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Autore: Morgana89Black    28/04/2016    1 recensioni
Perché in ogni anima, anche nella migliore, ci sono sia ombre che luci. Perché anche il migliore degli uomini ha dei desideri che vorrebbe celare al mondo. Perché anche la persona più buona, in passato, almeno una volta, ha compiuto atti di cui si è pentita.
Dal testo:
Educare? Ma almeno tu ti credi quando parli? Credi in ciò che dici? Io ritengo che la parola giusta sia addestrare. Non illuderti! È questo che stai facendo con Harry: lo stai addestrando!
[...]
La verità la sappiamo entrambi, Albus. Tu odiavi Ariana.
[...]
Sapevo che saresti rimasto con me, Albus. Guarda! Guarda cosa potevamo diventare io e te insieme. Avremmo potuto governare il mondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Harry Potter | Coppie: Albus/Gellert
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
- Questa storia fa parte della serie 'Per il Bene Superiore'
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Continuava a chiedersi cosa l'avesse spinto a portare quel dannato specchio ad Hogwarts e non riusciva a darsi una risposta soddisfacente. Non che fosse la prima volta che la sua mente contorta lo portava a compiere azioni indecifrabili e sconsiderate, ma in questo caso poteva andarci di mezzo un ragazzino. E non un alunno qualsiasi della sua scuola, ma quell'alunno, il bambino che desiderava educare e proteggere.

Educare? Ma almeno tu ti credi quando parli? Credi in ciò che dici? Io ritengo che la parola giusta sia addestrare. Non illuderti! È questo che stai facendo con Harry: lo stai addestrando!

La odiava quella vocina nella sua testa. La Sua voce. Perché la sua coscienza doveva necessariamente avere quella voce roca e sensuale.

Roca e sensuale? Davvero? Mi lusinghi Albus... ed io che pensavo mi avessi dimenticato.

Sì, decisamente la odiava. E non poco! Ed ancora di più odiava quello specchio. Era rimasto in quell'aula in disuso, anche dopo aver mandato a letto il giovane Harry. Era rimasto vicino allo specchio delle Brame, senza avere il coraggio di posizionarsi dinanzi ad esso. E le parole del bambino continuavano a rimbombare nella sua mente “Lei cosa vede, Professore?”. Già, lui cosa vedeva?

Non voleva specchiarsi Albus, non voleva farlo. Eppure una parte di sé desiderava poter guardare ancora una volta quelle immagini distorte, inesistenti, impossibili.

Eccitanti, ineguagliabili, impagabili.

Era un mago potente, apprezzato, ammirato. Perché mai doveva temere così tanto il suo riflesso in uno specchio?

Perché è un riflesso diabolico, Albus. O per lo meno è così che tu lo definisci. Certo, la verità è che è la tua mente ad essere diabolica. I tuoi desideri sono diabolici e terribili. Quell'oggetto, infondo, non fa altro che mostrare i più profondi desideri del nostro cuore. Non è così?

Non stava mai zitto, mai! Lo detestava, lo odiava, lo disprezzava... lo amava, lo desiderava, lo bramava. Non poteva mentire a se stesso. Poteva mentire agli altri, al mondo intero, ma non a se stesso e non quando guardava il proprio riflesso in quel terribile specchio. Aveva mentito, pochi minuti prima, a quell'ingenuo bambino. Gli aveva detto di vedersi con in mano un paio di comodi e caldi calzini di lana. Ma sapeva, Albus, sapeva che non era la verità.

Raccolse tutto il suo coraggio e si avvicino sempre di più all'oggetto troneggiante nel mezzo della stanza. Solo per un secondo vide il suo riflesso titubante e timoroso. Solo per un secondo.

Non è meglio di un paio di semplici ed inutili calzini di lana? Quello che stai osservando non è più interessante? Più eccitante... lo so che lo trovi più eccitante, Albus.

Non lo era affatto. Non era un'immagine migliore. Odiava veder riflessi i propri desideri, si disprezzava per questo. Si detestava, Albus. Si sentiva in colpa per ciò che vedeva nello specchio, perché la verità è che la sua mente razionale riteneva, correttamente, che non fosse giusto il suo desiderio più profondo ed intimo.

Che cosa è giusto, Albus? Chi decide cosa è giusto? Non esiste la Giustizia, quella con la G maiuscola. Lo sappiamo entrambi, lo sappiamo bene... la storia la scrivono i vincitori.

Lui doveva vederci Ariana in quello specchio. Doveva vedere la sua dolce ed adorata sorellina, viva, sorridente e felice insieme ai propri fratelli.

Dolce ed adorata sorellina? Davvero? Mi vuoi prendere in giro. La verità la sappiamo entrambi, Albus. Tu odiavi Ariana. La odiavi con tutto te stesso, perché lei ti avrebbe impedito di essere libero, di lottare “per il Bene Superiore”. Ti avrebbe impedito di essere Mio. Infondo devo darle atto di esserci riuscita. Lei, alla fine, ti ha comunque impedito di essere Mio. Ti ha spaventato e rammollito.

Era mia sorella, l'amavo. Era parte della mia famiglia e devo soffrire per la sua morte, dolermi per la sua perdita.

Allora perché nello specchio vedi me? Non è forse meraviglioso ciò che vedi? Potevi avere tutto ciò che lo specchio ti mostra. Sei stato un codardo ed hai rifiutato un futuro brillante, glorioso. Hai rifiutato la grandezza, per dei sensi di colpa che non hanno fatto altro che dilaniarti dall'interno. E non puoi negare che non hai ottenuto ciò che volevi, non sei l'uomo che volevi diventare. Continui a vedere un futuro diverso nello specchio.

Si può desiderare qualcosa che si detesta? Albus sapeva che si può. Lui desiderava profondamente e visceralmente qualcosa che lo ripugnava e che odiava con tutto se stesso. Eppure non poteva impedirsi di volerlo.

Poteva perdersi tutta la notte nella contemplazione di quelle immagini depravate e diaboliche. Poteva. Non sarebbe stata la prima volta. Rimase per lunghi attimi a chiedersi se fosse il caso di tornare nelle proprie stanza, ma alla fine la sua debolezza prevalse sul resto. Estrasse la bacchetta con calma e delicatezza, non aveva fretta, aveva tutta la notte. Sigillò quell'aula in disuso e fece comparire una morbida poltrona rivestita di velluto verde, lo stesso verde degli occhi che lo guardavano dallo specchio. Lo stesso colore del muschio che ricopre la corteccia degli alberi, indicando, cinicamente, il Nord. Vi si sedette comodamente e rimase a fissare quel diabolico riflesso nello specchio.

Sapevo che saresti rimasto con me, Albus. Guarda! Guarda cosa potevamo diventare io e te insieme. Avremmo potuto governare il mondo.

Voleva ridere di se stesso. La sua coscienza era la voce del più potente e pericoloso mago oscuro di tutti i tempi. Non era paradossale? Eppure era così ormai da... da quanto? Decenni? Millenni? Troppo. Troppo tempo. Gellert Grindelwald era la sua coscienza. Il suo grillo parlante. E mentre rifletteva su questo, scoppiò a ridere, di una risata cristallina e... diabolica.

Anche il suo riflesso rideva. Rideva senza riuscire a fermarsi, mentre si perdeva negli occhi verdi del suo più profondo ed angosciante desiderio.

Ipnotizzato, il vecchio mago, decise finalmente di osservare l'immagine che lo specchio gli rimandava. L'espressione che il suo volto assunse, più che estasiata ed appagata, sembrava disgustata e terrorizzata.

Vedeva se stesso, possessore dei Doni (la stecca della morte, la pietra della resurrezione ed il mantello dell'invisibilità), steso su un letto a baldacchino, in una camera lussuosa e ben arredata, mentre osservava il Suo Gellert, con le mani ricoperte di sangue. Nello specchio quel sangue non lo disgustava, al contrario, gli faceva amare ancora di più il suo amante, poiché sapeva che era il frutto, necessario, della loro corsa al potere.

Decisamente lo disgustava quell'immagine ed ancora di più il seguito della medesima. Albus sapeva già come proseguiva la sua “visione”, poiché era sempre la stessa da anni. Gellert che si spogliava, che si accucciava sul letto accanto a lui e che si prodigava a procurargli piacere.

Se ti disgusto veramente così tanto, perché non te ne vai?

Non poteva andarsene, non riusciva a farlo. Ma chiuse gli occhi Albus, per non vedere quelle immagini. Chiuse gli occhi e ricordò. Ricordò un giovane uomo, con il viso più dolce che avesse mai visto e dei boccoli dorati ad incorniciarlo.

Ricordò il poco tempo trascorso con quell'amico che ben presto era diventato qualcosa di più. Il primo bacio che Gellert gli diede, una sera d'estate, mentre ridevano e discutevano sdraiati sul suo letto. Le labbra morbide del biondo posate sulle sue, la sua lingua possessiva che reclamava la sua bocca, la mano sul suo petto.

Ricordò quell'unica volta in cui era stato suo, la sera prima della morte di Ariana. Erano sempre su quel letto e si stavano baciando, quando Gellert aveva cominciato a slacciargli la camicia, gli aveva tolto i pantaloni ed aveva spogliato se stesso. Era stato passionale, urgente, desideroso. Non c'era dolcezza in lui ed Albus non se l'aspettava. Era stato unico.

No, Albus. Era stato L'unico.

Non hai mai smesso di amarmi, di amarlo. Di desiderarlo, di bramarlo e di volerlo. Neanche quando lui stava distruggendo il mondo magico, per “il Bene Superiore”. Non hai mai smesso.

Una lacrima, un'unica lacrima solitaria scese dolcemente sulla guancia del mago, mentre rammentava il loro ultimo incontro, prima dell'epico scontro che aveva portato alla prigionia del suo grande amore.

Aveva voluto parlagli in privato. Gli aveva scritto di incontrarsi da soli. E lui aveva accettato e si era presentato all'appuntamento. Lo ricordava come fosse stato ieri.

Non mi vedi da molti anni. Non vuoi salutarmi come si deve?” così lo aveva accolto Gellert.

Non ti vedo da anni, ma conosco bene le tue imprese e le trovo deplorevoli” aveva risposto lui.

Non la pensavi così quando mi hai aiutato a progettarle, quelle stesse imprese, e...

Non puoi continuare così. Stai sbagliando. Non posso più fingere di non vedere, Gellert. La comunità magica reclama il mio intervento ed io non posso...” lo aveva interrotto, una nota implorante fin troppo evidente nella sua voce lieve, sinché era stato interrotto dalle parole dure del suo amato “Non puoi, Albus? Non puoi rifiutare il tuo intervento? Non puoi combattere contro di me? Oppure... vorresti dire che... non puoi amarmi?”.

Si erano guardati, a lungo, negli occhi. Verde contro azzurro. Cielo contro oceano. Gellert aveva distolto lo sguardo per primo, si era girato e, prima di allontanarsi, aveva freddato Albus con le uniche parole che non voleva sentirsi dire, non prima di doversi scontrare con lui, “non ho smesso di amarti, Albus. Sei stato l'unico...”. Dopo si era smaterializzato, senza più guardarsi indietro.

Solo quando il biondo dei capelli dell'amato era sparito, Albus aveva risposto “Neanche io ho smesso di amarti... sarai per sempre l'unico”.

L'unico. L'unico. L'unico. L'unico. L'unico. L'unico. L'unico. L'unico. L'unico. L'unico. L'unico. L'unico.

Doveva uscire da quella stanza. Doveva andarsene. Dimenticare. Lasciarsi alle spalle i desideri contorti di due giovani adolescenti. Doveva. Ma non voleva, non poteva.

L'unico.

   
 
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