EPISODIO 1 – Hello Monster
Nonostante
fosse primavera inoltrata il sole quella mattina era basso
sull’orizzonte, ed
una luce fredda inondava la città. Il palazzo abbandonato
ricordava i vecchi
condomini newyorkesi, un parallelepipedo di mattoni che una volta erano
stati
rossi ed ora erano anneriti dall’inquinamento. Le scale
antincendio si
arrotolavano sul fianco sinistro dell’edificio, che faceva
angolo tra una
strada principale ed uno stretto vicolo polveroso.
All’interno il silenzio fu
interrotto dai passi pesanti di Jack che scendeva a balzelloni
l’ultima rampa
di scale che conduceva al secondo piano, trasportando una sega
elettrica.
Dietro di lui lo seguiva River, guardandosi indietro per controllare
che
nessuno li stesse seguendo. I due attraversarono una grande stanza
vuota, dal
pavimento di vecchie piastrelle marrone chiaro si sollevavano granuli
di
polvere resi ancora più visibili dai fasci di luce che
penetravano dalle
finestre. Si avvicinarono alla porta scura e sbirciarono dal rettangolo
di
vetro blindato la stanza adiacente. Qualcosa si mosse
nell’ombra. “Hohoho” rise
Jack, una risata abbondante come abbondante era il premio che si
aspettava “Come
sai che Jack è passato di qua?” aggiunse con la
sua voce stridula. River ebbe
solo il tempo di aprire la bocca per rispondere, ma venne preceduta da
lui
stesso: “perché sono tutti morti!”.
Con
un
gesto accese la sega e, ridendo, irruppe nella stanza successiva.
“AAAAH!
Di nuovo una tempesta!” esclamò Kit, a
metà tra lo scocciato ed il divertito.
Si rifugiò con River in un pub poco distante mentre le prime
gocce di pioggia
iniziavano a cadere pesanti. ”Appena in tempo!”
River adorava i temporali, poteva
stare a guardarli per ore. Era affascinata dalla potenza del vento e
dal
vorticare delle nubi, e stare in un posto buio ed accogliente mentre
fuori
pioveva le dava un senso di soddisfazione. Si sedettero ad un tavolino
rotondo
accanto al bancone ed ordinarono due pumpkin spice latte e dei muffin,
i più
cioccolatosi del menù. Nonostante il clima, nel pub
c’era un’atmosfera festosa
e rumorosa, gruppi di ragazzi giocavano a freccette o a biliardo. Una
voce si
stagliava però sopra le altre, un ragazzo seduto al bancone,
poco distante da
loro, strepitò: “mi ha rubato la birra!! Era mia
la birra!!” si mosse però con
troppa enfasi sul seggiolino, che suo malgrado gli fece fare un giro di
180
gradi, ed i suoi occhi azzurri incontrarono lo sguardo di River e Kit.
Ancora
instabile dopo l’inaspettato tour, cercando di aggrapparsi al
bancone soggiunse
calmo: “Era mia la birra.”. River e Kit risero
così forte che quasi il latte
gli entrò nel naso. Era un ragazzo sorridente,
più o meno della loro età,
indossava una felpa grigia troppo grande per lui ed un basco. Aveva un
accenno
di barba e dei buchi alle orecchie larghi qualche millimetro,
probabilmente ciò
che rimaneva di dilatatori ormai tolti. “Ciao, io sono Sean,
ma mi chiamano
Jack.” “Questo qua è tutto un
programma” pensò Kit, guardandolo con sospetto.
River
invece era interessata e divertita da tutto ciò che si
poteva definire strambo,
e Jack (o Sean?) sembrava l’essere più curioso che
avesse mai visto. Dopo aver
recuperato l’equilibrio con un movimento fluido, si
alzò e si diresse verso
l’uscita, fermandosi per un secondo a guardare il tavolo da
biliardo, come se
stesse pensando a qualcosa. Prese poi una delle stecche e
colpì una palla,
fallendo miseramente la buca. “Questo era un colpo
… DA CAMPIONI!!!!” esclamò, e
mettendo le mani in tasca uscì sotto la pioggia.
Ken
si appoggiò al bancone della cucina,
sorseggiando una tazza di caffè americano bollente.
Asciugando con la mano le
gocce di caffè che gli erano cadute sulla folta barba, si
guardò intorno. La
sua nuova casa era finalmente sgombra dagli scatoloni del trasloco, era
pulita
e luminosa grazie alla vetrata che dava sul giardino, sulla parete
davanti a
lui. Era a piedi nudi e indossava ancora il pigiama nonostante fosse
metà pomeriggio,
aveva passato tutta la giornata a cercare di sistemare tutto il
contenuto degli
scatoloni negli armadi, maledicendosi per aver comprato così
tanta roba con il
suo ultimo aumento di stipendio. Lucy, il suo cucciolo di corgi color
miele,
passò trotterellando davanti a lui ed iniziò a
scodinzolare ed abbaiare
dirigendosi verso la porta di ingresso. “Chi arriva? Oh chi
sta arrivando?”
chiese Ken in motherese, fatto
abbastanza curioso per un ragazzone muscoloso e barbuto di un metro e
novanta.
In quel momento bussarono alla porta e Ken, sorridendo per
l’eccitazione di
Lucy, disse senza pensarci “è aperto!”.
“Oooh ma ciao! Io non credo di poterti
fare uscire però” il visitatore era nascosto dalla
porta, tenuta socchiusa per
non permettere a Lucy di uscire in giardino, e cercava di occupare
tutto lo
spazio restante con le sue stesse gambe. “No,
infatti” rispose Ken, avviandosi
verso la porta per scoprire chi fosse venuto a trovarlo. “Hey
Ken! Che bello
vederti!” dalla porta si affacciò un giovane
entusiasta, non molto alto ma ben
piantato. Ken ebbe
la prontezza di
trasformare il suo sospiro di sconforto in un “heeeey come
procede?”. “Non hai
più risposto alle mie chiamate” rispose
l’altro ragazzo con un sorriso
titubante. Ken pensò in fretta ad una spiegazione plausibile
e con una risata
nervosa rispose: “Ah sai ho cambiato numero, nuova casa nuovo
numero”. Il
visitatore sembrava confortato e, riguadagnata l’allegria,
propose a Ken un
giro in città. “Oh santa cacca”
pensò Ken, “Mmmh, mi dispiace, ma ho tante cose
da fare sai, con il trasloco…” “Posso
aiutarti?” “No, no, grazie, non vorrei
disturbarti!” disse Ken, riuscendo a stento a muovere le
labbra per mantenere
il suo sorriso di cortesia, mentre chiudeva lentamente la porta.
“è stato bello
vederti, ho ancora il tuo numero e ti farò uno squillo
appena possibile! Ciao
Mark! Ciao. Ciao.” Finalmente riuscì a chiudere la
porta. “In
che cosa mi sono cacciato” si disse Ken. I
due si erano incontrati un paio di settimane prima ad una conferenza
stampa, erano
entrambi giornalisti, e Mark si era appena trasferito da
un’altra città. Non
conosceva nessuno, e Ken si era offerto di fargli da guida. Non
l’avesse mai
fatto! Dopo le prime uscite, Mark si era talmente affezionato da
chiamarlo più
e più volte al giorno per invitarlo al karaoke, al cinema, a
fare una partita a
casa sua, facendo diminuire esponenzialmente la pazienza di Ken. Si
sedette sul
divano tra la porta e la vetrata, giusto in tempo per scorgere Mark in
giardino, che lo salutava con la mano. “Ciao piccolo
rompipalle, ciao, ciao”
disse tra sé e sé, ricambiando il saluto.
Mark
entrò nella sua nuova villetta a due
piani, gettando le chiavi nella ciotola all’ingresso. Il suo
sguardo cadde
immediatamente sul computer nell’angolo della stanza e non
poté fare a meno di
sorridere. Si tolse i jeans e rimase in boxer, indossò la
sua camicia di
flanella rossa preferita e aprì un sacchetto di caramelle. Mangiandone cinque alla
volta accese il
computer ed iniziò a giocare a Turbo Dismount.
“Whoa,
guarda qui”. Wesley era
seduto in una stanza al buio, davanti al computer. Scostò i
suoi capelli rossi
dagli occhi, e premette il tasto “Replay”.
“Cosa?” chiese Evan distratto. Si
trovava nella stanza accanto a cucinare dei pancake. Da quando la sua
ragazza
l’aveva cacciato di casa viveva con il suo collega Wes, e
faceva di tutto per
rendersi utile cucinando e facendo le pulizie, seppure borbottando
quando
l’amico lasciava qualcosa fuori posto. “Ho trovato
qualcosa d’interessante”
proseguì calmo Wes, attirando finalmente
l’attenzione del coinquilino, che si
diresse verso di lui. Evan, come faceva sempre, si sistemò
con due dita gli
occhiali sul naso e si avvicinò allo schermo per osservare
il video che Wes
aveva appena fatto ripartire. L’immagine era disturbata, poco
stabile, e si
sentiva in sottofondo un respiro pesante. Chi stava registrando aveva
un passo
veloce, camminava in un corridoio buio ed era evidentemente spaventato.
Guardandosi indietro inquadrò qualcosa che strisciava sul
pavimento dietro di
lui, una massa nera, sinuosa, che sembrava avere troppi arti.
All’inizio si
muoveva lenta, circospetta, per poi improvvisamente acquistare
velocità. Dopo
un urlo terrorizzato la telecamera inquadrò il pavimento
oscillando sincronizzata
con i passi dell’autore, per poi spegnersi. Wes ed Evan
rimasero in silenzio
per qualche secondo. “Sono troppo vecchio per queste
cose” si decise a dire
Evan fissando lo schermo. Nonostante fosse stato il suo lavoro per
molti anni,
aveva rinunciato da qualche mese a fare l’investigatore del
paranormale. Aveva
incominciato molto presto, quando non aveva ancora 18 anni, e ne era
rimasto
segnato. Wes era arrivato qualche anno dopo, come tecnico
d’immagine. Era una
persona molto tranquilla e faceva uno strano effetto vederlo davanti al
monitor
in luoghi abbandonati, quasi come intorno a lui ci fosse
un’aura di calma. Evan
invece, con il suo fare da spaccamontagne, era sempre stato troppo
orgoglioso
per ammettere di essere spaventato da ciò che vedeva quelle
notti, ma alla fine
era riuscito ad accettarlo ed
aveva
deciso di smettere. “Non farmi questo” pensava Evan
in quel momento. Ma Wesley
stava già digitando alla velocità della luce
sulla sua tastiera, cercando
maggiori informazioni sul luogo dell’avvistamento.
“Here we go!” esclamò Evan ostentando
entusiasmo e dando una pacca sulla spalla dell’amico, ma
dentro di lui il
dubbio cresceva.
“Ce la posso fare.
Era il mio lavoro. So come
usare le mie armi.” Evan si sistemò ancora gli
occhiali e guardò fuori dalla
finestra, sfiorandosi con le dita il petto, per sentire per una
frazione di
secondo il suo cuore battere. “Hello,
Monster.”
EPISODIO 1
-FINE-
EPISODIO 2 – How did we come to this?
River
era
concentratissima. In biblioteca non funzionavano né il
cellulare né internet, e
sospettava che fosse stata fatta una schermatura ad hoc. Il silenzio
venne
interrotto da una voce squillante: “Hey, salve a
lei!” “SSSSSHHHHH!” una decina
di teste si sollevarono all’istante dai libri per zittire
l’ospite sgradito.
“….whoopsie” Jack abbassò la
voce, o almeno ci tentò per quanto gli fosse
possibile. “Ciao!” rispose River, sorpresa e
contenta di rivedere quello strano
ragazzo. “Cosa la conduce qui?” River sentiva
ancora gli occhi degli studenti
puntati su di lui, e prima di rispondergli gli propose di spostarsi in
area
relax. Lì Jack le offrì un caffè, ma
River rifiutò e optarono entrambi per un
tè. “Se bevessi caffè sarei
insopportabilmente iperattivo” aggiunse Jack. Buffo
da dire, dato il suo modo di fare. River non poté fare a
meno di immaginare
Jack ancora più rumoroso di quanto già fosse, e
pensò che la sua astinenza dal
caffè fosse un’idea più che saggia.
River indossava un abito verde chiaro dalle
forme morbide, stretto in vita da una sottile cintura di cuoio
intrecciato.
Aveva i capelli lisci, erano scuri e le ricadevano sulle spalle. Non
era molto
alta, ma essendo piuttosto proporzionata – ed indossando
spesso scarpe dalla
suola alta - non si notava. Lavorava in ospedale e si sentiva un
po’ il jolly
della situazione o, forse più realisticamente, il
tappabuchi. “Abbiamo bisogno
di lei alla stroke unit”, “La cerca il dott. Burke
nella stanza 306”, “Dovrebbe
andare a controllare cos’ha da lamentarsi il paziente 526 in
ambulatorio”, il
cercapersone era bollente. Sapeva fare un po’ di tutto,
correva tutto il giorno
su e giù per l’ospedale con quelle orrende scarpe
mediche che tentava in tutti
i modi di rendere più colorate applicandoci di volta in
volta coccinelle,
farfalle e fiorellini di plastica, specialmente quando aveva a che fare
con i bambini.
Già, i bambini. River si divertiva un mondo con loro e
cercava di farli
divertire altrettanto: mentre li visitava dava le spalle al dottore e
faceva
sbucare dal taschino del camice la testolina di un piccolo lemure di
peluche,
facendo l’occhiolino al piccolo paziente che tratteneva le
risate a stento. Di
nascosto li faceva uscire dalle loro camere e li riuniva in una stanza
per fare
ascoltare loro qualche bella canzone. Fortunatamente non lavorava a
tempo
pieno, aveva del tempo a diposizione per condurre una ricerca su un
particolare
tipo di epilessia. Così particolare che sembrava non
soffrirne nessuno nel
raggio di chilometri… così un paio di volte alla
settimana trascorreva del
tempo nella biblioteca dell’Università per
ripassare e tenersi aggiornata. E in
uno di quei pomeriggi ecco che ricomparve il ragazzo del pub. Jack
aveva
qualche mese più di River ed indossava il suo solito basco
da cui,
apparentemente, non si separava mai. Era sempre avvolto in abiti troppo
grandi
per lui, il che lo faceva sembrare più esile di quanto in
realtà non fosse.
Questa volta si era infagottato in una felpa blu e sorseggiava
soddisfatto la
sua tazza di tè fumante. “Bisogna sempre iniziare
la giornata con del buon tè,
o in questo caso, proseguirla” disse tra un sorso e
l’altro. “E tu di cosa ti
occupi?” chiese River. “Oh sai, un po’ di
cose, suono la batteria in una band,
sto finendo l’università, ho mollato qualche corso
per strada. Facevo sound
management. Sono affascinato dai suoni: amo la loro
diversità, specialmente i
toni bassi, sentirne le vibrazioni. Forse per questo amo andare al
cinema. Ho
studiato per due anni da tecnico del suono, poi ho deciso di cambiare e
ora
studio per diventare il manager di un hotel.”
“Oh” commentò River confusa.
Evidentemente Jack era un fiume in piena anche nei suoi discorsi. I
suoi
pensieri dovevano toccare la velocità della luce.
“Come mai hai deciso di
cambiare strada dopo due anni?” “Oh, non riuscivo a
prestare attenzione in
classe. Pensavo solo ai videogiochi a cui avrei giocato una volta
tornato a
casa!” Ammise Jack con non-chalance. Questo ragazzo aveva una
sincerità
disarmante ed un che di estremamente interessante per River. Le metteva
allegria al solo guardare i suoi occhi azzurri che guizzavano senza
sosta da un
angolo all’altro della stanza. E poi anche lui sembrava avere
la passione dei
videogiochi, come lei e Kit. A River venne spontaneo proporgli di
incontrarsi a
casa sua per qualche partita alla playstation, così si
scambiarono i numeri di
telefono.
River,
recuperate le sue cose in biblioteca, tornò verso casa sua.
Aprì la serie di
porte che separavano il suo appartamento dalla strada,
“Più blindato di così
c’è solo l’appartamento di Tony
Stark” mormorò mentre girava con due mani la
chiave della sbarra di ferro che chiudeva la porta di casa.
“’Giorno!” Sylvie
era accovacciata sul divano come suo solito, con un e-book appoggiato
sulle
gambe incrociate. I lunghi capelli rossi erano legati strettamente in
una
treccia. “Ciaaaaaaaao” rispose River, mentre un
sorriso scalpitava per uscire
allo scoperto. “Cosa
c’èèèèèè?”
Sylvie si ricompose immediatamente, tornando in
posizione eretta per l’occasione. “Devo
assolutamente raccontarti una cosa”
rispose River ridendo.
“Da
soli non ce la faremo mai” sbuffò Evan.
“Hai presente quanta
attrezzatura serve per un’impresa del genere?”
“Abbiamo tutto il necessario”
tagliò corto Wesley. “Ah sì certo,
tanto tu sei quello che sta comodamente
seduto a fissare i monitor, sono io quello che gira con una luce sulla
testa,
neanche fossi un pesce degli abissi, e una telecamera sulla spalla. E
poi sono
anche più grasso e saporito.” Wesley
scoppiò in una risata fragorosa. Evan
aveva un modo di parlare tutto suo, si prendeva in giro da solo per
vincere le
discussioni. Ricordò di quando, qualche settimana prima, lo
aveva battuto a
Mario Kart 8, e per tutta risposta si era sentito dire “Ah,
certo, bella storia
battere il tizio cieco!”. Evan infatti portava degli spessi
occhiali da vista
che si toglieva solo quando doveva fare attività fisica per
paura di romperli,
il che in realtà si rivelava controproducente il
più delle volte, dato che non
riusciva a vedere dove diavolo stesse mettendo i piedi. Era bruno,
alto, anche
se non come Wes, ed era sempre stato piuttosto ben messo, ma aveva
acquistato
qualche chiletto in più da quando la ragazza
l’aveva lasciato. Wesley conosceva
il passato di Evan e non aveva esitato ad accoglierlo in casa sua.
Nonostante
l’apparente confidenza in se stesso, era in effetti solo un
gran pasticcione.
Era bravo e coraggioso a parole, si buttava a capofitto in qualsiasi
progetto
al grido di battaglia “Certo che lo so fare”, per
poi però impantanarsi
nel’impresa pochi attimi dopo. Chi gli stava vicino lo
aiutava con un sospiro
di rassegnazione, a cui Evan solitamente rispondeva “Ah. Ora
dovrei
ringraziarti, immagino”. Questo suo modo di fare gli aveva
procurato dei guai
più di una volta, come quando anni prima aveva cercato di
riparare da solo la
batteria della sua macchina, prendendo una scossa talmente forte da
fermagli il
cuore per qualche istante. Wes l’aveva conosciuto sul lavoro,
durante una delle
loro cacce ai fantasmi. Lui era in un certo senso l’opposto
del suo nuovo
coinquilino. Era riflessivo, cauto, concentrato. Ma era anche di facili
entusiasmi, e ogni volta che qualcosa lo esaltava alzava le braccia al
cielo
urlando “wiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!”, per poi
ricomporsi e risistemarsi dietro
le orecchie i folti capelli rossi.
“Se
sei proprio sicuro” disse Wesley “cerco di
contattare qualche
giornalista interessato che ci accompagni e che porti qualche
telecamera in
più”. “Oh, così va meglio.
Magari più grasso di me. E già che ci sei, che ci
veda un po’ meglio!”.
Ken
sentì bussare alla porta. Radunò le forze per
uscire dal letto,
ancora impastato di sonno cercò gli occhiali a tastoni e si
avviò verso il toc
toc. Mugugnò qualcosa mentre evitava all’ultimo
minuto di inciampare sulla
pancetta tonda di Lucy ed aprì la porta.
“Keeeeeeen!”
“…….Ciao Mark.” Mark
entrò in casa con un tablet malridotto sotto braccio,
approfittando della
momentanea lentezza di riflessi di Ken. “Non immagini che
scoop ho trovato per
noi” “…noi?....Cosa?”
“Guarda!” Mark mostrò a Ken
un’inserzione che aveva
trovato girovagando su internet. “Investigatori paranormali?
Ma sei serio?”
“Certo! Pensa quanto ci divertiremo! Dai! Ken! Chiama!
Dai!”. Ken esaminò la
situazione. O chiamava in quell’istante o Mark sarebbe
rimasto con lui per il
resto della giornata. La scelta fu semplice.
Ken
premette il tasto di chiamata e con la
coda dell’occhio teneva Mark sotto controllo. Era alto non
più di un metro e
settantacinque, ma aveva braccia muscolose per la sua costituzione.
Quando non
aveva la telecamera in spalla passava metà del tempo al
computer e metà del
tempo in palestra. Mentre il telefono squillava dall’altra
parte Ken si sentì
in dovere di riempire quel silenzio imbarazzante e chiese a Mark se avesse provato la
nuova XBox. “Oh no,
io sono sempre stato un pc gamer, anche da bambino.” Rispose
Mark. “Oh. Quindi
sei cresciuto con Commander Keen” “A dire la
verità no, non ci ho mai
giocato.”“….Allora credo tu abbia un bel
problema. Sì, pronto? Sono Ken
Morrison. Chiamo per l’inserzione che avete….
Sì. Saremmo interessati a
partecipare, a quanto sembra.”
“Wow,
hai più fegato di me” ammise Jack togliendosi le
cuffie. “Mi tremano le mani”
disse per tutta risposta River, cercando di riportare i suoi capelli ad
un
aspetto vagamente umano. “4 a 6, hai trovato più
pagine tu prima che Slenderman
ci facesse a pezzi” disse Jack tra le risate. Avevano tutti e
due le lacrime agli
occhi e il cuore a mille. Un’iniezione di adrenalina,
pensò River soddisfatta.
“Perché non lo portiamo al prossimo
livello?” “Cioè?” chiese River
curiosa.
“Cosa c’è di più terrificante
di una casa abbandonata di notte? Una casa..
vera. Non Outlast o roba del genere.” “Ma tu sei
matto! Morirei di paura.” River
gli tirò un cuscino, ma Jack stava per dire qualcosa e non
si spostò di un
millimetro. Il cuscino lo colpì in piena faccia, causandogli
un’esplosione di
ilarità che quasi lo fece cadere dalla sedia; “Ma
se ridi appena accendi un
horror!” riuscì a dire appena riprese fiato, e
concluse: “Io stasera inizio a
leggermi qualche creepypasta, e poi ti faccio sapere”.
“Fammi
almeno fare una prova con l’Oculus Rift!”
protestò River, ma inutilmente,
perché Jack era già uscito dalla porta dicendo
“Ti faccio sapere!” e, mani in
tasca, si avviava verso casa sua. River scosse la testa guardando
Sylvie, che
sorrise. Pensarono entrambe la stessa cosa: era proprio tutto matto.
“Io
non credo tu debba andare.” disse Kit seccamente, stringendo
i
suoi occhi azzurro chiaro. “Non so neanche se sia fattibile,
se troverà
qualcosa” River cercò di ridimensionare la
situazione mentre porgeva un
bicchiere di coca a Kit, ma senza risultato. “Ma quello
è totalmente scemo! Secondo
me si droga. O quantomeno beve! Lo conosci da una settimana,
sarà di sicuro un
malintenzionato, e toccherà a me fare la guardia.”
River sorrise, perché andava
spesso a finire così. Ormai lei e Kit si conoscevano da
tempo e si incontravano
quasi tutti i giorni. Quel giorno indossava una polo a righe e dei
jeans, i
capelli biondi scompigliati dal gel. Pur essendo più giovane
superava River in
altezza di una decina di centimetri e aveva sempre un comportamento
dolcemente
protettivo nei suoi confronti. Erano spesso complici nelle loro
avventure, e
nei loro acquisti impulsivi che venivano nascosti a casa di uno o
dell’altro.
“Vedrai che non troverà niente di interessante,
quelle storie sono tutte
inventate” disse River, che in effetti era ancora dubbiosa
riguardo al grado di
serietà di quanto avesse affermato Jack pochi giorni prima
“Se ne sarà anche
dimenticato, con tutte le cose che fa in ventiquattro ore!”
“Ok!
Penso che abbiamo raggiunto il numero adeguato”
dichiarò Wesley
appoggiandosi soddisfatto allo schienale della poltrona.
“Siamo ben in sei.”
“Sei? Come hai fatto a trovare tutta questa gente? Chi
sono?” chiese dubbioso
Evan. “A quanto sembra, due giornalisti ed un appassionato di
videogiochi che
ha detto che avrebbe portato un’altra persona.”
“Oh beh allora siamo a
cavallo.” commentò Evan a bassa voce, togliendosi
gli occhiali e sfregandosi
gli occhi. “Come dici?” “Oh, nulla. Sono
almeno grassi e ciechi?” “I due
giornalisti portano gli occhiali.” “Ok, due punti
per te. Magari questa volta
vengono mangiati loro al posto mio.”
Evan
si afflosciò sul divano, dopo aver pulito la casa per la
terza
volta quella settimana. Wesley era la persona più
disordinata che avesse mai
conosciuto. Si guardò intorno, valutò
l’intreccio di eventi che lo aveva portato
a quel punto della sua vita, e sospirò.
EPISODIO 2
-FINE-
Benvenuti innanzitutto! Per prima cosa voglio precisare che questa
storia non è stata scritta da me, ma da una mia amica che mi
ha concesso l'onore (o l'onore) di pubblicarla, visto anche che non
possiede un account efp. (Le recensioni le verranno trasmesse da
me ^^)
Come avete visto sono presenti sia il primo che il secondo episodio in
un capitolo per il semplice fatto che il primo era un po' corto (al
tempo era stato una sorta di prova generale), ma di seguito si
procederà normalmente..! E non temete! La fic è
già finita quindi non ci saranno nè incompiute
nè cose lasciate e abbandonate per mesi!
I personaggi non sono tutti tutti originali, ma sono di universi
talmente sconosciuti (soprattutto per il pubblico italiano) che dubito
che li riconoscerete xD! Quanto al contesto quello invece lo
è!
Detto
questo, spero la possiate apprezzare così come ho fatto io!
Aspettatevene delle belle e preparatevi! :)
Recensioni, critiche e quant'altro sono ovviamente ben accette,
soprattutto dato che è la prima volta che la mia amica si
cimenta in qualcosa del genere! ^^
P.s. Si, è vero, all'inizio è un po' nerdeggiante, ma spero non per questo vi fermiate qui!
Grazie ancora
A presto!