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Autore: Morgana89Black    07/05/2016    2 recensioni
Ed in quell'ultimo momento di vita il "Bene Superiore" aveva assunto un significato completamente nuovo per Gellert. Si può morire felici quando ci si sacrifica per gli altri, ora ne era sicuro.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gellert Grindelwald, Tom Riddle/Voldermort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'Per il Bene Superiore'
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Un rumore assordante come un tuono che da inizio ad un temporale estivo, aveva svegliato Gellert Grindelwald mentre dormiva nella sua cella, in cima alla torre più alta di Nurmengard. La fortezza più inespugnabile del mondo magico, così veniva ricordata quella prigione, costruita ormai diversi anni prima dallo stesso mago oscuro per ospitare i suoi nemici. Il fato, diabolicamente, vi aveva fatto rinchiudere il suo stesso ideatore ed ancor più diabolicamente il fautore di tale prigionia era stato colui che aveva spinto Grindelwald a portare a compimento i suoi piani per il raggiungimento del potere.

Quando vi era stato condotto, ormai diversi anni prima, si narrava che il mago fosse scoppiato a ridere fragorosamente ed avesse detto "quando vidi le mura di Nurmengard, appena ultimate, sentivo dentro di me che un giorno questa fortezza sarebbe stata la mia prigione".

Quel giorno, svegliato da quel rumore assordante, aveva rammentato quel primo momento di prigionia e la medesima vocina nella sua testa aveva pensato "e così ormai è arrivato il mio ultimo giorno fra queste mure infernali".

Non fu sorpreso, pertanto, quando l'oscura figura si materializzò all'interno della sua cella, né si scompose per l'apparizione dell'altro. Al contrario, sorrise, di un sorriso triste di quelli che sfiorano le labbra di ogni uomo quando incontra il proprio destino.

"Finalmente sei arrivato. Ti aspetto da così tanto...", se l'uomo rimase colpito dalle parole di Gellert, di sicuro non lo diede a vedere, al contrario fece un passo verso il mago avvizzito che sedeva su un lurido giacigno di paglia putrida.

Con lentezza smisurata portò le mani scheletriche verso il cappuccio del proprio mantello, per poi farlo cadere sulla schiena con gesto elegante e misurato. Il più anziano non si scompose alla vista dell'aspetto demoniaco dell'ospite, semplicemente si limitò ad osservarne le fattezze: dalle mani pallide come ossa, alla magrezza del corpo, sino al viso serpentino per posarsi, infine, sugli occhi rossi e crudeli.

Si fissaro l'un l'altro per lunghi istanti, quasi soppesandosi a vicenda. L'uno rappresentava il passato, ormai sconfitto e rinchiuso sino alla morte in una prigione di fredda e gelida pietra, l'altro il presente, al massimo del suo potere ed intrappolato in un corpo che di umano non aveva più nulla.

Presente e passato. Crudeltà bieca e ambizione cieca. Questo erano, niente di più.

"Se mi aspettavi, significa che sai cosa sto cercando", la fredda voce sibilina colpì le orecchie di Gellert come una folata di aria gelida.

"Non so cosa tu voglia. Ma sono certo che non puoi averla", la risata folle del nemico lo investì in pieno, "perciò perché non mi uccidi subito e la facciamo finita".

"Lo farò presto. Ma prima voglio sapere dov'è la Bacchetta di Sambuco".

"Quindi cerchi la Stecca della morte? Per quel che ne so il suo possessore è un mercante di bacchette bulgaro", era un tentativo debole e lo sapeva bene, ma non intendeva dare alcuna informazione di propria volontà.

"Ho già fatto visita al caro Gregorovitch e non ha lui la bacchetta... pensa... lui sosteneva che gli è stata rubata da un giovane... un giovane che io so essere tu!", Voldemort aveva fatto bene le proprie indagini, doveva aspettarselo.

La sua risata fredda e pungente colse di sorpresa il mago più giovane, come le sue parole glaciali quanto il vento polare "ti aspetti che l'abbia io? Sono chiuso in una prigione, non l'hai notato? Pensi che se possedessi veramente la Bacchetta di Sambuco sarei qui ora? O forse ti aspetti che assecondi la tua sete di potere e ti dia le informazioni che cerchi senza obiettare nulla? Stai perdendo tempo, Tom...", l'urlo dell'altro bloccò il suo monologo "come osi chiamarmi Tom? Crucio!". L'incantesimo lo investì in pieno ed il dolore che provò in quei momenti non fece altro che acuire la sua follia.

Nonostante il tremore e la spossatezza, non appena l'effetto dell'anatema fu interrotto, la sua risata ricominciò a riempire l'aria, più fredda di prima. Persino Lord Voldemort tremò impercettibilmente intuendo la pazzia che si nascondeva dietro a quel misero uomo.

In quel momento ebbe, seppur per pochi attimi, terrore di quel mago debole, che un tempo, ne era certo, doveva essere stato veramente pericoloso. Lui non si era mai scontrato con quell'essere e ringraziò mentalmente Albus Silente di averlo annientato prima di un loro inevitabile scontro per il potere.

"Non otterrai nulla da me. Uccidimi. Ti stavo aspettando e desidero solo che tu ponga fine alla mia vita. Fa questo favore ad un povero vecchio che non ha la forza di porre fine alla propria esistenza da solo". Parole dure pronunciate da colui che, in quella situazione, doveva essere in svantaggio. Eppure in quel momento si rese conto che era l'altro a condurre il gioco.

"Mi temi, forse, Tom?", si prendeva gioco di lui. Era così evidente.

"Temerti? Sono io quello con la bacchetta in mano. Io quello pericoloso. Io che porrò fine alla tua misera e patetica esistenza... sei tu che dovresti temermi!", parolo che sembravano quasi il lamento di un bambino colto in fallo. Cominciava a perdere il controllo e la rabbia si sentiva nitida fra le sue labbra.

"Non temo la morte... io la desidero da così tanto tempo. Sei uno sciocco e lo so, perché sono stato anche io come te. Ma lui mi ha tolto tutto e solo allora ho capito che non è la morte che dovremmo temere più di ogni altra cosa. Dovresti meditare su questo anche tu, prima che sia troppo tardi, prima che...", le sue parole vennerò interrotte da un gemito, quando dalla bacchetta uscì un fiotto di luce che andò a delineare un lieve taglio netto e sottile sulla sua guancia. Sentiva il sangue sgorgare ed un sorriso increspargli le labbra. Non mancava molto. Lui stava perdendo la pazienza. Lo sentiva.

La certezza che Grindelwald lo stesse prendendo in giro si faceva sempre più vivida nella mente di Lord Voldemort, alimentando la rabbia ed il rancore per quel mago un tempo così potente ed ora così debole, che gli aveva sbattutto in faccia il suo desiderio di morire. Proprio a lui che la morte la temeva più di ogni altra cosa. Ed ora temeva lui e temeva il suo futuro, che vedeva concretizzarsi nelle parole del vecchio.

In preda all'ira ed al livore l'unica cosa che gli rimaneva era tentate di penetrare quella mente indebolita dalla lunga prigionia per ottenere almeno le informazioni che era andato sin lì per cercare. Ma quello che trovò fu un muro, impenetrabile, come la prigione in cui si trovavano in quel momento. Cercare di forzare le difese dell'altro risultò assolutamente inutile e frustrante, sinché un dolore lancinante lo pervase e lo costrinse ad interrompere i tentativi di utilizzare la legilimanzia con lui.

Lo fissava ora, confuso e frastornato. Cos'era successo? Perché quel dolore così forte... non comprendeva.

"Rimorso...", un flebile gemito uscì dalla bocca di Gellert, in risposta a quello sguardo turbato, "quello che hai sentito è rimorso. Sono anni ormai che vivo crogiolandomi nel dolore che il rimorso per le mie azioni mi fa provare. Rimorso e rimpianto. Sono gli unici due sentimenti che il mio debole animo prova in questa cella di cruda pietra. Non puoi vincere con me... non otterrai nulla da me... uccidimi!", non lo stava pregando. Ora comprendeva che non era una richiesta la sua. Era un ordine e questo lo faceva imbestialire, perché lui lo voleva morto, ma desiderava che lo pregasse di accontentarlo.

La rabbia cresceva sempre di più nell'animo di Voldermort che ora capiva di non poter ottenere nulla da quel debole individuo, neanche la soddisfazione di vedere la paura nei suoi occhi. Così in un impeto di cieco furore l'anatema che uccide uscì finalmente dalla sua bacchetta, per saziare almeno il suo rancore.

 

Ed in quell'ultimo momento di vita il "Bene Superiore" aveva assunto un significato completamente nuovo per Gellert. Si può morire felici quando ci si sacrifica per gli altri, ora ne era sicuro.

   
 
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