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Autore: SalvamiDaiMostri    10/05/2016    2 recensioni
Johnlock dai toni estremamente drammatici a causa di una particolare condizione di Sherlock: mai avrebbe pensato che le stronzate del suo passato avrebbero inciso così profondamente sulla sua vita adulta e compromesso fino a tal punto la sua felicità. E a pagarne le conseguenze è John. E questo Sherlock sa che è terribilmente ingiusto, oltre che pericoloso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PREMESSA NECESSARIA: Mi scuso immensamente per aver tardato così tanto questa pubblicazione. Ho avuto un casino dopo l'altro. Prima casini a livello di salute piuttosto gravi (concordereste con me che l'universo è estremamente ironico e stronzo), poi esami su esami, poi sono rimasta senza pc e quasi perdo tutti i dati... Dunque. Il capitolo non è completo. Non è così che lo avrei concluso. Voglio che lo sappiate: non era stato pensato per essere concluso così, ma davvero, sto tardando troppo ed è proprio ora di pubblicare qualcosa di nuovo. Quindi eccovi questa prima parte :p Scusatemi ancora! Buona lettura! ;) _SalvamiDaiMostri




L’uomo suona il campanello, ed attende.
Quello è probabilmente uno dei momenti peggiori della giornata del signor Holmes: quella manciata di secondi che trascorre tra l’udire il campanello risuonare all’interno del 221b e l’arrivo di qualcuno degli inquilini che gli apra la porta. In quel momento, improvvisamente tutte le sue paure, le sue angosce e il suo dolore, nel trovarsi a un passo dalla loro fonte, si concretizzano e gli addensano il sangue fino a fargli mancare il respiro. I terribili ricordi del giorno prima, e del precedente e di quello prima ancora si accalcano nella sua mente in un tumulto insopportabile che, al pover uomo, fa solo tanta paura e una gran voglia di fuggire via.
Ringrazia silenziosamente Dio che la sua Vanda non stia assistendo a tutto questo e soffrendo quanto lui in quel momento.
Improvvisamente Harry apre la porta, cogliendo di sorpresa l’uomo anziano immerso nei suoi pensieri. La donna gli sorride:
“Buongiorno Siger, entri prego.” È evidentemente molto stanca. Mentre il signor Holmes entra in casa, le accarezza la spalla vigorosamente dicendo soltanto:
“Grazie, cara.” Cerca di sorriderle, ma non sa se ci sta davvero riuscendo. Sale le scale e Harriet, dopo aver chiuso l’uscio, lo segue. In silenzio, giungono al piano di sopra.
Harriet si dirige verso alla cucina per finire di lavare i piatti e l’uomo si avvia verso la stanza di Sherlock; prima di entrare bussa:
“Posso?”
“Venga pure avanti...” lo invita la voce di John. Entra: “Buongiorno...” lo saluta il genero che siede sulla sua poltona che avevano spostato accanto al letto, al capezzale di Sherlock. Si alza per andare ad abbracciare il suocero:
“Buongiorno, John. Come sta oggi?” domanda. John sospira voltandosi verso Sherlock:
“Un po’ peggio di ieri, come sempre.”
Sherlock siede sul letto in pigiama, sotto alle coperte, appoggiato allo schienale e guarda fuori dalla finestra, come se nulla stesse accadendo attorno a lui. Il padre si avvicina al letto entrando nel suo campo visivo; Sherlock lo guarda:
“Papà.” dice soltanto. Il signor Holmes è in assoluto l’unica persona che Sherlock riconosce sempre. John lo invidia molto per questo. L’uomo si china su di lui e gli bacia la fronte:
“Ciao, Will...” si siede allora sulla poltrona di John facendo al genero cenno di andare pure. Lui dunque lascia la stanza e va in cucina.
“Vado di sopra a dormire: la dottoressa dovrebbe arrivare per le due. Ci pensi tu a preparare loro qualcosa da mangiare per pranzo?”
“Certo, lascio qualcosa anche a te per quando ti svegli?”
“Non so. Non credo che avrò fame.”
Quando Sherlock cominciò a peggiorare sul serio, l’ospedale fu uno dei primissimi luoghi ad apparirgli ostile: sin da subito cominciò a fare molte storie per andarci e, purtroppo, aveva bisogno di recarvicisi ora più frequentemente che mai. Quando e se riuscivano ad arcir, un volta lì erano più urla che capricci: temeva ogni infermiere, ogni medico; ripeteva frasi come “Quello vuole farmi del male” e “Ti prego, andiamo via” fino all’esasperazione di John e Mycroft ed era ormai diventato impossibile fargli fare esami del sangue o risonanze o qualunque altro tipo di operazione che richiedesse che stesse fermo e buono. Arrivò a rifiutarsi categoricamente di andarci e non c’era modo di persuaderlo o ingannarlo o obbligarlo. Mycroft si era perció impegnato a riuscire che suo fratello potesse essere assistito a domicilio dalla dottoressa Tietjens e la sua equipe: non era stato affatto semplice, ma il direttore dell’ospedale gli doveva più di un favore. La dottoressa era di fatto l’unico medico che Sherlock, pur sempre con riluttanza e diffidenza, faceva avvicinare: come la maggiorparte delle persone, l’ex consulente investigativo non la riconosceva da molto tempo, ma evidentemente era rimasto qualche forma di fiducia o rispetto nei suoi confronti nei meandri di ciò che restava della sua mente. Per far sì che potesse recarsi a Baker St ogni giorno e prestare a Sherlock le cure che necessitava, la dottoressa avrebbe dovuto trascurare il resto dei suoi pazienti e per convincerla, Mycroft dovette ricorrere a metodi poco ortodossi: lei stimava Sherlock e John, ma era davvero poco professionale ciò che la stavano costringendo a fare. Detto questo, sia lei che Mycroft avevano concordato sul fatto che per quanto scomodo potesse essere per lei, certamente non sarebbe durato a lungo.
Erano trascorse poco più di due settimane da quando Harriet si era trasferita al 221b e, da allora, la situazione era peggiorata notevolmente.
Ormai Sherlock peggiorava a vista d’occhio: ogni volta che si risveglia, una parte di lui, per quanto piccola, era andata perduta. È una settimana che non torna, nemmeno per un minuto, in sé; John si è arreso al fatto che non potrà più conversare con lui. Dispercezioni e allucinazioni sono più frequenti che mai.
Come se non bastasse, la malattia lo sta logorando anche a livello fisico: è ridotto all’osso, di un colorito mortale, le ocxchiaie profonnde e violacee gli contormnano gli occhi, giallastri e velati. Scariche di diarrea e nausee sono ormai parte della sua cuotidianità. Spesso, per ore, il suo corpo è scosso da brividi di freddo talmente forti che lo squotono per ore, a causa di brutte febbri. è ridotto a uno spettro di se stesso. è da tre giorni che sul braccio sinistro di Sherlock sono comparse altre tre macchie scure: il Kaposi si è risvegliato, e lo divorerà vivo. Il lato peggiore della sua sofferenza fisica, è che non può comprenderla: la demenza non gli permette di capire che sente dolore e debolezza perchè è malato, che non può fare niente al riguardo, che lamentarsi e incolpare John non serve a niente. Sente solo una gran confusione e rabbia e tanto tanto male.
Soffre terribilmente. Il buio lo spaventa, lo spaventa ogni cosa a dire la verità.
Passa le notti ad urlare in bagni di sudore: per la maggiorparte del tempo chiama sua madre.
“Mamma? Sei tu, mamma? Dove sei?? Sto tanto male... Canta per me. Fa freddo qui. Si è fatto tardi, è passata la mia ora. Non ti arrabbiare mamma, ma ho paura: cantami una canzone, ti prego! Fa paura, oh Dio. Mi dispiace tanto...”
I vicini si lamentano e John non può biasimarli. Mycroft fa in modo che i capi dei vicini permettano loro di anticipare di parecchio le loro vacanze di Natale e fa apparire nelle loro buche delle lettere biglietti per tutta la famiglia in tali date per le mete da loro preferite, così che si levino dai piedi e non diano fastidio.
Per John tutto questo è estenuante. Anche per Harny lo è: anche se si turnano e uno va a dormire di sopra, lo sente comunque. Non c’everso di dormire nemmeno per la signora Hudson di sotto in realtà... e lei è una persona davvero troppo anziana e fragile per sopportare tutto questo.
Più notti insonni passa John, peggio reagisce alla nuova natura di suo marito. Non avrebbe mai pensato di poter arrivare fino acerti punti. Sa che nulla di tutto questo è colpa sua, ma ormai la situazione trascende la logica del fatto che è la malattia ad indurlo a gridare e gridare e gridare per così tante ore di fila.
Spesso gli fa pena: è davvero triste vederlo ridotto così. È triste vederlo soffrire così tanto, vederlo così frustrato nella prigione che è diventata la sua mente. Ma a volte la rabbia e l’aggresività prendono il sopravvento su John e lo inducono a sfogarsi, a rispondere alle sue urla, ai suoi insulti, alle sue minacce.
Certo, se ne vergogna immensamente.


Sono un disastro, ecco cosa sono. Piango, e piango fino a quando penso di non poter piangere più. E poi piango ancora di più.
Quello è l’uomo che ha trovato e sconfitto James Moriarty. Quello è l’uomo che ho visto rincorrere un taxi per mezza Londra, e beccarlo. Quello è l’uomo che ho visto combattere contro il Golem.
Quello è l’uomo che è stato la mia roccia per anni.
Com’è possibile che quell’uomo sia il passato di ciò che ho davanti?
Lui non ha i suoi occhi brilanti. Non ha la sua agile parlantina. Non ha i suoi muscoli. Non ha nemmeno il suo odore. Il suo colore. La sua presenza. La sua dignità.
Dal punto di vista logico, so per certo che davanti a me giace Sherlock Holmes. L’unico, l’inimitabile. Eppure non lo riconosco.
Sono un disastro.
Dovrei esssere di supporto. Non dovrei pensare queste cose.
Non dovrei pensare neanche che non dovevo costringerlo a fare la chemio l’anno scorso: che avrebbe sofferto solo una volta e avrebbe conservato la sua dignità fino alla fine.
È assolutamente colpa mia. Come ho potuto fargli questo? Dopo tutto quello che lui ha fatto per me. Anche la chemio l’ha fatta per me.
Mi vergogno tanto. Ho condannato mio marito a... tutto questo.
Lui e la signora Holmes. E il signor Holmes. Mycroft. E la signora Hudson. E mia sorella. E tutti coloro che lo amano.
Sarebbe potuta andare peggio di così? No, sul serio: sarebbe potuta andare peggio?
È ridotto allo spettro di se stesso. È così crudele pensare, a volte, che non ha più la sua dignità? Sì, lo e.
 
Basta. Piantala, imbecille! Codardo!
A cosa serve farti queste seghe mentali?? Reagisci, cazzo! Sarai uno schifoso debole, ma lui ha bisogno di te ora più che mai. Avrai tempo di arrenderti.
Reagisci per lui. Tu sei tutto ciò che ha, davvero. Non tradire così la fiducia che ha riposto in te. Non tradirlo, non deluderlo. Non abbandonarlo.
Nulla di tutto ció che farò in futuro sarà mai importante quanto restargli accanto, ora.

 
Di giorno in giorno Sherlock fa sempre più fatica a camminare o anche più semplicemente a stare inpiedi.
Ha bisogno di aiuto per alzarsi e per sedersi, e, sempre di più anche di un sostegno per camminare. Questo significa che non è nemmeno più in grado di andare al bagno da solo.
Spesso, se viene lasciato solo per qualche minuto, seduto sulla poltrona o a letto, John o Harry se lo ritrovano a terra strisciante verso mete poco definite. A volte sembra divertirlo, perciò John lo lascia fare finchè si stufa.
Ma se si sforza, anche poco, fa sempre più fatica a respirare.
Dopo le difficioltà nella deambulazione, arrivano infatti i problemi di respirazione. Dopo una settimana  Sherlock non riesce a respirare ogni volta che il suo corpo rimane del tutto orizzontale: Mycroft provvede allora a sostituire il loro letto con uno in grado di reclinare la parte della testa verso l’alto per aiutarlo a respirare mentre cerca di dormire e ha fatto installare un impianto di ossigeno per quei momenti in cui la posizioone favorevole non è sufficiente.
John si sorprende nel constatare che ciò che più lo repelle è vederlo soffocare: vederlo bocheggiare, cercare l’aria con le narici dilatatate e la bocca supplicante lo fa rabbrividire; è un’imagine talmente atroce che gli da gli incubi ogni volta che riesce a ciudere gli occhi. Ma ciò che più soffre John sono i suoni che fa quando accade: è il verso dell’agonia, della disperazione, della paura. Quando il marito cade in queste crisi respiratorie, John rimane per qualche istante rimane paralizzato, incapace di reagire, incapace di reagire ed aiutarlo. Si odia per questo. Ha bisogno di fare appello a tutto il suo coraggio e a quelle forze che gli sono rimaste per reagire ed assisterlo.
Dalla seguente visita scoprono, oltre a linfonodi ingrossati e candidosi orali, che dalle analisi risulta che il cancro è arrivato ai reni e al fegato e che stanno a poco a poco cedendo. È ormai l’inizio della fine: ha superato il punto di non ritorno. Nessuno è particolarmente sorpreso dalla notizia e John potrebbe odiarsi un po’ meno, se solo non provasse un logorante senso di sollievo.
La Tietjens opta per cominciare con una terapia farmacologica del dolore con antinfiammatori non steroidei ed oppiacei: ora che non c’è più nulla da fare, lo aiuteranno il più possibile a non soffrire e ad andarsene in pace.


Rieccoci! Come ho scritto in premessa, il capitolo non era stato concepito per essere così: doveva andare un po' più avanti, ma per 100 ragioni non sono ancora riuscita ad andare avanti e ormai era troppo tempo che eravate senza nulla di nuovo. Quindi ho ritenuto necessario darvi questa prima parte. Spero vi sia piaciuta! ^^ Io, come sempre, vi ringrazio infinitamente di aver letto fino qui e di seguirmi con così tanto affetto. Vi invito a lasciarmi un commento qua sotto, che per me è il regalo più grande <3 Con tanto affetto, un saluto! _SalvamiDaiMostri
 
   
 
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