In
una fredda giornata d’inverno, una di quelle in cui il sole non riesce a fare
capolinea da dietro le grigie nuvole che promettono pioggia, Dube se ne stava
rintanata al calduccio nella piccola cucina della sua casetta. Come tutti gli
elfi non amava il freddo e preferiva di gran lunga accoccolarsi davanti al
caminetto dentro al quale scoppiettava una vivace
fiammella rossa. Aveva tutte le guance arrossate dal caldo, e i grandi occhi neri
che lottavano per chiudersi, lasciandosi trasportare dal sonno. Come al solito
il giorno prima era rimasta alzata fino a tardi per aspettare il padre, il
quale era il capo della piccola comunità di elfi in cui vivevano. Era una
persona gentile e premurosa e ogni volta che il padre faceva tardi per qualche
riunione con il consiglio, lei lo aspettava preparandogli squisito
biscotti e una cioccolata calda. Da quando era morta la madre, era lei
che si era sempre presa cura della sua famiglia, soprattutto del fratellino
minore. Aveva sofferto molto per la perdita del genitore però si era fatta
forza per il bene del piccolo. Da quel giorno era stata lei a cucinare, lavare
e pulire, spinta dalla sua buona volontà.
Era
così immersa nei suoi pensieri ed ad un passo dall’addormentarsi che quando
bussarono alla porta trasalì.
Si
alzò barcollando, chi mai poteva essere? Mancavano ancora un paio d’ore dal
ritorno del padre e il fratellino quel giorno era a scuola. Probabilmente era
l’amico Mark che aveva saltato di nuovo il lavoro per andarle a far visita. Era
un ragazzo molto gentile ma non aveva molta voglia di lavorare. Era un
guardaboschi della foresta che circondava il piccolo villaggio elfico,
rendendolo invisibile e introvabile al resto del mondo.
Arrivò
alla porta con già in mente la ramanzina da fare al giovane, ma quando aprì, si
trovò davanti un ragazzino di circa quattordici anni, smilzo e con due grandi
occhi verdi. In testa portava un ridicolo cappello verde a frange che lo faceva
sembrare un pagliaccio. La ragazza lo riconobbe come uno dei paggi del padre,
ragazzini che recavano i suoi messaggi. Lo invitò ad entrare ma il messaggero
si rifiutò giustificandosi che era di fretta:- Vostro padre vuole parlarvi, vi
aspetta nella sala delle riunioni private, arrivederci!- e così dicendo si
dileguò correndo verso un’altra abitazione bassa e con il tetto di paglia dal
quale usciva un rivoletto di fumo.
Dube
richiuse la porta un po’ titubante, quel ragazzino l’aveva sorpresa, era un po’
inquietante.
Un
pensiero la colpì dopo un attimo: suo padre non la chiamava mai nella sala riunioni
se non era qualcosa di veramente importante! L’ultima volta che l’aveva fatto
era stato sei anni prima.
Era una bella giornata di sole, lei era
in giardino con le sue amiche a giocare. Costruivano grandi collane di fiori
formate da campanelle, margherite e quadrifogli. Le risate allegre
raggiungevano le case vicine e gli elfi si affacciavano a guardarle. Lei
indossava il suo vestitino preferito, quello con i fiori colorati stampati
sopra. Si vantava davanti alle amichette. Poi al cancello era arrivato un
ragazzotto muscoloso e abbronzato, le aveva fatto segno di avvicinarsi e le
aveva detto che suo padre voleva parlarle. Di malavoglia aveva salutato le
compagne di giochi e si era recata nel piccolo palazzo ricavato da un enorme
tronco cavo, che fungeva da sede del consiglio e del capo del villaggio. Era
arrivata fuori dalla sala riunioni del padre,fece per
entrare, ma quando sentì che dentro c’era qualcuno insieme al genitore esitò.
Accostò il viso alla porta socchiusa e ascoltò.
All’interno c’era suo padre e si
sentiva anche la voce dello zio:- Mi dispiace, era una persona eccezionale!-
ripeteva in continuazione con voce strozzata. Il genitore piangeva
sommessamente, singhiozzando ogni tanto : - Non doveva
morire, non la mia cara Serafin!-. No, suo padre
aveva detto che sua madre era morta, ma non era vero! Lei l’aveva vista quella
mattina! Corse dentro come una furia e si mise a gridare che la donna era
ancora viva, che li stava aspettando a casa! Ma nel profondo del suo cuore già
sapeva che se ne era andata per sempre.
Spense
il fuco ne caminetto di mattoni rossi, raccolse la
giacca dall’attaccapanni posto al lato dell’entrata e uscì inghiottita da
quella giornata glaciale. Il freddo l’avvolse in un bozzolo, dai lunghi capelli
corvini alle punte dei piedi. camminò velocemente per
le stradine del villaggio diretta al suo centro. Passarono un paio di minuti e
arrivò in vista dell’enorme quercia cava. Attraversò la soglia senza
esitazioni, ma quando fu dentro non poté fare a meno di alzare lo sguardo al soffitto.
Anche se lo aveva già visto molte volte, l’enorme intreccio di radici e rami
posti dieci metri più in alto, che fungevano da copertura dell’edificio
l’affascinavano sempre. Si inerpicavano per metri sopra di lei intrecciandosi,
dando vita a figure astratte. Incastonarti qua è la fra i
tentacoli di legno vi erano, inoltre, diamanti che fungevano da lucerne,
riflettendo la luce proveniente dall’esterno in arcobaleni di colori. Si
inerpicò fra i cunicoli di corridoi che collegavano l’ingresso alle varie
stanze. Per chi non avesse saputo la strada sarebbe stato facile perdersi. Arrivò
davanti alla grande porta di legno dell’ufficio, la esaminò per alcuni istanti:
era molto antica e pesante, con pregiati intarsi d’ambra ricamati su tutta la
sua superficie. La maniglia d’oro zecchino conteneva al suo interno un grande
diamante.
Prese
un profondo respiro, chissà cosa voleva dirle suo padre! Qualunque cosa fosse,
era sicura che sarebbe stata una notizia importante e
soprattutto brutta. Resistette all’impulso di scappare via, bussò e quando il
padre gli rispose entrò.
Suo
padre era seduto su un seggio finemente lavorato dal migliore scalpellatore del
paese al centro della sala, alle sue spalle c’era un grande camino di marmo
scuro nel quale ardeva un fuoco incostante. L’elfo era alto e leggermente in
carne, con dei capelli neri, striati di bianco. Gli occhi profondi e acuti
scrutavano la giovane.
Il
Padre le sorrise e le fece segno di accomodarsi su una delle sedie poste
davanti a lui . Lei si sedette. Bussarono alla porta. Entrò un ragazzino che
aveva amala pena dodici anni: era suo fratello Brendon. Indossava dei pantaloni
marroni e una casacca che era il doppio della sua tagli.
I capelli erano a spazzola e di un colore indefinito tra il rosso e il marrone.
Si
sedette anche lui accanto a lei.
Poi
bussarono di nuovo alla porta ed entrò una signora magra ed alta. Con lunghi
capelli biondi e occhi azzurri, era molto affascinante. I due ragazzi rimasero
sorpresi da questa apparizione.
Il
padre disse:- Ben arrivati figli miei. Lei è Lein ed
è una signora che ho conosciuto un anno fa e che ora voglio sposare. Ritenevo
che voi avreste dovuto saperlo. Dube non dovrai più cucinare e sgobbare tutto
il giorno, e fare tutti quei lavori di cui ti lamenti sempre- sul suo viso
comparve un grande e caldo sorriso: - Non siete contenti!-.
Dube
si alzo di scatto e gridò:- Contenti! Come facciamo a essere contenti! Non
ricordi più la mamma? Come puoi tradirla così?- il cuore le scoppiava. Odiava
quella donna per avergli portato via il padre, e il padre per aver dimenticato
la madre. Si girò di scatto e corse via. Ripercorse tutta la strada che
collegava casa sua all’albero cavo a ritroso, infuriata. Non si accorse nemmeno
che Mark la stava seguendo gridandole di fermarsi e chiedendole cosa fosse
successo. Entrò in casa e salì al secondo piano. Arrivò in camera sua di corsa
dove la raggiunse il suo amico. La ragazza incominciò a riempire il suo zaino
con tutto quello che gli capitava sotto mano.
Era
talmente arrabbiata e delusa che non sentiva neanche quello che diceva il suo
migliore amico.
Poi
si fermò di colpo e disse:- Mark, me ne vado!-.
Lui
le chiese:- Ma dove vai……. non hai un altro posto
oltre a questo! Dove vorresti andare?-.
Dube,
voltandosi con agitazione, rispose:- vado più lontano possibile, dove mio padre
non possa trovarmi! Credo che andrò in una città dell’ Europa,
dove vivono la maggior parte delle creature solitarie, e del piccolo popolo!-.
Mark
ribadì:- Non puoi andartene non pensi a tuo padre e a tuo fratello soprattutto!
Lui soffrirà molto più di tutti, ti e molto
affezionato, e poi tu, per lui sostituisci vostra madre!-.
-Lui
non sofrirà, ora ha una nuova madre! Ma tu, giura di non dire niente fino a che
non me ne sarò andata con il teletrasporto!-.
Lui
rispose:-Non te lo posso giurare, se uscirai da quella porta io andrò subito da
tuo padre! Cerca di capirmi lo faccio per te!-.
Lei
gridò:- Bene, allora vai ma io me ne sarò già andata!-.
Prese
lo zaino e se ne andò di corsa dalla stanza.
Mentre
correva, chiuse gli occhi e, quando gli riapri si trovava, grazie alla capacità
di teletrasportarsi, in una immensa città. Continuò a
correre senza pensare dove stava andando. Aveva dei grandi lacrimosi agli
occhi. Vide l’entrata di un parco, vi entrò. Percorse una via alberata, tutto
intorno a lei c’erano piante e fiori disposti perfettamente da una mano
sapiente; dove abitava lei le piante crescevano dove volevano.
Sentiva
intorno a lei voci di bambini che ridevano, e le mamme che li chiamavano. Si
sedette su una panchina. Si piegò in due, mise la faccia tra le mani e si
lasciò andare in un pianto sfrenato, fra singhiozzi e pensieri tristi.
Ad
un tratto sentì un fruscio alle sue spalle, un leggero movimento di mantello.
Si girò di scatto, davanti a lei c’era una figura affusolata, alta e snella.
Portava un lungo mantello, con un cappuccio calato sulla faccia, ma vi si
distinguevano chiaramente le lunghe orecchie a punta. Gli occhi di quel strano
individuo risplendevano di una strana luce dorata come l’oro. Aveva circa
diciannove anni solo tre più di lei.
Si mosse e con un unico gesto aggraziato
si sedette accanto a lei.
-
Allora Mark mi ha tradito!-disse Dube con tutta calma:- Ha detto a mio padre
che me ne sono andata. E lui da buon padre ha chiamato mia zia perché credeva che
andassi da lei. Ma non ci sono andata. Così lei ha mandato te! Mi sorprende,
quando ero più piccola veniva lei di persona!-.
-Esatto-
ammise l’elfo un poco sorpreso:- Ora tu dovresti venire con me, devo riportarti
da tua zia. Sono tutti in pensiero per te. Su vieni!-
disse il ragazzo:- Io sono stato mandato qui da lei,come ai già capito. Sono un
suo cavaliere. Ora aprirò un portale dritto verso il nord, arriveremo nella
sala della regina!-.
La
prese per mano e senza lasciarle il tempo di pensare, la trascinò nel passaggio
e in un batter baleno si ritrovarono nella sala del trono.
Era
una grande caverna ricoperta di cristalli che rispendevano di luce. Ai lati
erano state poste colonne del colore della porpora con la funzione di
sorreggere l’ampio soffitto a volta, dando un senso di immensità e potere che
regnavano sovrani. Il soffitto era ricoperta di stallatiti
dorate. Infondo alla sala, su d’un rialzo di tre gradini, si trovava un grande
trono, fatto di cristalli rosati e azzurri.
Sul
trono sedeva una graziosa elfa. Era alta e snella, i sui capelli erano
rossi, della stessa tonalità di quelli di Brendon, intrecciati in piccolissime
trecce fermate da perline dorate. Il suo viso emanava potenza: i lineamenti erano
rigidi e spigolosi e le davano una parvenza di immortalità e saggezza. La regina
indossava un lungo vestito color porpora, con dei merletti e finiture dorate.
- Lai trovata…..bene
Roimben! Dove era?-
domandò con cipiglio.
-
In un parco alle porte di Parigi!- rispose l’elfo:- Cosa vuole che faccia
ora?-.
Mentre
i due elfi parlavano, Dube volse lo sguardo verso il giovane che nel frattempo
si era inginocchiato e l’aveva fatta inchinare. Ora che lo vedeva meglio perché
non aveva il cappuccio calato sul viso, sembrava una figura di marmo, con dei
lineamenti duri, ma allo stesso tempo dolci. Aveva dei lunghi capelli d’argento
legati sulla schiena con un laccio di pelle. Dube guardando quella figura
felina sentì uno strano brivido lungo la schiena, una sensazione che nonostante
tutto non aveva mai provato. Poi una voce lontana la riportò alla realtà.-
Dube, Dube, cosa ti prende non ti senti tanto bene?-, la ragazza si scosse e si
girò dalla parte da cui proveniva la voce. Era la regina che la chiamava, molto
probabilmente si era incantata a guardare un punto fermo, come le capitava spesso.- No- rispose lei- va tutto bene, ero solo sopra pensiero.
Ora immagino che dovrò tornare da mio padre, come al solito! Be almeno ci ho
provato! Dov’è il portale?-.
Sulle
labbra della regina comparve un sorriso ironico:- Non tornerai a casa, hai sedici anni
ed è ora che tu impari a vivere nel mondo esterno, per questo resterai qua a
vivere e andrai alla scuola superire degli elfi. Ho già avvertito tuo padre e
per lui non ci sono problemi-.
Dube
non disse niente rimase solo con la bocca spalancata come se quella frase le avesse tolto
l’ossigeno. Mentre si rialzava in piedi bisbigliò con voce seccata:- Per forza
che mio padre non ha protestato e così preso da tutti i suoi impegni per
organizzare il matrimonio!-.
-Scusa
hai detto qualcosa?- disse la regina. La ragazza fece segno di no con la testa
e rivolse la il suo sguardo ad un cristallo più lungo
degli altri che pendeva dal soffitto. Se qualcuno avesse guardato nei suoi
occhi, in quel momento, vi avrebbe letto un infinita
tristezza e rancore.
Quando
la regina la congedò, Dube se ne andò diretta verso la sua camera, senza
fermarsi a salutare.