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Autore: ChiaraStone320    06/05/2016    1 recensioni
Kendra Blake è una ragazza newyorkese di nemmeno 18 anni, cresciuta in un orfanotrofio. Si divide fra scuola, amici e LEI, una parte alquanto misteriosa di se stessa. Niente sembra cambiare la sua vita monotona e trnquilla, ma quando ne entrerà a fare parte Costance, dovrà ricredersi...
Conoscerà Jennifer, una chitarrista di 15 anni, e Ethan, un ragazzo di 18 per il quale con il tempo inizierà a provare un caldo e dolce sentimento, ma l'amore, è la cosa più banale che Kendra potesse incontrare, perchè quando il sangue tradirà un segreto nascosto per una vita, niente sarà più come prima...
In libreria e su Amazon dal 20 febbraio 2016.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 1


Avevo gli occhi fissi a terra e la mente persa tra i ricordi. Camminavo verso un punto lontano. Sapevo, di non dover badare a certe cose, di non dover ascoltare certe persone, in fondo, mancava poco alla fine della scuola, anche se dopo, avrei dovuto affrontare un quarto anno.
Per l’ennesima volta, ero stata presa in giro, derisa da quelle persone, che si divertivano, evidentemente come matti, a fare solo quello. Il motivo? Uno dei più banali. Ero orfana. Non avevo mai avuto una famiglia vera e per questo a ogni occasione, Bob e i suoi… Gregari, trovavano un modo per farmi soffrire, anche se nono era una cosa complicata. Non ci voleva molto a far soffrire una come me, ma nonostante questo, ero brava a tenermi tutto dentro, per poi sfogarmi in futuro prossimo con qualcuno.
In alcuni momenti, avrei voluto che Lei uscisse e che non avesse pietà per niente e nessuno. In fondo, era Lei quella coraggiosa. Io facevo solo in modo, che non si mettesse in mostra. Avrei voluto che dimostrasse di quello che era capace, ma era tutto inutile.
La gente giudica, giudica sempre. Si strugge a reclamare la vita degli altri, perdendo di vista la propria. Giudica tutto. Il tuo modo di parlare, il tuo modo di vestire, il tuo modo di amare… Persino le tue scelte, ma le scelte, mica sono comuni. Riguardano te, la tua storia. Ma poi, chi è che decide cosa è giuso o sbagliato? Ciò che è giusto per me, potrebbe non esserlo per te. La gente, per capire, dovrebbe vivere la storia di qualcun altro. Bisognerebbe invertire i ruoli, così, soltanto per un po’, per sentire i dolori, le gioie, i sentimenti, le ferite altrui sulla propria pelle, per sentire quanto è difficile prendere certe decisioni, per capire perché sono state prese. Perché è la mia di vita che devo vivere e non la loro.
Avevo sempre vissuto con gente pronta a puntarti il dito contro, per ogni singolo difetto, ma se c’era una cosa che mi consolava era il sapere di non essere l’unica. Nel liceo che frequentavo, erano a centinaia i casi come me, anche se poi, le vittime, erano prese in giro per cose molto più banali, come qualche brufolo di troppo sulla faccia o qualche chilo di più sulla pancia.
Oramai era da tre anni, dall’inizio del liceo, che questa storia andava avanti. Nel primo istante che Bob e i suoi, mi avevano vista, avevano deciso di rendermi infernali gli anni che sarebbero susseguiti. Perché poi, lo sapevano solo loro. Non mi sembrava che l’essere orfana, fosse un buon motivo per essere derisi, anzi… Tutt’altro.
Mi sarebbe piaciuto fare qualcosa per cambiare i fatti, ma ero solo una comune e fragile ragazza di diciassette anni e mezzo.
La domanda epocale, era sempre lì, che mi tormentava in ogni momento: sarebbe mai cambiato qualcosa nella mia vita? Non volevo tanto, solo qualcosa per cui, non avrei più dovuto fare sempre le stesse cose.
Tra poco più di una settimana, sarebbe finita la scuola e non avrei più dovuto vedere tutte quelle persone che avrei voluto prendere a schiaffi. Bob, i ragazzi che gli facevano da spalla e anche quei ragazzi, che quando si scatenava un litigio o una rissa, erano i primi a fare il tifo. Oramai, era una cosa che non mi sorprendeva più di tanto. Frequentavo una scuola americana ed era una cosa all’ordine del giorno. In mensa, nel campo da basket, o anche per i corridoi, ogni motivo era buono.
Anche se quel momento era passato, continuavo a pensarci. Ero seduta al tavolo dove mi siedo sempre con i miei pochi amici a mangiare, e di punto in bianco, è arrivato lui in cerca di rogne. Dopo qualche insulto abbastanza pesante e avermi buttata giù dalla sedia, tirandomi per la camicia, Ryan e Logan, si alzarono e fecero avanti obbligando Bob e i suoi ad andarsene.
Non piansi. Non avevo mai pianto per cose di questo tipo, e non l’avrei fatto ora. Ero più una persona che soffriva in silenzio. Mi rimisi seduta al mio posto e come se niente fosse, andai avanti a mangiare, quello che ci propinava la mensa della scuola.
Presi l’IPod, quello che mi aveva regalato la mia compagnia per il mio sedicesimo compleanno, dalla tasca dei jeans e cambiai brano. Andai avanti a camminare sulle note di Paradise City, composta dai Guns ‘n Rose. Pensai che oramai, faceva tutto quanto parte del passato. Pensai che a casa, c’era Kim e che come sempre, sarebbe stata pronta a fare una chiacchierata.
Questa ero io: Kendra Blake. Capelli neri, occhi azzurri, un milione di domande a cui non sarei mai riuscita a dare una risposta, pochi amici, cresciuta in orfanotrofio. Niente di più. Niente di meno.
Avevo compiuto diciotto anni a gennaio, e non avrei più potuto essere adottata, o meglio. Potevo, ma chi avrebbe mai adottato una ragazza di diciassette anni? Le coppie che venivano in orfanotrofio, erano sempre in cerca di una persona da crescere e da amare, non di una che passa tutto il suo tempo con la sua migliore amica, fuori di casa. Già da anni, mi ero arresa, convincendomi, che ero fortunata ad avere degli amici come i miei. Loro, erano la mia famiglia… Più o meno.

Kim, era appoggiata al lavandino e ascoltava tutta la mia storia, senza dire niente, anche se ormai, la sapeva a memoria. L’aveva sentita decine di volte e nonostante questo, se ne stava in silenzio, in attesa che finissi di parlare. Ogni tanto stiracchiava qualche muscolo, poi, tornava con gli occhi fissi su di me, ma in fondo, si stava per laureare in psicologia. Era brava a ascoltare la gente.
Quando accadeva qualcosa, quando venivo derisa, presa in giro, cercavo di mostrarmi tranquilla, ma quando andavo dietro le quinte, Lei, si sfogava con qualunque persona si trovasse davanti. Sul tavolo, c’era la tesi di Kim. Un mattone di quattrocento e passa pagine.
Ogni tanto, da quando mi ero trasferita qui, avevo l’impressione di essere un peso. Kim, studiava tantissimo, voleva laurearsi, con il massimo dei volti, e non sarei stata di certo io a impedirglielo.
 “Kendra, non devi dare peso a certe cose! Non te la devi prendere. È già tanto che non hanno alzato le mani. Ricordi l’anno scorso? Sei tornata a casa con due lividi sulla schiena!”
Non le avevo raccontato tutto nei minimi particolari, ma nonostante questo, aveva già capito il fatto accaduto. Oramai era sempre la stessa storia, che si ripeteva all’infinito, come un nastro in un registratore.
 “Come faccio a dimenticalo?! Sono stata a casa due giorni da scuola, non riuscivo a alzarmi dal letto. E la cosa che mi fa ancora più arrabbiare è che in quella occasione come in tante altre, a Bob e compagnia bella, non è accaduto niente di niente. Li hanno solo costretti a pulire tutti gli scaffali della biblioteca. Sai che bella punizione! Lo farei anch’io piuttosto di stare a storia. Tra una settimana esatta, se si esclude il weekend, finisce la scuola. Ma poi? L’anno prossimo sarà la stessa solfa!”
“Scusa ma a te chi lo dice?”
“Lo dico io Kim! Ho passato così quasi tutti i giorni del liceo. Fin dal primo. Devo ringraziare te, Emily e la compagnia. Con il vostro sostegno, mi aiutate a capire chi sono veramente e che in confronto a quelle persone, sono centomila volte meglio. Ci siete voi, ma se non ci foste?”
“Ci siamo Kendra. Ci siamo! E quindi non ti devi chiedere come sarebbe se non ci fossimo. Ci siamo! Punto e basta!”
Mi sedetti su una sedia e lasciai cadere la testa sul tavolo coperto da una cerata rossa con dei fiori bianchi. Era vero. Sapevo che era vero. Sapevo che loro c’erano, ma in alcuni momenti, mi sentivo sola, in particolare, quando arrivava Lei. Avrei voluto mettermi a piangere, ma Lei che in qualche modo, c’era sempre e comunque, me lo impediva.
“Kendra, tu sei una ragazza coraggiosa. Ne hai affrontate tante. Sei cresciuta senza genitori, con la perenne domanda del perché loro non c’erano e nonostante questo, sei una persona fantastica!”
Su questa cosa si sbagliava. Lei era quella coraggiosa, non io.
“Se io sono coraggiosa, tu sei la brutta copia di Katie Holmes.”
Alzai la testa. Mi guardò storto e rimase in silenzio per qualche secondo. Stavo discutendo con una quasi psicologa dei miei problemi, anche se poi, sapevo che Kim, più da quasi psicologa, mi parlava con il cuore di un amica. Più volte, avevamo parlato sempre delle stesse cose, sempre degli stessi problemi, quelli che credevo non sarei mai riuscita a risolvere.
“Certo che se inizi così… Prova ad aumentare la tua autostima.”
“Kim. Tu non puoi sapere quello che sto provando. Tu hai avuto una vita, un’infanzia completamente diversa dalla mia! Tu avevi mamma e papà. Non sei cresciuta insieme ad altri bambini in un unico posto. Puoi dirmi tutto quello che vuoi, da amica e da quasi psicologa, ma non sarà mai la cosa giusta, perché tu non ci sei dentro. Tu, Kimberly Frost, non sei mai stata presa in giro, anzi, da quello che mi hai raccontato, era la più ambita della classe. Eri la mascotte. Eri inseguita da un sacco di ragazzi.”
“Sì ma solo, perché ero una delle poche della classe che prendeva voti sopra la media e perché ho una quarta abbondante. Solo per quello.”
Rimasi in silenzio. Ormai le sue risposte, erano sempre quelle! Una monotonia assoluta in qualsiasi ambito. Sospirai. Avrei voluto esplodere da un momento all’altro, ma cercai di darmi una calmata. Non serviva a niente scaldarsi più di tanto.
 “Scusa. È che… Tu hai quasi ventitré anni. Sei più grande di me. Hai più esperienza. Sai come funziona la vita. Sai le sue regole e le sai rispettare. Io vorrei fare tutto quello che mi dice il cervello, senza pensarci su due volte, ma non ci riesco. Sarebbe solo peggio. Ne sono sicura. Più volte sono stata tentata, ma non c’è stato niente da fare. Io sono così, non potrà cambiarmi nessuno a questo mondo. Penso una cosa e ne faccio un’altra.”
Mi riferii a me, ma in realtà, tutto quello che avevo elencato, lo volveva fare Lei. Perché diavolo questa parte di me uscisse quando aveva voglia, non lo avevo mai capito. Forse l’ego o la psiche. Non lo so.
Mi alzai e andai accanto a lei. Appoggiai la mia testa alla sua. Mi mise un braccio intorno alla schiena. Sapevo a che cosa stava pensando. Voleva fare qualcosa, per capovolgere la situazione ma non sapeva come farlo. Le volevo bene, e lei ne voleva a me.
“Pensi, che se fossi stata adottata sarebbe cambiato qualcosa?”
“Sarebbe cambiato tutto.”
“Non farci caso Kendra... Pensa che manca un anno e che quelle persone, non le dovrai più rivedere! E poi gli stronzi a questo mondo, ci saranno sempre. Quando finirà il liceo troverai qualcuno che romperà in università. Io ci sono passata, anche se ho entrambi i genitori.”
Dopo quest’ultima frase, andai in camera. Presi lo zaino e tolsi i libri che c’erano dentro appoggiandoli sulla scrivania. La stanza, composta da un letto, una scrivania, un armadio e delle pile di libri letti negli anni, era illuminata dalla luce che entrava dalla finestra aperta.
Mi tolsi la camicia e la appoggiai alla sedia.
Diedi un pugno al muro. Le nocche che iniziarono subito a farmi male. Dove diavolo era Lei quando serviva?! Certo… Da qualche parte nella mia testa, sdraiata su un’amaca con un cocktail in mano!
Infilai una maglietta nera. Diedi uno sguardo allo specchio appeso al muro. Non sarebbe mai cambiato niente. Sospirai. Kim sulla porta, che sbirciava quello che stavo facendo.
“Vuoi una tazza di thè?”
“No no. Grazie.”
Mi misi le cuffie nelle orecchie, feci partire un brano a caso e mi sdraiai a letto, cercando di dimenticare tutto quanto. La mia coinquilina, chiuse la porta e mi lasciò sola, sola con Lei, che ora, avrebbe distrutto il mondo. La vita, può cambiare nel giro di un minuto. Io quel minuto, lo stavo ancora aspettando.
Il cellulare suonò ancora in nella tasca dei jeans. Misi in pausa il brano che stavo ascoltando. Tolsi una cuffia. Sapevo già chi era, non potevo sbagliarmi. Lo presi.
“Sì?”
“Kendra, va tutto bene?”
Ero ancora un po’ giù per quello che era accaduto la mattina, ma continuare a pensarci, non avrebbe risolto niente e poi in quel momento Lei era con me.
“Sì sì. Non ti preoccupare.”
Presi una rivista di gossip, comprata qualche giorno prima da sotto il letto e la inizia a sfogliare.
“Senti, ti va se questa sera, usciamo a prendere un gelato?”
“Io non ho niente da fare!”
“Ok. Chiedilo anche a Kim! Sono sicura, che le farebbe piacere.”
Mi alzai dal letto, facendo cadere l’IPod insieme alle cuffie per terra, lasciando aperta la rivista alla pagina ventuno, andai in cucina. Kim, era china sul suo malloppo di quattrocentocinquanta pagine, a studiare.
“Kim, stasera gelato? Con Emily!”
Annuii senza togliere lo sguardo dalla tesi. Prima di rispondere alla mia migliore amica, tornai in camera. Non volevo disturbare la mia coinquilina. Tornai a sdraiarmi sul letto, recuperando l’IPod.
“A fatto di sì con la testa.”
“Ok. Perfetto! Allora, ci vediamo questa sera, sotto casa tua, per le otto.”
“Ok! C’è anche Logan?”
Lo chiesi, per il semplice motivo, che quando c’era Emily, i tre quarti delle volte, c’era anche lui. Il ragazzo che tutte quante vorrebbero, o almeno questo è quello che dice lei.
“No, stasera voglio stare sola con te.”
Sorrisi. Non avevo la minima idea di come la nostra amicizia, era arrivata a tanto. Era qualcosa di unico e indissolubile, nato per caso e cresciuto con il tempo e la pazienza.
“Ok. Ci vediamo stasera.”
“Ciao.”
Chiusi la chiamata. Appoggiai il cellulare a terra e infilai le cuffie nelle orecchie. Feci ripartire la musica. Misi l’IPod nel reggiseno. In una mossa, mi tolsi la maglietta.
Mi misi davanti allo specchio. Fissai per qualche secondo il riflesso, di una ragazza apparentemente perfetta. La solita Kendra Blake. Credevo che non sarebbe mai cambiato niente della mia vita.
Perché Bob e i suoi, mi trattavano come l’ultima dei deficienti?
Il fatto che non avessi i genitori, non era una buona scusa per prendermi in giro, o forse, continuavano a farlo, perché non gli dicevo mai niente e perché ci godevano. Le risposte, erano infinite, così come le mie domande.
Io, non gli avevo mai detto niente di male, eppure, puntualmente, loro arrivavano a rovinare la giornata. Ryan, Logan, Mark e Daniel, facevano a turno, per mandarli via.
Aprii un cassetto. Ne tirai fuori una maglietta smanicata con il cappuccio celeste. La indossai e tornai allo specchio.
Tirai il cappuccio sulla testa. La solita Kendra Blake.
Sarebbe mai cambiato qualcosa nella mia vita? Era ancora presto per dirlo. Davanti, avrei avuto tre mesi d’estate e una vita intera. Sospirai e infilai le mani nelle tasche della maglia. Continuai a fissarmi.

Misi e tolsi magliette per tutto il pomeriggio, guardandomi allo specchio, come se fossi in cerca di un difetto, di qualcosa, che avrebbe dato una motivazione valida per prendermi in giro, deridermi. Alle cinque, venne a salvarmi Kim. Aveva in mano la sua tesi. Sarà pesata almeno mezzo chilo, senza esagerare, se non di più.
“Hey, che combini?”
“Sto provano tutti i vestiti!”
“Interessante. Come mai?”
“Non lo so nemmeno io.”
Non avevo niente da fare. Tutto qui. La scuola stava finendo e non c’era niente da studiare o ripassare. C’era solo da mettere via i libri. Punto.
“Ok. Quando sarò laureata, tu sarai la mia prima cliente.”
Presi il cuscino e ridendo glielo tirai. Lo prese al volo.
“Che carina che sei!”
“Nemmeno se ti faccio uno sconto del settanta per cento?”
Rise e rilanciò il cuscino sul letto. Anche se non era ancora laureata, nel tempo che avevo vissuto con lei, mi aveva aiutato tanto, senza rendersene conto.
“Ti va di vedere un film. Sono stufa di studiare! Se continuo ancora un po’, finisce che ci devo andare io dallo psicologo.”
“Che cosa metti?”
“Vediamo…”
“Va bene tutto. Non ne posso più di togliere e mettere magliette. Sembra che stia cambiando il guardaroba, o che mi stia preparando per il mio primo appuntamento con l’uomo della mia vita.”
Mi guardai attorno. Magliette sul letto, sulla scrivania. Camicie per terra. Sembrava passato un tornado. Kim annuì e usci dalla stanza. Nel minor tempo possibile, sistemai in qualche maniera tutti i vestiti che avevo tirato fuori dall’armadio, così, tanto per far passare il tempo. Quando finii andai in sala, dove Kim, era seduta sul divano con una confezione di patatine in mano, a gambe incrociate.
“Ho messo…”
“Fai partire!”
Mi sedetti accanto a lei, abbracciando un cuscino. Non avevo la minima idea del film che aveva messo, ma mi andava bene tutto purché di non mettere e togliere magliette fino a quando sarei dovuta uscire con Emily.  

Dopo aver preso il mio solito gelato panna e fragola, ci sedemmo su una panchina a una ventina di metri dalla gelateria. Erano le nove di sera e il sole, stava tramontando.
Tra non molto, sarebbe arrivata l’estate e io, non vedevo l’ora di starmene tutto il giorno sdraiata a Battery Park insieme alla mia affiatata compagnia, magari con un libro sopra la faccia e la musica a manetta nelle orecchie. Era un periodo, che aspettavo da tempo, dopo nove mesi di scuola.
Escluso compagni e esperienze negative, era stato un anno passato bene. Emily, era riuscita a farmi conoscere due nuovi ragazzi: Daniel e Ryan, nella speranza, che facessero colpo su di me. Questo non accadde, in particolare con Ryan, dato i suoi singoli gusti sessuali, ma mi ero guadagnata due buoni amici. Frequentavano il mio stesso liceo e altea li aveva conosciuti tramite il suo ragazzo che a sua volta, li aveva conosciuti in qualche posto che non ricordo.
Ogni tanto, ci incontravamo per i corridoi, ma adesso che sarebbe venuta l’estate, pensavamo di conoscerci meglio. Mancava poco, veramente poco alla fine della scuola, e all’evento, che tutta la Millennium High School aspettava da una vita: il ballo di fine anno.
Mancava poco più di una settimana ad esso, e non mi aveva ancora invitata nessuno, ma sapevo che avrei fatto di tutto per andarci. Non mi sarei mai persa un evento del genere.
Notai che Emily, stava fissando un punto difronte a lei, con ancora la coppetta del gelato in mano. Le passai il palmo davanti agli occhi qualche volta. Con questa mia azione, sembrò svegliarsi da un sonno ipnotico. Mi guardò per qualche secondo, come sorpresa da quel mio gesto.
“Che c’è?”
“Niente. Eri incantata. Va tutto bene?”
“Sì sì. Va tutto a meraviglia.”                                                                                                                                            
Se lo diceva lei, mi potevo fidare. Ere la mia migliore amica e non mi avrebbe mai detto una bugia o fatto torto. Mi sarei buttata nel fuoco se sarebbe servito a salvarle la vita.
“Che cosa fate domani?”                                                                                                                                         
Kim, rispose senza pensarci su un attimo, allacciandosi una scarpa. La sua risposta, non mi sorprese proprio per niente.
“Studio.”
Io, prima di rispondere, ci pensai su un attimo. La solita, monotona, banale, uguale, identica, tale e quale rutine.
“Non lo so. Credo che andrò a fare un giro da Lydia. È da un po’ che non la vedo. Mi ha cresciuto lei. Mi ha insegnato in sostanza tutto quello che so. Non posso dimenticarmi di lei, solo perché ora, non ci vivo più insieme.”
Lydia, mi mancava un po’ era da parecchio che non la vedevo e volevo andare a trovarla, già da qualche giorno, ma avevo sempre rimandato per qualche motivo, banale o meno.
“Ok. ricordati che domani mattina ci vediamo con Daniel e Ryan al caffè della scuola. Io credo di arrivare per le sette e un quarto.”
“Sì tranquilla, me lo ricordo.”
Emily come me, non aveva tanti amici. Gli unici, erano quelli della mia compagnia, di cui lei faceva parte dagli inizi. Noi eravamo une delle prime, che ne abbiamo fatto parte. In qualche modo l’abbiamo fondata, anche se mai ufficialmente. Entrambe cercavamo di passare il più tempo possibile con quelle persone che potevamo chiamare amici, forse perché erano gli unici che avevamo, forse perché con loro potevamo essere noi stesse.
Quando finii il gelato allungai le gambe, tirando tutti i muscolo di esse. Nel frattempo Kim, si era seduta.
Fissai le Nike nere e bianche che avevo ai piedi. Il nero, era sbiadito e il bianco, era diventato un bianco grigiastro. Un bianco sporco. Erano tutte consumate. Se non c’erano buchi, era solo un miracolo. Andavo a scuola con quelle scarpe da quasi due anni.
Emily, si rivolse a Kim, tirandole la maglietta.
“Trovato il ragazzo?”
Kim, se ne stette un attimo in silenzio. Stava cercando di capire se era una domanda retorica o se doveva rispondere veramente.
“Ma sei scema!? Ho già abbastanza problemi di mio! Ci manca solo di avere il ragazzo. Uno che ti telefona ogni cinque minuti per dirti sempre la stessa frase. Non esiste! O almeno per il momento. Adesso voglio laurearmi e passare un’estate tranquilla, poi vedrò. Non è un bisogno. Si può vivere anche rimanendo single.”
Non aveva tutti i torti, anche se a me, sarebbe piaciuto provare che cosa significasse essere innamorati. Fino ad ora, non avevo mai avuto la possibilità di stare con qualcuno ed ero anche sicura, che nessuno mi corresse dietro. Parola di Kendra Blake.
“E tu Kendra?”
La guardai male. Forse troppo. Anzi, decisamente troppo.
 “Sì, come no. Io, che ho a mala pena una decina di amici. Non credo proprio Emily. Dovresti saperlo bene che sono considerata una sfigata da tutti. E poi se ci fosse qualcuno che mi corre dietro, tu già lo sapresti!”
“Giusto. Comunque io non ti considero una sfigata, anzi. Secondo me, sei tutt’altro.”
Sospirò e mi guardò con quei suoi occhi verdi come smeraldi. Prese una ciocca dei suoi capelli biondo platino e iniziò a giocarci. Nell’attesa che che il tempo passasse, mi misi a guardare il cielo. Nel giro di qualche minuto, il sole era calato.
Pensai a tutte le cose che avevo fatto negli ultimi anni. Gli studi. Pensai a Logan, Emily, Daniel, Ryan, Brook, Mark e Abigail: gli amici conquistati con il mio modo di fare.
Pensai a Lydia, che non vedevo da circa tre settimane e pensai, a tutto quello che ha fatto per me. Se mi avrebbe cresciuta qualcun altro, ora, non sarei stata come sono.
Quando iniziai il liceo insieme a Emily, capii realmente che cosa voleva dire studiare. A novembre del primo anno, prendevo un’insufficienza dopo l’altra. Per questo Lydia, mi fece conoscere Kim, la figlia di una sua cara amica e mi propose di trasferirmi da lei, in un appartamentino a New York nemmeno troppo lontano da scuola, per avere più privacy, dati i quasi quindici anni, e anche un po’ più di calma per riuscire a studiare.
Nel giro di una settimana, andai a vivere a Kim. Nel giro di tre, i voti, ebbero un picco impressionante.
“Kendra, ci vieni al ballo?”
“Se mi invita qualcuno sì.”
“Io ci vado con Logan. Vedrai che qualcuno della compagnia, ti inviterà e poi, non puoi mancare tu!”
“Speriamo. Mi piacerebbe passare una serata fuori dal comune. All’Yale Club poi… Sarebbe fantastico.”
“Non ti preoccupare!”
Speravo con tutta me stessa, che qualcuno, m’invitasse. Era l’evento dell’anno e mi sarebbe dispiaciuto andarci da sola. Avevo anche già preso un vestito bellissimo per l’occasione.
“Facciamo quattro passi?”
“Massì è bella serata.”
Ci alzammo dalla panchina e iniziammo a camminare per Central Park. Il polmone verde di New York. Nonostante non ci vivessi lontano, non lo frequentavo più di tanto.
Preferivo Battery Park, che era a dieci minuti nemmeno da casa mia, meno frequentato era un parco più calmo.
Girammo in lungo e il largo, fino quando ci accorgemmo, che Kim, era a una decina di metri da noi, con il cellulare in mano.
“Ci sei?!”
“Un attimo!”
Scrisse un ultimo messaggio, poi, ci raggiunse correndo.
“Scusate.”
Andammo avanti a camminare e a chiacchierare, come se non ci vedessimo da anni. Parlammo di ogni cosa e scoprii che un certo Arthur Cruz, quello stesso giorno, dopo pranzo, aveva vomitato nel suo armadietto e che un tale di terza, aveva consumato con una di prima nel bagno dei professori. A quanto pare, una scommessa finita bene. Secondo Emily, fu una cosa fichissima. Io, non la trovavo così interessante.
“Ragazze, io preferirei tornare a casa. Domani, devo assolutamente andare avanti a studiare e non vorrei svegliarmi tardi. Vi dispiace?”
“No tranquilla. Kendra, la riporto a casa io.”
“Sicure che non è un problema?”
“No tranquilla. Vai a casa e mettiti a letto.”
“Grazie. Ma non è meglio che andate a casa pure voi? Domani scuola!”
“Kim. È da due anni che vado a letto medialmente a mezzanotte, l’una e che mi sveglio alle sette! E poi proprio tu lo dici!”
“Sì. Sono stanca. Forse perché questa mattina, sono passata in università, per parlare con il mio tutor e andata al mercato a fare la spesa. Non lo so.”
“Può essere, ma secondo me, è anche il fatto che è da più di tre mesi che non stacci mente e corpo dai libri. Vai pure a casa. Non ti preoccupare. Tra un po’ rientro pure io.”
Kim, salutò Emily con un abbraccio, poi, scomparì dalla nostra visa con un passo svelto Emily, mise le mani in tasca e sospirò.
“Meno male, che è venuta con la sua macchina.”
“Già.”
Aveva uno sguardo particolarmente pensieroso. Come, se fosse stata rapita dagli alieni, per essere portata su un altro pianeta, fatta a pezzettini, studiata, ricostruita e poi riportata sulla terra.
“Che hai? Hai uno sguardo pensieroso.”
“Stavo pensando, che sono già passati tre anni. Ancora uno Kendra, poi si inizia l’università. Ma ti rendi conto?! Dovremmo mettere la testa apposto!”
“Sarà impossibile.”
Ridemmo. Sospirò un'altra volta e buttò la testa l’indietro. Era vero. Erano passati già tre anni e a me, sembrava ieri, quando vidi l’aula di chimica, per la prima volta.
“Poi, la promessa che ci siamo fatto io e Logan, sta per finire.”
“Ah sì. Com’era? Sei mesi ufficialmente insieme, restando puri?”
“Esatto e sono un po’in ansia per questo.”
“Non ti preoccupare, c’è sempre la prima volta… E quando accadrà, mi dovrai raccontare tutto quanto!”
Rise, guardando la ghiaia sotto i suoi piedi e ci fermammo.
“Sì, contaci!”
Risi. Infilai le mani in tasca. Eravamo da ricoverare alla neuro entrambe. Come facevamo ad andarci dietro l’un l’altra, non l’ho mai capito e mai lo capirò. Una volta conosciute era nato qualcosa di speciale e d’indissolubile.
“Che dici? Ci avviamo alla macchina?”
“A questo punto, potevo andare a casa con Kim!”
“Kendra, con il nostro passo la macchina la raggiungiamo tra non poco.”
Annuii. Erano tutte le nostre altre esperienze a farla parlare.
“Emily, come farò di te due settimane?”
Dopo la fine della scuola, Emily, sarebbe andata in vacanza con i suoi genitori a Miami per due settimane.
Questa cosa, mi faceva star male. Anche se c’era tutto il resto della compagnia, io, senza di lei, non riuscivo a stare.
“Non ci sono solo io e poi, ci chiameremo tutti i giorni.”
“Sì ma tu sei diversa dagli altri. Il mio legame con te, è più forte. Lo sai.”
“Lo è anche per me, ma vedrai che due settimane, passano alla svelta.”
“Speriamo. Quand’è che parti?”
“Il cinque giugno.”
“Manca poco allora.”
“Sì, ma ricorda. Prima tu. Poi io. Sempre. Se c’è qualcosa che non, va mi puoi chiamare a tutti gli orari e la stessa cosa farò io.”
Prima tu. Poi io. Sempre. Queste erano le frasi che Emily, mi scodellava ogni due per tre. Non sapevo il motivo preciso per cui lo facesse. Entrambe sapevamo, che la nostra amicizia, non era un’amicizia comune.
Quando ci vidimo per la prima volta, capimmo che c’era qualcosa di più.
Era come, se ci conoscessimo da una vita. Non riuscivamo a stare lontane per più di un giorno.
“Mi mancherai tantissimo. Sarà strano non vederti per più di dodici ore.”
“Adesso non ci pensare. Mancano ancora un po’ di giorni.”
“Sì giusto.”
“Pensa al ballo di fine anno. Pensa alla serata che passeremo.”
“E se non m’invita nessuno?”
“Ci vieni lo stesso!”
“Sì come no, così faccio la figura della bidonata.”
Rise. Era una cosa che avevo già preso in considerazione, solo speravo fino all’ultimo che qualcuno dopo essersi ricordato di me, mi avesse invitata. Non sarebbe stato bello andare al ballo da sola.
Allungammo il passo, per non arrivare a casa troppo tardi. Arrivammo alla macchina, parcheggiata fuori Central Park. Una Mini Cooper rossa e nera. Emily, si mise al posto di guida, io accanto a lei.
“Accendi la radio.”
Come da me consigliato, accese l’impianto stereo. Era alzato a manetta. L’istinto, mi fece abbassare il volume.
“Non è un po’ troppo alto!?”
“La musica, va ascoltata con il cuore.”
Sorrisi e alzai di un po’.
“Eh porca miseria, a momenti ti si sverniciava la macchina!”
Rise. Andò avanti a guidare con una sola mano.
“Domani mattina, ti sveglio io.”
“Non se ne parla nemmeno!”
Conoscevo Emily e sapevo che mi avrebbe buttato giù dal letto presto, molto presto. Aveva detto che voleva andare a scuola per le sette e un quarto. Era matta a fare una cosa del genere.
“Massì dai!”
“No dai!”
“Kendra! Non fare la bambina!”
“Sei tu che fai la bambina! Credi che non riesca a svegliarmi?!”
Non mi rispose e andò avanti a guidare.
A volte, mi trattava come una bambina, anche se in parte sapevo che lo faceva in amore. Con il bene che una mamma, prepara la colazione al figlio, prima di andare al lavoro alle cinque di mattina.

Feci i gradini delle scale a due a due, con un passo svelto.
La porta dell’appartamento era aperta. Entrai e con mio grande stupore, constatai che Kim, era ancora sveglia.
Aveva una tazza di thè in mano. Indosso, un pigiama rosa di cotone.
“Ma non eri stanca?”
“Non riesco a prendere sonno e poi, volevo aspettarti. In fondo, sei sotto la mia responsabilità. Se ti succede qualcosa, Lydia mi lincia.”
Chiusi la porta a chiave e mi sfilai le scarpe, lasciandole all’entrata.
Voleva vedere con i suoi occhi che ero a casa e che non mi era accaduto niente. Era una cosa giusta. Lydia, mi aveva lasciato sotto la sua tutela, nonostante non avesse potuto farlo e se mi fosse accaduto qualcosa, Kim, sarebbe stata la prima a finire nei guai.
“Sei troppo stanca.”
Bevve un sorso di thè, sbadigliando, coprendosi la bocca con una mano.
“Ne vuoi un po’. È ancora quello di oggi.”
“No grazie. Io vado a letto. Qualcosa mi dice che domani Emily, mi butterà giù dal letto particolarmente presto. Se vuoi ti presto il mio IPod! Io quando non riesco a dormire, ascolto la musica. Rilassa.”
Rise e andò avanti a bere.
“Così ti faccio fuori tutta la batteria! Non ti preoccupare.”
“Guarda che non mi dispiace!”
Andai in camera a prendere l’IPod con le cuffie. Una volta tornata in cucina, lo appoggia sul tavolo, accanto a Kim, che lo fissò per qualche istante, come se fosse una forma di vita, venuta da un altro mondo.
“Non è complicato da usare. Ci arriverai sicuramente.”
Le feci l’occhiolino, abbinato a un sorriso.
“Buonanotte.”
“Notte.”
Tornai in camera. Misi cellulare e portafoglio sulla scrivania, insieme alle chiavi. Mi sfilai i vestiti e li misi sulla sedia. Mi sedetti sul cornicione della finestra in intimo, chiusi gli occhi e arrivò Lei.

La mia parte più bella e più brutta allo stesso tempo. Quella che si rivelava principalmente di notte. Quella che era pronta a fare di tutto, per rischiare il brivido della morte. Quella, coraggiosa, che rifletteva su tutto e di più. Quella piena di domande, la parte, misteriosa di me.
Una parte che non riuscivo a spiegarmi nemmeno io.
Lei, faceva pazzie, per provare il brivido dell’adrenalina. Andare a centosettanta in piena notte con l’auto di Kim, era una delle poche cose, che mi aveva fatto fare.
Volevo delle risposte, volevo sapere chi era.
Non era una cosa da tutti. Avevo due personalità e anche se sapevo che era una cosa comune, continuavo a chiedermi il motivo, perché Lei, non era quella parte che disubbidiva ai genitori o rispondeva male ai professori. Era una parte che si spingeva spesso oltre il limite.
Questa parte, mi portò a pensare a ogni singolo minuto della giornata. A ogni parola detta e sentita.
Non avevo la minima idea del perché avessi una parte così, ma ero intenzionata a scoprirlo in un modo o nell’altro.
Quella notte, dormii solo qualche ora.
Passai tutto il tempo sul cornicione della finestra a fissare il vuoto e a farmi centinaia di domande.
Mi chiesi ancora una volta, se ci fosse mai stata una svolta decisiva alla mia vita, se sarebbe cambiato qualcosa.
Se Bob e i suoi, avrebbero continuato a tormentarmi fino alla fine del liceo, ancora un anno intero, per quanto sarebbe passato alla svelta.
Perché poi Lei, si facesse vedere solo in determinati momenti, non l’ho mai saputo e non l’avrei saputo, ancora per un po’ di tempo.
 
   
 
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