Lo Specchio delle Anime.
Quant’è bella giovichezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman
non c’è certezza.
Atto IX – Parte I
Il Trionfo di
Bacco ed Hermione.
Superato il primo
momento di shock, ad impedirle di crollare in un angolo del corridoio alla
ricerca disperata di ossigeno fu l’improvvisa vibrazione del cellulare che
teneva nascosto nella giarrettiera, ridotto in modo da non essere subito
riconoscibile.
Lo spavento fu tanto
che per poco non si mise ad urlare, mandando all’aria tutta la sua copertura.
Dovette fare più di un tentativo, prima di riuscire a recitare l’incantesimo e
farlo tornare delle giuste dimensioni.
Ginny.
Il terrore che fosse
successo qualcosa ad Harry, che le sue condizioni fossero improvvisamente
peggiorate, le fece tremare le ginocchia, allontanando definitivamente quello
strano miscuglio emotivo provato a causa di Malfoy.
«Cos’è successo?». Non
c’era tempo per i saluti e decisamente non c’era tempo per nascondere la
preoccupazione dietro una falsa tranquillità. «Ginny, come sta? È successo
qualcosa di grave? Se mi hai chiamata durante la missione…».
«Oh, Hermione cara».
Si fermò, sentendo il
sangue improvvisamente ghiacciato nelle vene. Non era Ginny, al telefono.
Era la signora Weasley.
«Cosa vuole? Dov’è
Ginny?» le sibilò, guardandosi per un momento intorno e trovando il
nascondiglio perfetto dietro una statua dall’aria incredibilmente antica. «Cosa
accidenti crede di fare?» aggiunse,
trattenendosi a stento dal mettersi ad urlare come un’isterica.
Al mondo esistevano
poche cose capace di ridurla in quello stato. Fra queste, le prime erano Ronald
Weasley e sua madre.
Soprattutto sua madre.
«Oh, cara… sono venuta a trovare Harry, naturalmente!» il tono della
donna era melenso, carico di una preoccupazione che sarebbe suonata sincera
alle orecchie di qualcuno che non l’avesse conosciuta prima della Guerra. Ma
non ad Hermione, che riconobbe ogni inflessione forzata. «Ginevra è andata in bagno, così ho pensato di chiamarti…».
«Ginny lo sa che lei è lì?» le chiese quindi,
presa da un dubbio. Conosceva troppo bene la sua migliore amica, difficilmente
avrebbe voltato le spalle a lei o ad Harry in quel modo. Non dopo che sua madre
l’aveva trattata in quel modo.
Un silenzio assoluto
seguì alla sua domanda, confermando la sua teoria. Che quella donna avesse
intenzione di fare qualcosa? Che avesse un piano? Forse avrebbe potuto
sfruttare il momento di debolezza di Ginny per farle un incantesimo e
modificarle la memoria. Oppure avrebbe ucciso Harry, arrivando nel momento migliore per far vedere alla sua
ultimogenita quanto fosse pentita del
suo stesso comportamento.
No, si disse Hermione. I
malati di mente non possono pianificare così bene.
«Si allontani
immediatamente da quella stanza, lasci stare Harry e Ginny» sibilò al telefono,
cominciando a calcolare quanto tempo avrebbe impiegato per smaterializzarsi a
Londra, cacciarla personalmente e tornare indietro per continuare la missione.
«Diversamente da te, io non abbandono i membri della mia famiglia!»
le rispose la donna, con voce stridula – la stessa voce che aveva usato quel giorno – ansimando alla cornetta
come se qualcuno l’avesse costretta a correre una maratona. «Per questo ti ho chiamata! Presto lui
tornerà e si aspetterà di trovarti… devi tornare indietro!».
Quelle parole fecero
defluire tutto il sangue dalla sua testa, rischiando di farla svenire in mezzo
al corridoio.
Lui tornerà.
No, era impossibile.
Harry se ne era occupato personalmente, lui non sarebbe mai più tornato in
Inghilterra e non l’avrebbe più avvicinata. Mai.
«Ronald non tornerà e
certamente non avrà modo di parlare con me» le rispose, schiarendosi la voce
per impedire a se stessa di suonare troppo debole. «Io non ho alcun motivo per
tornare indietro».
La signora Weasley
rise, dall’altra parte della cornetta.
«Ah, così ingenua! Chi mai potrebbe volerti? Ron è l’unico, l’unico! Nessuno vorrà mai avere a che fare con te!»
la sua voce era crudele, come l’ultima volta che le aveva rivolto la parola.
Una voce crudele che non somigliava affatto a quella della donna che, per anni,
era stata una seconda madre sia per lei che per Harry.
Molly Weasley era
morta e ciò che era rimasto di lei svaniva dietro una malattia mentale che la
stava consumando.
Il ricordo di ciò che
era successo poco prima, in camera da letto, aiutò Hermione a non cadere nel
vortice dell’autocommiserazione, come invece era successo anni prima, quando
soltanto il dottor Crave era riuscito ad impedirle di sparire in un’ombra che
proveniva dall’interno del suo cuore.
«Meglio sola che con
Ronald» le rispose, secca, pronta a continuare con la sua invettiva, ma
un’altra voce, furiosa, le impedì di continuare.
«Cosa cazzo credi di fare? Dammi il mio
telefono e sparisci!». Ginny era tornata e, come previsto, non era stata
affatto felice di aver trovato sua madre lì. «Hermione? Oh, tesoro! Ti ha infastidita? Ti ha disturbata, eri in
missione…».
Il sollievo sembrò
liberarle il petto da un peso che neppure aveva compreso di sentire.
«Va tutto bene, Gin.
Tua madre non può più farmi soffrire». Si rese conto quanto fossero vere,
quelle parole, soltanto quando le pronunciò. Quel peso sul petto era rimasto
con lei per tanto, tantissimo tempo, ed una volta sparito era riuscita a
comprendere quanto l’avesse fatta stare male.
Non era sciocca,
sapeva benissimo che presto o tardi la ferita si sarebbe riaperta.
Ma non in quel
momento.
Non quando aveva una
missione da compiere.
«L’ho mandata via. Ho chiesto all’infermiera di impedirle di tornare in
questa parte dell’ospedale. Non temere, non si avvicinerà a nessuno di noi».
Hermione sospirò,
pizzicandosi la radice del naso con la punta delle dita. «Non preoccuparti, va
tutto bene. Adesso io vado, ho del lavoro da fare» le disse, raddrizzando le
spalle. La consapevolezza del luogo in cui si trovasse, del rischio che
stessero correndo sia lei che Malfoy, le fece tremare le ginocchia.
«Naturalmente. Buona fortuna, Herm».
«Verrò a trovarti
presto, non temere».
***
Quando aveva imparato
l’incantesimo di Disillusione, si era stranamente convinta che fosse l’unico
modo per rendersi parzialmente invisibili senza l’aiuto di un mantello
dell’invisibilità. Probabilmente era stato a causa di Harry e del regalo di suo
padre se non si era mai impegnata al riguardo, ma, fortunatamente, si era
ritrovata con le spalle al muro più di una volta, dovendo ricorrere a libri
particolarmente complicati ed antichi per trovare una soluzione a quel problema
che tanto la angustiava.
Un mantello dell’invisibilità
comune avrebbe potuto sparire sotto la pressione di un qualsiasi Incanto di
Rivelazione, le serviva qualcosa di più forte.
Incanto Tenebrae.
La sensazione che
provò la fece rabbrividire. Pronunciare quell’incantesimo le ricordava
moltissimo il gelo seguito all’immersione in una vasca piena di ghiaccio. Era
un freddo secco, penetrante, capace di raggiungere il nucleo delle ossa e
renderle un ammasso di ghiaccio morto.
L’abbraccio della tenebra, il buio dell’inesistenza.
Camminare con la
consapevolezza di essere diventata nulla
le riuscì incredibilmente facile, quasi non se ne rese conto. La prima volta in
cui l’incantesimo aveva avvolto il suo corpo, aveva dato di stomaco e si era
accasciata al suolo, incapace di muovere un solo muscolo finché non era stata
messa alla magia. Sentirsi nulla, un’anima e nulla di più, era qualcosa che
pochi riuscivano ad accettare e sopportare.
In quel momento, dopo
essere stata nulla per mesi, Hermione
non aveva più paura.
I corridoi della nuova
ala della villa erano quasi totalmente deserti, meravigliosi nelle loro
decorazioni antiche e nella bellezza dei lampadari lucenti. Ad Hermione
ricordarono molto le abitazioni di molti dei Mangiamorte sotto copertura che
aveva interrogato negli anni precedenti, così perfette da far quasi male agli
occhi. La perfezione di una vita che era solo una copertura, il sorriso dietro
cui si celavano gli orrori accantonati nei bui sotterranei.
Casa sua non sarebbe mai stata così perfetta.
Villa Aura non aveva
dei sotterranei, però. Hermione non dovette scendere delle scale di pietra,
sentendo il freddo aumentare ad ogni passo verso l’oscurità dell’ignoto. Lei
continuò a camminare lungo il corridoio, osservando i quadri rinascimentali
diventare degli arazzi di fine trecento e quelli, a loro vota, vasi di ceramica
risalenti ad un’era in cui l’Italia, potenza mondiale, era culla della più
grande fra le civiltà. I lampadari di cristalli sparirono, la strada venne
illuminata soltanto da candelabri antichi. Il fresco profumo dell’autunno, che aveva
pervaso le nuove stanze grazie alle finestre spalancate, stava cedendo il passo
ad un odore forte, di incenso e vino unito all’inconfondibile aroma tipico
delle antiche dimore.
Qualcosa di primitivo
esisteva in quell’ala della casa. Qualcosa che stonava terribilmente con la
vita che continuava a fluire fuori dalle mura.
Era come esser stati
catapultati in un’altra era. Un’era in cui giusto e sbagliato si confondevano
dietro l’apparente ordine delle divinità che camminavano fra gli uomini, in cui
niente era impossibile e la magia era libera di fluire per il mondo senza
doversi nascondere.
I primi rumori
giunsero quando svoltò per la terza volta a sinistra. Qualcuno stava suonando
uno strumento a corde – un’arpa, forse? – e qualcun altro dei flauti, un paio
di donne cantavano in una lingua che Hermione aveva già sentito, ma che non riusciva
ad identificare, non a quella distanza. L’odore di incenso ed alcol si fece più
forte.
Dopo aver svoltato per
altre due volte a destra, seguendo la musica, i rumori divennero più semplici
da distinguere. Non erano due donne, a cantare, ma una sola accompagnata da un
uomo. Il tono di quest’ultimo era troppo alto ed Hermione ricordò,
improvvisamente, l’usanza di evirare i giovani affinché potessero mantenere una
voce candida e pura per il resto della loro vita. Usanza barbara, forse, ma
comprensibile nell’ottica di un mondo in cui la persona spariva dietro la
necessità di esaltare il Bello e la Perfezione delle divinità.
Insieme al canto,
però, c’erano anche altre voci ben distinguibili, da quella distanza minima.
Lingue diverse si
intrecciavano fra loro, sussurri sensuali che strisciarono sulla pelle della
strega come le carezze di un amante capace, ansimi e gemiti le riempirono le
orecchie, facendola arrossire.
Baccanti, aveva detto Malfoy.
La fama li precedeva,
naturalmente. Adepti del dio greco Dioniso, erano pronti a rinunciare a
qualunque freno inibitore per festeggiare
le gioie della vita con il loro protettore immortale. Le storie narravano
di riti orgiastici conclusi con il sangue, di vergini private della virtù e del
senno per osannare il dio della follia.
Voltato l’ultimo
angolo e trovandosi davanti all’unica Sala Grande dell’Ala antica – specchio di
quella che era la Sala da Pranzo nella zona più recente – Hermione comprese
quanto fossero stati accurati i vecchi miti, parlando di scenari da bolgia
infermale.
Dopotutto, era da scene simili che il Sommo Poeta doveva
aver preso spunto.
La stanza era molto
ampia, senza finestre, con muri di pietra decorati dagli affreschi più antichi
che Hermione avesse mai visto in vita sua. Scene erotiche incredibilmente
dettagliate erano riprodotte in sequenza, come se, osservando i muri da
sinistra verso destra, fosse stato possibile individuare una storia diversa
rispetto alla semplice esaltazione dei sensi.
Ma le raffigurazioni erano nulla, rispetto ciò che stava
accadendo nella stanza.
Decine di persone – se
quei corpi nudi avvinghiati fra loro potessero esser ancora definiti come tali
– erano riverse al suolo, animati solo dagli scatti nervosi degli amplessi che
venivano consumati. C’erano maschere sugli stessi visi che Hermione, poco più
di un’ora prima, aveva visto durante la cena, animati da modi perfetti e
dall’arroganza che solo la nobiltà di sangue sapeva portare.
Non c’era arroganza,
in quella stanza. Non c’erano nobili, plebei o divinità.
Dalla sua posizione di
spettatrice, ancora invisibile ed ancora fuori dalla sfera di luce proiettata
dai bracieri della stanza, la strega comprese perché certi rituali fossero sempre
stati visti con diffidenza, nell’antichità.
Non si trattava del
sesso, naturalmente. La visione degli antichi, al riguardo, era sempre stata
molto più liberale rispetto a quella moderna.
Non si trattava
neppure degli alcolici, che riempivano coppe d’oro adornate di gioielli
preziosi e si riversavano sui corpi già sudati, aumentandole la lucentezza alla
luce del fuoco.
Era la follia.
Senza neppure
avvicinarsi, Hermione percepì il brivido dell’incoscienza attraversarle la
spina dorsale, l’adrenalina liberarsi nel sangue, il battito accelerato del
cuore. Tutti i suoi dolori iniziarono a svanire, la vista le si appannò come se
il suo cervello avesse iniziato a bollire e sciogliersi nella scatola cranica.
Seppe con certezza che
se avesse messo un solo piede in quella stanza, avrebbe perso tutti i suoi
freni inibitori e si sarebbe unita a quella follia devastante fatta di corpi,
gemiti e musica.
La musica.
Spinta da un ultimo
impulso di razionalità, Hermione sollevò lo sguardo dal pavimento della stanza
e puntò gli occhi sui musicisti. Un giovane uomo dai capelli scuri teneva fra
le mani un meraviglioso strumento a corda – una lira, probabilmente – e, al suo
fianco, un altro ragazzo dai folti capelli biondi suonava un flauto di Pan. In
un angolo sedevano i due cantanti, perfetti nella loro nudità, così presi dal
loro compito da non sembrare minimamente consapevoli di cosa stesse succedendo
ai loro piedi.
La Traccia.
Si trovava proprio
davanti a lei, nel muro opposto all’entrata, al centro. Una grande cornice
d’oro circondava uno specchio rettangolare, molto simile a quello già visto in
Germania, ma più rozzo, più antico. Corpi nudi decoravano i due estremi, atti
sensuali che si riproducevano dai muri alla realtà.
La superficie non
rifletteva nulla, si rese conto Hermione. Esattamente com’era successo in
Germania, lo Specchio non si stava comportando come tale, rimandando l’immagine
di un uomo che, lei lo sapeva, non c’era realmente nella Stanza.
Che fosse come con
Dante? Avrebbe dovuto avvicinarsi per parlargli, nonostante vi fosse il rischio
di perdere la ragione? La sua paura era abbastanza forte da impedirle di fare
il suo lavoro?
«Avvicinati, ragazza».
L’uomo nello specchio
le parlò, ma Hermione non vide la sua bocca muoversi. La voce provenne
direttamente da qualche parte dentro di lei, come se fosse stata la sua
coscienza. Improvvisamente riuscì a distinguerlo con incredibile nitidezza,
nonostante la distanza che la separava dallo Specchio.
I suoi capelli erano
ricci, lunghi, dello stesso colore dell’uva matura, adornati da tralci di vite
ed oro. I suoi occhi erano profondi, dello stesso colore delle ametiste più
pure. Le sue spalle erano larghe, il suo petto nudo muscoloso e perfetto.
Le ginocchia di
Hermione tremarono.
C’era un Dio davanti a lei.
«Vieni da me, ragazza». L’uomo allungò la mano, invitandola ancora
una volta ad avvicinarsi. La sua voce, ancora nella mente di lei, suonò chiara,
perentoria, ma incredibilmente sensuale. Una voce per cui lei avrebbe fatto
follie.
Hermione fece un
passo, poi un altro.
Infine, senza neppure
rendersene conto, si ritrovò al centro di quella bolgia infernale,
l’incantesimo di Tenebra completamente dissolto, ma lei non se ne curò.
I corpi si
attorcigliavano ai suoi piedi, qualcuno le sfiorò la caviglia, qualcun altro le
chiese di unirsi a loro. Ansimavano tutti, gemevano tutti. La follia dilagava
fra quegli esseri che erano diventati una sola carne, strisciava su di loro
come se fossero stati dei semplici fili per la trasmissione dell’energia.
Ma Hermione non aveva
occhi che per l’uomo nello Specchio.
«Vieni, bambina, vieni
da me».
Quella volta, la voce
arrivò dalla figura stessa, non da una parte remota della sua mente. Lei riuscì
a scorgere il movimento delle labbra, il sensuale brillio degli occhi
chiarissimi e dal colore impossibile. La bellezza dei suoi tratti le sembrò
ancora più ultraterrena, da quella distanza.
Dioniso o Bacco, non cambiava la sua natura. Padrone del
vino, dell’illusione e della follia.
Un passo, un altro
ancora.
Senza rendersene conto,
Hermione si ritrovò davanti allo Specchio, gli occhi spalancati nel desiderio
di poter assorbire la magnificenza di quell’immagine che le veniva donata.
L’uomo allungò la mano
verso di lei, attraversando il confine fra la realtà in cui lei stava vivendo e
quel mondo superiore da cui lui doveva provenire. Era una mano delicata,
perfetta, quasi puerile nella sua gentilezza. Non era la mano di un guerriero o
di un uomo forgiato da mille difficoltà. Era la mano di chi avrebbe preferito
l’amore alla guerra, un bicchiere di vino allo spargimento di sangue.
«Vieni, bambina,
lasciati andare».
Lasciati andare, piccola. Lo sai anche tu, sai bene di
volerlo.
Gelida, più di quanto
non fosse stato l’Incanto, la ragione tornò prepotente e prese possesso di ciò
che quella creatura aveva tentato di sottrarle. Arretrò di un passo, respirando
bruscamente e prendendo finalmente consapevolezza di cosa stesse effettivamente
succedendo.
I rumori della stanza
non erano neppure lontanamente invitanti come le era sembrato all’inizio, i
suoni che dipendevano dagli accoppiamenti furiosi erano disturbanti, i loro
versi disgustosi. Hermione si sentì male all’idea di aver camminato fra loro e
di esser stata toccata. Avrebbe dovuto farsi un bagno eterno, per pulirsi da
quel sudiciume.
L’uomo, però, restava
la creatura più bella su cui Hermione avesse mai poggiato lo sguardo. Ed anche
la più letale.
«Non ti piace perderti
nella follia, ragazza?» le chiese, divertito, osservandola mentre arretrava di
un passo, così da allontanarsi da lui, ma senza avvicinarsi troppo a lui. «Eppure
le persone venivano da me proprio per questo… per la pace».
«Questa non è pace»
disse Hermione, raddrizzando le spalle, dopo essersi schiarita la voce. Tornare
in se stessa le aveva mostrato quanto quell’ambiente avesse addormentato i suoi
sensi. Forse era stata la musica, forse l’incenso, ma qualcosa aveva alterato
le sue percezioni. Se la creatura non avesse fatto un passo falso, lei sarebbe
caduta vittima di un incantesimo sconosciuto. «Questa è solo un’illusione».
Una risata scosse la
creatura, prima che sparisse dal suo mondo nascosto nello specchio e
riapparisse al di fuori, reale come Hermione e tutti gli altri. «E cosa c’è di
male, nell’illusione della pace?» le domandò, girandole attorno.
Quando alzò nuovamente
la mano perfetta, il mondo di Hermione si oscurò per un attimo e lei si ritrovò
in un luogo dalla bellezza eccezionale.
Le mura di pietra
erano sparite, così come i corpi e la puzza soffocante di sudore, alcol ed
incenso. Era sola con quella creatura, improvvisamente vestita – come lui – di
drappi d’oro ed avorio, i capelli adorni di foglie di vite e gioielli al collo
e sulle braccia. Intorno a lei c’era tantissima luce, c’erano triclini coperti
di velluto, piatti colmi delle migliori prelibatezze.
Era un’illusione, nulla di più.
«Molto emozionante,
davvero, ma non riuscirai ad incantarmi ancora» gli rispose, con un po’ troppa
impertinenza, incrociando le braccia al petto. Forse si sentiva così tranquilla
perché poteva ancora percepire la pressione della bacchetta contro la coscia.
Forse era soltanto l’adrenalina ancora in circolo. In quel momento, avrebbe
affrontato qualunque ostacolo.
La creatura sorrise,
camminandole intorno come se fosse stato un leopardo pronto a lanciasi sulla
preda. In effetti, sulle spalle aveva drappeggiata proprio la pelle di
quell’animale, come un tragico memorandum della sua vera natura.
«Forse potrei rendere
questo mondo più appetibile, per te» propose quindi lui, sorridendo in modo
inquietante.
Un battito di ciglia e
davanti a lei si presentò Ronald Weasley in persona, nei suoi abiti migliori,
con un sorriso splendido e gli occhi colmi di speranza. A lei venne
improvvisamente da vomitare.
«Perché lui? Cosa
speri di ottenere? Ti assicuro che non provo alcun tipo di attrazione per
Ronald Weasley da anni» sbottò, seguendo tuttavia il giovane uomo con la coda
dell’occhio. La pressione alla bocca dello stomaco, quell’orrore
incommensurabile per ciò che le era stato fatto, le premevano sul cuore come
cemento. «Tutto ciò che voglio è farti a pezzi, ora più di prima».
La creatura con il
viso di Ronald rise, crudele. «Esattamente,
mia cara. Furia, passione… sono tutte facce della follia. Lasciati andare,
Hermione, sfoga le tue emozioni più profonde» disse, allungando una mano per
sfiorarle il viso, ma lei si spostò. «Pensa a ciò che ti ha fatto. Quanto tempo
è durata? Due, tre giorni? Oh, no, una settimana intera… una settimana-».
«Basta!».
Veloce, la bacchetta
di lei si ritrovò puntata alla gola della creatura dagli inconfondibili capelli
rossi. Aveva il respiro corto, il cuore che batteva all’impazzata. Sentiva il
sangue pompare in modo furioso nelle vene, un dolore lancinante alla testa. Si
era morsa il labbro, nel tentativo di resistere all’orrore, ed in quel momento
poteva sentire il sapore metallico sfiorarle la lingua.
«Così delicata,
Hermione» sussurrò lui, con dolcezza. «Non sei riuscita a reagire allora, cosa
credi che ti farebbe reagire, adesso?».
Nulla, avrebbe voluto rispondere lei. Se non era stata abbastanza forte quasi otto mesi prima, poteva sperare
di esserlo in quel momento, senza Harry?
«Stai lontano da me,
Mostro».
«L’hai detto anche a
lui, vero?» la creatura continuò a girarle intorno, gli occhi di Ronald
illuminati dalla stessa follia dei giorni dell’incidente. «Gli hai chiesto di
fermarsi, di smetterla… se lui non l’ha fatto, perché dovrei farlo io?».
Il primo colpo le sembrò quasi di averlo meritato.
L’ultimo la fece piangere di terrore.
Ronald Weasley era
stato tutta la sua vita, eppure non era stato sufficiente, per lui. Lei non era mai stata nulla, se non una
risorsa, una scusa. Un capro espiatorio.
Niente più di un cervello ingombrante, inadatto alla sua visione del futuro, in
cui lui sarebbe stato l’eroe. Niente
più che un bel faccino da presentare alla famiglia, all’occorrenza.
Era davvero soltanto
quello?
Il mio cervello riesce ad affascinare le persone, visto?
Non ho mai detto il contrario, mia cara.
Lei non era soltanto
un bel faccino, non era qualcosa di ingombrante.
Tutti i Corvonero ti odiavano, Granger. Tu eri la migliore
in tutto.
Non aveva bisogno che
lui fosse il suo eroe, che lui controllasse la sua vita. Il suo ego ferito non
l’avrebbe più toccata. Hermione non era da sola.
Questo non è il modo in cui avrei voluto baciarti per la
prima volta.
«Perché io non ho paura di te».
Fece un passo avanti,
fronteggiando nuovamente la creatura. Gli occhi azzurri di Ronald sembrarono
brillare di qualcosa di innaturale, rivelando, a causa della sorpresa, uno
stralcio della natura dell’essere che aveva rubato la loro forma.
«Sciocchezze» anche la voce cambiò, prendendo un tono stranamente
sibilante. La creatura non sembrò curarsene, nonostante i capelli rossi
avessero iniziato a ritirarsi verso il cranio e la pelle del viso, prima rosea,
avesse assunto un colorito bluastro. «Tutti
credono in me, tutti vedono in me la più grande delle loro follie». Il viso
dai lineamenti spigolosi si sciolse, lasciando un capo serpentino fatto di
carne in putrefazione e sangue nero. I vestiti sparirono, così come braccia e
gambe, lasciando un corpo ben lontano dalle fattezze umane assunte fino a quel
momento.
«Io non credo in te» lo sfidò Hermione
. «Ho creduto tu esistessi, non posso negarlo»
confessò quindi, con un sorriso quasi dolce, cominciando a camminare intorno
alla bestia, non più spaventata. «Così perfetto, così simile ai miti antichi,
capace di instillare la follia nelle persone e far vivere tutti in un’illusione,
proprio come Dioniso».
«Io sono un Dio!» sibilò ancora la bestia, arretrando come se avesse
voluto prendere la rincorsa ed attaccarla. «Io
sono Dioniso! Io sono Bacco!».
«No, non lo sei» gli
rispose lei, con una risata. «Ma hai giocato per così tanto tempo questo ruolo
da non riuscire più a distinguere la realtà dalle tue illusioni. Te l’ho detto,
eri riuscito a prenderti gioco anche di me, all’inizio, ma…» Hermione piegò la
testa di lato, osservandolo. «Non hai considerato una cosa importante».
«Io sono un Dio! Io considero qualunque cosa sia degna di esser
considerata!»
«Questo è il
problema». Lei allargò le braccia, come se avesse voluto dimostrare qualcosa di
ovvio. «È sempre così, non è vero? Ronald sottovalutava la mia intelligenza,
convinto di essere migliore di me. Tu hai sottovalutato la mia forza, vedendo
in me solo una sciocca ragazza. Ma io sono Hermione Granger e non ho paura di voi».
Con un sibilo furioso,
la creatura si accasciò su se stessa, in agonia. Assunse tante forme, quasi
fosse stata un Molliccio confuso. Da serpente divenne licantropo, da licantropo
divenne un Inferius, poi ancora un ragno ed un cadavere dalla familiare
cicatrice a forma di saetta. Infine divenne un mostro, enorme ed orribile,
grande come un troll di montagna ma incredibilmente
più spaventoso.
«Cosa mi stai facendo, stupida umana? Cosa sono io?».
«È curioso che tu me
lo stia chiedendo, in effetti». Hermione sorrise, alzando la bacchetta. «Se non
avessi usato Ronald, io non avrei mai compreso quanto tu fossi legato alla mia
psiche. Se non avessi tentato di attaccare me,
non avresti mai prodotto magie così forti».
La bacchetta iniziò a
risplendere di una luce violacea, simile a quella che aveva illuminato gli
occhi del dio Dioniso.
«No, no!».
«Tu sei un Tulpa, sei
stato posto a guardia della Traccia ed hai sfruttato la fede cieca dei seguaci
di Dioniso, nutrendo la loro follia ed aumentando il tuo potere sulla loro
forza psichica. Ma poi sono arrivata io ed io sono geniale». Sorrise, pronunciando quella parola. Finalmente l’aveva
capito, finalmente l’aveva accettato. Lei era incredibile. «La mia energia psichica è stata troppo, per te. Hai
esagerato con il potere ed io ho capito chi sei».
La creatura la fissò
con degli occhi vuoti, gli stessi occhi del troll
che, quando aveva undici anni, tentò di ucciderla.
Il primo ostacolo. La
prima volta che la sua genialità venne messa al servizio degli altri.
«No! Lasciami andare, strega! Non puoi…».
«Ti sbagli» la voce di
Hermione divenne fredda, calcolatrice. La voce di una guerriera. «Io posso. Perché tu sei un Tulpa, esisti
perché io ti sto permettendo di
esistere. Ma adesso io penso che per
ucciderti basterà uno schiantesimo».
«No! Fermati! Tu non sai con chi hai a che fare!».
«Stupeficium!».
Una nuvola di fumo fu
tutto ciò che restò della creatura che per secoli si era nutrita dei
discendenti delle menadi romane. Come quell’essere, anche l’illusione sparì ed
Hermione si ritrovò da sola a fronteggiare uno specchio vuoto, incapace di
riflettere la realtà ma non più popolato da mostri. Intorno a lei era sceso il
silenzio, tutti coloro che avevano partecipato a quello strano rituale erano al
suolo, privi di sensi per aver nutrito con la propria energia un essere
millenario.
Avranno un gran mal di testa, domani.
«Reducio»
pronunciò allora lei, consapevole di non poter essere scoperta, puntando la
bacchetta contro la Traccia e portandola alle dimensioni uno specchietto da
borsa. Lo staccò dalla parete e lo tenne stretto al petto, incamminandosi
immediatamente fuori dalla stanza per raggiungere Malfoy e lasciare quel posto
maledetto prima che fosse troppo tardi.
La sensazione di pura
esaltazione che aveva provato nell’eliminare il Tulpa non la abbandonò neppure
per un istante, così come il suo ritrovato orgoglio.
Perché lei era Hermione Granger, era un’eroina di guerra e
nessuno l’avrebbe mai più fatta sentire inferiore
senza il suo permesso.
Si fermò non appena
mise un piede fuori dalla stanza, osservando quell’ammasso di corpi nudi e
sporchi.
«Qualsiasi cosa tu
abbia fatto, Granger» disse Malfoy, apparso improvvisamente al suo fianco,
vestito di tutto punto ma con le guance ancora di un bel rosa intenso. «Non
credo che loro ti ringrazierebbero». Si voltò ad osservarla, accennando alla
piccola Traccia che teneva ancora stretta. «Mi sono disintossicato e sono corso
qui, credevo potessi aver bisogno di aiuto, ma mi sbagliavo. Non che ci fossero
dubbi, con quel cervello metteresti nel sacco anche Bacco stesso!».
Lei sorrise,
gongolando leggermente all’idea che lui avesse trovato un modo per raggiungerla
ed aiutarla, nonostante le sue precarie condizioni. «In effetti ho incontrato
Bacco. O, quantomeno, la creatura che si spacciava per lui».
Lo sguardo confuso di
Malfoy la divertì, ma mai quanto
l’occhiata di disprezzo che poi dedicò alle persone presenti nella stanza. «Mi
spiegherai tutto dopo, ormai è quasi l’alba e credo proprio di conoscere un
luogo perfetto per fare colazione. C’è una visuale del Vaticano che è
assolutamente favolosa» le disse, stringendosi nelle spalle. «Dopotutto,
dobbiamo scoprire cosa nasconde quell’oggettino che hai recuperato con tanta
fatica».
Hermione sorrise,
alzando gli occhi al cielo. «Ma come, Malfoy, ti disturba la vista di corpi
nudi? Ti facevo più disinibito!».
Lui le dedicò
un’occhiata esasperata, posandole una mano dietro la schiena e spingendola
verso l’uscita. «Non mi da fastidio la vista di corpi nudi, anche se alcuni di
loro dovrebbero davvero fare più attività fisica» borbottò. «Ma non vorrei
esser qui quando si sveglieranno e non troveranno più questo bel pezzo di
arredamento».
Lei si voltò a
guardarli per l’ultima volta. «Non so per quale motivo, ma credo che
continueranno comunque ad esercitare questo strano culto. Immagino si divertano
comunque… chi potrebbe mai criticarli?» disse, mentre lo seguiva fuori dalla
stanza.
Malfoy ridacchiò,
alzando gli occhi al cielo. «Queste ninfe ed altre genti sono
allegre tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman
non c'è» recitò,
in italiano. «Non hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare. Vuoi dar loro
torto?».
Nulla da perdere e tutto da guadagnare.
Hermione sorrise, sentendosi
finalmente se stessa.
«No, non posso dar loro torto».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Bentornata a casa, Hermione Granger!
Punti importanti:
» Questo è un capitolo concentrato quasi
completamente su Hermione e sulla sua riconquista personale. Ho pensato fosse
giunto il momento di mettere da parte, almeno parzialmente, i suoi traumi. Basta
essere salvata, il suo cervello ha fatto tutto il lavoro!
» La
signora Weasley è davvero fuori di cocuzza.
Non fatevi ingannare, quella donna è diventata psicotica dopo la guerra. Io la
adoro, nei libri, senza orma di dubbio! Ma qui, in questo universo, la perdita
di Fred l’ha stordita un bel po’. E diciamo che la questione Ron/Hermione non
ha aiutato. Lei, diversamente dal figlio, è malata,
non stronza.
» Hermione, Hermione... cosa ti avrà fatto
mai, questo Ronald? Dovremmo ringraziarlo, in realtà, perché senza i suoi guai
non sarebbe riuscita a sconfiggere il Tulpa! Ho dato qualche altro indizio su
ciò che c’è stato fra loro, ma mi rendo conto di non aver spiegato ancora
abbastanza!
» Il Tulpa è ripreso direttamente da Supernatural, uno dei miei telefilm preferiti. Sfortunatamente
non ricordo con esattezza la puntata, ma se qualcuno la conoscesse potrebbe
tranquillamente dirmelo!
» Ho fatto due volte riferimento a “Il
trionfo di Bacco e Arianna”, perché ho ritenuto fosse incredibilmente
pertinente, voi no?
Piccola informazione: il capitolo di lunedì
25 slitterà di una settimana, per vari impegni personali che mi impediranno di
scrivere in questi giorni! Probabilmente darò maggiori dettagli su facebook!
Grazie infinite a tutti
coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia
ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di
pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Grazie ancora a chiunque leggerà,
-Marnie