Quarto
Capitolo
Come
quando fuori pioveva e tu mi domandavi
se per caso avevo ancora quella foto
in cui tu sorridevi e non guardavi.
Ed il vento passava
sul tuo collo di pelliccia e sulla tua persona
e quando io, senza capire, ho detto sì.
Hai detto "È tutto quel che hai di me".
È tutto quel che ho di te.
(Rimmel,
De Gregori)
È
trascorso un giorno.
Una
ragazza è venuta a vederlo: lo ha toccato, ha osservato le
orecchie, gli ha
scoperto i denti. Poi gli ha sorriso. Lui ha sollevato la coda con
indolenza,
tentando di rispondere al suo saluto, ma alla fine l’ha
lasciata cadere sul
tappeto ed è rimasto fermo.
«Cosa
ne pensi?» chiede Lilli, inginocchiata vicino a lui.
Riconosce
uno strano tono nella voce, quella titubanza con cui Marta parlava alle
sue
amiche quando andavano a trovarla. Come se cercasse
l’approvazione dell’altra…
«Ha
mangiato?»
«Non
ha toccato niente. Ha solo bevuto» risponde Lilli poggiando
le mani a terra.
«Portiamolo
in laboratorio» continua la giovane. «Dobbiamo
vaccinarlo.»
Lilli
non sembra contenta. Rimane ferma, posando le dita sul suo muso, come
se
volesse proteggerlo.
«E
se fosse già stato vaccinato? No, è
rischioso.»
La
ragazza si alza con fare sicuro. Lui riconosce l’odore di
altri cani, un odore
che in un momento diverso lo avrebbe spinto ad alzarsi per annusarla.
«Vacciniamolo
e basta. Si fa così. Non è rischioso,
Lilli.»
Sono
sole con lui, sempre se si esclude la presenza del gatto, costante, che
lo
osserva come se fosse una cosa brutta e pericolosa.
«E
per il resto?» insiste Lilli, facendo forza sulle ginocchia
per tirarsi in
piedi.
«Sembra
sano. Dobbiamo solo riuscire a farlo mangiare.»
Sono
altrove, ora. In una stanza piastrellata di bianco, odori che si
mischiano tra
loro, come se lì dentro fossero passati centinaia di animali.
Lui
non può fare a meno di sollevare il muso e sentire.
Sente
odore di urina di gatto, in parte coperta dall’alcool, un
barboncino che ha
lasciato alcuni peli vicino al banco d’acciaio, e altri,
altri ancora. Se solo
volesse, potrebbe riconoscere ogni animale annusato in quella stanza,
ogni cane
che vi ha messo piede. La paura, quella stessa paura che ora sente
anche lui.
Ricorda
un posto simile, ricorda di aver tremato, di aver sentito dolore.
Ricorda di
essere stato messo in malo modo su un bancone freddo e grigio. Ce
l’ha davanti,
ora.
«Non
lo tieni?» chiede la ragazza a Lilli.
Lui
si volta a guardarle, il battito accelera, il respiro si fa affannato,
cerca di
arretrare, la lingua a penzoloni.
«Sai
che non vuole…»
«Già.
Papà non voleva che lo sposassi.»
«Sandra!»
grida Lilli, facendolo agitare ancora di più.
«È
la verità, Liliana. Lo sai bene. Se non avessi sposato lui
le cose sarebbero
andate diversamente.»
Sente
la porta chiusa dietro di sé, la sfiora con la coscia mentre
le osserva. Ha
paura, vuole andare via. Finalmente trova il coraggio di voltarsi e
prende a
grattare il legno bianco, scalfendolo.
«Fermo!
No, no!» grida ancora Lilli, ma è Sandra quella
che lo raggiunge.
Lo
afferra per il collare, quello di stoffa grigia che gli ha comprato
Lilli
quella mattina, e lo tira verso il bancone.
Sa
già cosa sta per accadere…
Presto
lo isseranno sul freddo acciaio. Presto perforeranno la sua pelle, come
è già
successo in passato.
E
infatti accade.
Sandra
stringe il collare e pone un braccio intorno alla sua pancia. Quasi non
si
accorge di essere lassù, dove non voleva andare. Lilli lo
raggiunge mentre si
sdraia sulle zampe.
«Stai
tranquillo…» sussurra Lilli, stringendo la sua
testa contro il petto. Sente la
mano di lei sul ventre, e capisce di non poter più fuggire.
Tira
fuori la lingua, respira con affanno, trema. Sente il cuore scoppiare,
è troppo
veloce, troppo veloce… E Sandra si avvicina, Sandra e
ciò che stringe tra le
mani.
Tira
la testa indietro con forza, vuole andarsene da lì.
Perché Marta non lo porta
via? Ma Lilli usa entrambe le braccia per bloccarlo contro il suo corpo.
Eccola:
sta arrivando. Sandra è lì. Vede una mano
guantata di bianco percorrere il suo
corpo, la sente mentre tira un lembo di pelle. No, no, no, deve
scappare, deve
fuggire!
Spinge
sulle zampe per alzarsi, sente la forza di Lilli cedere, sa che
può farcela, sa
di poter essere libero. Solo uno sforzo…
«Fatto»
dice Sandra, allontanandosi da lui.
Lilli
allenta la presa, dandogli modo di approfittarne per alzarsi in piedi.
Ma è
scivoloso quel ripiano… È bagnato.
Ed
è stato lui a bagnarlo.
Se
ci fosse il suo padrone, ora partirebbero urla e rabbia.
Ma
Sandra e Lilli non sembrano accorgersene. Parlano tra loro, come se lui
non
fosse lì.
«E
ora?» chiede la donna con una punta di amarezza. Lo guarda,
incrocia i suoi
occhi, ma stavolta non gli sorride.
«Se
sei sicura di non tenerlo…»
«Sono
sicura» dichiara Lilli, distogliendo lo sguardo.
«Dobbiamo
trovare qualcuno. Altrimenti lo sai…»
«Cosa?»
«Canile.»
┌
“Se guardi
negli occhi il tuo cane, come
puoi ancora dubitare che non abbia un’anima?”.
(Victor
Hugo)
┘
Non
può crederci.
Tobia
non riesce a farsene una ragione.
Perché
Luna è andata via senza di lui? Non è uscita da
molto, sa che, volendo, può
ancora raggiungerla. Ma è quasi ora… e lui
è sicuro che il treno sia già lì ad
aspettarla. È sicuro che se le sue intenzioni fossero
davvero quelle di
seguirla, non riuscirebbe a correrle appresso. Si ritroverebbe in una
stazione
vuota, con treni che portano ovunque tranne che
dov’è lei…
Non
ce la fa.
Luna
lo farà impazzire un giorno o l’altro.
Perché deve sempre comportarsi così?
Come una bambina. Come se non lo sopportasse, come se volesse
fuggire…
Tobia
intasca il portafoglio, afferra le chiavi ed esce.
Non
può andare a lezione in quello stato, proprio no. Deve
respirare, calmarsi,
fare due passi pensando a cosa può essere successo.
Scende
le scale che portano fuori dal condominio dopo aver chiuso la porta a
chiave,
lo fa pestando i piedi sui gradini, come se il marmo fosse colpevole
della fuga
di Luna.
Ignora
ogni cosa che lo circonda: il mare, che ospita i vacanzieri, le grida
della
gente sulla spiaggia, il bar, il bar dove Luna non voleva mai entrare.
«Facciamo colazione a casa.»
E
per quanto Tobia si fosse arrabbiato in quell’occasione,
mettendo il broncio e
restando in silenzio, ricorda di aver provato una fitta allo stomaco
alla
parola “casa” detta da lei.
Percorre
il lungomare, lascia che il sale gli sfiori la pelle, e pensa, pensa
agli occhi
di Luna, quel colore vivo e quello sguardo selvatico. Sempre in lotta
con il
mondo.
«Perché no?» sono le
parole che meglio la
identificano, che più gliel’hanno fatta amare.
A
ogni cosa, a ogni obiezione, Luna risponde così.
E
Tobia non fa altro che lasciarsi convincere…
«Ciao!»
Sente
quel saluto quando, d’improvviso, si ritrova vicino alla
stazione dei treni.
Com’è arrivato fin lì? Ricorda solo di
essere uscito, di aver camminato con il
mare a fianco…
Solleva
gli occhi per guardare chi l’ha salutato e riconosce la
ragazzina che per tanti
anni ha vissuto vicino alla casa di sua madre. È circa un
anno che non la vede,
esattamente da quando lei e la sua famiglia si sono trasferiti in
città.
«Marta.
Come stai?»
Non
è sola, ma Tobia non ha idea di chi sia la giovane che
l’accompagna. Sa solo
che non gli piace, non gli piace il modo che ha di guardare, non gli
piace il
modo in cui stringe il braccio di Marta, come se volesse tenerla
inchiodata lì,
come se fosse un cane al guinzaglio.
«Bene»
risponde Marta con un sorriso. Ma Tobia lo vede spegnersi quando
incontra gli
occhi della sua amica. «Come state nel ponente? Ancora tutti
interi?»
«Interissimi.»
«E
casa mia? La trattano bene?»
Tobia
sfrutta quell’incontro per distrarsi.
«Sì.
Le rose di tua madre ci sono ancora.»
Marta
sorride. È alta quasi come lui, ed è allora che
Tobia si rende conto che non è
più una ragazzina. Osserva i capelli lunghi e biondi, lisci
come seta, e
ricorda di non averglieli mai visti sciolti.
Poi
un’idea gli attraversa la mente… I capelli rossi
di Luna, il modo in cui le
incorniciano il viso, in cui le fanno risaltare gli occhi. Il modo in
cui
sembrano dar vita alle sue passioni.
Tobia
sa che se Luna fosse con lui, quella conversazione avrebbe vita breve.
Luna
odia gli sguardi opprimenti, e l’amica di Marta non fa altro
che guardarlo in
quel modo.
Non
sa perché, o forse lo sa e incolpa Luna, ma Tobia sente di
non voler restare a
parlare. Osserva l’orologio.
«Ti
saluto, Marta. Magari capiterà di rivederci.»
«Oh,
ma io ti ho visto tempo fa… Ero al parco con il mio cane e
ti ho visto passare
con una ragazza. Aveva i capelli rossi.»
Luna.
«Mi
sembravate arrabbiati… Così non mi sono
avvicinata.»
Tobia
sorride con imbarazzo, come se non ricordasse perfettamente quel
momento. Ma
invece sa ogni cosa, ogni parola che ha innescato il nervosismo di
Luna, ogni
gesto che ha fatto lui per inseguirla e farsi perdonare.
«Alla
prossima, allora.»
La
lascia sotto i portici e scende le scale della stazione.
Quell’incontro lo ha
lasciato perplesso… Luna, il cane, l’incontro con
Marta. Sa che se non fosse
uscito quella mattina non l’avrebbe vista, sa che se Luna
fosse stata con lui
Marta non lo avrebbe nemmeno salutato…
Sa
troppe cose, e l’unica che gli interessi adesso è
conoscere l’orario del
prossimo treno diretto da lei.
Cerca
la tabella con gli orari e, quando la trova, è deluso.
Mancano
tre ore al prossimo treno. Sembra quasi impossibile…
Decide
di uscire per camminare un po’, per respirare
quell’aria che, ora, non ha la
possibilità di condividere con Luna.
Pensa
a Marta e alle differenze che ha con lei… Sono due opposti.
Marta è sempre
stato un tipo solare, ubbidiente, facile da sottomettere. Mentre Luna,
la sua Luna, è viva come
i suoi capelli
rossi, infuocata di passioni, ribelle come i suoi occhi.
Marta
invece li nasconde sotto il rimmel, e Tobia ha il sospetto che sia
stata la sua
amica a spingerla a usarlo.
Raggiunge
la piazza e si allontana dalla stazione. Passa davanti
all’università, cammina
a passo lento e costante verso la salita che lo porterà a
vedere l’intera
città, e che gli farà abbracciare
l’intero mare.
Passa
davanti allo studio veterinario dove Luna lo aveva portato per
convincerlo a
prendere un cane.
«Parlare con un medico ti farà bene.
Vedrai
che risponderà a tutti i tuoi dubbi.»
E
Tobia l’aveva seguita senza sapere cosa chiedere.
Era
stata lei a fare tutto.
Osserva
la scritta sullo studio, le iniziali S.
Birillo del medico veterinario, impresse in nero su una targa
dorata. Non è
ancora orario di visite, eppure la porta si apre davanti a lui.
Quello
che gli si para davanti è un cane sconvolto…
«Salve»
lo saluta una ragazza con i capelli bruni. E Tobia la riconosce:
è con lei che
ha parlato. «Ha bisogno?»
Tobia
si sposta per farla passare, per farle
passare: dietro alla ragazza c’è una donna, ed
è lei a tenere il guinzaglio del
cane. Sente una gran nostalgia di Luna… Se ci fosse lei, ora
si chinerebbe ad
accarezzare l’animale e, forse, lo aiuterebbe a sentirsi
meglio.
«No,
io…»
«Ma
non ci siamo già visti?» insiste la veterinaria.
«Aspetti… lei ha una cocorita,
giusto?»
Tobia,
come guidato dallo spirito di Luna, allunga una mano tremante verso la
testa
del cane.
Luna non farebbe
così,
si dice. Ed è la verità: Luna si lascia annusare
prima di accarezzare. Sempre.
«No…
Sono venuto a chiederle informazioni sui cani.»
«Ma
certo! La ragazza con i capelli rossi!» la veterinaria
sorride prima di
volgersi verso la donna che è con lei. «La sua
ragazza voleva a tutti costi
fargli prendere un cane.»
Tobia
sente le guance in fiamme.
La sua ragazza.
«No,
noi… noi non stiamo insieme» sussurra in modo
impercettibile.
«Non
è con te?» La veterinaria passa a dargli del tu, e
Tobia non trova il coraggio
di ripetere quel chiarimento. «Magari lei potrebbe
aiutarci.»
Tobia
solleva gli occhi, rendendosi conto che in quel breve tempo in cui si
è
separato da Luna, ogni cosa nell’universo si è
mosso per portarlo da lei.
«Che
genere di aiuto?»
«Qualcuno»
interviene la donna, facendo un passo oltre la soglia.
«Qualcuno che si prenda
cura di lui. L’ho trovato per strada.»
Tobia
segue lo sguardo della donna e osserva il cane. Sembra stanco, debole,
sembra
che stia male. Chi mai lo prenderà? Nessuno, e in canile ci
sarà un cane in
più.
Se
Luna fosse con lui, ora Tobia sentirebbe tremare la terra sotto i
piedi, e la
voce di Luna giungere fino in cielo.
«Non
ho mai avuto un cane» confessa Tobia, studiando gli occhi
grigi dell’animale.
Un’idea lo pervade. Un’idea geniale.
O
molto stupida.
«Io…»
Sente l’indecisione farsi sempre più spazio dentro
di lui, ed è quel momento di
incertezza a spingerlo a fare il passo. Un passo oltre
l’abisso. Presto non
avrà più terra sotto i piedi, e ne
sarà pentito. «Potrei
provare…»
«Davvero?»
mormora la donna, scrutandolo torva. Non sembra fidarsi di lui.
«Lilli,
è fantastico! Lui sarà perfetto!»
«Perfetto?
Non mi sembra molto sicuro…»
Tobia
resta a testa china mentre parlano di lui. Sa di aver sbagliato, ma
forse è
ancora in tempo per tornare indietro.
«Ma
non sarà solo, Lilli! C’è la sua
ragazza, lei ama i cani, li ama.
Lasciatelo dire.»
«No,
sentite…» Tobia scuote la mano per bloccarle.
«Ha ragione lei, io non sono
nemmeno sicuro di quello che sto facendo. Non ne ho mai
avuti… No, è proprio
meglio di no.»
La
veterinaria afferra il guinzaglio del cane e lo passa a Tobia. Sembra
fare
piccoli saltelli, e lui capisce che è dalla gioia.
«Sì,
sì, invece! Perfetto, è perfetto. Sarai un ottimo
padrone, ne sono sicura.
L’incertezza è normale, e anzi, è un
buon segno: significa che temi di non
essere bravo. Per questo lo sarai.»
Tobia
sente la stoffa ruvida del guinzaglio tra le dita e si sente oltre il
bordo del
precipizio. Sta cadendo, e nessuno, nemmeno Luna, riuscirà a
salvarlo.
«No,
vi ho detto di no. Ho cambiato idea.»
Fa
l’atto di riconsegnare il guinzaglio a Lilli, ma la
veterinaria lo ferma. Ha un
sorriso enorme, e denti grandi e bianchi, più lucidi di
quelli di chiunque lui
conosca.
«Prendilo»
mormora con dolcezza, senza il minimo segno di alterazione.
«Non te ne
pentirai, fidati di me.»
«Ma
nemmeno la conosco…»
La
ragazza gli fa cenno di accucciarsi e lo imita. Solleva il mento del
cane con
due dita e gli impone di guardarlo negli occhi.
«Se
vuoi dire di no, devi dirlo a lui. Non a noi.»
E
Tobia guarda.
Entra
negli occhi grigi e tristi, e persi, entra nel suo mondo fatto di
abbandono, di
ricordi, di una casa che non vedrà più, di
qualcuno che non lo cercherà più.
Che non pronuncerà più il suo nome, che non lo
chiamerà nel freddo e nella
pioggia per offrirgli un riparo. Qualcuno che è da
un’altra parte, lontano,
troppo lontano per vederlo. Per vedere come sta soffrendo.
Per
capire come l’ha ridotto.
Tobia
sente gli occhi farsi umidi mentre vede lo spettro del suo viso nelle
iridi del
cane. È un volto scuro, tondeggiante, come se ogni
lineamento di Tobia fosse
visto in modo sbagliato dall’animale.
E
per ultimo, nello sguardo di lui vede ancora una cosa.
La
più importante, la più vera.
Vede
Luna.
«E
va bene. È mio.»
Anche
Lilli sembra felice ora, forse si fida molto della veterinaria. Forse
si era
già affezionata al cane.
Cosa
dirà Luna quando saprà? Lo perdonerà?
Tornerà da lui?
Non
vuole aspettare, vorrebbe averla lì a disposizione, pronta
ad ascoltare ogni
sua parola, a vedere quell’umido che gli ha offuscato gli
occhi.
«Posso
lasciarti il mio numero?» chiede Lilli. «Mi
piacerebbe rivederlo.»
Tobia
pensa a Luna, al modo di farle sapere. Poi decide, poi capisce cosa
deve fare.
«Dite
che avrà paura a viaggiare in treno? Non mi conosce
nemmeno.»
Lo
dice senza pensare di rispondere a Lilli, come se fosse ovvio che si
rivedranno. In fondo lei lo ha trovato, è stata lei a
portarlo da lui, a farli
incontrare.
«In
treno? Dove devi andare?» chiede ancora Lilli.
«Posso portarti io. Oggi non
lavoro.»
Sarebbe
una cosa stupenda, Tobia lo comprende subito. In auto farebbe prima, in
auto
arriverebbe prima. La lascerebbe di stucco, senza parole, senza fiato.
«Davvero
mi accompagnerebbe? Ma è lontano…
Un’ora di autostrada.»
«Come
ti chiami?»
«Tobia.»
Lilli
sorride, mentre la veterinaria li osserva.
«Bene,
Tobia. Guidare non mi dispiace. E, sinceramente, non contavo di trovare
un
padrone così presto. Ero pronta a mettere annunci su
internet… anche a
percorrere mezzo paese in auto pur di trovargli una famiglia.»
«Non
so come ringraziarla…»
È
la veterinaria a fermarli, prima che possano avviarsi verso il
parcheggio.
Solleva l’indice, come se fosse ancora a scuola, e fa la sua
domanda.
«Come
lo chiamerai?»
Tobia
non ha esitazioni. Sceglie quel nome perché lo associa a
Luna, alle sue
passioni letterarie, alle poesie che legge sempre durante le lezioni.
Non sa
come gli sia venuto in mente, ma è perfetto, perfetto per
lui, per loro. Per
Luna.
«Myricae.»
Questa
volta Tobia stringe il guinzaglio con forza, come se fossero le redini
che lo
porteranno fino a Luna. E sa che, per quanto abbia cercato di
convincersi di
aver accettato per lei, per essere all’altezza di lei, il
vero motivo è quello
di essersi lasciato ammaliare da quegli occhi e dal mondo che hanno
visto.
Un
mondo che Tobia non gli farà mai più ritrovare.
┌
La grande gioia di
avere un cane è quella di poter
fare l’idiota davanti a lui:
non soltanto non ti rimprovererà, ma anche lui
farà lo
stesso.
(Samuel Butler)
┘
È
stata una sfortuna, questo lo ha capito subito. Ora deve ascoltare le
lamentele
della sua amica, le sue critiche al modo di vestire di Tobia, le sue
domande
riguardo alla gente che frequentava nel ponente.
«Non
dirmi che sono tutti così grezzi…»
insiste Anna, grattando via un poco di
rossetto con i denti.
«No,
avevo molti amici. Brave persone» cerca di giustificarsi
Marta, mentre prendono
la strada che porta all’università. Vanno
lì spesso, ogni volta che Anna vuole
vedere il ragazzo che le piace.
È
uno grande.
«Lui
era solo il mio vicino» spiega Marta. «Andavo alle
elementari quando ha preso
il primo motorino… È vecchio per essere mio
amico.»
Lo
dice con decisione, sperando che Anna la smetta di farle domande, di
parlare di
lui.
Salgono
i primi gradini dell’ateneo, sperando, quasi pregando, che
Giacomo stia per
uscire. La prima a notarlo è Anna che, dimentica di Tobia,
prende a emettere
gridolini.
Marta
vede solo il pacchetto di sigarette uscire dalla sacca di Giacomo, le
mani che
ne aspettano una, il colpetto che serve a invitarla a uscire.
«Come
va?» chiede Giacomo con la sigaretta in bocca. È
ancora spenta, ma a Marta
viene una gran voglia di fumare.
Lui
sembra intuirlo, e forse è per quello che gliene offre una.
Non può fare altro
che accettare, sperando che i suoi genitori non se ne accorgano.
Finora
le è sempre andata bene, ma sa che prima o poi la
scopriranno.
«Hai
un profumo nuovo?» chiede Giacomo chinandosi sui suoi
capelli, quasi sopra al
collo.
No,
vorrebbe rispondere lei. È lo stesso che aveva quando lui
era ancora con lei,
quando lui scappava vedendola indossarlo. I cani non amano i profumi,
questo lo
aveva capito grazie a lui.
«Figurati»
risponde Anna al posto suo, con una vena di sarcasmo nella voce.
«Usa sempre il
solito…»
Marta
riconosce la gelosia nei suoi gesti e si allontana.
Sa
di non poter parlare, di non potersi quasi muovere quando è
con Anna. Non vuole
essere giudicata, vorrebbe solo diventare pari a lei…
Comportarsi come lei,
parlare come lei, essere guardata come
lei.
Ma
non può.
Non
può essere se stessa, non può essere vera.
Non
le importa: sa che è un passo essenziale per somigliare ad
Anna.
Eppure…
eppure un tempo c’era qualcuno con cui poteva essere se
stessa. Qualcuno che
non c’è più.
Il
suo cane.
┌
Vivere un cane fin
da cucciolo è un’esperienza, Luna
lo sa bene.
Ma salvarlo, proteggerlo e giurargli amore eterno è
meglio.
Anche se fosse il suo ultimo giorno…
┘
E
qualcosa rimane,
fra le pagine chiare e le pagine scure,
e cancello il tuo nome dalla mia facciata
e confondo i miei alibi e le tue ragioni,
i miei alibi e le tue ragioni.
(De
Gregori)
Mi ritrovo qui, a scrivere note, dopo mesi dall'ultima pubblicazione... Non so se qualcuno torni a leggere questa storia, di tanto in tanto, ma è giusto che ringrazi le persone che l'hanno fatto, quelle che l'hanno seguita, recensita, apprezzata... le persone per cui ho deciso che Myr dovrà presto tornare. Perché la storia non è e non può essere finita, perché è molto importante per me, legata a un evento e a qualcuno a cui tengo moltissimo. Perché è la mia piccola, e non voglio abbandonarla.