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Autore: Panenutella    02/05/2016    2 recensioni
Sara Vitali è una che scappa: ha lasciato l'Italia, ha cambiato cognome e numero di telefono pur di sfuggire al suo stalker, e si è nascosta a Belfast nella speranza che lui non la trovi mai. Non si fida di nessuno e sente il disperato bisogno di sentirsi al sicuro, protetta e non più sola. E' in questo stato che una sera in un anonimo bar incontra Kit Harington, appena uscito dalla sua relazione con Rose Leslie e nel pieno delle riprese del Trono di Spade. Sara non pensa che da quell'incontro possa cambiare qualcosa, ma scoprirà presto di sbagliarsi.
Nota: il primo capitolo è identico alla prima parte della mia One-Shot "Two stories in the night". Se siete curiosi di leggere anche la seconda, fateci un salto! Grazie in anticipo a chi leggerà.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kit Harington, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3 – Les Misérables

There was a time when men were kind
And their voices were soft
And their words inviting
There was a time when love was kind
And the world was a song
And the song was exciting
There was time… then it all went wrong.
- Les Misérables

***
Sara

Sono stata stupida. Dio, se lo sono stata.
Entrerà da un momento all’altro, lo so. Entrerà e Dio solo sa che cosa mi farà. Come ho potuto pensare di fidarmi di lui, anche solo per un momento? Ora mi ha intrappolata nella sua casa dorata, e non posso fare niente per difendermi. Ho chiuso a chiave la porta delle scale e quella della camera, che altro posso fare?
Mi stringo nel piumone, seduta sul letto matrimoniale, fissando la porta davanti a me, invisibile nel buio della stanza. Sto tremando per la tensione.
Mi aspetto che da un momento all’altro che la chiave giri nella toppa e che quella si apra cigolando, lasciandolo entrate, padrone della notte. In quel caso, come posso scappare? Potrei colpirlo nei bassifondi e filarmela, ma dove andrei in pigiama, senza le mie cose e con solo 30 sterline in tasca?
Per l’amor del cielo, sospiro, è un attore di Hollywood, non un maniaco sessuale!
“Una cosa esclude l’altra?”, ribatto a me stessa. Deglutisco. No, ma spero ugualmente che non lo sia.
Allungo una mano sul comodino, cercando a tentoni l’interruttore della lampada e accendendo la luce. Sbatto gli occhi per vederci qualcosa di più, poi scosto il piumone e mi alzo il più silenziosamente possibile. La stanza è grande, c’è il parquet di legno scuro, un ampio e caldo letto matrimoniale, una scrivania alla sua destra e un grande armadio a L tra la porta e il letto, dall’altra parte della stanza. Non ci credevo all’inizio, ma ho veramente un piano tutto per me. Non è molto grande, ma come ha promesso ci sono una camera da letto e un bagno molto grandi e lussuosi, rispetto a quello a cui sono abituata.
Mi avvicino alla scrivania e prendo la pesante sedia di mogano, faticando per sollevarla. Inciampando nei miei stessi piedi la trascino fino alla porta e la uso per bloccarla. Almeno è una cosa in più tra me e lui.
Apro la valigia lì accanto, scartando tutti i vestiti sporchi che non ho potuto portare in tintoria, prendo una felpa nera e me la infilo, seguita a ruota dalle scarpe.
Se devo scappare, almeno avrò le scarpe ai piedi.
Torno a letto, spengo la luce e mi infilo sotto le coperte: se deve succedere, almeno che lo colga di sorpresa.
Aspetto tesa come una corda di violino non so ancora per quanto tempo: secondi, minuti, ore… tutto diventa relativo quando hai paura.

Apro gli occhi di scatto mettendomi a sedere sorpresa di trovare, nella luce del mattino, ancora tutti in ordine.
- Non è entrato – mormoro sorpresa. Avrei scommesso tutto quello che avevo che l’avrebbe fatto. Mi alzo, dando un’occhiata all’orologio appeso sopra la porta: sono le dieci del mattino! Dio, è tardissimo! Quanto tempo sarà che non dormo a quest’ora? Un anno?
Vado verso la porta in pantaloncini e felpa, togliendomi le scarpe coi talloni e scostando la valigia con un piede in fantasmino. Giro la chiave nella toppa dopo aver allontanato anche la sedia e la porta si apre verso l’interno, sul corridoio di parquet e la porta del bagno, sulla destra. La porta in fondo, anch’essa chiusa a chiave, non è stata mossa di un millimetro. Stanotte ho veramente avuto un piano tutto per me, ricevuto da un uomo che nemmeno conosco e di cui non mi fido, pensando che mi avrebbe fatto del male, e lui invece mi ha rispettata. Incredibile. Esistono ancora persone così?
E ora dove sarà? Di sotto?
Devo ringraziarlo, almeno. Spero che mi farà restare per un po’, quello che basta ai miei genitori di mettere insieme qualcosa e mandarmelo.
Apro la porta del corridoio e scendo le scale adiacenti, facendo meno rumore possibile e guardandomi intorno a ogni passo. La casa è immersa in un silenzio assoluto, tanto che pare non ci sia nessuno.
Giro l’angolo delle scale ed entro nel salotto, arredato finemente da quella che pare una mano femminile. C’è un lungo bancone di marmo della cucina, più avanti, e poi il divano bianco affacciato su una tv a schermo piatto circondata da una libreria scura piena zeppa di libri. Da dove sono adesso intravedo anche un altro bagno.  Poco lontano da me, dall’altra parte della stanza e davanti alla porta d’ingresso, c’è una porta chiusa che deduco appartenga alla sua camera da letto.
Mi guardo intorno incerta sul da farsi, poi vedo che qualcosa è posato sul bancone della cucina e mi avvicino in punta di piedi: è un piatto coperto da una ciotola, e un biglietto scritto a mano.
Sono agli Studio a girare. Tornerò stasera.
Fai come se fossi a casa tua.
Kit
Scopro il piatto, trovandoci dentro del pane con la marmellata di uno strano colore vermiglio, e un uovo che per qualche bizzarro motivo è ancora caldo.
Ha cucinato la colazione. Questo va oltre ogni mio limite di comprensione.

Ho mangiato tutto quello che Kit mi ha lasciato. Ho caricato l’Ipod e iniziato ad ascoltare musica a più non posso, fatto quattro carichi di lavatrice con tutti i miei vestiti, e una doccia lunga quaranta minuti. L’acqua calda che scivola sul mio corpo sembra un caldo abbraccio, e mi sembra di profumare come il Paradiso. Ne approfitto per pensare, con gli occhi chiusi sotto il getto della doccia: devo abbassare la guardia con lui? Accettare di condividere la sua casa? Devo parlarne con mia madre, sapere cosa ne pensa… questa situazione mi è del tutto nuova, mi sembra di camminare in un prato pieno di mine antiuomo. Un passo falso, e salto in aria.
Sto piegando il quarto carico di asciugatrice che ho messo su prima di farmi la doccia, una cuffia dell’Ipod in un orecchio. La morbida lana del golf viola scuro mi scivola caldo fra le dita e lascio andare i miei pensieri a briglia sciolta, quando un rumore improvviso attira la mia attenzione dal piano di sotto. Un tonfo.
Mi immobilizzo, e il riflesso nello specchio appeso davanti a me mi restituisce uno sguardo di sorpresa e angoscia. Aspetto.
Una porta si chiude piano, infrangendo ancora il silenzio della casa. Dal suono pesante, direi che è la porta d’ingresso.
Kit ha detto che non sarebbe tornato prima di sera. Questo non può essere lui.
I tonfi al piano di sotto continuano ininterrotti.
Do le spalle allo specchio, cercando nel bagno qualcosa che mi potesse servire per affrontare il ladro, l’aggressore, Matteo… o chiunque diavolo sia.
Non c’è niente qui. Perlustro la stanza con lo sguardo: bottiglie di shampoo, carta igienica, boccette di profumo femminile, un portariviste pieno di parole crociate… una lunga spazzola di legno per lavarsi la schiena, appoggiata nella vasca. Inizio a pensare freneticamente: quella spazzola, usata come una mazza, potrebbe fare molto male. Potrebbe spaccargli la testa.
Non c’è un attimo da perdere, e la prendo. Apro la porta, maledicendomi per essermi messa le All Star solo pochi minuti fa, e comincio a scendere le scale brandendo la spazzola alta dietro la testa, come nella fase finale di un buon colpo di swing. I rumori si fanno più forti e vicini.
Ancora quattro gradini. Tre. Due. Uno.
I rumori sono proprio dietro l’angolo. Mi fermo, caricando le gambe per lo scatto. L’uomo è più vicino… è proprio qui…
Mi lancio alzando alta la spazzola, saltando dietro l’angolo.
- MADRE DE DIOS! – Grida la donna a cui sono piombata addosso. – SANTÌSIMO CRISTO!
Salto indietro, lasciando cadere la spazzola a terra. Finisco spalle al muro, mentre la corpulenta donna si preme una mano sul petto, fissandomi terrorizzata come se fossi un fantasma.
- ¿QUIÉN DEMONIOS ERES? MADRE DE DIOS!
- LO SIENTO MUCHO! – Urlo a mia volta. Lei sembra calmarsi. – Habla Inglés? Yo no hablo español muy bien.
- Certo che parlo inglese! – Risponde, sistemandosi il largo vestito scuro e la capigliatura scompigliata. – Si può sapere chi diavolo è lei, e perché si trova in casa del signor Kit? Dovrò chiamarlo agli Studi, avvisarlo che lei è qui!
- Lui lo sa già! Mi ha invitato lui!
- Lei non è la signorina Rose, per cui mi sembra parecchio improbabile che il signor Kit l’abbia invitata!
Faccio un passo indietro, chiedendomi chi sia “la signorina Rose” e perché lei dovrebbe avere il permesso di stare in questa casa e io no. Mi passo una mano sul maglione grigio che ho addosso.
- Esco.
Anzi, quasi scappo fuori dalla porta.

Tralasciamo il fatto che sono uscita senza portafoglio, e che i soldi che mi servono me li ha dati un negoziante per cui, per mezz’ora, ho fatto avanti e indietro dai cassonetti della spazzatura almeno una dozzina di volte. Tralasciamo quanto puzzassero quei cassonetti, che è meglio.
Lascio scivolare all’interno della fessura lampeggiante la sterlina e venti centesimi che la signora Cabina Telefonica vuole per fare una chiamata internazionale, e compongo il numero del cellulare che mio padre ha comprato solo perché lo chiamassi in sicurezza anche in situazioni di emergenza.
Infatti, risponde al secondo squillo.
- Sara? Tutto bene?
- Ciao papà. Ehm… sono in vivavoce? C’è mamma lì?
- Certo che ci sono – la sua voce sembra più dolce e apprensiva del solito, ma solo perché non la sento da un po’. – Come va? Ti stanno bastando i soldi?
- Abbastanza, ma non ne ho molti… - mi guardo intorno. – Basteranno. …Matteo?
Sospiri. – La settimana scorsa si è messo a urlare il tuo nome dal portone, e non ha smesso per due ore. Siamo tornati dalla polizia, ma dicono che per arrestarlo devono avere le prove che ti sta perseguitando. – Spiega papà.
- E quali potrebbero mai essere queste prove? I messaggi? Le telefonate nel cuore della notte? Sono tutte cose che abbiamo già portato nelle denunce precedenti, ma ogni volta ci dicono che non vanno bene, che sono troppo generiche. Comincio a pensare che l’unica prova che vogliono prima di arrestarlo siano due costole rotte e un occhio nero.
- Sara, non ti azzardare neanche a pensare che si arriverà a tanto.
- Oh, lo penso invece! Secondo te perché mi sto nascondendo come un’assassina? – Sbotto. Mi guardo intorno, e abbasso la voce chinandomi sulla cornetta. – Ok, sentite, non ho chiamato per parlare di quell’abelinato. Volevo una vostra opinione su una cosa.
- Cioè? – Sono interessati.
- Ho conosciuto uno, l’altra sera… - cincischio. – Mamma, è Jon Snow del Trono di Spade.
Mia madre fa uno strano verso di sorpresa. – Noooooo! Kit Harington??
- Lui. Lui mi ha… mi ha invitato a stare a casa sua. Non so perché. Ho già passato una notte e non è successo niente, e mi domando… secondo voi va bene, se mi fido di lui?
- Sara, segui il tuo istinto. – Risponde mia madre. – Se hai già accettato di stare a casa sua, vuol dire che è meglio così: in questo periodo non prendi nessuna decisione alla leggera.
- Ok, ma nel senso, non vuole neanche che gli dia dei soldi!
- È un attore, per forza non vuole niente! Neanche quella cosa, vista la sua relazione con quella bruta!
- Ma no, Beppe, si sono lasciati un paio di settimane fa! – Lo corregge mia madre.
- Trenta secondi alla fine della chiamata. – Mi informa una voce fastidiosa nella cornetta.
- Mamma, papà, vi devo lasciare. Cercate di mandarmi qualcosa appena potete, ma non svenatevi. E state attenti. Per favore.
- Sempre in prima linea, tesoro – mi rassicurano. – Ci sentiamo pres…
Linea vuota.
- Potevi resistere altri due secondi, telefono di merda! – Protesto riappendendo la cornetta. Mi guardo intorno, e mi incammino.

La sera è ghiacciata. Non prevedevo di restare fuori così tanto, solo finché quella donna non fosse uscita. Non avevo pensato che sono senza chiavi, e non mi sono neanche portata una giacca. Sono uscita di corsa.
Il mio fiato si condensa in tante piccole nuvolette. Come se non bastasse, ha iniziato a piovere. Mi sono riparata sui gradini d’ingresso, e la grondaia impedisce alla pioggia di bagnarmi.
Saranno come minimo tre ore che sono seduta qui: non volevo allontanarmi per perdermi Kit. Lui potrebbe aprire la porta di casa, anche se ha qualcosa da fare stasera.
Rabbrividisco. Cristo, sto congelando!
Una macchina accosta al marciapiede poco lontano da me, accecandomi coi fari. Poi il motore si spegne, e lui esce. Si guarda intorno e si avvicina sovrappensiero mettendosi le mani in tasca, poi quando mi nota si ferma perplesso.
- Come mai sei seduta lì? Sembri un ghiacciolo.
- Ma va? – Lo fulmino con lo sguardo. Poi sospiro: se vogliamo condividere la stessa casa, meglio per me se comincio a trattarlo meglio. Potrebbe sbattermi fuori di casa a calci nel sedere in qualsiasi momento. – Sono uscita per fare una telefonata e non avevo le chiavi di casa. La signora spagnola mi ha spaventato a morte.
- Beh, ha seriamente creduto che tu fossi un fantasma – sorride fra sé sfilandosi la giacca e posandomela sulle spalle. Chissà perché ogni volta che ci incontriamo finisco per avere addosso la sua giacca. – Mi ha detto che le sei saltata addosso dal nulla con una spazzola in mano.
- È vero. Pensavo fosse un ladro.
Kit armeggia con le chiavi e apre la porta d’ingresso. La luce si accende automaticamente. Sospira, posa le chiavi in una ciotola accanto alla porta e posa la sua borsa di pelle per terra.
- Per incontri futuri, la donna spagnola si chiama Dolores, e viene due volte la settimana a occuparsi della casa. Non riuscirei a tenerla così pulita da me.
Si volta verso di me e sorride. Io chiudo la porta con un calcio e mi sfilo la giacca. Cercando di ricambiare con una smorfia indefinita sulle labbra.
Lui sembra osservarmi fin dentro alle ossa. Incrocio le braccia.
Si passa una mano fra i capelli e se li lega sulla nuca. Poi si avvicina meditabondo alla cucina e prende una pentola in mano.
- Ti va un po’ di pasta, per cena? Alla carbonara?
- Spero che tu sappia cosa stai facendo – rispondo avvicinandomi al bancone. – Mai offrire della pasta indecente a un italiano.
Kit sorride, poi sprofonda di nuovo nei suoi pensieri. Rimango in silenzio, pensando che di sopra ho lasciato un intero cesto di biancheria da rimettere a posto.
- Stavo pensando una cosa – comincia facendo rosolare il soffritto nella padella. Ha optato per il sugo. – Perché non mandi il tuo curriculum a David Benioff? È il mio regista e un mio amico, sono sicuro che ti fisserà un colloquio. Potresti lavorare con la troupe del Trono di Spade.
- Non credo che sia il caso – grugnisco. – Serie tv vuol dire telecamere, telecamere vuol dire riprese, riprese vuol dire video che finiscono sul web e vengono visionati da chissà chi. Mi esporrebbe troppo.
- Guadagneresti dei soldi e avresti del sostegno in più rispetto a quello che, suppongo, ti mandano i tuoi genitori. – Insiste. – E se vieni assegnata alla mia unità ci seguirai fino a Reykjavík, in Islanda.
Drizzo le orecchie. – Reykjavík?
La sua presa sul manico della padella si rafforza. – È più lontana rispetto dall’Italia rispetto a Belfast. Conveniente, no? E, chissà, potresti anche farti degli amici. – Sbatte con forza il mestolino di legno sul marmo. – Almeno TENTA di non restare a piangerti addosso, cazzo!
Indietreggio. – Non alzare la voce, Kit!
Si avvicina, superando il bancone. – Smettila di essere un fantasma. Smettila di nasconderti, e ricomincia a farti una vita lontana dall’Italia. Non ti chiedo soldi per condividere la mia casa, ma almeno fammi questo favore.
Deglutisco, cercando di ricavare qualcosa dal groviglio affollato di pensieri nella mia testa. Lui non sembra davvero arrabbiato, e forse quello che dice lui potrebbe funzionare… forse.
Sono miserabile, vero?
- Ok. Lo faccio.
   
 
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