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Autore: ZereJoke94    28/04/2016    2 recensioni
[Henry Cavill]
Appoggiai la testa sul volante e respirai profondamente, pensando che dopo l'anno che avevo appena passato, le cose non potevano fare altro che migliorare. Non era proprio possibile che qualcosa andasse peggio.
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"-Non è un caso se quasi tutti si tengono alla larga da lui- Iniziò, -In fondo lui stesso non chiede altro che essere lasciato in pace, quindi perchè non farlo?-"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 12



SUSAN  (Quattro anni prima)…

Louisa Sullivan non la smetteva più di raccontarmi ogni minuscolo particolare sul giorno della laurea in infermieristica di suo figlio Jake. Era una donna estremamente dolce e premurosa, ma tendeva un po’ troppo a monopolizzare la conversazione, almeno quella sera. Eravamo state a cena fuori in occasione del mio sessantottesimo compleanno; non che ci fosse molto da festeggiare, ma ultimamente eravamo diventate buone amiche, nonostante una differenza di età di più di dieci anni.

-Deve essere una bella soddisfazione, con tutti i sacrifici che avete fatto per quel ragazzo!- Commentai, nella speranza di indurla a chiudere il discorso.

-Oh Susan, eccome se lo è!- Sorrise e si sistemò i capelli castani, ma con qualche filo argentato, dietro le orecchie.

Salimmo in macchina e io mi sistemai sul sedile del passeggero, mentre lei si metteva alla guida. Non aver preso la patente era uno dei miei più grandi rimpianti.

-A proposito, come sta tua nipote? Anna, giusto?- Chiese mettendo in moto.

Mi strinsi nelle spalle –Non la vedo molto spesso purtroppo, ma stamattina mi ha telefonato e sta bene…vive con sua madre a Londra-.

-Dianne. Con lei le cose vanno sempre male, invece?- Mi rivolse un’occhiata veloce, forse per controllare che quel discorso non mi provocasse troppo imbarazzo.

-Oh, si. Le cose non sono mai migliorate dopo la separazione tra lei e John. Ormai è acqua passata- Scossi la testa, ripensando a quante volte avevo telefonato a casa loro tentando di parlare con lei, ma purtroppo era sempre rimasta irremovibile nella sua convinzione che io fossi complice di mio figlio…quando in realtà non avevo idea che lui la tradisse con quella donna che poi era diventata sua moglie. John era stato la delusione più grande della mia vita, e nonostante lo amassi con tutto il mio cuore di madre, non potevo perdonargli quello che aveva fatto a Dianne e ad Anna. Si era completamente dimenticato della figlia, limitandosi a mandarle biglietti di auguri per i compleanni e a provvedere al suo mantenimento.

-Capisco- Concluse Louisa imboccando la via dove abitavo  –Vogliamo fare due passi prima di concludere la serata?-

Acconsentii, così lasciammo la macchina davanti casa mia e ci incamminammo lungo il viale, dirigendoci verso la tangenziale.

Chiacchierammo del più e del meno per tutto il tempo, di cose decisamente più frivole rispetto a poco prima.

-….e così le ho detto “Scusami ma chi sei tu per decidere?”, voleva prendere tutte le decisioni, ti sembra normale? E’ assurdo, ogni volta che viene anche lei…-

Ma non la stavo più ascoltando da un pezzo, presa com’ero a guardare una figura che si stava avvicinando a noi, e che proveniva dalla strada, alla quale eravamo vicinissime ormai. Mi bloccai. Non riuscivo a vedere chi fosse, ma percepivo chiaramente la sua andatura lenta e barcollante.

-Louisa- La interruppi bruscamente –Torniamo indietro-

Lei mi guardò senza capire, poi mosse gli occhi in direzione del mio sguardo e si irrigidì.

-Pensi che sia un ubriaco?- Chiese mentre entrambe facevamo velocemente dietrofront.

-Non lo so e non mi…- Mi interruppi immediatamente non appena sentii il rumore di un tonfo sordo, seguito da un lamento.

Ci voltammo entrambe e scorgemmo quella figura rannicchiata a terra, proprio sotto la luce di un lampione. Aveva imboccato il viale, prima di cadere.

-Susan, andiamo!- Mi incitò Louisa, spaventata.

Guardai lei e poi la figura a terra, e seppi di non potere assolutamente andare a casa e lasciare li quel disgraziato.

-Non possiamo lasciarlo li! Mi sembra inoffensivo adesso, andiamo!- E mi incamminai velocemente verso di lui (o lei), con il cuore che accelerava a ogni passo, temendo il peggio.

Constatai immediatamente che si trattava di un uomo, a giudicare dall’altezza e dalle spalle larghe. Ma non riuscivo a vederlo in faccia.

-Giriamolo- Ordinai, e non senza un notevole sforzo da parte di entrambe, riuscimmo a farlo rotolare sulla schiena. Prima di ogni altra cosa, mi chinai su di lui e controllai che respirasse. Sospirai di sollievo non appena ne fui certa. Anche Louisa si inginocchiò di fianco a lui e gli scostò i capelli scuri e lunghi da davanti agli occhi. Con quei capelli e la barba lunga fino alla base del collo aveva tutta l’aria di essere un barbone.

Lo scossi leggermente, ma me ne pentii subito. E se ci avesse aggredito?

D’altra parte, non potevamo certo rimanere li a fissarlo tutta la notte, quindi pensai che provare a fargli riprendere coscienza e chiedergli se avesse bisogno di un’ambulanza fosse la scelta migliore.

Dopo un altro paio di tentativi, che effettuai sotto gli occhi terrorizzati di Louisa, lo sconosciuto aprì lentamente gli occhi. E che occhi!

Batté le palpebre una, due, tre volte, infastidito dalla luce del lampione esattamente sopra di noi, per poi spostare lo sguardo prima su di me e poi sulla mia amica.

Dopo un istante, sbarrò gli occhi e si tirò su a sedere con una velocità che stentai a credere, e che fece balzare indietro me e Louisa.

-Stai calmo- Mormorai, allungando una mano verso di lui.

Aveva il respiro accelerato e sembrava in uno stato di assoluta confusione, tanto che provò a parlare più di una volta, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono.

-Mi chiamo Susan- Provai a sorridergli, ma lui non ricambio il mio gesto e continuò a fissarmi, confuso. Non ero sicura che sapesse dove si trovava.

-Sei a Woodbourne, nel sud dell’Inghilterra, e non c’è assolutamente niente da temere, stai tranquillo- Mi avvicinai di un passo, ma non mi alzai in piedi, non volevo frastornarlo più di quanto non lo fosse già. Non era ubriaco, era solo spaventato. E incredibilmente magro.

Deglutì un paio di volte e infine parlò, con la voce roca di chi si è appena risvegliato da un coma durato mesi –Lo so, io…abitavo qui-

Io e Louisa ci guardammo, sconvolte.

-Co…come ti chiami?- Chiese lei.

Lui esitò un attimo prima di rispondere –Gideon. Sono Gideon Lancaster-

Lo fissai per un tempo che mi parve interminabile. Quello era Gideon Lancaster?

Lessi la stessa incredulità negli occhi di Louisa. Nessuna delle due poteva credere che quell’uomo stremato e mal nutrito fosse lo stesso ragazzo che ricordavamo.

-Sei il figlio di Mark e Sylvia Lancaster?- Chiese ancora Louisa, incapace di crederci.

-Si- Ripetè debolmente lui.                          

Rimasi pietrificata per qualche altro secondo, per poi riscuotermi e realizzare che dovevamo fare qualcosa. E dovevamo muoverci da sole, perché Gideon non sembrava assolutamente capace di prendere qualunque decisione, anzi sembrava sul punto di crollare a terra di nuovo.

Ma che diavolo gli era successo? Era un bel po’ che non lo vedevo in giro, in effetti…ma mai mi sarei aspettata una cosa del genere.

-Gideon, ce la fai ad alzarti?-

 

Qualche minuto dopo gli porsi una tazza di tè fumante, e dei biscotti. Molti più di quanti ne avrei offerti normalmente.

-Grazie- Mormorò, e iniziò a sorseggiare il tè. Mi sarei aspettata molto più entusiasmo, per non dire foga. Sembrava che non mangiasse da giorni.

Invece si limitò, come ho detto, a sorseggiare il tè e solo dopo un po’ prese un biscotto. Mi sedetti di fronte a lui nella piccola cucina, mentre Louisa era rimasta sulla porta, con una strana espressione stampata in faccia.

-Allora, Gideon…vuoi dirmi cosa ti è capitato?- Sperai di non aver usato un tono troppo accondiscendente, che magari avrebbe potuto offenderlo.

Lui scosse la testa e allontanò la tazza ancora mezza piena.

“Mio Dio” pensai, doveva aver perso almeno quindici chili dall’ultima volta che lo avevo visto…se non mi avesse detto il suo nome non lo avrei mai riconosciuto.

-Penso che sia il caso di chiamare sua madre- Intervenne Louisa.

Lui si girò lentamente verso di lei, infastidito. Lei sobbalzò.

-Non c’è alcuna fretta- Intervenni prontamente. Louisa era un po’ troppo ansiosa di chiudere quella faccenda, come se Gideon fosse stato una patata bollente che le bruciava le mani. Non si dava neanche la pena di nasconderlo!

-Gideon- Aspettai che si voltasse nuovamente verso di me, e quando fui certa di avere la sua totale attenzione continuai –Puoi rimanere qui per tutto il tempo che vuoi, solo quando vorrai tu chiameremo tua madre. Se lo vorrai-

In quel momento nel suo sguardo sembrò rompersi qualcosa. Il suo autocontrollo andò in mille pezzi e si portò le mani agli occhi, per nascondere le lacrime.

Louisa sembrava farsi sempre più piccola, mentre a me venne naturale alzarmi e andare verso di lui. Gli tolsi le mani da davanti agli occhi e gli accarezzai il viso –Hey…tranquillo. Tranquillo…Gideon, qualunque cosa sia successa, sfogati. Piangere è la cosa migliore che tu possa fare in questo momento-

Mentre lo consolavo, inginocchiata davanti a lui, aveva iniziato a dire frasi confuse e sconnesse. Era di nuovo molto agitato.

-Io non volevo, non volevo…- Mormorava -Non c’è più…è tutta colpa mia…-

Con la coda dell’occhio vidi Louisa sbiancare e tirare fuori il cellulare. Alzai un dito per impedirle di chiamare la polizia. La conoscevo, e sapevo perfettamente che era arrivata a conclusioni affrettate.

Lei mi guardò storto, ma si rimise il cellulare in tasca.

-Gideon, se sei d’accordo io vorrei chiamare tua madre, che ne dici?-

Dopo un attimo di esitazione annuì.


Non appena aprii la porta, Sylvia Lancaster si precipitò dentro casa mia come solo una madre in pena per il proprio figlio avrebbe potuto fare. Pochi passi più indietro c’era suo marito.

-Dov’è?- Mi chiese lei, senza fiato.

-In cucina…- La bloccai, per impedire che mi superasse prima che avessi finito di parlare –Sylvia, lo abbiamo trovato in uno stato confusionale che veniva dalla tangenziale a piedi, completamente al buio. Era in stato confusionale. Devo avvertirti…-

Lei fece un cenno con la mano e mi pregò di lasciarla passare, così mi feci da parte e la seguii in cucina.

Non appena il figlio entrò nel suo campo visivo, lei barcollò e si appoggiò allo stipite della porta.

-G-Gideon- Bisbigliò.

Lui alzò lo sguardo appena, per poi riabbassarlo senza dire niente.

Mark Lancaster entrò nella stanza e, dopo essersi assicurato che sua moglie riuscisse a tenersi in piedi, piantò gli occhi su Gideon per un tempo che mi sembrò infinito, ma senza proferire parola.

-Non…non sarebbe il caso di chiamare un’ambulanza?- Domandai.

-Sta bene- Sentenziò Mark, per poi avvicinarsi a me e a Louisa -Vi ringrazio infinitamente per averlo portato qui, per averci chiamati e… spero, per la vostra discrezione. Gideon, alzati. Andiamo-
   
 
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