare fuori, ché del buio non sapeva cosa farsene quando non aveva dove andare. Almeno, in camera sua c'era il Wi-Fi, pensò con un sorriso amaro. Era tornato ad essere il quattordicenne senza amici che la sera aspettava la chiamata di Clary che gli raccontava dei suoi appuntamenti. Aveva creduto che quello fosse stato il periodo peggiore della sua vita, quando non aveva amici al di fuori della fragile e combattiva rossa, ma ora non aveva più neanche lei. Non aveva più neanche se stesso, realizzò entrando nell'atrio deserto.
O almeno, di solito era deserto a quell'ora.
Simon seppe subito di trovarsi in presenza del capo clan, perfino prima di incontrare il suo sguardo. A tradire la presenza del vampiro più grande erano stati gli occhi, puntati con tanto sospetto sulla nuca di Simon da pizzicargli la pelle.
Quando si voltò a guardarlo, Raphael era vestito di tutto punto, i capelli impeccabili come sempre, un bicchiere di sangue in una mano.
“Sei tornato presto” commentò, proprio mentre Simon diceva “Credevo fossi uscito”.
Si scambiarono uno sguardo freddo, poi Simon distolse gli occhi e si morse la lingua, concedendo la parola al suo capo.
“Dove sei stato?” domandò, incapace di nascondere il sospetto nella sua voce. O forse non gli importava che si notasse, forse voleva che Simon si sentisse sotto torchio.
Perché è così che si sentì mentre riportava lo sguardo su di lui, le mani che affondavano nella giacca di pelle. “Nelle vicinanze” rispose, scrollando piano le spalle. “Non sapevo dove andare” confessò in un sussurro.
Raphael gli si avvicinò, diretto nella propria camera. “Avresti potuto unirti agli altri” suggerì. “Credo stessero andando al Pandemonium. Lo conosci, no?”
Simon annuì mentre lo seguiva con lo sguardo. “Sì, ma non ne ho un bel ricordo” disse con un abbozzo di sorriso.
Raphael non ricambiò, ma d'altronde non lo faceva mai.
Prima che lasciasse l'atrio, Simon parlò di nuovo. “Credevo di essere solo almeno per un'altra ora” spiegò, facendo qualche passo per avvicinarglisi. “Ti darebbe fastidio se suonassi la chitarra?” domandò esitante. Sapeva bene che Raphael avrebbe sentito le note anche dall'altra parte dell'Hotel.
L'altro si fermò a guardarlo per un attimo, le sopracciglia perfette aggrottate appena in un'espressione assorta.
“Fa' che sia una bella canzone” si decise a dire dopo qualche secondo.
Simon sorrise apertamente e annuì deciso. Osservò la schiena ampia e dritta di Raphael, che si allontanava a passo sicuro.
Si diresse a sua volta nella sua stanza, dove – sperava – avrebbe ritrovato un po' di sé tra le corde della chitarra.


I talk in circles, I talk in circles. I watch for signals, for a clue
How to feel different, how to feel new, like science fiction bending truth


Simon si sedette sul letto, la giacca e le scarpe lasciate sul pavimento, la chitarra in grembo. Non aveva idea di quale canzone avrebbe suonato, ma sentire la familiarità del legno sotto i polpastrelli morti e freddi gli scaldò il petto immobile. Le dita gli tremavano e le note sfuggivano alla sua memoria mentre si sforzava di farsi venire in mente qualcosa che non avrebbe infastidito Raphael. Tutte le canzoni che una volta aveva conosciuto a memoria sembravano essere svanite in qualche angolo remoto del suo cervello.
Pizzicò piano le corde, nella speranza che le dita ripartissero da dove avevano lasciato, ma si stava concentrando troppo – si rese conto – sul tipo di musica che poteva piacere ad uno come Raphael. E uno come Raphael lui non l'aveva mai conosciuto. Non aveva idea di che genere ascoltasse, né se ascoltasse del tutto la musica.
Si fermò e fece un respiro profondo, cercando di fare pensieri coerenti.
Non stava suonando per Raphael, ma per se stesso, per dimostrarsi che un po' del vecchio Simon era ancora lì, da qualche parte sotto quel cuore che non batteva più.
Fu allora che ricominciò a sfiorare le corde con convinzione, seguendo le note che riaffioravano alla memoria.
Hello darkness, my old friend” mormorò alla stanza vuota. “I've come to talk with you again.”
Nel silenzio tombale dell'hotel, Simon poté sentire la propria voce risuonare per quasi tutti i piani, le note che si diffondevano con malinconica dolcezza tra le stanze vuote.
Sperò che, dall'altra parte del corridoio, Raphael ricevesse una buona qualità di suono.
In restless dreams I walked alone. Narrow streets of cobblestone, 'neath the halo of a street lamp.”
The sound of silence era una delle sue canzoni preferite, ma cantarla in quel momento gli strinse lo stomaco. A chiunque l'abbia ascoltata almeno una volta piace ritrovarsi nelle parole, e lo stesso valeva per Simon, ma ora era diverso, la canzone parlava davvero di lui e dell'oscurità che gli faceva compagnia.
Continuò a suonare, nonostante le dita tremassero e la voce faticasse ad uscire. Tirò fuori tutta la tristezza di quelle settimane – di quell'anno –, fino a che le note terminarono e la gola gli si strinse. Inspirò a fondo e chiuse gli occhi, lasciando andare un po' del suo dolore insieme ad un respiro che rimase indifferente ai polmoni.
Saggiò il sapore del sangue sulla lingua e sbatté le palpebre confuso, portandosi una mano sulla guancia umida. Osservò le dita sporche di rosso e si voltò verso lo specchio sopra la scrivania per dare un senso a quella lacrima vermiglia, ma i suoi occhi umidi si scontrarono con quelli scuri e assorti di Raphael, che se ne stava appoggiato allo stipite della porta con uno dei suoi bicipiti muscolosi.
“Non abbiamo altro liquido in corpo” spiegò, la voce poco più di un sussurro. “Diventerà meno strano col tempo” promise, entrando cauto nella stanza.
Simon si pulì la guancia con la manica della maglietta e posò la chitarra sul pavimento, facendo un tentativo di sorriso. “Per fortuna che non abbiamo più bisogno di fare pipì. Quello sì che sarebbe stato strano.”
Rise brevemente, ma Raphael non ricambiò, nonostante gli angoli delle sue labbra piene si fossero sollevati nella brutta imitazione di un sorriso.
“Da quanto tempo eri alla porta?” gli chiese tornando serio, nella speranza di cancellare dalla mente di entrambi quella stupida battuta.
“Abbastanza” fu la risposta dell'altro e Simon si aspettava che fosse l'unica, ma Raphael parlò ancora, sorprendendolo. “Ero venuto a chiederti di chiudere il becco, ma sembravi molto preso e non me la sono sentita di interrompere il tuo momento.” Fece un ghigno e sollevò le sopracciglia in quel suo modo attraente e terribilmente irritante. “Ti sembra la canzone giusta da suonare alle tre di notte?” domandò ancora.
Simon lo fissò per qualche secondo, un po' offeso dalle sue insinuazioni, ma più sbalordito, perché erano mesi che Raphael non gli diceva così tante parole tutte insieme.
“È l'unica che mi sia venuta in mente” confessò in un sussurro.
Raphael annuì comprensivo e si guardò intorno, segno che se ne sarebbe andato da lì ad un secondo ma, contro ogni aspettativa, si sedette sul letto al suo fianco, le gambe leggermente aperte e gli avambracci – fasciati dalla camicia scura – posati sulle ginocchia.
Simon lo fissò senza ritegno, la bocca aperta.
“C'è qualcosa che ti turba?” domandò il vampiro più grande, gli occhi fissi davanti a sé, offrendo così una gradevole prospettiva del suo profilo ad un Simon che ancora non riusciva a credere alla situazione.
“Oltre all'essere morto?” domandò retorico.
Come unica risposta ricevette un'occhiata torva, gli occhi scuri di Raphael che lo guardavano di traverso da sotto le ciglia folte e lunghe.
Simon sospirò. “Molte cose” ammise allora, arrendendosi all'evidenza che Raphael era l'unico con cui potersi confidare al momento. “Non trovo il mio posto” disse, dopo un attimo di riflessione.
Raphael guardava di nuovo verso la porta, ma annuì appena, il che significava che stava ascoltando.
“Non ho più una famiglia, ho a malapena un'amica e vivo come fossi un fantasma, più che un vampiro” disse di getto. “Passo le giornate chiuso in camera e le notti a vagare intorno all'hotel, e non so più cosa sia peggio. Mi manca il sole. Da morire. Perdona il gioco di parole. Sul serio, però. Mi manca perfino sudare, e non credevo avrei mai detto una cosa simile. Mi mancano le lasagne di mia madre e gli abbracci di mia sorella. E, D--” soffocò sulla parola, “mi manca parlare con qualcuno”.
“Stai parlando con me” gli fece notare l'altro.
Simon sospirò ancora. “Senza offesa, ma non sei un grande interlocutore” ribatté. “E non è più lo stesso tra me e te.”
Le ultime parole erano state solo un sussurro, ma Raphael si voltò a guardarlo, occhi che si riflettevano in altri ugualmente scuri.
“Cosa vuoi che faccia?” domandò in un sibilo. “Che ti consoli quando tu e la rossa non potete incontrarvi per inventarvi un altro modo per tradirmi?”
Simon si tirò indietro a quelle parole e solo allora si rese conto di quanto si fosse avvicinato all'altro mentre parlava.
“Eri parte di un Clan” continuò Raphael, senza dargli il tempo di digerire quell'accusa prima di riversagliene addosso altre. “Siamo una famiglia, siamo amici. Avevi tutto e non ti bastava.”
“Non è così!” negò subito. “Non ho avuto scelta” gli ricordò.
Raphael distolse di nuovo lo sguardo e giunse le mani in preghiera – per trattenersi dal prenderlo a pugni, immaginò Simon.
“Abbiamo tutti le nostre realtà da accettare” gli fece notare. “Prenditi il tuo tempo e concedine agli altri.”
Simon esitò. “Hai idea di quanto tempo abbia bisogno tu?”
Raphael, se possibile, divenne ancora più immobile. Chiuse gli occhi, le lunghe ciglia tremavano al ritmo dei suoi pensieri.
“Forse non voglio saperlo” concluse Simon prima che l'altro rispondesse e, per la prima volta da quando lo conosceva, vide Raphael prendere un profondo respiro.


No one can unring this bell, unsound this alarm, unbreak my heart new
God knows, I am dissonance, waiting to be swiftly pulled into tune

 

I know the further I go, the harder I try, only keeps my eyes closed
And somehow I’ve fallen in love with this middle ground at the cost of my soul


Era difficile, dannatamente difficile non concedere a Simon tutto quello che voleva, Raphael lo sapeva da tempo. Il ragazzo, se solo avesse voluto, avrebbe potuto chiedergli la luna e lui l'avrebbe tirata giù dal cielo con le proprie mani. Simon, però, non poteva conoscere la verità; non poteva sapere di avere quel potere su di lui, sebbene la cosa fosse così evidente che solo uno come Simon poteva non farci caso. Era l'unico in tutto l'hotel a non accorgersi delle lunghe occhiate che gli lanciava ogni volta che tornava a casa, per assicurarsi che non avesse ferite o sangue – suo o altrui – sui vestiti; non sapeva dei membri fidati del Clan che lo seguivano quando usciva con la figlia di Valentine e, di certo, non aveva idea di come le lacrime gli avessero macchiato la pelle pallida delle guance, facendola quasi sembrare arrossata.
Raphael continuò a guardare fisso davanti a sé. Non poteva voltarsi a guardarlo o avrebbe mandato all'aria la sua maschera di calma, e sarebbe potuta finire solo in due modi: lo avrebbe picchiato a sangue o l'avrebbe baciato da capo a piedi, fino a cancellare ogni segno di tristezza dal suo corpo.
Strinse le mani più forte e si impedì di prendere un altro inutile respiro.
“Ti perdonerò, prima o poi” gli disse, interrompendo finalmente quel silenzio assordante.
Simon ingoiò sonoramente, in attesa di quel 'ma' che appesantiva l'aria tra loro.
“Ma non mi fiderò mai più come prima” aggiunse Raphael.
Era la verità, lo sapevano entrambi, ma era difficile stabilire chi ferisse di più.
“Non ti biasimo” disse Simon. Si sistemò sul letto, facendo rimbalzare delicatamente il corpo dell'altro insieme al suo.
Raphael gli lanciò una rapida occhiata, o almeno era quella l'intenzione, ché quando lo trovò rannicchiato su un fianco, una mano chiusa a pugno sotto la guancia e gli occhi ancora arrossati per le lacrime, non riuscì più a staccare lo sguardo.
“Ti capisco se mi odi” aggiunse in un sussurro.
“Non ti odio” lo contraddisse subito e Simon lo guardò dritto negli occhi, in cerca di qualche segno che mentisse. “Sono deluso” puntualizzò e le palpebre di Simon si abbassarono sotto il peso della vergogna.
All'improvviso serrò la mascella e riportò lo sguardo sul suo viso, con una determinazione che non gli aveva mai visto. “Mi farò perdonare” promise solenne.
Qualcosa dentro Raphael gli disse che l'aveva già perdonato da tempo, ma non lo disse a Simon. Non perché voleva che si sentisse ancora in colpa – beh, forse un po' sì –, ma perché dirglielo avrebbe significato essere pronto a fare il passo successivo e cercare di ricucire il loro rapporto, e non si sentiva affatto pronto a quello. Soprattutto perché non aveva la più pallida idea di che genere di rapporto ci fosse tra loro. L'unica cosa di cui era sicuro era che quel ragazzo che a stento si poteva chiamare vampiro sarebbe stato la causa della sua morte, ma la cosa lo turbava appena.


Yet I know, if I stepped aside, released the controls, you would open my eyes
That somehow, all of this mess is just my attempt to know the worth of my life…


“Ti lascio dormire” decise, dirigendosi alla porta.
“Raphael?” lo fermò Simon, la voce stanca e le sopracciglia aggrottate.
Raphael si limitò a voltarsi per guardarlo un'ultima volta.
“Che genere di canzoni ti piace?” domandò l'altro, l'espressione seria come non mai.
Cercò di trattenere un sorriso, ma fallì miseramente. “Te lo racconto un'altra sera, mi cielo” assicurò.
Simon si accigliò nel sentirlo rivolgerglisi in spagnolo, ma sembrò mettere subito da parte il suo tentativo di traduzione per guardarlo con gli occhi scuri carichi di speranza e un sorriso a stento trattenuto.
“Stasera?” domandò esitante, nervoso come se gli avesse chiesto un appuntamento.
Raphael raddrizzò le spalle e cancellò dalla testa quel pensiero. “Non fare tardi agli allenamenti” lo raccomandò con voce neutra.
Simon sorrise apertamente e annuì energico.
“Buona notte, Simon” lo salutò spegnendo la luce.
“'Notte, Raph” sussurrò l'altro al buio.
Per la prima volta da decenni, Raphael respirò affannosamente in cerca d'aria.
Si concesse un attimo di pausa, prima di dirigersi in camera sua, per riflettere su quello che il ragazzo aveva cominciato a significare per lui.
Avrebbe tirato giù il sole stesso, se Simon glielo avesse chiesto.

 

I’ll go anywhere you want
Anywhere you want
Anywhere you want me

 

 

 


AN:

L'altra sera ho letto Saving Raphael Santiago – ormai lo sapete che mi piace farmi del male, no? - e ho trovato alcuni spunti per delle storie. Questa One Shot doveva essere tutt'altro, con una scena centrale che alla fine non ho inserito perché ho perso completamente la direzione che avevo intenzione di seguire, ma cercherò di scrivere anche quella, rassegnatevi a vedermi comparire spesso in sezione.

Comunque sia, sono un po' combattuta su questa storia, perché mi sembra un enorme slice of life senza un senso preciso e con forse un po' troppo angst. Però la pubblico, perché il mondo ha bisogno di tutto il Saphael esistente – perfino di quello inutile come questo.

Infine, anche questa è dedicata a Donnie, che mi fa scoprire canzoni dolorose e bellissime.

E, a proposito di canzoni, quella che alterna le scene è Mercury dei Sleeping at last (grazie per il dolore non richiesto, Donnie), mentre quella che canta Simon è The sound of silence di Simon & Garfunkel. Forse due canzoni in una sola storia sono troppe, ma non sono riuscita a trattenermi dall'inserire anche la seconda – perché, dai, provate a immaginare Simon che la canta e Raphael che la ascolta.

Ora me ne vado, ché ho parlato fin troppo, però prima volevo dirvi che non mordo e che se volete fare due chiacchiere su questi due sul mio profilo ci sono tutti i link, accetto volentieri anche qualche bel prompt, perché no?

Red

   
 
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