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Autore: Silvianap    15/04/2016    8 recensioni
[Dal Capitolo 1] "Sulla parte destra della sua schiena vedo dei segni che prima mi erano sfuggiti. Conosco bene quei segni e so anche cosa potrebbe averli provocati. Il cuoio di una cintura usata come una frusta sulla pelle umana può lasciare dei segni così netti, così marcati, che anche a distanza di molti anni, riguardandoli, potrai sentire il dolore perpetrarsi su ogni centimetro del corpo. Ora riesco davvero ad immaginare che razza di figlio di puttana fosse suo marito. Lo stesso genere di figlio di puttana che era mio padre"
(IL CAPITOLO 6 PROBABILMENTE NON VEDRA' MAI LA LUCE, PERDONATEMI.)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carl Grimes, Carol Peletier, Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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----> PICCOLA PREMESSA (forse non proprio piccola): Vi chiedo umilmente perdono. Perdono. Perdono. Perdono. Perdono. 
Sono cosciente del fatto di avervi fatto aspettare 2 mesi per questo 4° capitolo e credetemi, ho sofferto un sacco!
Questo capitolo è stato lunghissimo e difficilissimo da scrivere ed ho finito giusto qualche minuto fa! Più scrivevo e più mi venivano in mente altre cose da scrivere! Purtroppo devo confessare che non ho avuto ispirazione per un sacco di tempo, anche (o forse soprattutto) a causa degli episodi della seconda parte della sesta stagione di "The Walking Dead" e a causa di quello che è successo a Daryl e Carol, singolarmente. Ho dovuto aspettare che finisse la stagione per ritrovare una sana 'modalità zen' per proseguire e concludere questo capitolo. E la storia continua, questa non è la fine! Quindi spero che avrete ancora altra pazienza per attendere l'ultima parte di questo racconto e, intanto, spero che resterete soddisfatti da questo 4° capitolo! Grazie a tutti quelli che mi hanno sempre supportata, vi voglio bene! 
PS: se non ricordate bene cosa è successo nei capitoli precedenti, vi consiglio (per aiutarvi, se avete tempo) di rileggerli e poi leggere questo. 
- Silvia




SCARS – Capitolo 4

 
Mi muovo così velocemente che quasi non mi accorgo di stare realmente correndo.

A passi svelti, ho seguito le sue impronte attraverso i prati, mi sono diretto verso l’albereto, ma nel fitto degli alberi non l’ho trovata. Ho trovato delle case in una grande radura, proprio tra quegli alberi ed ho deciso di girarvi intorno da destra, invece che da sinistra come ha fatto lei, così da non spaventarla arrivandole alle spalle.
Ma quando ho sentito quel grido… non ho capito più niente.
Ho cominciato a correre, spinto dalla paura. Era una voce femminile, ma non era la sua. In quel momento non sapevo se esserne grato oppure no. Non importa. Il pensiero che possa succederle qualcosa tra questi alberi mi sta facendo impazzire.
Devo raggiungerla subito, ovunque lei sia.

Avrei dovuto incrociarla qui, sul retro delle case, ma lei non c’è.
Un senso incredibile di panico mi coglie all’improvviso. Perché non c’è? Ero sicuro che l’avrei incontrata, prima o poi.
Mi appoggio per un attimo ad un albero e cerco di riprendere fiato mentre fisso due piccole case bianche, seguite da una più grande, enorme. Mi accorgo che quella più grande ha anche una porta sul retro.
Carol starà esplorando una di queste case? Se è così, spero che siano vuote. Quando all’inizio dell’albereto ho attraversato il sentiero per passare da una parte all’altra, ho visto segni recenti di ruote dirigersi fuori, quindi queste case non sono disabitate, ma possono essere vuote al momento, o almeno è quello che spero.
Il rumore di un ramo spezzato arriva da dietro di me.
Mi giro all’istante sperando di vedere Carol, sperando che finalmente mi abbia trovato, qui tra questi alberi. L’unica cosa che mi ritrovo davanti, però, è un vagante solitario che probabilmente è stato attirato dal rumore dei miei respiri affannosi.
Sono distrutto, i miei polmoni bruciano, le gambe mi fanno male, ma devo trovare comunque la forza di estrarre il coltello dalla cintura per abbatterlo.
Aspetto che lui si avvicini a me, sono pronto a colpirlo. Due metri… un metro… e quando finalmente mi è quasi addosso, lo colpisco dritto alla tempia sinistra, ma la lama del coltello resta incastrata nel suo cranio e il suo peso morto mi attira a terra e casco esattamente sopra al suo corpo. La puzza del cadavere si abbatte così forte addosso a me che non posso fare altro che tossire e cercare di spostarmi.
Lo zaino che ho sulle spalle sembra pesare tonnellate mentre sono in questa posizione e quindi, appena riesco ad estrarre il coltello dal cranio del vagante, non riesco subito a rimettermi in piedi.
E forse è meglio così.
Sento da lontano il rumore di un’auto che sia avvicina e decido di tenere sott’occhio la situazione fermo nella posizione in cui mi trovo, nascosto tra erba e alberi, con una visuale abbastanza chiara della porta sul retro della casa più grande.
Un pick-up verde scuro fa il suo ingresso nella radura e si ferma nello spazio che si trova tra una delle case piccole e la casa grande.
Il motore si spegne e a scendere dalla vettura è un uomo alto, biondo, abbastanza corpulento. La prima cosa che noto di lui è che ha una vistosa fasciatura alla gamba destra e le bende bianche sono macchiate di sangue. Probabilmente è quella la causa del suo zoppichio.
La seconda cosa che noto è che va di fretta, decisamente, tanto da lasciare aperto lo sportello del pick-up. Nonostante non riesca a camminare, sembra quasi che voglia correre. Gli è successo qualcosa, di sicuro. Si dirige più veloce che può verso la porta sul retro della casa più grande, la apre e se la richiude alle spalle.
Anche se il senso di preoccupazione mi sta quasi soffocando, ho appena deciso che restare qui per un po’ ad osservare la situazione potrebbe farmi capire cosa sta succedendo. Quel tipo che è appena entrato non aveva armi visibili, né pistole, né fucili, e questa è una buona cosa. Anche se possedesse dei coltelli e incontrasse mai Carol lì dentro, ovunque lei sia, si ritroverebbe sicuramente con una pallottola in qualche parte del corpo e non avrebbe modo di utilizzarli.
Trovo finalmente un po’ di forza per allontanarmi da questo cadavere schifoso. Rotolo sulla schiena e provo a mettermi seduto tra gli alberi. L’erba non è molto alta, ma finché resto seduto e immobile, nessuno si accorgerà di me.
Ogni cosa che noterò potrebbe portarmi da Carol, da Carl, o da entrambi.
 

                                                                                              *****
 

“Carol! Carol, ti prego, svegliati!”.
Sento queste parole rimbombarmi nella testa appena riprendo conoscenza.
Sento anche dei piccoli colpi alla caviglia destra.
Pian piano riprendo possesso dei miei sensi e un’ondata di dolore mi colpisce. La testa mi fa malissimo e mi gira. Provo ad aprire gli occhi, ma non riesco a tenerli aperti per più di tre secondi senza provare una forte nausea.
“Oh, bene. Sei sveglia!” dice una voce familiare.
Devo impormi di aprire gli occhi, devo capire che cosa succede.
Capisco di essere legata e di non potermi muovere bene perché appena provo a portarmi una mano dove la testa mi fa male, non ci riesco. E capisco anche di essere seduta e appoggiata ad un muro, quindi appoggio la testa all’indietro, sperando che magari questo mi aiuti a farla smettere di girare.
Provo a riaprire gli occhi, sembra che vada meglio.
Sono in una stanza piuttosto buia, le cui pareti sono formate da pietre. Mi bastano pochi attimi per realizzare di essere intrappolata nella stessa stanza che stavo spiando poco fa.
O almeno credo che fosse poco fa.
“Carol? Stai bene?” mi chiede… Carl?
Giro la testa di scatto verso la mia destra, andando di nuovo incontro ai giramenti di testa che si erano appena placati. Chiudo di nuovo gli occhi.
“C-Carl?” cerco di chiamarlo, con voce roca. Provo a schiarirmela un po’. “Ti ho trovato…” gli dico, realizzando davvero dentro di me il fatto di averlo trovato.
Provo a riaprire gli occhi e, come avevo capito spiando nella stanza prima che venissi colta in flagrante, vedo gli altri due ragazzi legati affianco a Carl. Sono conciati malissimo e sembrano davvero molto scossi.
“Dov’è mio padre, Carol? Come sta? Dove sono tutti gli altri?” mi chiede velocemente, con preoccupazione.
Come faccio a dirgli che suo padre è quasi morto? Prima di ripartire, Maggie mi ha detto che la sua situazione di Rick era stabile e che presto si riprenderà…
Non voglio dare false speranze a Carl dicendogli che va tutto bene, quindi gli dirò esattamente quello che Maggie ha detto a me.
“Tuo padre e Aaron sono stati feriti quando tu sei stato portato via, lo sai, vero? Aaron mi ha detto che hai provato a reagire e che ti hanno colpito per ultimo” gli spiego, provando a sondare il terreno.
“Si” mi risponde semplicemente. Poi riprende a farmi domande. “Ora come stanno? Dove sono?”
“Aaron sta bene, ha preso una bella botta in testa, esattamente come noi. Tuo padre…”, mi fermo per prendere un respiro profondo, poi mi faccio forza e proseguo. “Anche lui è stato colpito alla testa, ma è stato ferito più gravemente. Però si riprenderà, sta tranquillo! Anche se non sappiamo quanto tempo ci vorrà, si riprenderà” gli dico subito, appena lo vedo impallidire. “Ho guidato io stessa per riportarli a casa. Michonne ovviamente è rimasta con tuo padre, poi..”. Mi concedo un attimo per farlo riprendere e un altro attimo per maledirmi per questa piccola bugia. Una volta saputo che Rick era vivo e al sicuro, Michonne sarebbe tornata indietro con me se solo non fossi partita da sola, non cercando nessuno.
Sembra che Carl si sia tranquillizzato un po’. “E Daryl?” mi chiede.
Daryl… una fitta dolorosa si protrae attraverso il mio corpo. Dove sarà, adesso?
“Lui… è rimasto a perlustrare la zona tutta la notte, per cercarti, ma quando sono tornata indietro stamattina, non ci siamo rincontrati…” gli spiego, la mia voce è più bassa, più disperata. E i miei pensieri viaggiano altrove, veloci.
“Ehi” mi dice, toccandomi di nuovo una caviglia con un piede per attirare la mia attenzione.  “Starà bene. È Daryl, per la miseria! Non preoccuparti per lui”.
Lo guardo, tenendo appoggiata la testa al muro. “Adesso sei tu che consoli me?” gli chiedo con calma, ma sorpresa. Ormai non è più un ragazzino. Forse non lo è mai stato.
Lui sorride leggermente e mi ricorda tanto suo padre.
“Consoliamoci a vicenda e capiamo come uscire da questo posto” mi dice.
“Ah! Buona fortuna!” esclama, quasi sprezzante, la ragazzina seduta più lontana da me, senza nemmeno guardarci.
L’altro ragazzo si gira verso di noi e dalla sua espressione capisco che sta cercando di scusarsi in qualche modo per quello che ha appena detto la ragazza. Che siano parenti? Fratelli, magari?
“Non sai niente di noi, come puoi sapere che non riusciremo ad uscire da qui, in un modo o nell’altro?” dice Carl alla ragazza, poi torna a guardare verso di me.
“Sei stata tu ad urlare prima, vero?”. Decido di rivolgermi direttamente a lei.
Lei mi guarda in modo strano, sembra spaesata. “Come..?”.
“Come lo so?” la anticipo io. “Ero tra gli alberi qui fuori perché stavo cercando Carl, e l’ho sentito. Mi sono avvicinata alla finestra per controllare se il grido provenisse da qui, ma poi mi hanno scoperta e mi hanno messa k.o.”.
“La stavano torturando…” mi dice Carl a bassa voce.
Lo immaginavo. Urla del genere sono quasi anormali, ma quando si tratta di torture, penso che siano giustificabili.
“Che vi hanno fatto?” chiedo cauta ad entrambi i ragazzi, ma entrambi si irrigidiscono e non si voltano nemmeno.
“Carl?” provo a spronare lui a parlare, sperando che sappia qualcosa.
Carl fa un respiro profondo prima di parlare. “Non ho idea di cosa gli abbiamo fatto prima che io venissi catturato, ma so bene che stiamo parlando di cose orribili”. Fa una pausa, poi si gira a guardare i ragazzi. “Se Tracy non avesse urlato così forte, credo che a quest’ora non avrebbe più il braccio sinistro”.
Non smetto di guardarli mentre Carl mi dice questo, voglio catturare ogni loro singola reazione, qualsiasi cosa che possa aiutarmi a capire con chi abbiamo a che fare e come liberarcene.
Il ragazzo tra Carl e Tracy si gira verso di lei e, senza parlare, le dà dei piccoli calcetti alla gamba, forse per attirare la sua attenzione, e quando la ottiene, le fa un cenno con il mento, indicandole il braccio. Lei alza il braccio sinistro, catene permettendo, e mostra una ferita abbastanza profonda all’interno dell’arto. Sta sanguinando. Basta un solo sguardo per capire che una ferita del genere deve fare male davvero, ma lei sembra non lamentarsene più di tanto. Che abbia patito dolori peggiori?
Oh mio Dio… cosa diavolo hanno fatto a questi ragazzi? E perché?
Mi chiedo come mai il ragazzo non abbia parlato per attirare l’attenzione di Tracy, ma poi noto che la sua bocca, il suo mento e i suoi vestiti sono ricoperti di sangue… e solo allora capisco.
Non ha parlato perché probabilmente non può più farlo.
Chiudo istintivamente gli occhi per isolarmi da tutto questo dolore. Non ce la faccio.
Ieri mattina avevo la testa poggiata sulla spalla di Daryl, dormivo serenamente.
Adesso ho la testa poggiata al muro di una camera di tortura, così duro da far male, e la serenità è andata a farsi fottere.
 

                                                                                      *****

 
Sto per chiedere a Carol se ha qualche idea su come agire quando sentiamo tutti il rumore di un’auto, che arriva da fuori e, poco dopo, le voci dei nostri aguzzini provenire da qualche parte della casa. Non devono essere molto lontani da noi perché all’inizio, quando parlano e basta, si sente un brusio impreciso, ma poi, quando urlano, si capisce benissimo tutto.
“Che cazzo stai dicendo, Janson?!”. Questo è Devian.
“Si, casa tua! La dispensa era vuota! E i tuoi sono stati abbattuti!” urla un’altra persona in risposta. Sarà questo Janson?
C’è qualche attimo di silenzio e poi cominciano dei passi svelti, pesanti, che si avvicinano alla porta della stanza dove ci troviamo noi. Aspettiamo immobili che qualcuno faccia il suo ingresso, ma non entra nessuno, e i passi continuano, per poi fermarsi poco dopo. Anche le voci continuano.
“Holsey! Portami lo zaino di quella donna!” urla Devian.
Con la coda dell’occhio vedo Carol reagire immediatamente a quelle parole. Prova a muoversi e fa sbattere le catene che la bloccano mentre a bassa voce dice “Merda!”.
“Che c’è nel tuo zaino?” le chiedo sottovoce.
“Nell’ultima casa che abbiamo setacciato ieri, abbiamo trovato un po’ di tutto. Cibo, armi, munizioni… e io, Daryl e Michonne abbiamo riempito i nostri zaini! Ci servono quelle cose!”.
 
Non passa molto tempo prima che un’imprecazione rompa il silenzio che si era appena creato.
Devian è fuori di sé. “Brutta figlia di puttana! Kurt! Valla a prendere e portala da me!”.
Oh no.
Carol, invece di agitarsi ancora di più, si immobilizza e fa un respiro profondo. Si sta preparando a quello che la aspetta? Ma cosa la aspetta?
Mi faccio prendere dall’agitazione, ma nello stesso momento nella mia mente si fa strada un’idea, un aiuto che, con un po’ di fortuna, potrebbe risparmiare molte sofferenze ad entrambi.
“Carol, ascoltami!” le dico svelto, mentre i passi che ascoltiamo avvicinarsi stavolta si dirigono davvero verso di noi.
Lei, ovviamente, non mi ascolta. “Carl non preoccuparti per me! La cosa più importante è che tu riesca ad uscire da qui! Farò qualsiasi cosa per farti uscire!”.
Io insisto. Deve ascoltarmi. “No Carol, ascoltami!  Qualsiasi cosa dovessero chiederti, o se dovessero provare ad estorcerti delle informazioni, non dirgli che io e te ci conosciamo! Hanno ridotto Tracy e Cody così perché sono fratelli! E quando questi bastardi l’hanno scoperto, non hanno avuto pietà  ed hanno sfruttato questo fattore a loro vantaggio! Io e te non dobbiamo conoscerci! Potrebbero usare te per provocare me! Facciamo in modo di sopravvivere!”.
Lei mi ascolta quasi con paura e, quando capisce che quello che le ho appena detto è una cosa di vitale importanza, annuisce con convinzione e consapevolezza. Poi sussurra “Promettimi che se dovessero fare o chiedere qualcosa anche a te, tu farai lo stesso”.
Faccio appena in tempo ad annuire e poi la porta si apre e Kurt entra e si dirige proprio da Carol che, nonostante sappia che non può fare niente contro di lui, cerca di respingerlo lo stesso, provando a prenderlo a calci. Io vorrei provare a fare lo stesso, per quanto possa essermi possibile, ma so che, se lo facessi, Kurt capirebbe che io e Carol ci conosciamo e manderei a monte la promessa che ci siamo appena fatti.
Quindi mi impongo di rimanere fermo. Sofferente, ma fermo.
E quando Kurt riesce a bloccare le gambe di Carol con il suo peso, a coprirle interamente il volto con un panno, probabilmente zuppo di cloroformio, e lo tiene premuto, lei crolla dopo pochi secondi, svenuta. Lui poi scioglie le catene che la bloccano, la prende e se la carica in spalla, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Poi esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Il mio occhio brucia, da morire. Per una frazione di secondo rendo grazie al destino per avere solo l’occhio sinistro. Sto piangendo, e dalla mia posizione Tracy e Cody non possono accorgersene. Menomale.

“La porterà sicuramente nella biblioteca” dice Tracy a bassa voce, più a sé stessa che a me. “Vuole solo interrogarla, non le farà niente, lì. Quello è il suo luogo tranquillo.”
La biblioteca. Dove mi sono risvegliato io stamattina.
Questa è una cosa che mi consola, almeno ho quasi la certezza che a Carol non accadrà nulla.
Ma a me, invece?
 

                                                                                               *****
 

Nulla. Più di un’ora di nulla.
Continuo ad osservare verso la casa in cerca anche soltanto di un piccolo movimento, qualche dettaglio che mi faccia capire se Carol sia lì, sia viva e stia bene. E che mi faccia sperare che con lei ci sia anche Carl, così la situazione si potrebbe risolvere tutta in una volta.
Ma purtroppo, da quando quell’energumeno è arrivato in auto ed è entrato nella casa più grande, non è successo niente, o almeno non nei pressi della casa. Io qui ho abbattuto un paio di vaganti, il che ovviamente è una cosa stupida, ma grazie a quei cosi schifosi ho avuto modo di non lasciarmi andare alla stanchezza e di restare sempre vigile.
In tutto il tempo che ho passato nascosto tra questi alberi ad osservare queste case, ho rivissuto le sensazioni di un ricordo passato, quasi un senso di dejà-vu, che non avrei mai voluto rivivere. Il pensiero di Carol rapita ed esposta a chissà quale pericolo…
È successo molto tempo fa, ma non potrò mai dimenticare la rabbia che mi assalì quando sapemmo che lei e Maggie erano state rapite e, soprattutto, non potrò mai dimenticare la sensazione di sollievo che provai quando riuscimmo a ritrovarle e ad accertarci che stessero bene. Non potrò mai dimenticare quel velo di orgoglio che provai nell’apprendere che si erano salvate da sole, con le loro forze, la loro astuzia, che ce l’avevano fatta, anche riportando vari danni, fisici e soprattutto psicologici.
Non potrò mai dimenticare la paura che provai, anche se solo per un attimo, nel pensare che ci fosse la possibilità di non rivederla più. E purtroppo è la stessa paura che vuole impossessarsi di me adesso. Anche se ovviamente niente finora mi ha fatto intendere che lei possa essere stata rapita oppure no, l’unico pensiero che mi rimbomba nella testa è quello.
Cazzo! Dentro quella casa c’è solo Dio sa cosa, io sono bloccato qua fuori, da solo, sull’orlo dello sfinimento e stare fermo adesso non mi aiuta di certo. Non riesco a fare niente e di sicuro le circostanze non mi aiutano.
Sto decisamente impazzendo.
Torno di nuovo in me e mi ritrovo in piedi appoggiato ad uno degli alberi. Non mi sono nemmeno reso conto di essermi alzato.
Avverto uno strano sapore metallico in bocca. Sangue?
Passo la lingua sul labbro inferiore e mi accorgo che il sangue esce da lì. Sono così teso e penso così tanto che non mi sono nemmeno accorto di essermi morso un labbro.
Sputo a terra per cercare di cancellare questo fastidioso sapore, poi proprio da terra riprendo lo zaino e la balestra. È ora di agire e darsi una mossa, non posso più stare fermo qui a fissare il vuoto. Non ho notato nessun movimento, nessun segnale. Il mio disagio sale, come la voglia di capire. E di agire.
E poi, neanche a farlo apposta, proprio in quel momento la porta sul retro della casa più grande si apre di scatto e ad uscirvi è di nuovo quel tizio con la gamba ferita che era arrivato prima.
Si dirige proprio al pick-up, dove per la fretta aveva lasciato lo sportello aperto. Da dove mi trovo io, riesco a vedere che sta cercando di recuperare alcune borse dall’abitacolo e non sembra avere molta fretta stavolta, visto che ha lasciato la porta della casa aperta.
Un attimo… la porta della casa è aperta.
Devo muovermi, ora o mai più.
Lascio di nuovo cadere lo zaino a terra, per essere più libero nei movimenti, e afferro meglio la balestra con entrambe le mani. Prendo la mira, il mio cuore accelera i battiti, il suo rumore mi pulsa nelle orecchie. Anche se il bersaglio è in movimento non sarà difficile colpirlo.
Scocco la freccia.
Prima che l’idiota riesca a rientrare in casa, dopo aver richiuso il pick-up, viene colpito dalla mia freccia, che gli trapassa il cranio da parte a parte. Il suo corpo senza vita cade a terra immediatamente, poco distante dalla porta, circondato dai due borsoni che stava trasportando.
Aspetto un po’. Se c’è qualcuno in giro, potrebbe essersi accorto di quello che è successo.
La situazione però sembra calma e quindi, non appena recupero di nuovo lo zaino da terra, mi dirigo veloce verso la casa. Mi appoggio al muro, la porta aperta è alla mia sinistra.
Lo sguardo mi cade sul cadavere non molto lontano da me. Guardo la mia freccia conficcata nella sua testa e per un attimo la titubanza mi assale. Ma in questo mondo ci siamo noi, e non possiamo essere minacciati da nessuno. Mi avvicino al corpo e recupero la freccia. Poi con calma mi dirigo verso l’entrata e controllo se c’è movimento all’ingresso, ma sembra tutto calmo.
Così entro, con la balestra pronta, in cerca di lei.
 

                                                                                       *****
 

Nuovi dolori mi colpiscono appena riesco a riprendere i sensi.
Mi fanno male i polsi. Mi fanno male le caviglie. Mi fa male il collo.
Il dolore alla testa, che era presente già  da prima, è aumentato.
Mi piacerebbe tanto capire quando finirà quest’agonia. Se mi hanno catturata, perché non mi uccidono e basta?
Appena riprendo completamente il controllo su me stessa e riesco finalmente ad aprire gli occhi, capisco la causa di tutti quei dolori. Il collo mi fa male perché ho la testa china sul petto da chissà quanto tempo. Le caviglie e i polsi bruciano perché sono legati saldamente alle gambe e ai braccioli di una sedia. Con fatica alzo la testa, provo a ruotarla e, nonostante non riesca subito ad aprire benissimo gli occhi, posso vedere l’ambiente che mi circonda.
Mi trovo in una stanza piuttosto buia, ma lo sarebbe ancora di più se non ci fosse questa piccola finestra circondata da un’enorme libreria, sulla mia destra. Tre pareti su quattro sono occupate da questa libreria scura, immensa e piena di libri. Sulla parete alla mia sinistra, invece, è presente soltanto una porta.
La cosa che però mi inquieta maggiormente è la presenza di un’altra persona qui dentro. Un uomo alto, magro, con dei vestiti alquanto trasandati è in piedi davanti a me, appoggiato all’angolo tra la parete libera e la libreria. Ha le braccia conserte e mi osserva con aria calma, ma sveglia. È astuto, riesco a capirlo dal suo sguardo. Quel suo sguardo che mi mette i brividi.
Non è la prima volta che mi trovo letteralmente trapassata da uno sguardo del genere, e i ricordi che ne scaturiscono mi spaventano. Non conosco quest’uomo e lui non conosce me, ma sono assolutamente certa di essere di fronte ad una versione più giovane e sicuramente più sveglia e subdola di Ed.
Sosteniamo i nostri sguardi a vicenda finchè lui non dà un piccolo calcio al muro dietro di sé per riacquistare l’equilibrio e avanza di qualche passo verso di me. Poi comincia a parlare.
“Beh, mia cara, credo che tu sia capitata in un bel casino”.
Un piccolo sorriso spunta su quel suo viso affilato. “Come ti chiami?” mi chiede.
Io non ho proprio nessuna voglia di fare conversazione, soprattutto non prima di aver capito le sue intenzioni. Scelgo il silenzio, voglio vedere fino a che punto vuole arrivare, con tutte queste carinerie.
“Non vuoi parlare? Molto bene, allora sceglierò io un nome per te. Non ho nessuna intenzione di entrare in confidenza con una persona di cui non so nemmeno il nome”. Detto ciò, si siede a terra a gambe incrociate, proprio davanti a me e, grazie a quel movimento, da sotto la sua camicia riesco a vedere una pistola.
Purtroppo il mio sguardo rimane fisso su quella pistola forse un secondo di troppo e lui se ne accorge. Con finta innocenza si guarda la cintura in cerca del punto di mio interesse.
“Che c’è? Guardi questa?” mi chiede con curiosità mentre indica l’arma. “Oh, non preoccuparti, non mi servirà. Di solito non ricorro a vie così repentine per concludere un discorso”.
“Di solito?” mi lascio sfuggire, sinceramente interessata ai suoi metodi. Voglio capire che cosa mi aspetta.
“Ah! Allora parli! Finalmente puoi dirmi il tuo nome” dice con soddisfazione.
“Non ti dirò il mio nome. Non hai bisogno di entrare in confidenza con me, per minacciarmi” dico con voce tagliente.
“Oh andiamo! Così mi offendi!” dice. Sta recitando una parte, si vede. La parte del curioso, calmo, premuroso e ragionevole che però stona totalmente con il fatto che mi abbia legata ad una sedia.
Lui sospira pesantemente e poi riprende a parlare.
“Mmm ok… ho deciso il nome. Miranda. Va bene? Non è il tuo vero nome, vero? Sarebbe paradossale!” mi dice, ridacchiando.
“No, non lo è” mi limito a rispondergli.
“Io mi chiamo Michael, Michael Devian, e sono tanto, davvero tanto ansioso di raccontarti una storia, mia cara Miranda”.
Mi osserva. Continua ad osservarmi con quei suoi occhi blu.
Sento freddi brividi attraversarmi la spina dorsale. Se non mi ricordasse così tanto Ed, non penso che avrebbe la capacità di mettermi così in soggezione. Eppure lo sono, più di quanto mi aspettassi.
Michael fa una breve pausa, forse aspettandosi qualche risposta da parte mia, ma non vedendone arrivare nessuna, comincia a raccontare la sua storia.
“Allora… uno dei miei uomini è andato in perlustrazione stamattina e quando è tornato mi ha riferito una cosa che mi ha fatto davvero molto male, sai?”.
Appena si riferisce al suo uomo in perlustrazione, mi torna in mente il riflesso di luce che ho visto stamattina dal sentiero, mentre seguivo le impronte di Daryl. Quel riflesso poteva decisamente essere una macchina, dunque.
“Qualcuno è entrato nella mia vecchia casa, ha ucciso i miei genitori e ha svuotato la mia dispensa” dice, senza troppi giri di parole.
Mentre parla, si rialza e comincia a camminare per tutta la stanza, anche dietro di me, dove non riesco a vederlo.  Il suo tono di voce cambia e si inasprisce sempre di più, rivelando finalmente la vera persona chiusa con me qui dentro.
“Mi hai sentito?! Qualcuno ha ucciso i miei genitori e ha svuotato la mia dispensa!”.
Sento le sue mani che con violenza si poggiano sulle mie spalle, i suoi pollici affondano sul retro del mio collo.
“E sai la parte bella di questa storia qual è?” mi chiede, abbassando la voce soavemente, avvicinandosi al mio orecchio destro. “Controllando nel tuo zaino, ho trovato alcune delle mie cose”.
Non so se è per quello che dice oppure per la sensazione che mi provoca avere le sue mani e il suo respiro addosso, ma violenti brividi mi colpiscono e non riesco a fermarli.
Nel profondo di me stessa, però, realizzo che quello che mi ha appena rivelato non mi meraviglia affatto. Ovviamente si sta riferendo all’ultima casa che io, Daryl e Michonne abbiamo controllato ieri sera. Ero rimasta quasi sotto shock vedendo l’ordine dei mobili in quella casa, soprattutto nel soggiorno. Era praticamente identico a quello della mia vecchia casa in Georgia. Prima dell’Apocalisse. Prima di tutto questo.
No. Non mi meraviglio affatto.
E i genitori di cui parla dovevano essere i due vaganti che Michonne ha abbattuto al piano superiore, prima che scoprissimo la dispensa nascosta.
Quest’uomo…
Questo Michael…
È come se mi trovassi di nuovo di fronte ad Ed…
Mio Dio. Sto rivivendo un incubo.
 Lui continua a rimanere così, chino su di me, con la sua bocca vicina al mio orecchio.
“Era quasi impossibile aprire la porta della dispensa. Io e mio padre conoscevamo il modo per farlo e ogni volta dovevamo farlo insieme. C’era bisogno di forza, per farlo…”.
Sento la sua mano sinistra che lascia la mia spalla.
“…quindi non puoi aver fatto tutto il lavoro da sola…”
Sento il rumore della lama di un coltello che viene sfoderato.
“…e questo significa che non potevi essere da sola”.
La sua mano appare davanti ai miei occhi, armata di quel coltello. Coltello che si piazza proprio sulla mia gola, poi.
Provo a restare calma. Chiudo gli occhi.
“Sai, Miranda, ieri sera i miei uomini hanno colto in flagrante alcune persone che si stavano impossessando di cose che non gli appartenevano, proprio nella stessa zona in cui è situata la mia vecchia casa”. Fa una pausa brevissima per impugnare meglio il coltello.
“Oh, lo so! Adesso mi dirai che il mondo ormai è cambiato e si lotta per la sopravvivenza. E ne sono consapevole”.
Spinge un po’ la lama verso la mia pelle. Devo cercare di restare immobile, ma mi risulta alquanto difficile.
“Ma loro avevano sconfinato nel mio territorio… Erano due uomini e un ragazzo. Abbiamo ucciso gli uomini e catturato il ragazzo”. Un’altra pausa. Studia le mie reazioni? Non so nemmeno io cosa devo fare, ormai.
“Beh, ma forse non c’è nemmeno bisogno di dirtelo, perché tu lo sai già, vero? Erano del tuo gruppo, no?”.
Un senso di panico mi assale e apro istintivamente gli occhi.
Grazie alla sua mano destra ancora appoggiata sul mio collo, probabilmente avverte che le mie pulsazioni stanno accelerando e che quindi mi sto seriamente agitando.
Come potei non farlo? Sa che io e Carl ci conosciamo. Merda.
Ma fortunatamente non ha nominato né Daryl né Michonne.
“Dovrei ucciderti”, sussurra, “non solo per il semplice fatto che hai oltrepassato la soglia di casa mia, hai ucciso i miei genitori e ti sei impossessata delle mie cose, ma anche perché a quanto pare ci stavi spiando prima, qui fuori”.
Il coltello sulla mia gola comincia a fare male, probabilmente sto incominciando a sanguinare.
Nonostante il bruciore, trovo la forza di sfidarlo.
“Non avevi detto che di solito non concludi un discorso in modo veloce?” dico, riferendomi al suo modo di usare il coltello contro di me. la mia voce è quasi irriconoscibile, strozzata.
Michael ridacchia e avvicina ancora di più le labbra verso di me, per quanto sia possibile.
Lo sento toccarmi, annusarmi. Vecchi e dolorosi ricordi vengono a bussare alla porta della mia anima e cerco in tutti i modi di respingerli.
“Parlavo della pistola, prima. Non mi stavo di certo riferendo ad un semplice coltello”.
Improvvisamente lui si stacca da me e, nello stesso momento, io lascio cadere la testa in avanti, respirando forte. Non mi ero resa conto di stare trattenendo il fiato. Tossisco.
“E comunque…” riprende il discorso con disinvoltura, andando ad appoggiarsi alla scrivania accanto a me, “…il nostro discorso non è affatto concluso”.
Ho la testa ancora china quando gli rispondo con aria di sfida. “Cosa vuoi ancora da me?”.
“Da te? Niente!” esclama, con sfacciataggine. “Non adesso, almeno”. Questo suo modo di fare mi fa innervosire da morire, esattamente come succedeva con Ed.
Fa passare un po’ di tempo e, quando ricomincia a parlare, si rigira il coltello tra le mani e lo fissa, pensieroso. O almeno finge davvero bene di esserlo.
“Ho controllato nel tuo zaino ed ho trovato alcune delle mie cose. Ho controllato negli zaini dei tuoi compagni morti e in quello del ragazzo, ma non ho trovato niente di mio. Allora, a questo punto, mi domando una cosa”. Le sue mani si fermano. “Se il mio uomo mi ha riferito che la mia dispensa era vuota, dove sono finite le altre cose?”.
Oh no.
“C’erano altre persone con voi, non è così?” mi chiede, la rabbia si impossessa di lui, ma comunque rimane immobile.
“Puoi anche uccidermi, maledetto! Non avrai nessuna informazione da me!” urlo, quasi.
Lui mi fissa e poi il suo viso si apre in un sorriso. Un sorriso pauroso.
“No, infatti. Non da te” dice semplicemente.
Lo fisso cercando di capire cosa intende.
E nel momento in cui capisco, mi si gela il sangue nelle vene.
“Ho dato ordine ai miei uomini di… come dire? Prendersi qualche libertà con il ragazzo”.

Nello stesso momento, dal piano di sotto, rimbomba un urlo.
 

                                                                                      *****
 

Siamo passati attraverso pericoli peggiori di questo.
Abbiamo sopportato l’insopportabile.
Ma allora perché sono così tanto nervoso? Non può finire tutto dentro una dannata casa nelle campagne, senza che io possa almeno provare a reagire, no?

C’è troppo silenzio.
Qui. Fuori da qui.
Questo non mi aiuta.
Penso a Carol e il mio disagio aumenta. Devo provare a pensare ad altro, per quanto sia possibile.
“Ehi” mi rivolgo a Tracy. “Come va il braccio?”
“Fa male, parecchio. Se solo smettesse di sanguinare…” dice lei, guardandosi la ferita.

“Come vi hanno catturati?” le chiedo all’improvviso, dopo qualche minuto.
Lei muove un po’ la testa verso di me, quel tanto che basta per farmi capire che mi ha sentito, ma non mi sta guardando. Guarda a terra.
“Eravamo in esplorazione. Noi due e altri tre del nostro gruppo. Eravamo convinti che la zona nei pressi dei nostri accampamenti fosse sicura, anche se era molto vasta. Ne eravamo estremamente convinti… forse troppo”.
Fa una breve pausa e la sua espressione cambia, probabilmente i suoi ricordi la stanno torturando.
“Quanti accampamenti avevate?” le chiedo, cercando di non risultare troppo curioso e abbastanza rispettoso.
“Due” risponde lei, e stavolta si gira a guardarmi definitivamente. Mi guarda come se avesse il desiderio di raccontarmi tutta la loro storia, così io non parlo più, le faccio un cenno di assenso e rimango fermo ad ascoltare tutto quello che dice, dopo che si è fatta forza.
“Kurt, Janson e Holsey comparvero dal nulla, dal bosco attorno a noi. Uccisero due persone a sangue freddo e, prima ancora che ce ne accorgessimo, minacciarono noi sopravvissuti. Non avemmo il tempo di reagire, loro continuavano a tenerci puntate le pistole contro e noi non avevamo modo di reagire”. Fa una pausa e sbatte gli occhi ripetutamente. Occhi che cominciano a brillare di lacrime.
“Ci hanno minacciati, disarmati, legati e poi addormentati per portarci qui. Eravamo del tutto impotenti. Quando ci siamo risvegliati eravamo già legati qui e al tuo posto, accanto a Cody, c’era una nostra compagna, Joy…”.
“E cosa le è successo?” chiedo quasi con paura.
“Non ha resistito” sussurra Tracy, semplicemente. “Dopo alcuni giorni di prigionia e le prime torture, lei crollò e confessò alcune delle cose che Devian voleva sapere, ad esempio il fatto che avevamo due accampamenti, come erano strutturati e dove era situato uno dei due… Credo che fosse convinta che parlare l’avrebbe salvata, in qualche modo”.
“Quindi poi loro trovarono il vostro primo accampamento” dico, più a me stesso che a loro. Entrambi annuiscono con un cenno della testa.
“Quel giorno fu orribile” dice lei, le lacrime che cominciano a scorrere veloci sul suo viso. “Ci legarono e ci chiusero in un’auto, ci bloccarono sui sedili e poi, quando arrivammo ai confini del nostro accampamento, ci fecero assistere al degenero umano!”. Detto questo, Tracy scoppia a piangere e abbassa il viso sul suo petto, a contatto con le catene che la bloccano, non riuscendo più a continuare a parlare.
Cody si dimena un po’, vedendola così, e prova ad allungare una gamba per arrivare a toccare le sue, per provare a consolarla nell’unico modo in cui può farlo.
“Ok, Tracy. Basta così… Non c’è bisogno che continui a raccontare. Calmati…” le dico, per provare ad aiutarla.
“No! No… devi sapere a cosa andate incontro, tu e la tua amica” mi dice, alzando di nuovo la testa e tornando a guardarmi. Dopo qualche minuto di pausa, riprende il discorso da dove si era interrotta.
“Quell’accampamento non era molto grande quindi, anche se Devian e i suoi erano solo in quattro, riuscirono ad uccidere cinque dei nostri compagni, riuscirono a prendere quello che gli serviva e poi bruciarono tutto. Dopodiché, uccisero anche Joy e gettarono anche il suo corpo tra le fiamme… Non dimenticherò mai le parole che Devian disse in quel momento. ‘Hai fatto il tuo dovere’ disse, e poi si fermò a guardare le fiamme come un conquistatore straniero su una terra indigena…”.
A stento riesco ad immaginare la sofferenza che stanno provando in questo momento, Tracy nel raccontarmi tutto questo e Cody nell’ascoltarlo, ma voglio provare a chiederle altre cose, sperando che riesca a continuare a parlare.
“Siete imprigionati qui da quel momento? Come siete sopravvissuti per tutto questo tempo?”.
Cody sospira pesantemente e fa un mezzo sorriso, che io interpreto come una sorta di ‘Non ne hai davvero idea’. Tracy guarda suo fratello e poi me. “Siamo qui dentro da così tanto tempo che non ricordiamo più la differenza tra il vivere e il sopravvivere. Anche se vivevamo in tende e capanne, isolati nei boschi, il nostro gruppo ci ha sempre fatto sentire a casa. Questa invece è una vera e propria prigionia. Una volta al giorno ci fanno mangiare, una volta al giorno ci portano al bagno, una volta al giorno ci slegano e ci fanno alzare, per qualche minuto… Tutto questo sempre con le pistole puntate addosso”.
“Ma cosa vogliono ancora da voi?” chiedo frustrato.
“L’unica informazione che ancora non hanno... e cioè-” dice Tracy.
“Dove si trova in vostro secondo accampamento!” completo la frase prima di lei.
Lei annuisce e mi guarda. Continua a piangere, di tanto in tanto. Ha gli occhi gonfi e rossi, ma allo stesso tempo, il suo sguardo trasmette determinazione.
“Hanno provato molte volte ad estirparci informazioni e noi non abbiamo mai ceduto. Mi hanno-”. Si blocca di colpo e chiude gli occhi, poi però fa un respiro profondo e trova la forza per continuare. “Mi hanno violentata per far parlare Cody, e quando qualche giorno fa lui ha detto loro che il nostro secondo accampamento, senza l’appoggio del primo, di sicuro a quel punto doveva essere già stato raso al suolo dai morti, loro non gli hanno creduto e Devian ha dato l’ordine di tagliargli la lingua, definendolo ‘un inutile bugiardo’…”.
Le gambe dei ragazzi sono ancora intrecciate, per cercare di consolarsi a vicenda. “Non l’hanno ucciso perché torturando lui, loro torturano anche me. Anche se siamo forti, prima o poi crolleremo, ne sono certa” mi dice.
“Ma non era vero. Voglio dire, il secondo accampamento in realtà è ancora in piedi?” chiedo.
“Non lo sappiamo, Carl. Ovviamente speriamo di si…” sussurra Tracy. “C’era nostro padre lì, l’unica cosa che ci resta”.

Due fratelli a cui resta solo il padre.
Chino la testa pensando a me e a Judith. Nostro padre è stato per molto tempo l’unica cosa che ci era rimasta della nostra famiglia.
Michonne e tutti gli altri ormai fanno parte di questa grande famiglia, ma il nostro sangue, il sangue Grimes, scorre soltanto nelle nostre vene. È una cosa solo nostra.
Mi torna subito in mente quello che Carol mi ha detto prima, che mio padre è ferito gravemente, ma che è vivo. Devo tornare da lui, devo tornare da Judith, da Michonne e da tutti gli altri. Devo tornare dalla mia famiglia.
“Usciremo da qui” dico poi, a voce abbastanza alta per farmi sentire sia da Tracy che da Cody.

Non faccio in tempo a finire la frase che la porta si apre ed entrano gli scagnozzi di Devian, Kurt e Holsey. Kurt punta dritto verso di me e mi slega dalle catene, poi mi tiene bloccato mentre mi sbatte al muro e mi lega mani e piedi alle catene penzolanti. In tutto ciò, Holsey mi tiene una pistola puntata contro.
“Allora, ragazzo…” mi dice Holsey, con un vocione minaccioso “…cominciamo subito mettendo in chiaro che se non ci dirai la verità, la tua amica al piano di sopra farà una brutta fine”.
Mi stavo dimenando per il fastidio delle catene, ma appena capisco cosa quella frase voglia davvero dire, mi fermo. Come hanno scoperto che io e Carol ci conosciamo? Glielo avrà detto lei? Stanno torturando anche lei? L’avranno uccisa?
Il mio corpo è bloccato. Non riesco a non pensare a cosa possa essere successo a Carol.
Holsey mi si para davanti, la pistola sempre puntata verso di me, ferma nella sua mano. Kurt si para alla mia destra, davanti alla porta aperta, bloccandomi la visuale sul corridoio all’esterno.
“Dunque, adesso dovrai dirci alcune cose-” comincia a parlare Holsey, ma nello stesso momento Kurt cade improvvisamente a terra, sulle ginocchia, portandosi le mani sul mento.
Sono incredulo, decisamente. Forse sto avendo delle allucinazioni?
Vedo delle piccole piume gialle spuntare da dietro il suo collo. Sangue rosso scuro sgorga dalla ferita alle sue mani e, quando prova a rialzare la testa verso Holsey, vediamo chiaramente che una freccia gli ha trapassato la gola, toccando sicuramente anche la carotide.
Dopo qualche attimo, Kurt cade faccia a terra. Morto.
Holsey alza lo sguardo verso la porta prima di me mentre lancia un urlo inferocito e spara in quella direzione.
Io, ascoltando l’urlo, mi rianimo e a mia volta giro di scatto la testa verso la porta, riuscendo ad intravedere di sfuggita soltanto un’ombra. L’ombra di qualcuno che si nasconde dietro il muro, sulla sinistra, per evitare lo sparo.
Quella che ha ucciso Kurt non è una freccia qualunque. Ormai quelle frecce mi sono familiari.
È di Daryl.
È riuscito a trovarci.
Usciremo da qui, come prevedevo.
Un senso di assoluto sollievo si impossessa di me, nonostante i guai non siano ancora finiti.

Holsey è fuori di sé dalla rabbia ma, invece di correre dietro a Daryl, si appoggia con la schiena alla porta, aperta all’interno della prigione e, con piccoli passi verso l’esterno, prova ad affacciarsi nel corridoio guardando dietro di sé, a sinistra, dove ho intravisto l’ombra di Daryl un attimo fa. Una volta arrivato nel bel mezzo del corridoio, Holsey gira su se stesso e tiene la pistola ben salda in entrambe le mani quando comincia a camminare alla ricerca di Daryl.
Io non sopporto di essere legato qui, impotente, sapendo di non poter far nulla per aiutare Daryl a fare fuori questi bastardi. Lui è uno contro… quanti? Due? Tre?
I miei pensieri vengono interrotti dal rumore di uno sparo, poi altri rumori di sottofondo, dei passi veloci, dei tonfi. Poi un altro sparo, che rimbomba nell’ormai vuoto corridoio.
Poi, il silenzio.
Continuo a guardare fuori, con la speranza di vedere apparire qualche volto familiare, ma più passa il tempo e più il senso di sollievo che avevo poco fa si trasforma in un macigno, ed il suo peso aumenta ogni secondo.

Smetto di guardare verso il corridoio e guardo in basso, dove c’è il cadavere di Kurt. È morto da poco, ma nessuno può calcolare quanto tempo ci metterà a risvegliarsi.
Appena penso a questa cosa, d’istinto guardo Cody e Tracy, legati alla parete di fronte a me, e credo che anche loro, in qualche modo, stiano pensando a quello che penso io. Tutti e tre siamo legati e quando Kurt si risveglierà, ci mangerà vivi. Certo, loro due hanno le gambe libere, ma con la loro debolezza non potrebbero contrastarlo comunque, probabilmente.

Di nuovo, un movimento nel corridoio attira la mia attenzione, ma stavolta la fortuna gira dalla nostra parte.
Daryl si avvicina pian piano alla porta, armato di balestra.
“Daryl!” esclamo, e finalmente mi rilasso. “Lo sapevo che non potevi essere morto!”.
Ha un’aria stanchissima ma non mi meraviglio, non credo che abbia avuto tempo di dormire da ieri. Ha anche un graffio abbastanza grande sulla fronte, e sta sanguinando. Ha avuto un incontro ravvicinato con un coltello, di sicuro.
“Ehi, ragazzo! Ci vuole ben altro per farmi fuori. Ho mandato all’altro mondo quel bastardo con la sua stessa pistola, dopo essermi beccato questo” dice lui, indicandosi il taglio e venendo verso di me per sciogliere le catene che mi bloccano alla parete. Non ci riesce subito, quindi si avvicina al grande tavolo che si trova nell’angolo della stanza, afferra vari attrezzi e prova a rompere le catene come meglio può. Appena riesce a liberarmi, prendo dalle sue mani quello che mi capita e mi fiondo subito di fronte a me, per liberare i due fratelli.
“Daryl, anche Carol è qui dentro! Un altro uomo la tiene in ostaggio, al piano superiore” gli dico con urgenza. “Troviamola e andiamocene da qui!”
“Ci puoi giurare” mi risponde lui con un tono nervoso, mentre aspetta di guardia alla porta che il nostro piano di fuga fili liscio. Non vede l’ora di rivedere Carol, è chiaro anche solo dal tono della sua voce.
“E anche loro due tornano a casa con noi…” gli dico poi, mentre finalmente riesco a sciogliere le loro catene “…perché hanno bisogno urgentemente di essere curati”.
“D’accordo” mi dice, venendo da noi e aiutandomi a far alzare Cody da terra.
“No, ehi! Noi dobbiamo tornare a casa!” dice Tracy aggressiva, stringendomi un braccio.
“Tuo fratello va curato immediatamente! Non vuoi vederlo morire, no?” le chiedo, quasi con rabbia. So di aver toccato il tasto giusto per farla cedere e infatti lei fa un passo indietro e poi annuisce. “Dai, aiutami” le dico, mentre entrambi prendiamo Cody sottobraccio e lo aiutiamo a rimanere in piedi.
“Quanti di quei bastardi vivono qui dentro?” chiede Daryl.
“Quattro” risponde Tracy.
“Tu quanti ne hai uccisi?” gli chiedo io.
“Tre. Significa che l’ultimo è quello che sta di sopra…” conclude Daryl.
Riflette un attimo sul da farsi, poi comincia a darci delle dritte. “Allora, vi accompagnerò all’uscita e poi tornerò dentro. Voi tre aspettate nel pick-up che è parcheggiato qui fuori, con quello poi torneremo alla nostra auto, al centro residenziale. Carl, se stai bene, guardati intorno e prova a cercare qualcosa che può esserci utile, ma sta attento. Prova anche a nascondere il cadavere dell’uomo che è lì fuori, non si sa mai. Tutto chiaro?”.
Annuiamo tutti e tre e cominciamo ad avviarci verso l’uscita.
“Ah! Aspetta, Daryl! Assicurati che Kurt, qui…” glielo indico con un piede “…non torni a farci visita. Così avrai una grana in meno a cui pensare quando rientrerai a salvare Carol”.
 

                                                                                                *****
 

Ho lasciato lo zaino a Carl per avere un peso in meno, gli ho lasciato anche una delle due pistole che avevo, visto che era disarmato. Sono ritornato indietro, sono salito al piano superiore e l’unica cosa che è presente qui è un silenzio surreale.
Davanti a me si diramano tre corridoi.
Uno a sinistra, breve ma senza porte.
Uno dritto, dove è presente una sola porta chiusa, e che termina con una finestra.
L’altro sulla mia destra, dove ci sono due porte. Quest’ultimo corridoio, a sua volta, si dirama in altre direzioni.
Ma quanto cazzo è grande questa casa? Molto più di una delle case più grandi che abbiamo ad Alexandria.
Decido, comunque, di dirigermi sulla destra dove, dopo pochi passi, mi accorgo che tutte e due le porte di tutte e due le stanze presenti lì sono aperte e che non c’è nessun segno di vita.
Arrivo alla prima diramazione, svolto l’angolo e mi trovo di fronte ad un vicolo cieco, senza porte, e alle mie spalle lo stesso. Torno indietro nel corridoio principale, ma non avverto subito lo scricchiolio che arriva dalle assi del pavimento davanti a me, e non sono abbastanza veloce nel buttarmi a terra e nascondermi in uno dei vicoli ciechi perché, appena sento lo sparo, la pallottola mi colpisce al braccio sinistro e solo dopo riesco a ripararmi dietro alla parete a destra.
La ferita all’inizio pulsa e basta, poi comincia a fare un male bestiale.
Mi stringo forte il braccio al corpo e provo a controllare quanto è grave. Sembra che sia solo un colpo di striscio, per fortuna. Ma non ci voleva.
Stanchezza, rabbia ed impazienza non vanno assolutamente d’accordo con ‘perdita di sangue’.
“Vieni fuori, amico! Fatti uccidere per bene!” urla il coglione che mi ha sparato.
‘Coraggio, manca solo questo stronzo e poi sarà finita’ dico a me stesso.
Poggio la balestra a qualche passo da me. Questi non sono affari che si risolvono con armi bianche.
Rimanendo sempre seduto a terra, mi armo di pistola e, il più velocemente possibile, mi giro e mi affaccio dietro l’angolo, sparando un colpo. Soltanto dopo, però, scopro che quel figlio di puttana nel corridoio non c’è più.
Potrebbe essersi nascosto in una delle stanze dove le porte erano aperte, o potrebbe essere tornato indietro per ripararsi sulle scale oppure nel corridoio che proseguiva dritto. Insomma, potrebbe essere ovunque, e può giocare su di me il vantaggio di conoscere ogni centimetro di casa sua.
Sento la sua risata da lontano, il che mi irrita ancora di più. Ma, essendo lontana, mi fa capire che non è nascosto nelle stanze vicine. E questo già mi aiuta.
“Amico, dobbiamo muoverci a risolvere la situazione, sai? Ho un’ospite che attende il mio ritorno, e non bisogna mai far aspettare le signore” dice, beffandosi di me.
Il sangue pulsa veloce nelle mie vene e so, lo so, che si sta riferendo a Carol.
Cosa diavolo le starà facendo?
Provo a bloccare tutti gli strani pensieri e le sensazioni che stanno cercando di trascinarmi nella sconfitta e nella disperazione e provo a rimettermi in piedi, a reagire. Per lei.
Metto da parte la stanchezza atroce che mi sta uccidendo. Metto da parte il dolore che questa ferita al braccio mi sta facendo provare. Mi concentro su ogni minimo rumore che sento e cerco di camminare il più silenziosamente possibile mentre torno indietro nel corridoio, passo davanti alle stanze con le porte aperte e, come immaginavo, scopro che lì non c’è nessuno.
Mi appoggio allo stipite di una delle porte col braccio ferito, poi lo provoco.
“Ho fatto fuori tutti i tuoi uomini, tutti e tre! Ti aspetta lo stesso destino!”.
La sua risposta arriva veloce, fredda e potente. “Posso sopravvivere anche da solo! Posso uccidere persone e impossessarmi delle loro cose anche per conto mio!” grida.
E quelle parole arrivano dal corridoio dritto davanti alle scale. E poi…
Una porta sbatte.
Passi veloci. Tanti.
Punto la pistola il più velocemente possibile davanti a me e appena vedo un movimento, sparo.
Uno sparo, però, arriva anche nella mia direzione e, nello stesso momento, un terzo sparo mette fine a tutto.

Ho chiuso gli occhi di riflesso, aspettando che un altro colpo mi raggiungesse in mezzo a tutto questo casino. Ma questo colpo, addosso a me, non è mai arrivato.
Riapro gli occhi e mi guardo attorno.
Vedo che la pallottola che doveva colpire me, in realtà ha colpito la parete affianco alla porta e mi ha mancato di pochi centimetri.
Vedo che sull’angolo finale della parete opposta a quella dove mi trovo io, c’è un foro… quindi anche lo sparo che è partito dalla mia pistola non è arrivato a destinazione.
Poi però guardo a terra, davanti alle scale, e c’è il corpo di quel bastardo. Mi avvicino e vedo che è stato colpito da uno sparo, dritto in mezzo agli occhi.
“Ma che cazzo…” dico a bassa voce, mentre continuo a camminare verso il cadavere.
E continuo a non capire, finché dalle scale non sento dei passi e Carl non appare davanti ai miei occhi, la pistola ancora in mano.
“Mi ero ripromesso di ucciderlo dal primo istante in cui l’ho visto” dice, guardando prima il morto a terra e poi me. “Ehi, ma sei ferito!” urla quasi, guardando il mio braccio.
Non ho il tempo né di ringraziarlo, né di rispondergli che sto bene, perché siamo interrotti da un rumore ed entrambi ci blocchiamo. È una specie di mugolio, insistente, che diventa sempre più forte. Ci guardiamo ed entrambi, nello stesso momento, scattiamo verso la porta chiusa che si trova nel corridoio di fronte alle scale.
Carl arriva per primo e prova ad aprirla, ma è chiusa a chiave. Prova a dare un paio di spallate, ma non riesce a sfondarla.
Io gli afferro la maglietta appena dietro al suo collo e lo tiro indietro, punto la pistola verso il pomello e, sparando, lo faccio saltare. Insieme apriamo la porta e ci ritroviamo in una stanza piuttosto buia, grande, quasi completamente foderata da libri e librerie e, quasi al centro, c’è Carol, legata mani e piedi ad una sedia ed imbavagliata, ma vigile e reattiva, nonostante la situazione in cui si trova. Ha un grosso taglio sulla gola, ma non sembra molto grave.
I nostri sguardi si incontrano subito e, nel suo, vedo il riflesso delle mie stesse sensazioni: paura, seguita dal sollievo e poi dalla frustrazione. E poi arrivano le lacrime.
Io e Carl corriamo da lei. Lui si occupa dei lacci sulle sue caviglie, io di quelli sui suoi polsi, anche se non riesco a muovere bene il braccio sinistro e quindi mi trovo un po’ in difficoltà. Appena slego il primo, lei da sola prova a togliersi il panno che le blocca la bocca, ma non ci riesce finchè non le libero anche l’altra mano.
Poi prova ad alzarsi e le sua braccia si stringono intorno al mio collo mentre affonda la testa nell’incavo della mia spalla, e nonostante le sue lacrime mi facciano male al cuore, questo abbraccio è la sensazione più bella che io potessi provare. Lei è viva, è salva, è qui con me. Il resto può andare a farsi fottere.
Le stringo forte la schiena con il braccio destro e lei lascia andare il suo peso addosso a me, ma sono così stanco che le mie gambe non riescono a reggere il peso di entrambi e quindi pian piano scivoliamo a terra, tenendoci abbracciati.
Cerco Carl con lo sguardo, in giro per la stanza, e appena lo trovo ci facciamo un cenno di assenso a vicenda, come per dirci ‘Stiamo bene, è tutto ok’. È proprio il figlio di suo padre, devo ammetterlo.
Lui esce dalla stanza e io e Carol restiamo da soli.
Rimaniamo ancora per un po’ a terra, poi troviamo la forza di rialzarci.
“Stai bene?” le chiedo, ed è l’unica cosa che mi interessa sapere.
Lei mi guarda e non dice niente, poi fa qualcosa di totalmente inaspettato. Mentre continua a piangere, comincia a sbattere i pugni sul mio petto e ad urlare.
“Sei uno stupido! Potevi farti ammazzare! Guarda come ti hanno ridotto! Non dovevi salvarmi! Dovevi lasciarmi qui!”
So che non pensa davvero quello che sta dicendo e che sta solo sfogando tutta la paura che ha provato, quindi la lascio fare, la lascio prendermi a pugni fino a quando non si stanca.
Dopo che mi ha colpito per l’ultima volta, tiene le mani aperte sul mio petto, dove poi appoggia anche la testa.
“Mi dispiace…” sussurra, così piano che faccio quasi fatica a sentirla.
“Lo so. Sono qui ora” le dico, sussurrando a mia volta, per non disturbare il senso di calma che ha raggiunto, sfogandosi. Porto la mia mano sul suo fianco e stringo un po’.
Lei rialza la testa e mi guarda, i suoi grandi occhi azzurri sono arrossati e ancora lucidi. Passa le mani tra i miei capelli e poi le ferma sul mio viso e io, d’istinto, chiudo gli occhi e appoggio la fronte alla sua. Solo dopo qualche secondo, o forse qualche ora, mi bacia. Io ricambio, totalmente inconsapevole, fino a pochi istanti fa, di quanto avessi bisogno di un suo bacio.
Un bacio gentile, morbido, che si trasforma e man mano diventa necessità, più profonda, più sofferta.

Dovrei dirle che è stata una stupida a tornare indietro da sola, le avevo detto di non farlo.
Dovrei dirle che dovrebbe darmi retta più spesso, visto il guaio in cui si è cacciata.
Tutto quanto, però, muore sulle sue labbra e sul mio bisogno egoista, personale, di sentirle sulle mie.  
 

                                                                                                     *****
 

Dal panno che Michael aveva usato per imbavagliarmi, ho ricavato una benda piuttosto fittizia per la ferita che Daryl ha sul braccio, ma in qualche modo dovevo fermare il sangue.
Il dottor Carson avrà molto da fare, quando torneremo a casa. Si sta già occupando di Rick, tra poco arriveranno almeno altri tre pazienti.
Forse è stato un caso, forse solo fortuna o forse il destino non è sempre contro di noi, ma Maggie, venutaci a trovare da Hilltop, oltre a suo figlio ha portato con sé Jesus e Harlan Carson, il loro medico. Si, beh, decisamente la fortuna ha girato dalla nostra parte.

Dopo aver recuperato armi e zaini, io e Daryl usciamo dalla casa.
Vedo Carl venirmi incontro e ci abbracciamo brevemente.
“Da quello che ho saputo, a quanto pare devo ringraziare soprattutto te, per avermi salvato la vita” gli dico, appena sciogliamo l’abbraccio.
Lui sorride e abbassa lo sguardo, evidentemente in imbarazzo. Mentre io mi avvio verso il pick-up che so che useremo per tornare alla nostra auto, sento Carl rivolgersi a Daryl.
“Daryl, io e Tracy abbiamo perlustrato un po’ le case qui attorno e anche l’interno di questa più grande. Abbiamo recuperato alcune cose, ma penso che sia il caso di tornare tra qualche giorno, con più persone, per recuperare tutto quello di cui potremmo avere bisogno. Una delle case piccole funge da orto, ed è stracolma di verdura. Che ne pensi?”.
Parla come se fosse un vero leader, deciso e democratico.
Mi fermo e mi volto anche io verso Daryl per vedere la sua reazione. Lui mette una mano sulla spalla di Carl e fa un cenno di assenso. “Va bene, amico” gli dice, e poi insieme vengono verso il pick-up.
Mi avvicino allo sportello del guidatore e sento la voce di Daryl dietro di me, quasi divertita.
“Cosa credi di fare?” mi chiede.
“Guidare”.
“No”.
“No? Mi stai prendendo in giro? Tu non sei in grado di guidare con quella ferita” gli dico, severa.
“Tu sei troppo scossa, non ti lascerò guidare” mi dice, mentre mi sposta delicatamente dal fianco dello sportello per cercare di aprirlo e salire al posto di guida.
“Guido io!” dice Carl, dietro di noi.
Io e Daryl ci giriamo a guardarlo nello stesso momento. Le nostre facce devono essere davvero molto perplesse perché lui ci guarda con un'espressione strana.
“Oh andiamo! Lo so benissimo che ho un occhio solo, ma tutti voi mi avete insegnato a guidare, in questi mesi. Non faccio così schifo, no?” chiede, soprattutto rivolto verso Daryl. Anche lui, insieme ad altri, ha insegnato a Carl come guidare.
Daryl lo fissa per qualche secondo, poi si allontana dallo sportello. “Guiderai solo fino al centro residenziale, poi vedremo” gli dice.
Il pick-up è fornito solo di tre posti nell’abitacolo, quindi Tracy e Cody si sono seduti sul retro, con le schiene contro l’abitacolo, tra gli zaini e alcune cose che abbiamo recuperato, da portare a casa.
Carl è salito al posto di guida e Daryl è già seduto affianco a lui nell’abitacolo, li sento parlare.
Prima di salire a mia volta, mi appoggio sul retro del pick-up e mi rivolgo ai ragazzi. “Il viaggio per tornare a casa nostra sarà abbastanza lungo. Resistete, e se avete bisogno di qualcosa non esitate a chiedere”.
“Grazie, signora” dice Tracy. “Lei si chiama Carol, vero? Mi pare che Carl abbia detto il suo nome quando eravamo legati laggiù”.
“Si, esatto” le dico, con un piccolo sorriso. Sto per salire sul pick-up, quando sento la mano di Tracy sopra la mia. Mi riaffaccio sul retro, in attesa che parli.
“Suo marito è veramente una forza, sa? Ci ha salvati lui da quella prigione” mi dice, con ammirazione.
Io sorrido. Non mi pare davvero il momento di stare qui a chiarire il fatto che io e Daryl in realtà non siamo sposati, quindi l’unica cosa che posso fare è annuire e risponderle.
“Lo so”.

Abbiamo raggiunto la nostra auto al centro residenziale.
Abbiamo caricato il bagagliaio di tutti gli zaini e le varie provviste recuperate.
Siamo in marcia verso casa, adesso. Io e Carl abbiamo fatto a turno per un po’ alla guida, sempre sotto l’occhio vigile di Daryl.
Daryl, che ora è seduto affianco a me sul sedile del passeggero, dorme profondamente. La sua mano ancora poggiata sul mio ginocchio destro, dove la teneva stretta prima di crollare addormentato. Mi fa piacere che dorma, vuol dire che si sente al sicuro, che è tranquillo.
So già che, quando saremo a casa, mi chiederà di parlare con lui di quello che è successo ieri con Michonne, di quello che è successo oggi, dentro quella casa. Mi chiederà, nel suo classico modo silenzioso e assolutamente non invasivo, di aprirgli la mia mente e i miei pensieri. E so già che non potrò dirgli di no, che non ci riuscirò, e che non riuscirò semplicemente a voltarmi e ad andarmene, perché lui insiste sempre con me, sempre, e vuole assicurarsi che io stia bene.

Anche Tracy e Cody dormono, sul sedile posteriore.
Non sappiamo niente di questi ragazzi. Quando arriveremo a casa, mi aspetto che qualcuno venga a dirci che non siamo stati attenti e che dovevamo lasciarli al loro destino.
Ma per un giorno lo abbiamo condiviso, il destino, e questo è bastato, sia me che a Carl, per aiutarli.

Il sole sta tramontando e il mio sguardo va allo specchietto retrovisore.
Cerco gli occhi di Carl. Mi aveva detto che si sarebbe rimesso alla guida prima del calar del sole, ma a quanto pare si è addormentato anche lui.
Non ci credo, sono circondata da persone che dormono. Beh, comunque tra non molto mi fermerò e lo sveglierò, perché anche io sono stanca morta.
Guardando di nuovo nello specchietto mi viene da sorridere, e mi torna in mente una cosa, un dettaglio.
Finalmente Carl si è guadagnato il suo posto sul sedile posteriore, senza giocare a ‘Carta-Forbice-Sasso’ con nessuno.
 
   
 
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