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Autore: Marne    18/04/2016    6 recensioni
Il Mondo Magico è sconvolto da una lunga serie di scandali. Il Governo Shacklebolt, nato come faro di speranza, è sull'orlo di un precipizio fatto di menzogne, intrighi e spie. Il Bambino Sopravvissuto non riesce a dormire, le Forze del Male continuano a tramare fra le ombre delle anime che hanno rubato.
Uno specchio è ciò che impedisce al caos di rovinare sulla terra. Uno specchio divide la realtà dalla follia.
Hermione Granger, giovane Inquisitore del Ministero, è costretta a lavorare con Draco Malfoy, uno dei maggiori esperti di antichi artefatti magici.
Una serie di avventure nel cuore del vecchio Continente li porterà a scontrarsi con i demoni del passato, mentre la minaccia di un Ritorno aleggia su tutta la Comunità Magica.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Mangiamorte | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Mirror Universe'
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Superato il primo momento di shock, ad impedirle di crollare in un angolo del corridoio alla ricerca disperata di ossigeno fu l’improvvisa vibrazione del cellulare che teneva nascosto nella giarrettiera, ridotto in modo da non essere subito riconoscibile

Lo Specchio delle Anime.

 

Quant’è bella giovichezza,

che si fugge tuttavia!

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza. 

 [Il Trionfo di Bacco e Arianna – Lorenzo de Medici]

        

        

Atto IX – Parte III

Il Trionfo di Bacco ed Hermione.

 

 

Superato il primo momento di shock, ad impedirle di crollare in un angolo del corridoio alla ricerca disperata di ossigeno fu l’improvvisa vibrazione del cellulare che teneva nascosto nella giarrettiera, ridotto in modo da non essere subito riconoscibile.

Lo spavento fu tanto che per poco non si mise ad urlare, mandando all’aria tutta la sua copertura. Dovette fare più di un tentativo, prima di riuscire a recitare l’incantesimo e farlo tornare delle giuste dimensioni.

Ginny.

Il terrore che fosse successo qualcosa ad Harry, che le sue condizioni fossero improvvisamente peggiorate, le fece tremare le ginocchia, allontanando definitivamente quello strano miscuglio emotivo provato a causa di Malfoy.

«Cos’è successo?». Non c’era tempo per i saluti e decisamente non c’era tempo per nascondere la preoccupazione dietro una falsa tranquillità. «Ginny, come sta? È successo qualcosa di grave? Se mi hai chiamata durante la missione…».

«Oh, Hermione cara».

Si fermò, sentendo il sangue improvvisamente ghiacciato nelle vene. Non era Ginny, al telefono.

Era la signora Weasley.

«Cosa vuole? Dov’è Ginny?» le sibilò, guardandosi per un momento intorno e trovando il nascondiglio perfetto dietro una statua dall’aria incredibilmente antica. «Cosa accidenti crede di fare?» aggiunse, trattenendosi a stento dal mettersi ad urlare come un’isterica.

Al mondo esistevano poche cose capace di ridurla in quello stato. Fra queste, le prime erano Ronald Weasley e sua madre.

Soprattutto sua madre.

«Oh, cara… sono venuta a trovare Harry, naturalmente!» il tono della donna era melenso, carico di una preoccupazione che sarebbe suonata sincera alle orecchie di qualcuno che non l’avesse conosciuta prima della Guerra. Ma non ad Hermione, che riconobbe ogni inflessione forzata. «Ginevra è andata in bagno, così ho pensato di chiamarti…».

«Ginny lo sa che lei è lì?» le chiese quindi, presa da un dubbio. Conosceva troppo bene la sua migliore amica, difficilmente avrebbe voltato le spalle a lei o ad Harry in quel modo. Non dopo che sua madre l’aveva trattata in quel modo.

Un silenzio assoluto seguì alla sua domanda, confermando la sua teoria. Che quella donna avesse intenzione di fare qualcosa? Che avesse un piano? Forse avrebbe potuto sfruttare il momento di debolezza di Ginny per farle un incantesimo e modificarle la memoria. Oppure avrebbe ucciso Harry, arrivando nel momento migliore per far vedere alla sua ultimogenita quanto fosse pentita del suo stesso comportamento.

No, si disse Hermione. I malati di mente non possono pianificare così bene.

«Si allontani immediatamente da quella stanza, lasci stare Harry e Ginny» sibilò al telefono, cominciando a calcolare quanto tempo avrebbe impiegato per smaterializzarsi a Londra, cacciarla personalmente e tornare indietro per continuare la missione.

«Diversamente da te, io non abbandono i membri della mia famiglia!» le rispose la donna, con voce stridula – la stessa voce che aveva usato quel giorno – ansimando alla cornetta come se qualcuno l’avesse costretta a correre una maratona. «Per questo ti ho chiamata! Presto lui tornerà e si aspetterà di trovarti… devi tornare indietro!».

Quelle parole fecero defluire tutto il sangue dalla sua testa, rischiando di farla svenire in mezzo al corridoio.

Lui tornerà.

No, era impossibile. Harry se ne era occupato personalmente, lui non sarebbe mai più tornato in Inghilterra e non l’avrebbe più avvicinata. Mai.

«Ronald non tornerà e certamente non avrà modo di parlare con me» le rispose, schiarendosi la voce per impedire a se stessa di suonare troppo debole. «Io non ho alcun motivo per tornare indietro».

La signora Weasley rise, dall’altra parte della cornetta.

«Ah, così ingenua! Chi mai potrebbe volerti? Ron è l’unico, l’unico! Nessuno vorrà mai avere a che fare con te!» la sua voce era crudele, come l’ultima volta che le aveva rivolto la parola. Una voce crudele che non somigliava affatto a quella della donna che, per anni, era stata una seconda madre sia per lei che per Harry.

Molly Weasley era morta e ciò che era rimasto di lei svaniva dietro una malattia mentale che la stava consumando.

Il ricordo di ciò che era successo poco prima, in camera da letto, aiutò Hermione a non cadere nel vortice dell’autocommiserazione, come invece era successo anni prima, quando soltanto il dottor Crave era riuscito ad impedirle di sparire in un’ombra che proveniva dall’interno del suo cuore.

«Meglio sola che con Ronald» le rispose, secca, pronta a continuare con la sua invettiva, ma un’altra voce, furiosa, le impedì di continuare.

«Cosa cazzo credi di fare? Dammi il mio telefono e sparisci!». Ginny era tornata e, come previsto, non era stata affatto felice di aver trovato sua madre lì. «Hermione? Oh, tesoro! Ti ha infastidita? Ti ha disturbata, eri in missione…».

Il sollievo sembrò liberarle il petto da un peso che neppure aveva compreso di sentire.

«Va tutto bene, Gin. Tua madre non può più farmi soffrire». Si rese conto quanto fossero vere, quelle parole, soltanto quando le pronunciò. Quel peso sul petto era rimasto con lei per tanto, tantissimo tempo, ed una volta sparito era riuscita a comprendere quanto l’avesse fatta stare male.

Non era sciocca, sapeva benissimo che presto o tardi la ferita si sarebbe riaperta.

Ma non in quel momento.

Non quando aveva una missione da compiere.

«L’ho mandata via. Ho chiesto all’infermiera di impedirle di tornare in questa parte dell’ospedale. Non temere, non si avvicinerà a nessuno di noi».

Hermione sospirò, pizzicandosi la radice del naso con la punta delle dita. «Non preoccuparti, va tutto bene. Adesso io vado, ho del lavoro da fare» le disse, raddrizzando le spalle. La consapevolezza del luogo in cui si trovasse, del rischio che stessero correndo sia lei che Malfoy, le fece tremare le ginocchia.

«Naturalmente. Buona fortuna, Herm».

«Verrò a trovarti presto, non temere».

 

***

 

Quando aveva imparato l’incantesimo di Disillusione, si era stranamente convinta che fosse l’unico modo per rendersi parzialmente invisibili senza l’aiuto di un mantello dell’invisibilità. Probabilmente era stato a causa di Harry e del regalo di suo padre se non si era mai impegnata al riguardo, ma, fortunatamente, si era ritrovata con le spalle al muro più di una volta, dovendo ricorrere a libri particolarmente complicati ed antichi per trovare una soluzione a quel problema che tanto la angustiava.

Un mantello dell’invisibilità comune avrebbe potuto sparire sotto la pressione di un qualsiasi Incanto di Rivelazione, le serviva qualcosa di più forte.

Incanto Tenebrae.

La sensazione che provò la fece rabbrividire. Pronunciare quell’incantesimo le ricordava moltissimo il gelo seguito all’immersione in una vasca piena di ghiaccio. Era un freddo secco, penetrante, capace di raggiungere il nucleo delle ossa e renderle un ammasso di ghiaccio morto.

L’abbraccio della tenebra, il buio dell’inesistenza.

Camminare con la consapevolezza di essere diventata nulla le riuscì incredibilmente facile, quasi non se ne rese conto. La prima volta in cui l’incantesimo aveva avvolto il suo corpo, aveva dato di stomaco e si era accasciata al suolo, incapace di muovere un solo muscolo finché non era stata messa alla magia. Sentirsi nulla, un’anima e nulla di più, era qualcosa che pochi riuscivano ad accettare e sopportare.

In quel momento, dopo essere stata nulla per mesi, Hermione non aveva più paura.

I corridoi della nuova ala della villa erano quasi totalmente deserti, meravigliosi nelle loro decorazioni antiche e nella bellezza dei lampadari lucenti. Ad Hermione ricordarono molto le abitazioni di molti dei Mangiamorte sotto copertura che aveva interrogato negli anni precedenti, così perfette da far quasi male agli occhi. La perfezione di una vita che era solo una copertura, il sorriso dietro cui si celavano gli orrori accantonati nei bui sotterranei.

Casa sua non sarebbe mai stata così perfetta.

Villa Aura non aveva dei sotterranei, però. Hermione non dovette scendere delle scale di pietra, sentendo il freddo aumentare ad ogni passo verso l’oscurità dell’ignoto. Lei continuò a camminare lungo il corridoio, osservando i quadri rinascimentali diventare degli arazzi di fine trecento e quelli, a loro vota, vasi di ceramica risalenti ad un’era in cui l’Italia, potenza mondiale, era culla della più grande fra le civiltà. I lampadari di cristalli sparirono, la strada venne illuminata soltanto da candelabri antichi. Il fresco profumo dell’autunno, che aveva pervaso le nuove stanze grazie alle finestre spalancate, stava cedendo il passo ad un odore forte, di incenso e vino unito all’inconfondibile aroma tipico delle antiche dimore.

Qualcosa di primitivo esisteva in quell’ala della casa. Qualcosa che stonava terribilmente con la vita che continuava a fluire fuori dalle mura.

Era come esser stati catapultati in un’altra era. Un’era in cui giusto e sbagliato si confondevano dietro l’apparente ordine delle divinità che camminavano fra gli uomini, in cui niente era impossibile e la magia era libera di fluire per il mondo senza doversi nascondere.

I primi rumori giunsero quando svoltò per la terza volta a sinistra. Qualcuno stava suonando uno strumento a corde – un’arpa, forse? – e qualcun altro dei flauti, un paio di donne cantavano in una lingua che Hermione aveva già sentito, ma che non riusciva ad identificare, non a quella distanza. L’odore di incenso ed alcol si fece più forte.

Dopo aver svoltato per altre due volte a destra, seguendo la musica, i rumori divennero più semplici da distinguere. Non erano due donne, a cantare, ma una sola accompagnata da un uomo. Il tono di quest’ultimo era troppo alto ed Hermione ricordò, improvvisamente, l’usanza di evirare i giovani affinché potessero mantenere una voce candida e pura per il resto della loro vita. Usanza barbara, forse, ma comprensibile nell’ottica di un mondo in cui la persona spariva dietro la necessità di esaltare il Bello e la Perfezione delle divinità.

Insieme al canto, però, c’erano anche altre voci ben distinguibili, da quella distanza minima.

Lingue diverse si intrecciavano fra loro, sussurri sensuali che strisciarono sulla pelle della strega come le carezze di un amante capace, ansimi e gemiti le riempirono le orecchie, facendola arrossire.

Baccanti, aveva detto Malfoy.

La fama li precedeva, naturalmente. Adepti del dio greco Dioniso, erano pronti a rinunciare a qualunque freno inibitore per festeggiare le gioie della vita con il loro protettore immortale. Le storie narravano di riti orgiastici conclusi con il sangue, di vergini private della virtù e del senno per osannare il dio della follia.

Voltato l’ultimo angolo e trovandosi davanti all’unica Sala Grande dell’Ala antica – specchio di quella che era la Sala da Pranzo nella zona più recente – Hermione comprese quanto fossero stati accurati i vecchi miti, parlando di scenari da bolgia infermale.

Dopotutto, era da scene simili che il Sommo Poeta doveva aver preso spunto.

La stanza era molto ampia, senza finestre, con muri di pietra decorati dagli affreschi più antichi che Hermione avesse mai visto in vita sua. Scene erotiche incredibilmente dettagliate erano riprodotte in sequenza, come se, osservando i muri da sinistra verso destra, fosse stato possibile individuare una storia diversa rispetto alla semplice esaltazione dei sensi.

Ma le raffigurazioni erano nulla, rispetto ciò che stava accadendo nella stanza.

Decine di persone – se quei corpi nudi avvinghiati fra loro potessero esser ancora definiti come tali – erano riverse al suolo, animati solo dagli scatti nervosi degli amplessi che venivano consumati. C’erano maschere sugli stessi visi che Hermione, poco più di un’ora prima, aveva visto durante la cena, animati da modi perfetti e dall’arroganza che solo la nobiltà di sangue sapeva portare.

Non c’era arroganza, in quella stanza. Non c’erano nobili, plebei o divinità.

Dalla sua posizione di spettatrice, ancora invisibile ed ancora fuori dalla sfera di luce proiettata dai bracieri della stanza, la strega comprese perché certi rituali fossero sempre stati visti con diffidenza, nell’antichità.

Non si trattava del sesso, naturalmente. La visione degli antichi, al riguardo, era sempre stata molto più liberale rispetto a quella moderna.

Non si trattava neppure degli alcolici, che riempivano coppe d’oro adornate di gioielli preziosi e si riversavano sui corpi già sudati, aumentandole la lucentezza alla luce del fuoco.

Era la follia.

Senza neppure avvicinarsi, Hermione percepì il brivido dell’incoscienza attraversarle la spina dorsale, l’adrenalina liberarsi nel sangue, il battito accelerato del cuore. Tutti i suoi dolori iniziarono a svanire, la vista le si appannò come se il suo cervello avesse iniziato a bollire e sciogliersi nella scatola cranica.

Seppe con certezza che se avesse messo un solo piede in quella stanza, avrebbe perso tutti i suoi freni inibitori e si sarebbe unita a quella follia devastante fatta di corpi, gemiti e musica.

La musica.

Spinta da un ultimo impulso di razionalità, Hermione sollevò lo sguardo dal pavimento della stanza e puntò gli occhi sui musicisti. Un giovane uomo dai capelli scuri teneva fra le mani un meraviglioso strumento a corda – una lira, probabilmente – e, al suo fianco, un altro ragazzo dai folti capelli biondi suonava un flauto di Pan. In un angolo sedevano i due cantanti, perfetti nella loro nudità, così presi dal loro compito da non sembrare minimamente consapevoli di cosa stesse succedendo ai loro piedi.

La Traccia.

Si trovava proprio davanti a lei, nel muro opposto all’entrata, al centro. Una grande cornice d’oro circondava uno specchio rettangolare, molto simile a quello già visto in Germania, ma più rozzo, più antico. Corpi nudi decoravano i due estremi, atti sensuali che si riproducevano dai muri alla realtà.

La superficie non rifletteva nulla, si rese conto Hermione. Esattamente com’era successo in Germania, lo Specchio non si stava comportando come tale, rimandando l’immagine di un uomo che, lei lo sapeva, non c’era realmente nella Stanza.

Che fosse come con Dante? Avrebbe dovuto avvicinarsi per parlargli, nonostante vi fosse il rischio di perdere la ragione? La sua paura era abbastanza forte da impedirle di fare il suo lavoro?

«Avvicinati, ragazza».

L’uomo nello specchio le parlò, ma Hermione non vide la sua bocca muoversi. La voce provenne direttamente da qualche parte dentro di lei, come se fosse stata la sua coscienza. Improvvisamente riuscì a distinguerlo con incredibile nitidezza, nonostante la distanza che la separava dallo Specchio.

I suoi capelli erano ricci, lunghi, dello stesso colore dell’uva matura, adornati da tralci di vite ed oro. I suoi occhi erano profondi, dello stesso colore delle ametiste più pure. Le sue spalle erano larghe, il suo petto nudo muscoloso e perfetto.

Le ginocchia di Hermione tremarono.

C’era un Dio davanti a lei.

«Vieni da me, ragazza». L’uomo allungò la mano, invitandola ancora una volta ad avvicinarsi. La sua voce, ancora nella mente di lei, suonò chiara, perentoria, ma incredibilmente sensuale. Una voce per cui lei avrebbe fatto follie.

Hermione fece un passo, poi un altro.

Infine, senza neppure rendersene conto, si ritrovò al centro di quella bolgia infernale, l’incantesimo di Tenebra completamente dissolto, ma lei non se ne curò.

I corpi si attorcigliavano ai suoi piedi, qualcuno le sfiorò la caviglia, qualcun altro le chiese di unirsi a loro. Ansimavano tutti, gemevano tutti. La follia dilagava fra quegli esseri che erano diventati una sola carne, strisciava su di loro come se fossero stati dei semplici fili per la trasmissione dell’energia.

Ma Hermione non aveva occhi che per l’uomo nello Specchio.

«Vieni, bambina, vieni da me».

Quella volta, la voce arrivò dalla figura stessa, non da una parte remota della sua mente. Lei riuscì a scorgere il movimento delle labbra, il sensuale brillio degli occhi chiarissimi e dal colore impossibile. La bellezza dei suoi tratti le sembrò ancora più ultraterrena, da quella distanza.

Dioniso o Bacco, non cambiava la sua natura. Padrone del vino, dell’illusione  e della follia.

Un passo, un altro ancora.

Senza rendersene conto, Hermione si ritrovò davanti allo Specchio, gli occhi spalancati nel desiderio di poter assorbire la magnificenza di quell’immagine che le veniva donata.

L’uomo allungò la mano verso di lei, attraversando il confine fra la realtà in cui lei stava vivendo e quel mondo superiore da cui lui doveva provenire. Era una mano delicata, perfetta, quasi puerile nella sua gentilezza. Non era la mano di un guerriero o di un uomo forgiato da mille difficoltà. Era la mano di chi avrebbe preferito l’amore alla guerra, un bicchiere di vino allo spargimento di sangue.

«Vieni, bambina, lasciati andare».

Lasciati andare, piccola. Lo sai anche tu, sai bene di volerlo.

Gelida, più di quanto non fosse stato l’Incanto, la ragione tornò prepotente e prese possesso di ciò che quella creatura aveva tentato di sottrarle. Arretrò di un passo, respirando bruscamente e prendendo finalmente consapevolezza di cosa stesse effettivamente succedendo.

I rumori della stanza non erano neppure lontanamente invitanti come le era sembrato all’inizio, i suoni che dipendevano dagli accoppiamenti furiosi erano disturbanti, i loro versi disgustosi. Hermione si sentì male all’idea di aver camminato fra loro e di esser stata toccata. Avrebbe dovuto farsi un bagno eterno, per pulirsi da quel sudiciume.

L’uomo, però, restava la creatura più bella su cui Hermione avesse mai poggiato lo sguardo. Ed anche la più letale.

«Non ti piace perderti nella follia, ragazza?» le chiese, divertito, osservandola mentre arretrava di un passo, così da allontanarsi da lui, ma senza avvicinarsi troppo a lui. «Eppure le persone venivano da me proprio per questo… per la pace».

«Questa non è pace» disse Hermione, raddrizzando le spalle, dopo essersi schiarita la voce. Tornare in se stessa le aveva mostrato quanto quell’ambiente avesse addormentato i suoi sensi. Forse era stata la musica, forse l’incenso, ma qualcosa aveva alterato le sue percezioni. Se la creatura non avesse fatto un passo falso, lei sarebbe caduta vittima di un incantesimo sconosciuto. «Questa è solo un’illusione».

Una risata scosse la creatura, prima che sparisse dal suo mondo nascosto nello specchio e riapparisse al di fuori, reale come Hermione e tutti gli altri. «E cosa c’è di male, nell’illusione della pace?» le domandò, girandole attorno.

Quando alzò nuovamente la mano perfetta, il mondo di Hermione si oscurò per un attimo e lei si ritrovò in un luogo dalla bellezza eccezionale.

Le mura di pietra erano sparite, così come i corpi e la puzza soffocante di sudore, alcol ed incenso. Era sola con quella creatura, improvvisamente vestita – come lui – di drappi d’oro ed avorio, i capelli adorni di foglie di vite e gioielli al collo e sulle braccia. Intorno a lei c’era tantissima luce, c’erano triclini coperti di velluto, piatti colmi delle migliori prelibatezze.

Era un’illusione, nulla di più.

«Molto emozionante, davvero, ma non riuscirai ad incantarmi ancora» gli rispose, con un po’ troppa impertinenza, incrociando le braccia al petto. Forse si sentiva così tranquilla perché poteva ancora percepire la pressione della bacchetta contro la coscia. Forse era soltanto l’adrenalina ancora in circolo. In quel momento, avrebbe affrontato qualunque ostacolo.

La creatura sorrise, camminandole intorno come se fosse stato un leopardo pronto a lanciasi sulla preda. In effetti, sulle spalle aveva drappeggiata proprio la pelle di quell’animale, come un tragico memorandum della sua vera natura.

«Forse potrei rendere questo mondo più appetibile, per te» propose quindi lui, sorridendo in modo inquietante.

Un battito di ciglia e davanti a lei si presentò Ronald Weasley in persona, nei suoi abiti migliori, con un sorriso splendido e gli occhi colmi di speranza. A lei venne improvvisamente da vomitare.

«Perché lui? Cosa speri di ottenere? Ti assicuro che non provo alcun tipo di attrazione per Ronald Weasley da anni» sbottò, seguendo tuttavia il giovane uomo con la coda dell’occhio. La pressione alla bocca dello stomaco, quell’orrore incommensurabile per ciò che le era stato fatto, le premevano sul cuore come cemento. «Tutto ciò che voglio è farti a pezzi, ora più di prima».

La creatura con il viso di Ronald rise, crudele. «Esattamente, mia cara. Furia, passione… sono tutte facce della follia. Lasciati andare, Hermione, sfoga le tue emozioni più profonde» disse, allungando una mano per sfiorarle il viso, ma lei si spostò. «Pensa a ciò che ti ha fatto. Quanto tempo è durata? Due, tre giorni? Oh, no, una settimana intera… una settimana-».

«Basta!».

Veloce, la bacchetta di lei si ritrovò puntata alla gola della creatura dagli inconfondibili capelli rossi. Aveva il respiro corto, il cuore che batteva all’impazzata. Sentiva il sangue pompare in modo furioso nelle vene, un dolore lancinante alla testa. Si era morsa il labbro, nel tentativo di resistere all’orrore, ed in quel momento poteva sentire il sapore metallico sfiorarle la lingua.

«Così delicata, Hermione» sussurrò lui, con dolcezza. «Non sei riuscita a reagire allora, cosa credi che ti farebbe reagire, adesso?».

Nulla, avrebbe voluto rispondere lei. Se non era stata abbastanza forte quasi otto mesi prima, poteva sperare di esserlo in quel momento, senza Harry?

«Stai lontano da me, Mostro».

«L’hai detto anche a lui, vero?» la creatura continuò a girarle intorno, gli occhi di Ronald illuminati dalla stessa follia dei giorni dell’incidente. «Gli hai chiesto di fermarsi, di smetterla… se lui non l’ha fatto, perché dovrei farlo io?».

Il primo colpo le sembrò quasi di averlo meritato. L’ultimo la fece piangere di terrore.

Ronald Weasley era stato tutta la sua vita, eppure non era stato sufficiente, per lui. Lei non era mai stata nulla, se non una risorsa, una scusa. Un capro espiatorio. Niente più di un cervello ingombrante, inadatto alla sua visione del futuro, in cui lui sarebbe stato l’eroe. Niente più che un bel faccino da presentare alla famiglia, all’occorrenza.

Era davvero soltanto quello?

Il mio cervello riesce ad affascinare le persone, visto?

Non ho mai detto il contrario, mia cara.

Lei non era soltanto un bel faccino, non era qualcosa di ingombrante.

Tutti i Corvonero ti odiavano, Granger. Tu eri la migliore in tutto.

Non aveva bisogno che lui fosse il suo eroe, che lui controllasse la sua vita. Il suo ego ferito non l’avrebbe più toccata. Hermione non era da sola.

Questo non è il modo in cui avrei voluto baciarti per la prima volta.

«Perché io non ho paura di te».

Fece un passo avanti, fronteggiando nuovamente la creatura. Gli occhi azzurri di Ronald sembrarono brillare di qualcosa di innaturale, rivelando, a causa della sorpresa, uno stralcio della natura dell’essere che aveva rubato la loro forma.

«Sciocchezze» anche la voce cambiò, prendendo un tono stranamente sibilante. La creatura non sembrò curarsene, nonostante i capelli rossi avessero iniziato a ritirarsi verso il cranio e la pelle del viso, prima rosea, avesse assunto un colorito bluastro. «Tutti credono in me, tutti vedono in me la più grande delle loro follie». Il viso dai lineamenti spigolosi si sciolse, lasciando un capo serpentino fatto di carne in putrefazione e sangue nero. I vestiti sparirono, così come braccia e gambe, lasciando un corpo ben lontano dalle fattezze umane assunte fino a quel momento.

«Io non credo in te» lo sfidò Hermione momento.

ontano dalle fattezze umane un corpo da ino fatto di carne in putrefazione e sangue nero. l viso, . «Ho creduto tu esistessi, non posso negarlo» confessò quindi, con un sorriso quasi dolce, cominciando a camminare intorno alla bestia, non più spaventata. «Così perfetto, così simile ai miti antichi, capace di instillare la follia nelle persone e far vivere tutti in un’illusione, proprio come Dioniso».

«Io sono un Dio!» sibilò ancora la bestia, arretrando come se avesse voluto prendere la rincorsa ed attaccarla. «Io sono Dioniso! Io sono Bacco!».

«No, non lo sei» gli rispose lei, con una risata. «Ma hai giocato per così tanto tempo questo ruolo da non riuscire più a distinguere la realtà dalle tue illusioni. Te l’ho detto, eri riuscito a prenderti gioco anche di me, all’inizio, ma…» Hermione piegò la testa di lato, osservandolo. «Non hai considerato una cosa importante».

«Io sono un Dio! Io considero qualunque cosa sia degna di esser considerata!»

«Questo è il problema». Lei allargò le braccia, come se avesse voluto dimostrare qualcosa di ovvio. «È sempre così, non è vero? Ronald sottovalutava la mia intelligenza, convinto di essere migliore di me. Tu hai sottovalutato la mia forza, vedendo in me solo una sciocca ragazza. Ma io sono Hermione Granger e non ho paura di voi».

Con un sibilo furioso, la creatura si accasciò su se stessa, in agonia. Assunse tante forme, quasi fosse stata un Molliccio confuso. Da serpente divenne licantropo, da licantropo divenne un Inferius, poi ancora un ragno ed un cadavere dalla familiare cicatrice a forma di saetta. Infine divenne un mostro, enorme ed orribile, grande come un troll di montagna ma incredibilmente più spaventoso.

«Cosa mi stai facendo, stupida umana? Cosa sono io?».

«È curioso che tu me lo stia chiedendo, in effetti». Hermione sorrise, alzando la bacchetta. «Se non avessi usato Ronald, io non avrei mai compreso quanto tu fossi legato alla mia psiche. Se non avessi tentato di attaccare me, non avresti mai prodotto magie così forti».

La bacchetta iniziò a risplendere di una luce violacea, simile a quella che aveva illuminato gli occhi del dio Dioniso.

«No, no!».

«Tu sei un Tulpa, sei stato posto a guardia della Traccia ed hai sfruttato la fede cieca dei seguaci di Dioniso, nutrendo la loro follia ed aumentando il tuo potere sulla loro forza psichica. Ma poi sono arrivata io ed io sono geniale». Sorrise, pronunciando quella parola. Finalmente l’aveva capito, finalmente l’aveva accettato. Lei era incredibile. «La mia energia psichica è stata troppo, per te. Hai esagerato con il potere ed io ho capito chi sei».

La creatura la fissò con degli occhi vuoti, gli stessi occhi del troll che, quando aveva undici anni, tentò di ucciderla.

Il primo ostacolo. La prima volta che la sua genialità venne messa al servizio degli altri.

«No! Lasciami andare, strega! Non puoi…».

«Ti sbagli» la voce di Hermione divenne fredda, calcolatrice. La voce di una guerriera. «Io posso. Perché tu sei un Tulpa, esisti perché io ti sto permettendo di esistere. Ma adesso io penso che per ucciderti basterà uno schiantesimo».

«No! Fermati! Tu non sai con chi hai a che fare!».

«Stupeficium!».

Una nuvola di fumo fu tutto ciò che restò della creatura che per secoli si era nutrita dei discendenti delle menadi romane. Come quell’essere, anche l’illusione sparì ed Hermione si ritrovò da sola a fronteggiare uno specchio vuoto, incapace di riflettere la realtà ma non più popolato da mostri. Intorno a lei era sceso il silenzio, tutti coloro che avevano partecipato a quello strano rituale erano al suolo, privi di sensi per aver nutrito con la propria energia un essere millenario.

Avranno un gran mal di testa, domani.

«Reducio» pronunciò allora lei, consapevole di non poter essere scoperta, puntando la bacchetta contro la Traccia e portandola alle dimensioni uno specchietto da borsa. Lo staccò dalla parete e lo tenne stretto al petto, incamminandosi immediatamente fuori dalla stanza per raggiungere Malfoy e lasciare quel posto maledetto prima che fosse troppo tardi.

La sensazione di pura esaltazione che aveva provato nell’eliminare il Tulpa non la abbandonò neppure per un istante, così come il suo ritrovato orgoglio.

Perché lei era Hermione Granger, era un’eroina di guerra e nessuno l’avrebbe mai più fatta sentire inferiore senza il suo permesso.

Si fermò non appena mise un piede fuori dalla stanza, osservando quell’ammasso di corpi nudi e sporchi.

«Qualsiasi cosa tu abbia fatto, Granger» disse Malfoy, apparso improvvisamente al suo fianco, vestito di tutto punto ma con le guance ancora di un bel rosa intenso. «Non credo che loro ti ringrazierebbero». Si voltò ad osservarla, accennando alla piccola Traccia che teneva ancora stretta. «Mi sono disintossicato e sono corso qui, credevo potessi aver bisogno di aiuto, ma mi sbagliavo. Non che ci fossero dubbi, con quel cervello metteresti nel sacco anche Bacco stesso!».

Lei sorrise, gongolando leggermente all’idea che lui avesse trovato un modo per raggiungerla ed aiutarla, nonostante le sue precarie condizioni. «In effetti ho incontrato Bacco. O, quantomeno, la creatura che si spacciava per lui».

Lo sguardo confuso di Malfoy la divertì, ma mai quanto l’occhiata di disprezzo che poi dedicò alle persone presenti nella stanza. «Mi spiegherai tutto dopo, ormai è quasi l’alba e credo proprio di conoscere un luogo perfetto per fare colazione. C’è una visuale del Vaticano che è assolutamente favolosa» le disse, stringendosi nelle spalle. «Dopotutto, dobbiamo scoprire cosa nasconde quell’oggettino che hai recuperato con tanta fatica».

Hermione sorrise, alzando gli occhi al cielo. «Ma come, Malfoy, ti disturba la vista di corpi nudi? Ti facevo più disinibito!».

Lui le dedicò un’occhiata esasperata, posandole una mano dietro la schiena e spingendola verso l’uscita. «Non mi da fastidio la vista di corpi nudi, anche se alcuni di loro dovrebbero davvero fare più attività fisica» borbottò. «Ma non vorrei esser qui quando si sveglieranno e non troveranno più questo bel pezzo di arredamento».

Lei si voltò a guardarli per l’ultima volta. «Non so per quale motivo, ma credo che continueranno comunque ad esercitare questo strano culto. Immagino si divertano comunque… chi potrebbe mai criticarli?» disse, mentre lo seguiva fuori dalla stanza.

Malfoy ridacchiò, alzando gli occhi al cielo. «Queste ninfe ed altre genti sono allegre tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è» recitò, in italiano. «Non hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare. Vuoi dar loro torto?».

Nulla da perdere e tutto da guadagnare.

Hermione sorrise, sentendosi finalmente se stessa.

«No, non posso dar loro torto».

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

Bentornata a casa, Hermione Granger!

 

Punti importanti:

 

» Questo è un capitolo concentrato quasi completamente su Hermione e sulla sua riconquista personale. Ho pensato fosse giunto il momento di mettere da parte, almeno parzialmente, i suoi traumi. Basta essere salvata, il suo cervello ha fatto tutto il lavoro! 

 

» La signora Weasley è davvero fuori di cocuzza. Non fatevi ingannare, quella donna è diventata psicotica dopo la guerra. Io la adoro, nei libri, senza orma di dubbio! Ma qui, in questo universo, la perdita di Fred l’ha stordita un bel po’. E diciamo che la questione Ron/Hermione non ha aiutato. Lei, diversamente dal figlio, è malata, non stronza.

 

» Hermione, Hermione... cosa ti avrà fatto mai, questo Ronald? Dovremmo ringraziarlo, in realtà, perché senza i suoi guai non sarebbe riuscita a sconfiggere il Tulpa! Ho dato qualche altro indizio su ciò che c’è stato fra loro, ma mi rendo conto di non aver spiegato ancora abbastanza!

 

» Il Tulpa è ripreso direttamente da Supernatural, uno dei miei telefilm preferiti. Sfortunatamente non ricordo con esattezza la puntata, ma se qualcuno la conoscesse potrebbe tranquillamente dirmelo!

 

» Ho fatto due volte riferimento a “Il trionfo di Bacco e Arianna”, perché ho ritenuto fosse incredibilmente pertinente, voi no?

 

 

 

 

Piccola informazione: il capitolo di lunedì 25 slitterà di una settimana, per vari impegni personali che mi impediranno di scrivere in questi giorni! Probabilmente darò maggiori dettagli su facebook!

  

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

   
 
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