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Autore: adelhait13    07/05/2016    0 recensioni
Il passato, anche se cerchi in tutti i modi di dimenticarlo, esso torna sempre sull'uscio della tua vita.
Un essere senza pace tornerà a tormentarti.
Questo avverrà alla povera Rin. Come anche il conoscere colui che fece cadere colei che divenne spirito...
Seguito di una mia vecchia fanfiction postata tempo fa con il mio vecchio nick. Troverete il link nel primo capitolo
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Old Wound










Uscii da casa, m’infilai in macchina e mi diressi in centro.
“Basta restare a casa a fare la muffa”.
Mi dissi, mentre mi fermavo nel parcheggio del centro commerciale. Sì, passai una mattinata di shopping.
Per me. Per la casa e per lei, per la piccola che portavo in grembo.
Girovagai per i vari negozi.  Guardavo le vetrine che brillavano di vita, e come d’incanto ogni cosa svaniva.
Mi sentivo bene, ma mai avrei sospettato di incontrare qualcuno che mi avrebbe riportato nel labirinto dell’angoscia.
Tutto avvenne velocemente. Ero appena uscita da un negozio di articoli per la casa, quando qualcuno mi chiamò.
“Rin”.
Di scatto mi voltai verso la voce che mi chiamava, e la vidi. Era lei, Elisa, carica di buste che mi guardava sorridendo.
Era cambiata. Era invecchiata. I capelli castani erano attraversati tra striature grigie, e sul viso vi erano le prime rughe.
“Elisa”.
Sussurrai incredula. Erano tre anni che non la vedevo. Era dal giorno del mio trasloco.
Un flash.
Io ero accanto al furgoncino e guardavo gli addetti caricare la mia roba, mentre Elisa mi osservava dalla finestra della cucina.
Ricordo la giornata. Era grigia e carica di pioggia. La vidi guardarmi tristemente, era conscia del fatto che in quel luogo non ero ben accetta.
Chinai il capo ed entrai nella macchina di Sesshoumaru. Mi allontanai da quel luogo. Mi allontanai dal dolore…ma non fu così.
Lei ora era lì e mi osservava felice. Ero incredula.
“Elisa, sei tu?”.
Lei sorrise e annuì. Poggiò le buste a terra e si avvicinò a me.
“Oh, Rin da quanto tempo”.
Mi disse, la vidi muovere le braccia. Tremava, mi voleva abbracciare, ma era bloccata…aveva paura.
Aveva il timore di un mio rifiuto.
Io lo capii. Compresi la sua paura e veloce la abbracciai. Lei era l’unica ad avermi aiutata in quel palazzo.
“Vero”.
Le dissi, mentre la stringevo. Lei ricambiò il mio abbraccio, quando d’un tratto si staccò da me e mi guardò ben bene.
“Rin ti vedo bene”.
Mi disse, mentre mi ammirava. Allungò la mano in direzione del mio ventre, ma la ritirò…ancora provava quel timore del mio rifiuto. Io veloce gliela afferrai e la poggiai sulla mia pancia. Sorrise felice.
Io ricambiai. Restammo così per svariati secondi, ma d’un tratto lei allontanò la mano dal mio ventre.
Guardò l’orologio sul polso e disse un po’ allarmata.
“Oh mamma com’è tardi! Sarà meglio che vada se no, rischio di perdere il bus”.
Si piegò, raccolse le buste e mi salutò. Io rimasi lì ferma a guardarla andare via, quando le urlai.
“Elisa non temere ti accompagno io a casa!”.
Pazzia!
Lei si voltò e mi guardò incredula. Io mi avvicinai e le proposi di nuovo di accompagnarla, ma lei gentilmente rifiutò…sapeva bene del dolore che avevo vissuto in quel posto.
Io insistetti, anche se una voce mi urlava di lasciar stare, ma la zittii.
“Lei è sempre stata gentile con me, le devo molto”.
Pensai.
“Grazie Rin”.
Mi disse, mentre si accomodava accanto a me in macchina. Le sorrisi e accesi il motore. Dopo tanti anni ritornavo nel luogo del dolore.
Arrivai nel cortile di quel “posto”. Spensi il motore e restai a fissare quel luogo, così arido e freddo. Elisa scese e m’invitò, un po’ titubante, a bere qualcosa da lei.
Io accettai come un automa. Scesi dalla macchina e la seguii.
Ricordo il rumore dei ciottoli sotto le suole delle scarpe. Un rumore doloroso, come lo spettro dell’angoscia che tornò prepotente nella mia vita.
Camminai ritta verso il portone, ma evitai di guardare il piano dove anni addietro avevo abitato. D’un tratto sentii una fitta allo stomaco. Un atroce fastidio.
Poggiai la mano destra sul ventre, un gesto che non sfuggì a Elisa che un po’allarmata mi chiese.
“Rin, non ti senti bene?”.
Io le sorrisi e la rassicurai con un.
“Non ti preoccupare la piccola scalcia un po’”.
Lei ricambiò il mio sorriso. Un caldo e materno sorriso.
Entrammo nell’ascensore, ma quella sensazione non mi lasciò. Sospirai, quando le porte si aprirono.
Elisa mise la chiave nella toppa, aprì e mi disse un po’ ridendo.
“Rin non temere, lei oggi non c’è”.
Non capii subito a chi si riferisse, ma poi lo compresi.
“Mia nonna, Kaede, è fuori a fare delle commissioni con una persona”.
Finì la frase con amarezza. Rammento il viso di Elisa mutare…a chi si riferiva? Il tempo avrebbe colmato il mio dubbio.
Entrammo e lei mi fece accomodare in salotto. Mi sedetti sul divano di velluto bordeaux, mentre lei spariva di là in cucina. La stanza era in arte povera, la definirei in stile anni cinquanta…era identica a quella della nonnina che abitava accanto a casa dei miei genitori.
Restai in quella stanza seduta. Era zeppa di quadri e piante, però una cosa attirò la mia attenzione. Un comodino all’angolo accanto alla finestra.
Mi alzai curiosa. Quel comodino di legno scuro lucido, era come una calamita. Su di esso vi erano un sacco di foto con sopra dei rosari. Pensai.
“Parenti defunti”.
Mi avvicinai di più e vidi qualcosa che mi fece sgranare gli occhi. Tra di esse vi era una foto di Kagura. D’un tratto la mia mano era come attratta da quell’immagine, un po’ ingiallita dal tempo, volevo prenderla... quando una voce mi fece sobbalzare.
“E’ scortese toccare la roba altrui”.
Una voce maschile che mi fece gelare il sangue. Mi voltai e lo vidi. Rimasi stupefatta nel vederlo, era l’uomo del cimitero. Era lì, in piedi accanto alla porta e mi fissava sorridendo. Io arrossii leggermente, come una bimba sorpresa a fare una marachella.
“Mi… mi dispiace…”.
Biascicai, mentre mi allontanavo dal comodino, ma urtai contro una mensola facendo traballare un ninnolo. Mi girai veloce e lo afferrai.
“Pfiu! Meno male non è caduto”.
Rimisi a posto il ninnolo, quando il mio sguardo cadde sullo specchio posto di fronte a me. Sbiancai.
Quell’uomo era dietro di me e mi fissava. Occhi rubino che mi scrutavano dentro l’anima.
Sentii un brivido freddo lungo la schiena, una sensazione sgradevole. Mi voltai lentamente e lo vidi a pochi centimetri dal mio naso.
Era un bell’uomo. Lunghi capelli corvini legati in una coda bassa, labbra rosee sottili che sorridevano beffardi. Era più grande di me, ma era molto affascinante.
Ricordo ancora il suo profumo, così penetrante e ammaliante.
Lo vidi alzare la mano destra verso il mio viso, quando una voce lo fermò.
“Naraku!”.
Lui si voltò veloce verso quella voce…era Elisa. Lei era lì, sulla porta del salotto con in mano un vassoio. Era pallida e tremava. Lui si spostò da me e lentamente si avvicinò a lei, che continuava a tremare.
Si accostò a lei, le toccò il viso con la mano. Elisa chiuse gli occhi rabbrividendo, io rimasi impietrita di fronte a quella scena. Rammento che le disse qualcosa…qualcosa che la fece tremare di più. Lui si voltò di nuovo verso di me.
“Spero di rivederti senza nessuna interruzione”.
Mi disse prima di sparire nell’altra stanza. D’un tratto mi risvegliai da quello stato di torpore e veloce mi congedai da Elisa, che si scusò, mortificata, della scena di prima.
“Non ti preoccupare…non fa nulla…”.
Farfugliai, mentre m’infilavo nell’ascensore e pigiavo il pulsante del piano terra.
“Perdonami Rin!”.
Gridò Elisa, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano. Non era colpa sua.
Le porte si chiusero ed io tirai un sospiro di sollievo, mentre attendevo che l’ascensore mi portasse al piano di sotto, ma avvenne qualcosa che mai mi sarei aspettata.
D’un tratto non scesi più al pian terreno, ma cominciai a salire. Spaventata, cominciai a pigiare il pulsante del piano di sotto, ma nulla…come impazzito continuava a salire fino all’ultimo piano. Fino al piano dove vi era il duplex.
Si fermò e lentamente le porte si aprirono. Io ero pietrificata dal terrore. Che cosa stava accadendo?
Fissai infondo e vidi qualcosa che mi lasciò senza fiato.
La porta si apriva lentamente.
Un lamento di donna.
Una pallida mano che scivolava sul lato destro della porta.
Io mi poggiai alla parete metallica dell’ascensore in preda al terrore. Ero consapevole chi fosse. Era lei, Kagura.
Lentamente uscì dall’appartamento e cominciò a camminare carponi. Io sgranai gli occhi ancora di più, mentre cercavo di urlare, ma la voce era come sparita. Le mie corde vocali erano come paralizzate.
Lei camminava verso di me. I lunghi capelli corvini le coprivano il viso e toccavano terra. Le pallide mani grattavano il marmo del pavimento, mentre avanzava verso di me.
Io mi poggiai ancora di più nella parete, mentre la fissavo avanzare. Mi voleva.
Si avvicinò alla porta dell’ascensore, poggiò la mano sinistra e si tirò su. Era davanti a me, alzò il viso, prima piegato in basso, e mi mostrò il suo pallido volto.
Le sue labbra rosse era piegate in un sorriso malefico. I suoi occhi…oddio, i suoi occhi erano rossi come le fiamme dell’inferno.
Tremai ancora di più. Lei alzò la mano destra verso di me, ma le porte si chiusero salvandomi.
Scesi al piano di sotto e come una pazza corsi verso la macchina. La aprii e mi chiusi dentro.
“No! No, di nuovo!”.
Strinsi il volante, mentre il cuore correva veloce nella cassa toracica.
Tremante avviai il motore e fuggii da quel luogo. Da quell’inferno. Non so ancora come sia riuscita a tornare a casa illesa, senza fare alcun incidente…il mio stato psichico in quell’istante era davvero spaventoso.
Aprii la porta di casa e corsi verso il salone. Mi poggiai sulla spalliera del divano, quando una fitta al ventre mi fece scivolare a terra.
Strinsi gli occhi. Era un dolore lancinante.
“No…devo…stare calma…”.
Mi dissi, mentre cercavo di coricarmi sul divano. Ci riuscii, intanto respiravo affondo, come mi avevano insegnato al corso pre- parto…è una vera sciocchezza in quell’istante, ma riuscii a trovare un po’ di sollievo.
Lentamente la fitta si placò, ma non la mia ansia.
Quel giorno provai di nuovo la paura di morire…ma è solo colpa mia, come anche ciò che accadde inseguito…




Continua…


 

 

   
 
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