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Autore: martaparrilla    26/04/2016    12 recensioni
Henry ha 8 anni e non parla più da diciotto mesi. Sua madre, Regina, è convinta che quella sia la giusta condanna per non essere riuscita a proteggerlo dal dolore per la perdita del padre. Un giorno, le loro vite incrociano quelle di Emma che, cauta e silenziosa, riuscirà a conquistare la fiducia del piccolo Henry.
E forse, anche quella di sua madre.
Basterà questo a farlo parlare di nuovo? Henry odia davvero sua madre come essa afferma?
Anche stavolta ho dovuto alternare il punto di vista dell'una e dell'altra, è una cosa che non riesco a evitare per riuscire a spiegare al meglio le decisioni prese da entrambe e come queste influenzino positivamente la crescita del rapporto dei tre protagonisti.
La storia è puramente frutto della mia fantasia, nonostante si tocchino argomenti che troppo spesso le donne sono costrette ad affrontare da sole e in silenzio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sento chiaramente il suo cuore spezzarsi al suono delle mie parole, come una tazzina lanciata al muro per la rabbia. Non è ferita perché non le concedo una possibilità. È ferita perché la sto allontanando anche come amica e confidente.

Anche io voglio parlare dell'accaduto, ma parlarne significherebbe ripetere tutto, lo sapevamo entrambe. In questo momento l'attrazione fisica avrebbe il sopravvento su qualunque cosa, anche sulla razionalità che tanto mi contraddistingue.

Non posso dimenticare cosa mi hanno fatto quelle mani, quella bocca, quello sguardo. Sarebbe come buttarsi dentro un incendio e io voglio tremendamente bruciare con lei, ma non posso. Ho bisogno di riguadagnarmi mio figlio, e lei forse mi avrebbe fatto bene, o forse mi avrebbe distratta dall'unico essere vivente che mai avrei amato con tutta me stessa.

Se ne sta lì, con sguardo spento e il cuore in tormento, in attesa che possa avere il coraggio di pronunciare anche solo una sillaba. Invece stiamo ferme, senza proferire parola alcuna, occhi dentro agli occhi, cuori martellanti dentro al petto, cervello in delirio. Si è messa un vestitino con una fantasia astratta, dai colori scuri. Le sue sottili e scattanti gambe in bella mostra e avrei voluto coprirla con... me, il mio corpo sarebbe andato benissimo per non mostrare più a nessuno quello scrigno di bellezza che avevo visto solo pochi giorni prima compiere movimenti degni del miglior contorsionista.

Stringe i pugni silenziosa. Leggo in lei il conflitto che la affligge: rispondermi a tono o fare la superiore? Io semplicemente sposto lo sguardo dall'asfalto all'ingresso della stazione, in attesa di intravedere Henry in mezzo alla folla di bambini. La voglia di piangere mi assale.

«Volevo solo chiederti se potevo portare Henry a casa di mia madre, così potrebbe conoscere il mio fratellino Neal e iniziare il nuovo percorso di approccio con i bambini della sua età o simili» stringe le labbra «Mio fratello ha sei anni, solo due in meno di Henry, ma è molto maturo ed espansivo, credo possa fargli bene passare del tempo con lui, questa estate».

Non so davvero cosa dire. Credevo volesse parlare di noi, credevo volesse affrontare un argomento che non volevo e non voglio affrontare. Invece da donna matura qual era voleva solo comunicarmi la sua prossima mossa con Henry perché è lui la sua priorità, esattamente come la mia.

«Comunque è stata una buona cosa sapere cosa pensi, almeno eviterò di chiederti come stai, sai non vorrei che pensassi a una qualche forma di stalking».

«Emma ti prego, mi dispiace, non volevo dire quelle cose....» tento di rimediare ma sento che non ci sarei riuscita.

«Certo, non le volevi dire. Inizierò i miei sms con la parola Henry perché solo a lui mi interesserò d'ora in poi».

Uno sguardo ostile rivolto verso di me. Braccia incrociate al petto e respiro pesante.

Il suo sguardo si sposta verso la stazione e fa cenno con la mano.

«Hey, Henry».

Mi volto. Henry è arrivato.

Trasporta silenzioso il suo trolley, accompagnato dalla vamp – maestra. Dio, ci manca solo che lei si comporti in modo inopportuno di fronte ad Henry o peggio, di fronte a Emma. Henry invece sorride quando incrocia lo sguardo di Emma e torna nel suo buco nero quando si accorge che ci sono anche io.

Gli andiamo incontro.

«Hey ragazzino, tutto bene?» gli scompiglia i capelli con una mano e a lui scappa un sorriso.

«Salve, sono un'amica di Henry» allunga senza pensarci troppo la mano verso quella donna, che squadra Emma dalla testa ai piedi. Si sono capite. Si lanciano degli strani sguardi che mi tagliano totalmente fuori, e decido di salutare mio figlio.

«Ciao tesoro, tutto bene? Sono felice che tu sia tornato, mi sei mancato».

Come al solito silenzio. Apre lo sportello della macchina e si butta dentro.

Scuoto la testa in segno di dissenso prima di tornare nel mondo degli adulti.

«Si è comportato bene?» chiedo fredda alla maestra.

Il suo sguardo famelico si posa sulla mia scollatura e non posso far altro che chiedere aiuto a Emma con lo sguardo, ma lei è entrata in macchina e sembra stia comunicando col mio bambino. Devo risolvermela da sola, come al solito.

«Questo è per te» da quando mi dava del tu? «Ho annotato spostamenti di Henry, i comportamenti ecc ecc. Ho pensato ti avrebbe fatto piacere avere un riassunto del viaggio visto che lui non te lo avrebbe detto a voce».

Dalla borsa estrae un piccolo taccuino che sembra completamente compilato. Lo prendo con cautela, assicurandomi di non toccare nemmeno un centimetro di pelle di quella donna e custodendo quell'oggetto come un prezioso tesoro. Sarei voluta essere più gentile, ma oggi proprio non ci riesco.

«La ringrazio molto... spero che questo serva a farmi avvicinare a lui».

Prendo la valigia e la sistemo nel bagagliaio mentre la maestra mi segue con lo sguardo, ma stavolta senza invadere i miei spazi.

«È stato un piacere. Fammi sapere se ci sono miglioramenti».

Continua a darmi del tu. E continuo a essere infastidita da questo atteggiamento. Emma può darmi del tu, non una maestra a caso con cui mio figlio non è nemmeno riuscito a parlare.

Mi illudo che il motivo per cui mi infastidisca sia questo.

«Ciao Henry» sento la sua voce provenire dalla macchina e lo sportello chiudersi.

«Signora Mills, passerò a prendere Henry domani verso le 3 pm, a meno che lei non abbia altri orari lavorativi da comunicarmi».

Il tono di voce severo e distaccato mi spiazza.

«Siamo tornati al lei?».

«Credo sia più consono per un rapporto lavorativo, sono certa che ne conviene anche lei» quello sguardo di totale indifferenza è peggio di uno schiaffo. Ma so che in questo istante qualunque tentativo da parte mia di una riconciliazione sarebbe stato vano. Per cui seguo il suo gioco.

«Domani finisco alle 3 pm di lavorare, potresti prenderlo tu da scuola? Tieni» dalla tasca prendo un mazzo di chiavi, una copia delle chiavi di casa mia «vi lascio il pranzo pronto. Poi portalo dove ritieni sia più utile per lui».

Fissa le chiavi per un po' prima di prenderle.

«Credo che rimarremo a pranzo da mia madre, se non è un problema».

Noto una certa incertezza nel tono di voce.

«No, non è un problema, ovviamente».

«Allora arrivederci. Riporterò io Henry a casa intorno alle 7:30 pm».

Scappa senza lasciarmi il tempo di replicare.

 

QUATTRO MESI DOPO.

Le settimane passano ma Emma, nonostante sia un punto fermo nella vita di Henry, nonostante passi con lui quasi tutte le giornate, fuori o in casa mia, non mi ha più degnata di uno sguardo.

Innumerevoli volte ho tentato di avere una riappacificazione con lei, a voce, per messaggio, ma lei rispondeva sempre la stessa cosa: “sarò ben lieta di discutere con lei dei progressi di Henry, non esistono altri argomenti di discussione per quanto mi riguarda”.

Mi sento sola.

Di nuovo.

Ho sempre avuto la capacità di distruggere qualunque cosa bella mi capitasse tra le mani, e solitamente questa sensazione di impotenza e inutilità che continua a scorrere nelle mie vene, passava nel giro di pochi giorni. Semplicemente mi arrendevo al volere altrui.

Stavolta non ci riesco.

Più il suo sguardo è lontano dal mio, più mi viene voglia di avvicinarmi, toccarla, stringerla. Un suo sorriso avrebbe spazzato via qualunque nube intorno a noi, ma sembra irremovibile.

Quando gioca in camera con Henry io me ne sto seduta contro la porta, con le ginocchia al petto, a nutrirmi delle voci di quelle due persone che mi hanno totalmente esclusa dalla loro vita.

Non riesco nemmeno più a capire se la delusione di Emma sia esagerata. Se il suo comportamento si possa considerare infantile. Ma tutte le volte che questa idea mi balena nella testa riesco solo a odiare me stessa per aver anche solo pensato che lei potesse chiedermi una cosa tanto stupida. Il fatto che non si sia mai sposata e che non abbia figli non fa di lei un essere capace di pensare solo al sesso.

O all'amore.

Ha mai provato qualcosa per me? Non riuscire a trovare una risposta positiva mi fa ancora più male. Perché io non faccio altro che pensare alle sensazioni che sconvolgono il mio stomaco per il solo fatto di averla in giro per casa, con la tuta da ginnastica e le solite Converse.

Sobbalzo ogni qualvolta quegli occhi, per caso, si alzano verso di me. Ma subito li riabbassa triste quando me ne accorgo.

Tutto questo fino ad oggi, quattro mesi dopo.

Henry ha trascorso le ultime due settimane in un campo estivo e ho chiesto a Emma di andarlo a prendere. Io li avrei raggiunti a casa il prima possibile.

È il 15 di luglio.

Il pronto soccorso oggi è particolarmente calmo, ma molto afoso nonostante l'aria condizionata programmata al massimo. Seduta su uno sgabello di una delle medicherie, approfitto del momento di calma per terminare e chiudere la compilazione delle varie cartelle, così da non averle accumulate a fine turno.

Un'ora prima Emma mi ha comunicato, tramite messaggio, che Henry era con lei e che sarebbero andati presto a casa.

Un leggero fruscio e una porta che si chiude, mi distrae dai miei doveri.

Alzo lo sguardo.

Una donna dalla pelle olivastra e i capelli lunghi e mossi mi fissa.

Il suo sguardo non mi piace ma, sicura che sia una paziente, mi alzo per chiederle i dati.

Mi precede.

«Sei Regina Mills?» chiede inclinando leggermente la testa da un lato. Stringe forte a sé una grossa borsa beige. Indossa un anello con brillante all'anulare sinistro e un vestito bianco le cade perfettamente sui fianchi. Il suo sguardo mi inquieta, ma spesso quello è frutto del timore del paziente di rapportarsi col medico.

«Sì sono io, buonasera signora, è già passata dal triage? Se sì, dovrebbe consegnarmi il foglio con i suoi dati e il motivo per cui è qui, anche se ovviamente mi racconterà di nuovo tutto da capo» il mio tono è cordiale ma la sua espressione è cambiata subito dopo il mio sì.

«Tu non sai chi sono, vero?» mi chiede sarcastica.

«Dovrei?» quell'atteggiamento di strafottenza mi sta irritando e non poco.

«Dipende se hai mai visto una mia foto nel cellulare di tuo marito».

Il mio cuore si ferma. Lentamente e inesorabilmente. E mentre metabolizzo l'idea di avere di fronte l'amante di Robin, ecco che dalla borsa estrae una pistola e me la punta addosso.

Fisso come attirata da un incantesimo, quell'oggetto grigio lucido che lei tiene, tremante, tra le sue mani.

«Cosa diavolo pensa di fare con quella?» il tono della mia voce non riesce a nascondere la folle paura che si è insinuata in me. Indietreggio cercando un appiglio e mi guardo intorno per trovare un punto dove eventualmente ripararmi. Ci sono due porte in quella stanza, una dietro di lei e una a qualche metro da me. Se provassi a fuggire mi colpirebbe senza esitazione.

«Oh, ora che sei in pericolo hai paura eh, brutta stronza!» esclama digrignando i denti.

«Sai, non riesco a capire una cosa. Sono passati due anni e dovrei essere io quella desiderosa di ammazzarti! Eri tu l'amante e io la moglie, riprenditi il tuo ruolo e vai a farti fottere» dico tentando di rimanere calma, con tono fermo e deciso. Dentro di me, il cuore è come impazzito.

Lei scoppia a ridere. Poi alza la mano e mi mostra l'anello.

«Vedi questo? Me l'ha regalato il giorno che mi ha chiesto di sposarmi» è così sicura nel pronunciare quelle parole che stavolta sono io a scoppiare a ridere. Mi piego su me stessa, ridendo come non mai per l'illusione che quella povera donna aveva conservato per quasi due anni.

«Ti conviene smetterla di ridere se non vuoi che faccia partire un colpo» ira funesta nei suoi occhi.

«Mi dispiace che abbia illuso così anche te allora. Perché... no, aspetta» rifletto un attimo su come erano andate le cose.

«Qualche giorno prima gli avevi detto che eri incinta magari?».

Il suo sguardo parla decisamente da solo. È come pensavo. L'aveva trattata proprio come me: ci innamoriamo, facciamo tanto sesso, rimango incinta e mi sposa. E boom, giù lì a ripetere lo stesso copione un numero infinito di volte.

«L'ha fatto anche con me, 8 anni fa» incrocio le braccia al petto.

«Ti ha usata esattamente come ha fatto con me. Se ci fossimo incontrate prima potevamo sbarazzarci di lui insieme, invece è morto da solo, non ci ha nemmeno dato questa soddisfazione».

Lei è visibilmente furiosa. Con mano tremante punta ancora quell'oggetto metallico verso il mio petto e mi chiedo quando qualcuno mi avrebbe cercata. Le mani iniziano a sudare, e ho bisogno di sedermi ma non voglio farla innervosire ulteriormente muovendomi in modo incauto.

«Ti do un consiglio, prenditi cura del tuo bambino e non pensare al padre, non se lo merita».

La sua bocca assume una strana conformazione. Un misto tra risata e pianto. Ma la seconda ha la meglio quando una lacrima le bagna il viso.

«Ho perso anche lui PER COLPA TUA!» un urlo disumano fuoriesce dalla sua bocca. Gli occhi spalancati, umidi e iniettati di sangue, diventano i protagonisti di quel viso contratto dal dolore. Inizia a camminare avanti e indietro senza trovare pace.

«Sì, perché sono andata al funerale e me ne sono stata in disparte per tutto il tempo, mentre tu e tuo figlio lo piangevate! Io non ho potuto fare nemmeno quello! Già, perché all'amante non è permesso di soffrire per la morte di chi ama e così non solo ho perso Robin, ma anche il mio bambino, per un aborto, due giorni dopo. Come se il destino non avesse già fatto abbastanza per rendermi infelice!».

«Anche io ho perso mio figlio quel giorno!» urlo per sovrastare la sua voce. La gola mi brucia e anche il petto e gli occhi. Qualcuno ha detto che se si parla della propria vita, chi ti punta addosso una pistola, si sente in empatia col suo bersaglio e potrebbe distrarlo dal compiere qualsiasi gesto irreparabile.

«L'ho perso anche io! Tu pensi che per me sia stato facile? Lui stava venendo da te quella sera! E io l'ho cacciato di casa. Come pensi che mi sia sentita? Eh? E come pensi che abbia reagito mio figlio quando ha supplicato il padre di restare e quel grand'uomo non si è nemmeno degnato di girarsi per dargli una fottuta spiegazione? Da quel giorno lui non mi parla, non mi guarda, sono totalmente invisibile! Oh, e se pensi che questa sia la giusta punizione per le mie azioni, benvenuta, me lo ripeto da due anni! Ma Henry... Henry non doveva soffrire per un suo errore, per un nostro errore!»

Mi guarda con compassione, come se improvvisamente abbia trovato un modo per smettere di proteggere l'uomo che diceva di amarla e guardare anche chi, lo stesso uomo, aveva ferito e abbandonato. E non voglio che pensi al mio di dolore, voglio che pensi a quello di un bambino di soli sei anni che si è visto portare via l'affetto di un padre che idolatrava come se fosse un Dio.

«Forse tu non potrai stringerlo tra le braccia, ma io per il mio sono morta e, credimi, non c'è dolore più grande per una madre che vedere un figlio soffrire così, isolarsi così e non poter fare niente. Assolutamente niente».

Anche io inizio a piangere.È la seconda volta che esprimo a voce alta tutto questo dolore, tutto il risentimento nei confronti di Robin e soprattutto verso di me. Solo che l'altra volta c'era Emma a consolarmi, stavolta chi lo farà? Probabilmente stavolta finirà con un bel proiettile dentro al mio corpo... e Henry probabilmente ne sarà felice. Avrei dovuto fare testamento e inserire Emma nella custodia. Non voglio che sia mia madre a crescere mio figlio. Emma sarebbe stata una bravissima madre e Henry finalmente sarebbe stato felice.

Mentre le ultime lacrime solcano il mio viso, e quella donna mi guarda senza riuscire a dire una sola parola ma con la pistola ben puntata verso di me, la porta di fianco a me si apre di scatto, per poi richiudersi subito dopo.

Perché ha già richiuso? Penso mentre alzo lo sguardo, sollevata.

Ma la sensazione di sollievo si dissipa nel momento in cui cado in quegli occhi color del mare.

Emma.

«E lei chi diavolo è! Si sposti dalla porta, subito!».

No. Lei non deve essere in questa stanza! A chi avrei lasciato Henry ora?

Mi guarda in modo rassicurante, mentre si avvicina a me allontanandosi dalla porta. Spero tanto che abbia chiamato aiuto, almeno.

«Tutto bene?» sussurra, ignorando totalmente la furia della donna di fronte a noi.

In quel momento sentire la sua voce mi fa stare meglio e il suo sguardo mi dice che si sarebbe sistemato tutto. Annuisco alla sua domanda. Poi lei si sistema di fianco a me.

«Lo sa, vero, che tutti sanno che lei è qui dentro e tiene in ostaggio la dottoressa? E che appena lei muoverà solo un passo le spareranno e non potrà farla franca?»

La sua voce fredda, dura e sicura espone una situazione assolutamente veritiera ma non posso fare a meno di avvicinarmi a lei e toccarle il braccio nudo per dirle di non farla innervosire. La mia mano scorre verso la sua e me la stringe forte. Inevitabilmente il mio sguardo si posa su quel gesto. Mi stringe la mano e si avvicina a me così tanto da poterne sentire il profumo.

«Ma lei chi diavolo è? Che cosa vuole? Stavamo discutendo di cose importanti qui» aggiunge quella donna di cui ancora ignoro il nome.

Sento chiaramente il cuore di Emma battere all'impazzata

«Sono un'amica della dottoressa e di suo figlio. E lei invece chi sarebbe?» mentre parla al posto mio mi stringo ancora di più a lei.

«Mi chiamo Marian, sarei stata la moglie di Robin se solo lui non fosse morto».

Marian. Ora quel volto ha anche un nome.

«Marian, quello è stato un incidente, non può incolpare Regina di questo!»

«Lei lo ha costretto ad andarsene! Se non l'avesse buttato fuori di casa, lui sarebbe ancora vivo!».

«Può darsi, ma faccia una cosa, si metta al posto di Regina, invertiamo i ruoli. Suo marito ha un'amante e lei lo scopre. Davvero avrebbe reagito in modo diverso da quello di Regina? O avrebbe tentato di capire il motivo con calma di fronte a una tazza di the, magari. Avanti, siamo realisti. Regina ha reagito come il 100% delle donne avrebbe fatto!»

Non mi sono mai posta il problema di mettermi dei panni di Marian. Per me è sempre stata solo una sporca sgualdrina che aveva ingannato mio marito e me lo aveva portato via. Ripensarci ora non fa così male. Quando Emma mi sta vicina, tutto il dolore assume una dimensione sopportabile, quasi come se guardando la situazione con i suoi occhi, fossi solo una spettatrice.

«Lui doveva sposarmi, aspettavo un bambino! E l'ho perso per colpa sua!» urla di nuovo.

All'improvviso nel suo viso qualcosa cambia. Lo sguardo si incupisce, la testa si inclina e un lieve sorriso spunta tra le sue labbra mentre guarda qualcosa che stava tra me e Emma.

«Lei ti ama, non è vero?» annuisce mentre io e Emma ci guardiamo, confuse e complici.

«Oh, non fate finta di niente. Ti fa scudo col suo corpo, ha le dita intrecciate con le tue! Cosa pensi che sia questo se non amore?» scoppia in una sonora risata.

Abbassa per un attimo la pistola e lo sguardo.

«Nonostante tutto hai trovato qualcuno che ti ami. Non ti meriti niente di tutto ciò, non ti meriti questa fortuna cara la mia Regina».

La quiete prima della tempesta.

Un lieve “no” esce dalla bocca di Emma. E sto ancora guardando lei, i suoi occhi terrorizzati, quando quel no diventa un urlo, le sue dita abbandonano le mie e si piazza di fronte al mio corpo. Non capisco il perché fino a che non sento il primo sparo.

Poi un altro.

Fuori sento delle urla ma nessuno ancora ha fatto capolino in quella stanza.

Emma fa un passo in avanti e poi all'indietro, incerta, quasi fosse ubriaca.

Lentamente scivola sulle ginocchia e poi a terra. Piccoli singhiozzi strozzati escono dalla sua bocca, assieme a un rivolo rosso tra le sue labbra.

«Emma!» mi accascio di fianco a lei, urlando disperatamente il suo nome.

 

 

Note dell'autrice: dovevo far accadere qualcosa di eclatante. Dovevo far smuovere la situazione altrimenti l'orgoglio ferito di Emma e il poco coraggio di Regina avrebbero avuto la meglio ancora per molto tempo. E non mi piace che Emma e Regina stiano lontane. Per il resto tutto questo, alla fine, avrà un senso. Inserire Marian ha fatto sì che il cerchio di Robin e della sua amante si chiudesse, e ho finalmente restituito a voi lettori la vera e unica coppia canon che doveva esistere anche nel telefilm, ovvero Robin e Marian.

Grazie a Susan e a Nadia per le correzioni e per i divertentissimi commenti che quest'ultima mi lascia sempre in mezzo al capitolo...probabilmente vi fareste una sonora risata anche voi!

A martedì :)

  
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