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Autore: innominetuo    24/04/2016    10 recensioni
Joe Yabuki ritorna sui suoi passi, dopo un anno di dolore e di rimpianto. La morte di Tooru Rikishi lo ha segnato profondamente. Ma il ring lo sta aspettando ormai da tempo.
E non solo il ring.
…Se le cose fossero andate in un modo un po’ diverso, rispetto alla versione ufficiale?
Storia di pugilato, di amore, di onore: può essere letta e compresa anche se non si conosce il fandom e quindi considerata alla stregua di un'originale.
°°°°§*§°°°°
Questi personaggi non mi appartengono: dichiaro di aver redatto la seguente long fic nel rispetto dei diritti di autore e della proprietà intellettuale, senza scopo di lucro alcuno, in onore ad Asao Takamori ed a Tetsuya Chiba.
Si dichiara che tutte le immagini quivi presenti sono mero frutto di ricerca su Google e che quindi non debba intendersi il compimento di nessuna violazione del copyright.
Si dichiara, altresì, che qualsivoglia riferimento a nomi/cognomi, fatti e luoghi, laddove corrispondenti a realtà, sono puro frutto del Caso.
LCS innominetuo
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bianche Ceneri'
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BANNER-MIO-PER-L-UNICO-DOMANI

Una mattina, allo SBC…

“Non pensavo che ci saremmo mai più riviste.”

Yoko si sentiva in preda all’agitazione. Trovarsi vis-à-vis con la nonna, dopo tanti mesi di separazione… e, soprattutto, dopo il terribile litigio che aveva segnato l’ultimo contatto tra loro, non si sarebbe mai immaginata di trovarsela “in visita” proprio al suo club. L’anziana signora ignorò bellamente le parole amare della nipote, guardandosi intorno.

“E così… questo sarebbe il tuo ufficio. Non male. Sobrio ed elegante, adatto alla tua carica. Non mi intendo, poi, di palestre. Ma poco fa ho visto un discreto via vai di giovanotti nei corridoi: sono i tuoi pugili?”

“Sì. Alcuni di loro sono molto promettenti.”

“Ma non più del tuo fidanzato… o sbaglio?”

Stavolta fu il turno di Yoko di far finta di nulla di fronte all’insinuazione sarcastica di Hatsuyo. Fece accomodare la nonna in poltrona e cominciò ad aprire con mano febbrile vari armadietti e cassetti del suo piccolo angolo cucina alla ricerca di qualcosa da offrire alla sua inaspettata ospite, sentendosi via via sempre più a disagio.

“Vorrei poterti offrire qualcosa, ma temo di non avere qui l’occorrente per il matcha*, che so che preferisci ad altre bevande. Purtroppo dovrai accontentarti di un tè all’occidentale.” mormorò Yoko, imbarazzata di non sapere cosa dare da bere alla nonna, sempre molto esigente e selettiva in fatto di gastronomia.

“Con questa calura preferirei un calice di umeshu**… sempre che tu ne abbia. Altrimenti mi accontenterò di un semplice bicchiere d’acqua, grazie.”

Sorridendo per il sollievo, Yoko aprì il piccolo frigo-bar, da cui estrasse la bottiglia del liquore: fortuna che ne teneva sempre una buona scorta, essendone lei stessa molto ghiotta! Versò il fragante liquido in due bicchierini di cristallo, per poi porgerne uno all’anziana donna, che ringraziò con un leggero cenno del capo. Dopo qualche minuto di teso silenzio, Yoko osò formulare la domanda che le si era arrestata sulle labbra dal preciso istante in cui la segretaria le aveva annunciato l’arrivo, di certo non previsto, di Hatsuyo Shiraki.

“Perché sei qui?” chiese, in tono dolce ma fermo.

“Vedi cara,” iniziò la nonna, dopo aver centellinato il liquore, posando il piccolo calice sul tavolino con un gesto fluido ed aggraziato, sapendo rendere speciale ogni suo singolo gesto, anche il più banale “ritengo assurda questa guerra silenziosa tra di noi. Ci ho riflettuto a lungo, in questi mesi. Naturalmente non intendo mutare avviso sul tuo stile di vita e sulle tue scelte… diciamo sentimentali. Tuttavia, avendoti già chiaramente espresso in passato il mio parere a proposito, non credo necessario insistere oltre… tu andrai avanti per la tua strada, ed io per la mia. Voglio solo mantenere i contatti con quella che è la mia unica discendente. Mi tranquillizza vedere che stai bene e che mi sembri serena. Bene,” al che si alzò in piedi, sorridendo lievemente “ora devo proprio andare. Ricordati che potrai venirmi a trovare tutte le volte che vorrai. La strada di casa tua la conosci. Buon pomeriggio, nipote mia.”

Dopo un leggero inchino, cui Yoko rispose con maggior inclinazione del busto in segno di rispetto, Hatsuyo Shiraki lasciò la stanza.

Yoko era frastornata.

Da una parte si sentiva sollevata, dato che in fondo al cuore aveva sempre voluto bene a quella che era stata l’unica figura femminile della sua famiglia, poiché era rimasta orfana di entrambi i genitori in tenerissima età: seppur molto severa ed intransigente, Hatsuyo non era mai stata avara di una qualche forma di affettuosità nei suoi confronti, specialmente quando era bambina. Quindi avrebbe dovuto sentirsi felice: i contatti con la nonna erano stati, in qualche modo, ripristinati e chissà… magari con il tempo pure Hatsuyo avrebbe imparato ad apprezzare le buone qualità di Joe, accettandolo in famiglia.

Eppure… se il suo cuore esultava, una parte di lei rimaneva diffidente e sospettosa. La palese reticenza della nonna di chiederle come andassero le cose nella sua vita privata le era parsa troppo strana. Questo perché quando si vuol bene ad una persona, se anche non si approvano le scelte di vita di quest’ultima, si dimostra comunque interesse e partecipazione verso tutto ciò che la riguarda, facendole domande ed elargendo consigli. Hatsuyo non aveva fatto nulla di tutto questo: si era limitata ad andare a trovarla in una visita durata neppure una decina di minuti.

Una piccola spia invisibile sussurrò, all’orecchio ed al cuore di Yoko, “Guardati”.

°°°°°°

Korakuen Hall, ore 21.00, una sera di qualche giorno dopo…



Quello era il primo incontro disputato da Joe al suo ritorno da Honolulu. Yoko, seduta suo solito in prima fila, con accanto il nonno ed Hiro Nakamura, pur non avendo contribuito alla contrattazione del match con l’americano, era molto curiosa di vedere in azione il primo classificato nella graduatoria mondiale.

Prima di incontrarsi con Mendoza, infatti, era necessario per Joe affrontare il pugile più forte dopo Mendoza medesimo. Leonard Smiley, l’afroamericano che neppure dopo aver vinto molto denaro con le sue 15 vittorie per ko aveva rinnegato le sue umili origini, rimanendo a vivere nel Bronx, seppure in un bell’appartamento luminoso di un decoroso e tranquillo suburb***, non si era ritrovato, straniero e da solo, in una città tanto lontana da casa sua: i suoi estimatori lo avevano raggiunto a Tokyo, ed ora avevano letteralmente invaso il palazzetto dello sport. Ai cori in lingua giapponese si aggiungevano, infatti, quelli pronunciati nel più puro slang di New York, conferendo così alla manifestazione sportiva che di lì a poco si sarebbe disputata un più ampio respiro internazionale, cui lo spettatore giapponese medio era ancora poco avvezzo. La folla degli spettatori di quella sera era quindi in fibrillazione: l’intenso vociare di entrambi gli schieramenti percorreva le file, rendendo l’aria elettrica ed eccitante.

L’arrivo dei due campioni, ognuno con il proprio entourage, fece impazzire di gioia ed entusiamo i rispettivi fan, che si alzarono in piedi, urlando ed agitando gli striscioni. Yoko si tappò le orecchie, infastidita e divertita al contempo: per Joe erano ben lontani, ormai, i tempi in cui i suoi unici estimatori erano essenzialmente i disperati del quartiere di Namidabashi!

Lo speaker presentò, entusiasta, il campione asiatico e del Pacifico ed il primo classificato mondiale, riuscendo a farsi sentire a fatica nonostante l’uso del microfono, per il frastuono che non accennava a placarsi.

Ma come stava vivendo Joe, tutto questo? Yoko notò che fosse particolarmente posato e tranquillo: si era limitato a salutare la folla festante con un lieve cenno della mano, concentrandosi poi alla preparazione delle mani, affidandole a Nishi, che gli allacciò i guantoni. Aveva degnato il suo avversario solo di una fuggevole occhiata. Non gli interessava poi molto del match che stava per disputare. Leonard Smiley, esattamente come chiunque altro che non fosse Josè Mendoza, costituiva per lui semplicemente una tappa obbligatoria da superare… una noiosa ma necessaria corvée da espletare per poter finalmente sbattere i propri guantoni contro quelli di Mendoza, dando così inizio alla resa dei conti su cui aveva incentrato la sua carriera pugilistica dopo la morte di Tooru Rikishi.

Una cosa però lo aveva colpito sul conto di Smiley: questi gli aveva sorriso. Nulla a che vedere con il sarcasmo o con un atto di sfida, però. Il sorriso dell’americano era aperto, luminoso. Sincero. Nonostante l’alta statura e l’innegabile prestanza fisica, Leon teneva sul viso un’espressione trasparente e pulita… quasi infantile. I suoi grandi occhi neri percorrevano la figura di Joe con benevola curiosità.

Joe si avvicinò quindi al centro del ring per ascoltare i rituali ammonimenti dell’arbitro: incrociò così lo sguardo con Leon, che gli sorrise di nuovo, sussurrandogli “Go for it! Go ahead!” (“Su, forza! Metticela tutta!”)

“Umpf. Pensa per te.” Joe gli borbottò contro, avendo intuito il significato delle parole di Leon, seppure pronunciate in slang.

Prima ripresa di un match di 10 round: non accadde nulla di rilevante.

I due campioni si fronteggiarono alla pari, serrando la difesa e colpendosi a vicenda con semplici jab di puro disturbo.

“Allora, eh? Che impressione ti ha fatto? Secondo me sta per tirar fuori il suo asso nella manica” gli disse Tange, dopo averlo rinfrescato con un po’ d’acqua. La calura estiva stava cominciando a farsi sentire, essendo giugno inoltrato.

“Mi sa pure a me. Ha un magnifico gioco di gambe: mi ricorda un po’ Carlos.”

Allo scoccare della seconda ripresa, dopo essersi fronteggiati e stuzzicati come poco prima, Leon, a 2’ 20’’ riuscì però a scostare il braccio destro di Joe per sferrargli un fulmineo montante sinistro. Più stupito che indolenzito, Joe si ritrovò al tappeto, da cui si rialzò al settimo. Finì il tempo.

“Accidenti. NON HO VISTO il suo montante! Ha una velocità spaventosa!”

“Eh. D’altronde se è il primo classificato un motivo ci dovrà pur essere. Te lo dicevo io di guardare le diapositive sui suoi incontri… ma al solito non hai voluto darmi retta. Nishi, passami il ghiaccio per favore.”

Al 1’ 40’’ Joe riuscì finalmente a sfondare la difesa di Leon, sferrandogli un montante ed un gancio sinistro. Per la forza inflitta perse però l’equilibrio e, insieme al suo avversario, si ritrovò sbalzato fuori dalle corde. Rovinati tutti e due in terra fuori dal ring, si rimisero in piedi ridendo e dandosi amichevoli pacche sulle spalle a vicenda, cosa che venne acclamata dal pubblico, sollevato dalla sportività del gesto e dal fatto che nessuno dei due pugili si fosse fatto male nonostante la caduta.

Yoko scosse la testa, sorridendo a suo nonno ed al padre di Joe: “Il solito incorreggibile!” I due uomini le restituirono il sorriso, con volti franchi e sereni. Yoko era molto felice di questa piccola réunion tra loro tre. Voleva condividere il prestigio dell’evento sportivo di quella sera con due persone per lei molto importanti: il nonno Mikinosuke Shiraki, adorato da sempre, ed ora pure il padre del suo Joe. In vista dell’incontro, aveva quindi spedito in regalo ad Hiro Nakamura un posto in prima fila accanto a lei, per dimostrargli rispetto e riconoscenza come padre di Joe e chissà… magari pure come suo futuro suocero.

Senza smettere di ridere, i due pugili risalirono sul ring.

“Sai, Leon… è divertente combattere contro di te”

For sure!” (“Sicuro!”)

Il terzo round si chiuse con un colpo d’incontro che li mandò al tappeto insieme: riuscirono però a rialzarsi in simultanea, proprio come avevano fatto poco prima, fuori dal ring. La cosa buffa è che più che un incontro di boxe pareva quasi una rimpatriata tra vecchi amici, dato che l’allegria spontanea di Leon aveva contagiato Joe, che quasi non sentiva più neppure le ecchimosi per i colpi ricevuti e per il volo fatto fuori dalle corde. Una cosa però lo impensieriva: solo un paio di volte dall’inizio dell’incontro e per un brevissimo lasso di tempo era riuscito ad aprire un varco nella difesa avversaria. Diede voce alle sue perplessità a Tange, una volta raggiunto il suo angolo.

“Tutto bene, Joe? Non ti sei fatto male nella caduta, vero?”

“No, sono intero, come vedi. Piuttosto, Smiley è un osso duro, anche se a prima vista non sembrerebbe. Il suo sinistro è una barriera impossibile da superare. E poi è velocissimo. Quando mi colpisce quasi non vedo i suoi pugni!” sbottò, sedendosi sullo sgabello per farsi medicare.

“Umpf. Non dimenticarmi la lezione numero uno per domani proprio ora, eh.” bofonchiò Tange, massaggiandogli gli zigomi con della vaselina.

“I jab?”

“Esatto. Parti dalla combinazione 3-1 come azione di disturbo. Non attaccarlo direttamente con i ganci. Vedrai che quello stramaledetto sinistro gli si indebolirà, ad un certo punto.”

“Ok. Posso avere un po’ d’acqua, per favore?”.

Il quarto ed il quinto round videro solo azioni di pura schermaglia da parte di tutti e due i pugili: l’unica cosa di rilevante fu una goffa scivolata a terra da parte di Joe, preso in contropiede da un rolling brusco del suo avversario: tanto repentino da farlo sbilanciare e cadere seduto sul tappeto. L’arbitro iniziò la conta, nonostante le proteste di Joe, “Arbritrooooo, sono scivolato, accidenti!” il quale, sbuffando, si rimise in piedi al settimo.

Ai piedi del suo angolo Tange non la smetteva di strillargli “La lezione n. 1, porca miseria!”, dato che Joe, sordo come al solito ai suggerimenti del suo coach, si incaponiva con i ganci, con cui tuttavia non riusciva a sfondare la difesa avversaria, sprecando così un mucchio di energie.

Mr. Lewis, invece, pareva assai soddisfatto della prestazione del suo pugile. Si limitava ad incitarlo per “finire Yabuki, così non si rialza più”.

Cominciò quindi la sesta ripresa, tra il malumore generale. Il pubblico, infatti, pareva spazientito: a parte lo scenografico volo di ambedue i pugili fuori dal ring avvenuto al secondo round ed il colpo di incontro avvenuto al terzo, nulla di così rilevante era poi accaduto in un match importante come quello, di ben dieci riprese e, per di più, tra due campioni internazionali. Il prezzo salato del biglietto dovevano pur guadagnarselo, quei benedetti pugili! Fischi e proteste cominciarono, così, a serpeggiare tra le file. Qualcuno pensò pure di lasciare la sala prima della fine dell’incontro.

“Tsè… non c’è nulla da fare. Se non vedono il sangue che zampilla non sono contenti!” brontolò Tange, mentre Nishi gli dava di gomito.

“Guarda, vecchio. Sta accadendo qualcosa.”

Accadde infatti qualcosa: in Leon Smiley. L’americano pareva aver mutato improvvisamente di fisionomia. La resistenza pervicace di Joe, che nonostante tutti i colpi ricevuti, non desisteva mai ad attaccarlo, cominciò ora a far innervosire Leon, il quale smise di praticare la sua elegante arte di stilista per attaccarlo pure lui a distanza più ravvicinata. Joe dovette così sopportare una gragnuola di colpi potenti, cercando di serrare la difesa il più possibile ed aiutandosi con il gioco di gambe.

“IO sono il Re! Il Re! Non posso perdere!” gli sibilò Leon, in preda all’adrenalina a mille.

“Se tutto quello che riesci a fare è solo questo… mi dispiace deluderti, amico!” al che Joe riuscì a scansargli il braccio destro per spedire Leon al tappeto con un poderoso uppercut. Leon si rialzò all’ottavo, sbigottito.

Al settimo ed all’ottavo round i due pugili si limitarono ad azioni di puro disturbo, essendo molto stanchi: intesero tutti e due risparmiare le poche forze rimaste per le ultime riprese, come per una tacita e mutua intesa tra loro. La nona ripresa vide due magnifici colpi di incontro, di cui uno incrociato e per ben due volte Leon cadde al tappeto, mentre Joe riuscì a mantenersi in piedi, aggrappandosi alle corde per non volare giù: era sfinito, ma intendeva arrivare fino in fondo.

Provava ammirazione per la pervicacia dell’americano: lo capiva perfettamente. Lo capiva perché pure lui desiderava battersi con Mendoza: misurarsi con IL campione mondiale!

Anche io lo voglio… con tutte le mie forze!”

I due campioni esaurirono tutte le frecce delle rispettive faretre alla decima ed ultima ripresa: si sferrarono a vicenda dei ganci furibondi, soprattutto al corpo, dalla potenza paritaria. Poterono quindi tornare ai loro rispettivi angoli: il match era finalmente terminato. Ora bisognava solo attendere il responso dei giudici.

Yoko aveva seguito con apprensione tutto l’incontro. Spesso aveva incrociato, preoccupata, lo sguardo con il nonno e con Nakamura, che le avevano sempre sorriso per infonderle coraggio.

“Meno male che è finito… ogni volta è sempre difficile, per me.” mormorò.

“Purtroppo non è possibile fare nulla, Shiraki-sama. Possiamo solo starcene qua sotto, tutte le volte, ad aspettare.” disse Nakamura, in tono stanco. “Posso solo starmene ad aspettare che mio figlio ridiscenda da quel maledetto ring con le sue gambe” concluse l’uomo, tra sé e sé.

“Già… possiamo solo aspettare. E sperare.” La voce di Yoko era flebile, tanto che la udirono appena. Mikinosuke le strinse la mano, per darle conforto.

Qualche fila più in là, gli intensi occhi neri di un giovane uomo non avevano smesso di accarezzare la sottile figura vestita di rosa pallido seduta ai primi posti: per tutta la durata dell’incontro di Yabuki contro Leonard Smiley, Jun Kiyoshi non si era lasciato sfuggire nessuna sfumatura di espressione apparsa sul volto di Yoko. Neppure le occhiatacce scoccategli da Nakamura, il quale si era accorto subito dei suoi sguardi insistenti, lo aveva fatto desistere.

Arrivò il conteggio, alla fine: il verdetto venne pronunciato, con la vittoria di Joe ai punti.

°°°°°°°°°

Qualche giorno dopo, al Tange Boxing Club…


“Non ci siamo, non ci siamo! Quante volte ti devo dire che il gioco di gambe non va eseguito come fai tu! Atsumichi, per favore, vieni un po’ qua: fai vedere a Juro come si deve fare!”

Da quando la nuova palestra dava ospitalità ad altri sei giovani di belle speranze, il lavoro di Tange pareva non finir mai. Oltre al suo pupillo, adesso il coach doveva occuparsi di due pesi massimi, di due pesi welter e di due pesi medi. Questi ultimi si alternavano anche come sparring partner per Joe, che adesso poteva finalmente allenarsi in modo più regolamentare, specialmente in vista dell’incontro clou che si sarebbe tenuto entro alcuni mesi contro il campione del mondo. Erano finiti i tempi in cui il povero Tange, oltre che da preparatore atletico, da allenatore e da massaggiatore, doveva pure fungere da sparring partner! Tre sere a settimana, un fisioterapista di comprovata esperienza, assunto da Tange, veniva ad eseguire massaggi professionali ai suoi ragazzi, senza contare la dietista che aveva preparato per ciascuno di loro un preciso piano alimentare, a seconda della categoria di peso cui appartenevano. Ora che le sue condizioni economiche potevano finalmente dirsi più che floride, Danpei ci teneva a non far mancare nulla ai suoi atleti: pur in una piccola palestra di periferia, voleva che ogni cosa venisse fatta nel modo migliore.

In breve tempo, i nuovi pugili si erano ambientati benissimo: si sentivano un po’ come a casa loro, con un allenatore severo e burbero ma dal cuore d’oro, che li seguiva passo passo nel loro cammino verso il professionismo. Quanto a Joe, si era subito dimostrato affabile e collaborativo con tutti loro, un po’ come un fratello maggiore.

“Ehmmm… scusa Joe se interrompo il tuo allenamento,” farfugliò Masaki, uno dei pesi massimi.

A Joe ricordava un po’ Nishi, dato che pure Masaki era un gigante buono.

“Dimmi.” gli rispose, approfittando per bere un sorso d’acqua e per asciugarsi il sudore dal viso con una salvietta.

“Abbiamo visite, senpai****.”

“Ehi, ciao!” Joe sbatté le palpebre, un po’ stupito.

“Smiley? Sei ancora a Tokyo? Pensavo che fossi già ripartito!” gli sorrise. Non avrebbe mai creduto di ritrovarselo davanti!

“Beh, sai com’è… ora faccio il turista qui da voi. Voglio godermi questa bella città. La sera me ne vado in giro ad ascoltare musica e a bere qualcosa… siete strani voi Giapponesi, però mi piacete.”

“Ah grazie! Felice di piacerti pure io, allora!” ridacchiò Joe. “Vieni, ti offro qualcosa. Saliamo su in cucina.”

Passò il resto del pomeriggio a chiacchierare con Leonard: Joe lo trovava davvero simpatico, pieno di buffe trovate e con un forte senso dell’umorismo. Era da molto tempo che non si divertiva così, come un ragazzino spensierato… sempre che lo fosse mai stato, in fondo, all’epoca della sua vita solitaria ed errabonda.

“Ti insegno un gioco.” Leon estrasse un mazzo di carte dal taschino del suo giubbetto di pelle. “Su, estrai una carta… una qualunque. Però non girarla subito. Io indovinerò la carta che hai scelto.”

“Ma va… mica ci credo!”

“Su, prova.”

Seppur scettico, Joe scelse una carta, estraendola dal mazzo tenuto a ventaglio da Leon.

“Uhmmm… scommetto che hai preso un Jack!” Girando la carta, scoppiò in una franca risata, avendo indovinato.

“Ah, beh, ho capito: ci dev’essere un trucco!”

“No, no, nessun trucco, Joe. Solo logica e buona memoria. Adesso ti dico che cosa estrarrò io. Sicuramente un Re: e questo perché io lo sono… un Re, intendo!” replicò l’americano, sorridendo. La fronte gli si imperlò di freddo sudore, quando però si avvide che la carta scelta portava la figura nervosa ed inquietante del jolly.

“Che ti prende, amico? Tutto bene?”gli chiese Joe, vedendo l’espressione mutata di Leon.

“S-sì, tutto ok…” mormorò l’altro.

Questa non ci voleva. Era già la terza volta negli ultimi giorni che quel dannato jolly gli occhieggiava con il suo sorrisetto malvagio dal suo mazzo di carte preferito… essendo molto superstizioso, Leon sapeva che ciò non era di buon auspicio. Sospirò a lungo, al che bevve un lungo sorso della bibita offertagli dal suo ospite, per calmarsi. “Senti, ho da farti una proposta. Ho noleggiato una bomba di macchina, una fantastica De Tomaso Pantera giallo canarino per andarmene a spasso da re in questi giorni! Domattina vado a ritirarla. Che ne dici se domani sera passo di qua a prenderti e ce ne andiamo un po’ in giro a far bisboccia?”

“Ottima idea: passami pure a prendere quando vuoi, dopo le venti.”

°°°°°°°

La sera seguente, fatta una doccia rinfrescante, Joe si preparò ad uscire con Leonard, quando ricevette una telefonata.

“Yoko…”

“Scusami se ti chiamo a quest’ora, so che stai per uscire con Smiley, come mi hai detto ieri notte…ma non potevo aspettare fino a domani per avvisarti!”

“Cos’è successo?” le chiese con dolcezza.

“Si tratta di Carlos… finalmente lo hanno ritrovato!”

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Spigolature dell’Autrice:

*matcha (抹茶): le foglie vengono cotte al vapore, asciugate e ridotte in polvere finissima. È usato nella famosa cerimonia del tè (fonte Wikipedia).



**umeshu (梅酒): è un liquore tipico giapponese, bevuto ben freddo nella stagione calda, ottenuto dalla macerazione della ume, una varietà di prugna ancora acerba e di colore verde, nell'alcool o anche nel sakè con aggiunta di zucchero di canna cristallizzato. Ha un sapore dolce, leggermente aspro, e un contenuto di alcool di circa 10-15 gradi (fonte: Wikipedia)




***suburb: ovvero, la periferia newyorkese abitata da pendolari benestanti che spesso lavorano nel centro della città (fonte: http://www.ilpost.it/2013/06/05/bronx/).

****senpai 先輩: con questo termine ci si riferisce indicativamente a colui che risulta esser più esperto in un certo ambito, che può esser il membro che sta più in alto nella scala gerarchica, per livello di responsabilità od età: egli offre assistenza, amicizia e consulenza al “novellino” privo ancora del tutto d'esperienza (fonte Wikipedia).

Ed ecco la straordinaria auto sportiva, una De Tomaso Pantera degli anni ’70, scelta dal nostro The King:


detomaso-pantera

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Ricordo una volta di più che TUTTE le immagini da me scelte ed inserite nella presente fanfiction sono mero frutto di ricerca su Google e che non costituiscono violazione del copyright, tanto più che su efp si scrive senza scopo di lucro alcuno.


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L’angolo del boxeur  :


Un ripassino sugli stili pugilistici. Ho già parlato dello stile proprio dell’incontrista (come il nostro Joe) e di quello dello stilista (Josè Mendoza). Ma vi sono altri modi di vivere la boxe, su quel benedetto quadrato:

Puncher: è un pugile con una dotazione tecnica completa, abile nel boxare a distanza ravvicinata, unendo la tecnica alla potenza e alla velocità, ed ha spesso la capacità di mettere fuori combattimento l'avversario con combinazioni di pugni o anche con un unico colpo. I movimenti e la tattica del puncher sono spesso simili a quelli di uno stilista, a differenza del quale, tuttavia, il puncher non tiene a distanza l’avversario, cercando solo di sfiancarlo sulla distanza: tende a demolire l'avversario con le combinazioni di colpi per poi cercare il KO. In Ashita no Joe, un puncher era di sicuro l’indimenticabile Tooru Rikishi. Lo era pure il povero Carlos Rivera.

Picchiatore: è solitamente un pugile carente di tecnica e di gioco di gambe, che compensa queste carenze con la pura potenza dei propri pugni. Molti picchiatori ricercano la stabilità dell'assetto per favorire la potenza, e per questo tendono ad essere insufficientemente mobili e ad avere difficoltà ad inseguire i pugili veloci di gambe, di cui possono anzi diventare un facile bersaglio. I picchiatori a volte tendono a trascurare le combinazioni, privilegiando le ripetizioni di colpi singoli, a volte portati con una sola mano e con grande potenza (per lo più ganci e uppercut), ma spesso con velocità minore di quella degli stilisti. Nishi Kanichi, prima di ritirarsi dal pugilato, era un peso massimo di questo tipo.

Aggressore (o "in-fighter"): è un pugile dall'aggressione continua, per questo chiamato anche "pressure fighter", che tenta di rimanere addosso all'avversario, aggredendolo con continue raffiche e intense combinazioni di ganci e uppercut. Un buon in-fighter necessita di buone doti di incassatore, perché questa tecnica lo espone ad essere colpito da serie di jab e diretti prima di riuscire ad entrare nella guardia dell'avversario, dove i colpi dell'in-fighter sono più efficaci. Gli in-fighter agiscono meglio a distanza ravvicinata perché generalmente sono di statura più bassa della media degli avversari e hanno un minore allungo, e perciò sono più efficaci ad una distanza in cui le più lunghe braccia dei loro avversari sono svantaggiate nel colpire rispetto alle loro. Molti in-fighter di bassa statura utilizzano quindi l'altezza ridotta come strumento per schivare i colpi ed infilarsi nella guardia dell'avversario, abbassandosi fino alla vita per passare sotto o di fianco ai colpi in arrivo. A differenza del bloccare i colpi con i guantoni, le schivate fanno andare a vuoto l'avversario causandone lo sbilanciamento, e consentono all'in-fighter di passargli sotto al braccio disteso con i pugni liberi per colpire d'incontro. Nonostante questo stile esponga parecchio i pugili che lo praticano ai colpi degli avversari, qualche in-fighter fu noto invece per essere stato difficile da colpire. Beh, direi che nella vita reale Mike Tyson fosse proprio uno da "pressure fighter"! (fonte: Wikipedia)
  
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