Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: Roscoe24    12/05/2016    2 recensioni
Questa è la storia di Natalie Duvall (nipote di Bobby, figlia di una sua presunta sorella venuta a mancare in un incidente d'auto insieme al marito. Bobby l'ha presa con se e cresciuta) che è una presenza costante della vita dei Winchester. Si conoscono fin da piccoli, sono cresciuti insieme e cacciano insieme. Presumibilmente, Natalie ha vissuto tutte le esperienze che hanno vissuto i fratelli nel corso delle cinque stagioni che riguardano l'Apocalisse.
Nella storia sono presenti dialoghi che risulteranno familiari, quindi sappiate che sono volutamente ripresi, anche se non sono proprio precisissimi.
La trama della sesta stagione non verrà seguita in maniera perfetta, potrebbero esserci degli avvenimenti nominati che accadono prima o dopo e che, invece, in questa storia sono posizionati in modo diverso, o riferiti a personaggi diversi da quelli originali.
Non so cos'altro aggiungere, quindi credo che mi fermerò qui xD
Buona lettura! (Spero) :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sesta stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ferita per colpo d’arma da fuoco.
È una frase che tutti hanno sentito nella loro vita, o almeno chiunque guardi un poliziesco. Ed è una frase piuttosto ad effetto, se percepita attraverso uno schermo della televisione. L’effetto che fa quando, invece, risuona nelle orecchie non appena si sente davvero un colpo d’arma da fuoco non è per niente inebriante. Anzi, è terrificante. Gli spari sono inconfondibili. Non possono essere scambiati con qualche altro rumore, come capita quando, invece, si sente per caso un tonfo proveniente dalla stanza accanto a quella in cui ci si può trovare e si ipotizza quale oggetto possa essere caduto: il libro lasciato in bilico sopra ad una pila di altri libri, il telecomando lasciato troppo vicino al bordo del divano, il cellulare sbadatamente abbandonato sul bordo della scrivania. Questi oggetti fanno tutti lo stesso rumore, che porta a chiedere quale sia quello vittima della cronica sbadataggine e avversione all’ordine tipica di alcuni individui. Un colpo d’arma da fuoco dubbi del genere non li fa venire. Dal momento che si sente l’esplosione seguita dal fischio del proiettile che si conficca contro il bersaglio, si è consapevoli che si tratta di un colpo d’arma da fuoco.
Se si passa la vita a cacciare, poi, si riconosce anche qual è l’arma che ha sparato.
E se c’è qualcuno che sa riconoscere le armi, quello è Dean Winchester, che ha costruito il suo primo fucile a tredici anni.
Per questo, quando entra in casa e sente lo sparo, si fionda nel seminterrato. La casa, a cui da un occhiata veloce, giusto il tempo di notare la porta dello sgabuzzino sfondata, è vuota e sembra che l’eco del colpo rimbombi ovunque, riempiendo ogni stanza con la sua voce stridula e acuta.
Scende le scale a due a due, in preda al panico.
Ha riconosciuto l’arma di Natalie, il che lo porta a pensare a scenari poco piacevoli. Perché Nat dovrebbe sparare a qualcuno, quando gli unici con cui si trova sono Bobby e Sam?
Percorre le scale così velocemente che quando arriva all’ultimo gradino gli sembra di aver volato. Corre nel corridoio, ma prima di arrivare alla panic room, si blocca di colpo. Il sangue gelato, il formicolio tipico del panico che gli sale fino alla nuca e si conficca prepotente e invasivo come un chiodo in una parete. Gli sudano le mani e gli si secca la gola. Il cuore batte così forte che lo sente nelle orecchie, nel cervello e nei polpastrelli. Un tamburo così nitido, preciso e martellante che lo rende sordo a qualsiasi altro rumore.
In terra c’è del sangue.
E sopra al sangue c’è Sam.
Si lancia verso di lui: “Sam!” urla, così forte che gli fa male la gola.
Ma Bobby e Nat stanno già sollevando suo fratello per portarlo dentro alla panic room. Quando entrano lo piazzano sopra al lettino, Bobby gli lega polsi e caviglie con le cinghie, mentre Nat cerca dentro ad un mobiletto metallico la cassetta del pronto soccorso.
“Che cosa è successo?” sbraita Dean, in preda al panico.
“Datti una calmata. È vivo. Ha solo perso molto sangue!” grida Bobby di rimando.
“Perché?”
“Gli ho dovuto sparare.” Spiega Natalie, dopo aver trovato finalmente la cassetta del pronto soccorso.
Che cosa vuole dire dovuto? La testa di Dean vortica velocemente, il respiro corto. Sembra l’inizio di un attacco di panico.
“Perché?” esala, anche se quello che esce dalla sua bocca sembra più un rantolo.
“Perché Sam ha tentato di uccidere Bobby. Ha fatto un accordo con non sappiamo chi che gli ha detto che uccidendolo avrebbe completato l’incantesimo necessario affinché la sua anima rimanesse esattamente dov’è. Quando sono rientrata ho trovato Bobby legato ad una sedia e Sam con un coltello in mano, pronto a compiere il sacrificio.” La voce di Natalie è ferma, ma quando Dean la vede avvicinarsi con la cassetta del pronto soccorso al tavolo dove Sam è sdraiato, quando la apre per estrarne un ago sterile, nel momento esatto in cui il filo dovrebbe entrare nella cruna, le mani della ragazza tremano, mancando il bersaglio. Natalie emette un grido frustrato. Mette il filo tra le labbra per umidificarlo e fare in modo che assuma la forma più sottile possibile e ritenta: questa volta, riesce nella sua impresa.
Deve metabolizzare quelle parole, assimilarle, lasciare che entrino dentro di se perché all’inizio gli sembrano fin troppo assurde. Non è possibile. Sam vuole la sua anima, gliel’ha detto. Non può credere che mentisse, non può credere di non essersi accorto che mentisse.
Non può credere che questo Sam senz’anima sia disposto ad uccidere Bobby. Non vuole credere che suo fratello sia capace di cose simili.
Tentare di uccidere Bobby. Sam non avrebbe mai nemmeno accarezzato l’idea di fare una cosa simile perché vuole bene a Bobby. La svolta che ha preso questa situazione lo paralizza e il panico entra in circolo percorrendo tutto il suo corpo come se il cuore avesse iniziato a pomparlo al posto del sangue. I sudori freddi sono così intensi che è scosso da un brivido glaciale e violento che si propaga per tutto il corpo.
“N-non è possibile.”
Nat alza lo sguardo dall’ago per portarlo su Dean: “Lo è. Altrimenti non gli avrei sparato.”
Riporta lo sguardo su Sam, e Dean rimane a guardarla mentre lo medica. La vede passare una garza – che puzza di alcol etilico a tal punto che i suoi peli del naso rischiano di andare a fuoco – sopra alla ferita, mettere l’ago nella cassetta del pronto soccorso e prendere da essa delle lunghe pinze di metallo, che infila nella spalla di Sam, proprio in mezzo a tutto quel sangue.
Il minore dei Winchester si desta dal suo stato di incoscienza urlando.
Bobby prontamente afferra le spalle del ragazzo e lo tiene fermo, in modo che la visuale di Nat non sia distorta da Sam che si contorce.
“Farò presto,” sussurra la cacciatrice, “farò presto.”
Ha la fronte imperlata di sudore, i capelli raccolti disordinatamente in una coda storta e si tiene il labbro inferiore tra i denti – molto probabilmente per impedire che tremi.
Dean osserva la scena in silenzio, concentrandosi su Natalie per non guardare Sam che geme di dolore ogni volta che quelle pinze affondano sempre di più nella sua carne. Deve estrarre il proiettile. E sembra che trovarlo non sia facile. Chissà a che profondità si è conficcato.
Cerca di ragionare sull’accaduto per non pensare al sangue che esce dalla spalla di suo fratello.
Pensa a Sam che ha architettato tutto, fingendo di rivoler indietro l’anima solo per fare in modo che lui fosse lontano da casa ad impedire tutto questo; pensa a Bobby che combatte, ma qualcosa deve essere andato storto perché Sam è riuscito a legarlo; pensa a Natalie che.. già, dov’era Natalie? Ha detto che quando è rientrata ha trovato la situazione già in un punto critico – così critico da sentirsi costretta a sparare – ma dov’era finita? Lui l’aveva lasciata in casa. Probabilmente Bobby le ha chiesto di fare una commissione per lui. È sicuro che di sua spontanea volontà non sarebbe uscita. Non in una situazione del genere.
Torna di nuovo a guardarla, con le pinze è riuscita ad estrarre il proiettile e ora le sue mani non tremano più. Afferra una garza immacolata, la bagna con del disinfettante e pulisce il sangue fino a quando la pelle intorno al foro non è completamente pulita, solo allora inizia a cucire la ferita.
La osserva: guarda le mani di Natalie che, con fare esperto, fanno passare l’ago da un lembo all’altro della pelle, tirano il filo per fare in modo che i bordi si uniscano ma senza provocare dolore a Sam, che ha perso nuovamente i sensi.
Osserva l’espressione concentrata di Natalie, la fronte ancora lucida e gli occhi fissi su ciò che sta facendo. Il tremito delle sue mani è sparito, ma ha le braccia coperte di brividi, come se la situazione l’agitasse, come se fin’ora avesse mantenuto i nervi tesi e adesso, che il peggio sembra passato, si siano sciolti liberando una moltitudine di brividi per tutto il suo corpo. Senza accorgersene, si trova a seguire quei piccoli puntini ravvicinati che riempiono la pelle della ragazza lasciata scoperta dalla canottiera bianca che indossa: le braccia, il collo, scende alle clavicole, dove si sofferma sulla piccola piuma che ha tatuata proprio su quella destra, osserva i piccoli uccelli che si formano sull’estremità della piuma e si sganciano da essa, volando liberi verso la spalla. Il nero del tatuaggio è reso lucido dal sudore e la sua superficie non è più liscia: i brividi hanno invaso anche quella.
“Ho finito.”
Dean osserva suo fratello, sdraiato sopra al lettino con le mani e le caviglie legate, la ferita cucita e coperta con una fascia. Osserva Bobby che si affianca a lui, gli passa una mano sul collo per controllare il battito: sembra regolare. Sam ha gli occhi chiusi e il suo petto si abbassa e si alza con fare rilassato, come se dormisse.
“Nat, dobbiamo parlare.”
Natalie porta la sua attenzione su Dean. Solo ora nota quanto la sua espressione sia sconvolta, quanto il suo viso sia pallido e quanta preoccupazione trasudi da quelle semplici parole.
“Certo, andiamo di sopra.”

                                                                                                           ***

Il viso di Dean è così pallido da sembrare trasparente, i suoi occhi, cerchiati da occhiaie grigie, sono consumati dalla preoccupazione e si guardano intorno bramosi di qualcosa che possa anche lontanamente assomigliare alla serenità. È tremendamente scosso.
“Dean, ascolta..”
Lui si passa una mano sulla faccia e, interrompendo l’attenta ricerca di qualcosa che possa almeno provare a calmarlo, porta la sua attenzione su Natalie.
Lei lo calma.
Il suo viso, anche se in questo momento è toccato dall’ansia quasi quanto il proprio, lo tranquillizza.
“Non l’avrei fatto se non ne fossi stata costretta.”
E Dean sa che è vero. Natalie non sparerebbe mai a Sam, è come suo fratello. Hanno la stessa età, sono cresciuti insieme. Spesso, quando Sam era troppo piccolo per andare a caccia, lui e John lo lasciavano da Bobby e Sam e Natalie giocavano insieme, vivendo quella che è stata la cosa più vicina all’infanzia, per chi ha genitori cacciatori. Con loro ci hanno provato, si sono impegnati affinché Sam e Nat rimanessero il più all’oscuro possibile del mondo in cui erano destinati a vivere.
Perché mi lasciate sempre qui? Sto bene con Bobby, mi diverto con Nat, ma mi mancate. Tu e papà state via settimane.
Non posso spiegartelo, Sammy. Ma non preoccuparti, torneremo presto questa volta.

Non tornavano mai presto. Ma Dean era tranquillo, perché Sammy era nelle mani di Bobby, perché Sammy avrebbe giocato con Natalie. Si sarebbero tirati la palla in casa e Bobby avrebbe fatto la voce grossa perché quella palla farà dei danni, lo so! ma poi li lasciava giocare; avrebbero giocato a nascondino, finendo con l’arrampicarsi sui rottami delle auto – scatenando le urla di Bobby che temeva potessero farsi del male; avrebbero mangiato biscotti guardando la tv, distraendosi dal film ogni tre per due per farsi i dispetti, o per finire a giocare a “facciamo finta che..” ignorando il film, che era sicuramente meno interessante di fare finta di essere cavalieri che cavalcano draghi, o poliziotti, o scimmie – avevano passato quel periodo dopo aver visto Tarzan un po’ troppe volte.
No, Natalie non avrebbe mai sparato a Sam, a meno che le circostanze non l’avessero obbligata a farlo.
E comunque, non l’avrebbe mai ucciso.
Se l’ha preso alla spalla è perché voleva colpirlo alla spalla. Natalie non sbaglia mai. È la Deadshot dei cacciatori.
“Lo so. Ed è qui che si pone il problema.”
Nat aggrotta le sopracciglia: “Che vuoi dire?”
Dean inizia a camminare in cerchio nella sala di Bobby. Ci sono solo loro due, il silenzio è rotto solo dai passi frenetici di Dean che solcano sempre lo stesso pezzo di pavimento e scandiscono il tempo come fanno le lancette dell’orologio. Puntuali e costanti.
È in ansia. Nat si avvicina e gli afferra il viso tra le mani, costringendolo a fermarsi e a guardarla.
Lui, d’istinto, porta le proprie mani sopra alle sue. Ora si che si sente più calmo. È strano – stranissimo – perché con quello che è successo in questa notte, dovrebbe farsi prendere dal panico, ma la sensazione di ansia attanagliante si allevia notevolmente quando la tocca.
“Ho fallito.” Chiude gli occhi e sospira, esala quella frase come se fosse l’ultimo respiro di un condannato a morte, l’ultima cosa da dire prima di lasciare questo mondo. Pronuncia quella frase come se fosse il suo peccato più grave, quello imperdonabile. Quello per cui anche i peggiori criminali del pianeta sarebbero disgustati.
“Non sono riuscito a tenere l’anello per ventiquattro ore e quindi non avrò indietro l’anima di Sam, ma devo avere indietro l’anima di Sam, altrimenti questo nuovo lui proverà ad uccidere Bobby di nuovo, o magari ucciderà anche te, o forse diventerà…” Si blocca di colpo, incapace di proseguire. La voce rotta dal pianto formatosi in gola, ma tenuto al guinzaglio. Le lacrime pungono dietro gli occhi come spilli conficcati direttamente nel cervello, ma le caccia indietro prima che diventino troppo potenti per essere fermate. Alza la diga per evitare l’inondazione.
“Un mostro...”  sussurra Natalie. Abbassa le mani lungo i fianchi e rimane ad ascoltare quella parola pronunciata dalla sua bocca che ora le risuona nelle orecchie.
Mostro.
È così che ha definito Sam nella sua mente per convincersi a sparare. Ma il solo pensiero di associare una parola così pensante a Sam, la fa rabbrividire. Quasi si disgusta di se stessa per averla associata a lui.
Sono abituati a vedere come mostri ciò che vive nella notte e che hanno imparato a cacciare. I mostri sono cattivi, sono spietati, sono crudeli, fanno del male perché la loro natura malvagia porta loro a voler infliggere dolore, o a voler uccidere solo per il gusto di farlo, solo perché a loro piace sentire la vita che viene succhiata via dalle loro vittime, i loro occhi che si spengono per sempre e loro anime che volano via, chissà dove.
Vanno eliminati. Tutti. Nessuno escluso. È così che hanno imparato a fare.
Se è un mostro, va ucciso.
O bianco, o nero.
Nessuno pensa mai al grigio, quando insegna a dei ragazzini a diventare delle spietate macchine da guerra stermina mostri.
Nessuno insegna che, un giorno, questi ragazzini diventati adulti potrebbero associare quella parola ad un membro della loro famiglia e si sentano costretti a sparargli, sentendosi a loro volta mostruosi per aver effettivamente premuto il grilletto.
Nessuno insegna che il grigio capita più spesso di quanto possano capitare il bianco o il nero. E quando situazioni del genere capitano si è costretti a fare i conti con i sentimenti: avrebbe dovuto uccidere Sam? Avrebbe dovuto porre fine al mostro che vive dentro di lui e consuma ciò che c’era di buono in quel ragazzo? No che non avrebbe dovuto ucciderlo. La natura di Sam è buona, gentile.. ciò a cui lei ha sparato non era Sam, era qualcuno con le sue sembianze. Questo rende Sam grigio. Non è ne buono, ne cattivo. Cosa si deve fare in situazioni simili? Non ci sono insegnamenti che spiegano come reagire in situazioni come questa. In questi casi, è solo l’istinto che comanda.
“Si. Ho paura di non avere una vita d’uscita, questa volta.” La voce di Dean si incrina e si passa una mano sulla faccia per fare in modo che Natalie non veda le lacrime che sono scappate, subdole e silenziose, dai suoi occhi. La diga non ha retto.

“Ce l’hai, invece.” Ma la voce che pronuncia questa frase non è quella di Natalie.

Morte entra lentamente in sala, avvicinandosi pericolosamente a loro. Il suo passo è elegante e deciso, ma non per questo rumoroso. Leggero come una piuma, antico come il tempo.
Quando è a pochi passi da loro, Dean, istintivamente, si pone davanti a Natalie per impedire che Morte la sfiori.
Al Cavaliere sfugge una risata derisoria, che però viene immediatamente controllata: “Non fare lo stupido. Non puoi proteggerla da me.”
Si pone davanti al cacciatore e, con una sola occhiata, lo invita a farsi da parte.
Dean non si muove.
Il cuore di Natalie batte così forte che sembra un cavallo imbizzarrito, e lei è la cavallerizza che non riesce a tenerlo a bada. Le briglie sono sciolte e presto l’animale disarcionerà il fantino che ha tentato di domarlo quando invece l’unica cosa che voleva fare era correre libero. Il suo cuore è impazzito proprio come quel cavallo che voleva la libertà e invece è stato costretto a vivere in un recinto. La sua gabbia toracica, improvvisamente, sembra troppo piccola per contenere quel muscolo che continua a pompare sangue al doppio della velocità normale. Non hai mai avuto contatti con Morte e averlo davanti, adesso, la terrorizza. Ha paura di quell’uomo dalla pelle perlacea e incartapecorita, dagli occhi neri e profondi quanto un pozzo oscuro senza fondo, dal naso ricurvo e dalle labbra sottili e serrate. È vestito di nero, come un corvo. La sua voce, tuttavia, non esce fastidiosa come il gracchiare incessante e caotico degli uccelli neri, ma è calma e soffice.
Rabbrividisce.
Quando Morte porta i suoi occhi su di lei, le manca il respiro. Non sa come comportarsi, non sa come agire, non sa cosa pensare. Sa solo che il suo corpo è dominato dalla paura.
Dalla paura di morire.
Ogni essere umano sa che nascendo, automaticamente la sua vita andrà incontro alla morte, ma ora è tutto così concreto che si sente così piccola e insignificante, una presenza fin troppo passeggera in confronto alla natura eterna di Morte.
Morte, che esiste ancora prima che l’uomo iniziasse a credere in Dio, o nell’Inferno, o in Lucifero. L’uomo ha creato la religione e chiunque tema le punizioni divine o il diavolo, teme solo qualcosa che ha creato e in cui ha scelto di credere. La morte, invece, è così concreta che non si può scegliere di credere in essa o meno, ci si crede perché ogni essere vivente sa a cosa è destinato.
“Natalie, avvicinati.”
“No Nat, non lo fare.” gli occhi di Dean non lasciano quelli di Morte. Inchioda i suoi smeraldi nelle onici del Cavaliere, che sembra possa inghiottirlo da un momento all’altro. Una brillante fogliolina verde inghiottita dalla potenza distruttiva di un uragano scuro e letale. Una pozza di petrolio in cui qualsiasi cosa annega, soffoca, e poi sparisce.
“Dean smettila di fare così.” Le trema la voce così tanto che stenta a riconoscerla persino lei stessa. Afferra il braccio di Dean e lo tira indietro, allontanandolo da Morte. Lei invece, si avvicina al Cavaliere.
“Tu mi temi?”
“Tutti ti temono.”
Dean si è messo al suo fianco e le stringe la mano.
“Sai, Natalie...” comincia Morte, sciogliendo le proprie mani congiunte e sfiorandole una guancia.
Le sue mani sono così fredde che il corpo di Natalie viene percorso da un brivido. E un pensiero le invade la mente, ricordandole una canzone che conosceva.
What is this that I can’t see, with ice cold hands taking hold of me.
Solo che riesce a vederlo e le sue mani sono così fredde che teme possa arrivare a congelarle il sangue per sempre.
When God is gone and the Devil takes hold,
Who’ll have mercy on your soul?
No wealth, no ruin, no silver, no gold,
Nothing satisfies me but your soul,
Oh Death…
(1)
Morte è incorruttibile. Non vuole oro, argento, niente di prezioso. L’unica cosa che brama è l’anima del condannato a morte perché è ciò che gli spetta, è ciò che gli appartiene nel momento stesso in cui un essere umano viene dato alla luce. Perché Morte sa che, anche se dovrà aspettare molti anni, tutti gli uomini finiranno tra le sue braccia. Una collezione immensa, infinita, e lui è il collezionista più antico e paziente che esista. Morte esiste dall’alba dei tempi, vecchio come l’esistenza stessa. Più vecchio di Dio. Più potente di Dio. Più distruttivo dell’ira divina.
Ogni cosa porta a Morte: la rabbia, l’invidia, la follia, i tradimenti, l’orgoglio, gli incidenti, la vita stessa. Tutto nasce per morire. Tutto nasce per finire nelle fredde, glaciali, affusolate mani perlacee di Morte. Un Cavaliere senza tempo a cui il tempo appartiene. A cui tutto appartiene.
“Cosa?” gli chiede, irrigidendosi per quel contatto. Teme da un momento all’altro che possa scegliere di bloccarle il cuore per sempre e guardarla mentre si accascia, ormai priva di vita, sul pavimento.
“Tu sei un piccolo miracolo. Uno di quelli per cui vado fiero.”
“Che vuoi dire?” La voce esce roca, la gola è così secca che le sembra di avere della ghiaia in bocca. Deglutisce, ma a vuoto.
“Sono stato io a prendere i tuoi genitori, tanti anni fa. Anche se non era la loro ora..”
“Perché??”chiede, scossa da un improvviso moto di rabbia. Odia Morte, in questo momento, odia l’idea che possa aver preso i suoi genitori solo per un suo capriccio da bambino viziato e annoiato che decide di staccare le teste delle bambole della sorella solo per farle dispetto e sentire il brivido di eccitazione tipico di quando si fa qualcosa che non andrebbe fatta. Le lacrime le pizzicano dietro agli occhi e le fanno dolere le pupille.
“Era previsto morisse il pirata della strada ubriaco che li ha investiti, ma non era previsto che ci fossero loro in quella strada. Era previsto che si schiantasse contro il guardrail curvando, non contro un’altra macchina.”
“Basta!” la voce di Dean le arriva ovattata alle orecchie. Riesce solo a sentire Morte. È ipnotizzata dalla sua voce come lo può essere un serpente di fronte ad un incantatore.
“Quando ti ho trovata in quella macchina accartocciata eri così piccola, innocente. Piangevi con tutto il fiato che avevi in gola, disperata per qualcosa di cui non riuscivi ancora a capire la portata, come potevi, a soli cinque mesi? Per loro era troppo tardi, ma non per te.”
“Mi stai dicendo che mi hai salvata?” la sua rabbia sciama, lentamente. Morte non ha preso i suoi genitori perché gli andava, l’ha fatto perché ne è stato costretto. Doveva farlo. È stato un incidente che li ha portati via da questo mondo, Morte ha solo fatto in modo che arrivassero dall’altra parte il più in fretta possibile, e nel modo più indolore. Ha agito secondo le circostanze che gli si presentavano.
“Certo. Non sono un assassino. Rispetto un programma, un ordine. Non era la tua ora, quindi ti ho salvata.”
“Come?”
“Non ho intenzione di dirtelo.”
Abbracciata da Morte per continuare la Vita, un custode insolito per andare avanti nel cammino.
Morte che dona la Vita, come una mamma che tragicamente muore partorendo il bambino che portava in grembo.
“Perché mi dici tutto questo?”
“Perché voglio che tu sappia che non devi temermi più di qualsiasi altro essere umano. Non devi avere paura di me perché hai a che fare con il sovrannaturale, non devi temermi perché pensi che possa portarti via solo per un mio capriccio, o solo perché Dean Winchester non mi sta simpatico. Sono preciso. Arriverò da te solo quando sarà la tua ora.”
“Perché sei qui?” si intromette Dean. Non capisce perché debba dire una cosa del genere a Natalie, che senso abbia farle sapere che si ricorda i suoi genitori e il momento in cui li ha presi con se. A cosa può servirle? A rinnovare quella sensazione di smarrimento che provava da bambina?
Per un periodo a scuola, ero quella strana. Sai, non avevo una mamma a cui scrivere una letterina per la festa della mamma o un papà a cui portare un biscotto per la festa del papà. Avevo Bobby, lo zio Bobby, che per me era mamma, papà e tutta la mia famiglia. A me andava bene, finché gli altri bambini non hanno cominciato a inferire sul fatto che fossi orfana facendomi domande di ogni tipo.
Era un argomento delicato, perché nonostante Bobby l’avesse messa al corrente di tutto quello che lei voleva sapere, avrebbe comunque voluto conoscerli, avrebbe voluto assaporare la sensazione di essere abbracciata dalle braccia di una mamma, o essere viziata da un papà.
Bobby non poteva viziarla perché non ne era capace.
Bobby ti abbraccia quando è necessario e ti coccola quando nessuno vede. Si prende cura di te in maniera implicita, mettendoti sempre al primo posto, assicurandoti che non ti manchi niente e che tu sia felice. Non dice ti voglio bene, ma te lo dimostra. E sai benissimo che per te ci sarà sempre.
Forse, sotto questo aspetto, lui e Bobby si assomigliano più di quanto entrambi vogliano ammettere.
“Perché devo darti l’anima di Sam.”
Dean fissa Morte con un’espressione confusa e stupita: “Ho fallito il tuo test, ricordi?”
“Vero, ma hai imparato così tanto che per me è come se l’avessi passato.”
“Di cosa parla?”
“Sono sicuro, Natalie, che Dean ti spiegherà tutto a tempo debito. Ora, ho con me l’anima, ma devi fare attenzione a ciò che sto per dirti: quando la rimetterò dentro a Sam, insieme ad essa ergerò anche un muro che cancellerà i ricordi dell’Inferno. Fai in modo che quel muro non venga demolito, o ci saranno conseguenze poco piacevoli. Mi hai capito, Dean?”
“Certo. Ma non capisco perché tu voglia aiutarmi.” Il suo tono è sospettoso e i suoi occhi, ridotti a due fessure, studiano Morte con fare attento.
Il Cavaliere si schiarisce la gola e dopo aver congiunto le mani davanti a se, afferma: “Non vorrei. Tu distruggi l’ordine naturale, mandi a monte la mia intera esistenza, il mio intero lavoro. Tutto ciò che faccio è stato manipolato da te e da tuo fratello troppe volte e, francamente, questo mi disturba. Ma ho bisogno di voi... Non provare a chiedere perché,” dice, alzando un indice con fare fin troppo perentorio, dopo aver notato l’espressione di Dean, pronto a chiedere spiegazioni, “Ho bisogno di voi qui e dovete essere completi affinché riusciate a svolgere il vostro lavoro. Quindi ecco perché avrai l’anima di Sam.”
“Fa tutto parte di un tuo grande piano?”
“Più o meno. Ma sappi che non è tanto più diverso dal tuo. Ora, tornando a noi: non toccare quel muro. Non devi nemmeno sfiorarlo, intesi?”
“Intesi.”
Morte solleva una valigetta nera, che solo adesso notano ai suoi piedi.
“Bene.” dice, prima di schioccare le dita e sparire. Al piano di sotto, iniziano a sentirsi le grida di Sam. Natalie e Dean si scambiano un’occhiata d’intesa e si catapultano nel seminterrato.
“È Morte!” grida Dean a Bobby, che ha già aperto la porta della panic room per scoprire perché Sam gridi come un animale sgozzato.
I tre cacciatori rimangono ad osservare la scena sull’uscio della porta aperta: vedono una palla di luce azzurra e incandescente, come fuoco freddo, che viene spinta dentro Sam. Di Morte non c’è traccia, probabilmente perché ha rimesso l’anello al dito e ora è invisibile, ma percepiscono la sua presenza. La stanza è fredda e riempita solo dalle grida di Sam che si contorce, stringe le mani e divincola polsi e caviglie nel tentativo di liberarsi dalle cinghie, i capelli zuppi di sudore e le lacrime che sgorgano copiose dagli occhi.
“Ti prego, fallo smettere. Impedisciglielo, Dean. Fermalo, non la voglio. Non la voglio, mi hai sentito??” grida Sam, guardando Dean dritto negli occhi. Il panico ha preso il sopravvento e lo sta di nuovo supplicando con quell’aria da bambino sperduto. Ha gli occhi arrossati dal pianto e la voce resa roca dalle grida che squarciano le sue corde vocali. Grida così forte che sembra abbia un cane sullo stomaco intento a mangiargli le budella. Tira indietro la testa, colpendo ripetutamente con la nuca il metallo freddo del lettino su cui si trova per concentrarsi su un altro tipo di dolore, su un dolore che non sia quella palla fredda e allo stesso tempo ardente che sta entrando nel suo corpo. È come quando si gioca con la neve e dopo un po’ che viene maneggiata, il freddo fa bruciare la pelle. Ogni zona del suo petto toccata da quella palla luminosa, prima è congelata e poi lascia spazio ad un bruciore profondo, come se fosse sopra ad un fuoco che diventa sempre più grande ad ogni secondo che passa.
Dean, all’ennesimo grido, distoglie lo sguardo per un attimo. Solo quando sente le dita di Natalie intrecciate alle sue, torna a guardare la scena, sentendo il cuore che va in frantumi ad ogni grido di Sam.
E poi, il lampo di luce sparisce e la presenza di Morte non si avverte più. Il silenzio cala e la temperatura si alza di nuovo.
I presenti hanno un ronzio acuto e penetrante nelle orecchie, come quando si torna al silenzio dopo che si è stati troppo a lungo vicino ad un cassa che trasmette musica ad un volume troppo elevato.
Quando si avvicinano al lettino, notano che Sam è privo di sensi.


                                                                                                              ***
              


C’era una canzone che una volta recitava: passano gli anni, i mesi e se li conti anche i minuti. (2)
E Dean giura di averli contati tutti. Da quando Morte se ne è andato, dopo aver lasciato Sam senza sensi nel lettino, sono trascorsi millenovecentoventi minuti. Trentadue ore passate a camminare in casa ascoltando l’eco dei propri passi e ad evitare gli sguardi preoccupati e ansiosi che vivono nei visi di Natalie e Bobby. Crede di impazzire. In testa gli risuonano le parole di Castiel: il rischio di un danno permanente è altissimo. Cosa voleva dire, che Sam sarebbe caduto in un coma da cui non si sarebbe risvegliato mai più? Non poteva essere più chiaro? Non poteva dirgli esplicitamente che riportare indietro la sua anima significava ridurlo ad un vegetale?
Avrebbe reagito diversamente. Forse avrebbe imparato a convivere con la versione di Sam senz’anima e si sarebbe fatto una ragione della sua nuova – spietata – natura. Anzi averlo così, che non averlo affatto. Ne è davvero sicuro? Dopo ciò che ha appurato di cosa è capace questo nuovo Sam? È così confuso che non sa cosa pensare. Cosa preferisce: suo fratello ridotto ad un vegetale o suo fratello che cammina, parla, vive normalmente, ma ha il cuore congelato dentro ad un cofanetto chiuso a chiave e capace di atti orribili?
Sospira.
Cosa è andato storto?
Morte non ha mai parlato di coma. Forse era solo un trucco del Cavaliere per fare in modo che Dean si affidasse a lui: gli ha fatto credere di essere dalla stessa parte e poi, quando ne ha avuto l’occasione, ha tolto di mezzo uno dei Winchester, coloro che sono sfuggiti al riposo eterno troppe volte.
Alla Morte non piace essere ingannata, recitava la frase di un pessimo film (3)  – che definire tale è un insulto ai film veri, quelli che fanno la storia – ma ha un fondo di verità: perché mai Morte, colui che esiste da sempre, colui che c’è sempre stato e sempre ci sarà, l’essere più potente e temuto sulla terra, dovrebbe abbassarsi ad aiutare degli insignificanti esseri umani, se non per vendicarsi dei suddetti, facendo credere loro di volerli aiutare, quando in realtà l’unica cosa che vuole fare è prendersi gioco di loro esattamente come loro hanno fatto con lui, sfuggendo al suo letale abbraccio?
Inganna Morte e lui ingannerà te.
Si sente così stupido, in questo momento. È stato impulsivo e frettoloso, come sempre. Questo suo modo di fare lo ucciderà un giorno, o peggio, si ripercuoterà su quelli che ama, com’è successo a Sammy.
Perché non ha aspettato? Perché ha deciso che provare a fidarsi di Morte fosse una buona idea? Già il fatto che qualcuno arrivi a pensare di associare il verbo fidarsi a Morte è di per se strano, da li doveva capire che avrebbe dovuto cercare un’altra strada, un’altra via d’uscita.
La luce in fondo al tunnel doveva essere luminosa e splendente, non nera e fredda.
Si passa una mano sulla faccia: millenovecentotrenta minuti.
Sospira. Di nuovo.
È così angosciato che si sente schiacciato a terra dalle sue preoccupazioni, dai suoi sensi di colpa che iniziano a farsi sentire sempre di più e crescono come un bambino nel ventre della madre: lentamente, ma diventando sempre più forti.
È tutta colpa sua. Solo ed esclusivamente colpa sua.
Cas l’aveva avvisato: il rischio di danno permanente è altissimo, potrebbe addirittura morire.
Sam l’aveva supplicato: ti prego Dean, impedisciglielo. Non la voglio. Ti prego, Dean!
Chiude gli occhi. Risentire l’eco delle grida di suo fratello, che rimbombano nella sua testa aggressive come il ringhio di un cane rimasto a digiuno per troppo tempo, non fa altro che alimentare il suo disagio. Sente una morsa alla bocca dello stomaco che si stringe sempre di più, gli stringe l’intestino, gli fa seccare la gola, la testa vortica e la pelle dietro alla nuca inizia a formicolare, come se tante formichine la stessero percorrendo ad una velocità frenetica: il panico lo sta divorando e non gli fa nemmeno la cortesia di manifestarsi implicitamente, cercando almeno di consumarlo con calma. Al contrario, si manifesta in tutta la sua potenza distruttrice: gli manca il fiato e inizia a boccheggiare. Sta annegando senza che sia in acqua. Vorrebbe delle branchie, in questo momento. Dio, un pensiero così irrazionale può venire solo dall’assenza di ossigeno.
Deve. Calmarsi.
In piedi, davanti al tavolo della cucina, si aggrappa ai bordi di esso come se ne andasse della sua vita. Stringe così forte che le nocche diventano bianche e delle piccole schegge sporgenti gli bucano la carne dei palmi. Il dolore fisico lo distrae da quello emotivo. Sembra funzionare. Il respiro inizia a regolarizzarsi.
“Che stai facendo??”
Natalie entra in cucina.
Automaticamente porta i suoi occhi su di lei. È bella, come sempre. Ha addosso una maglietta rossa a maniche corte che le sta troppo grande e i pantaloni di una tuta, grigi. È il suo pigiama, anche se non chiude occhio da quando Sam è finito in quel lettino. Lo sa perché hanno passato tutto il tempo seduti sul divano insieme.
I suoi capelli sono sciolti. Dean nota che le punte sono ondulate, il che significa che, dopo la doccia, non li ha asciugati con il phon perché quando invece lo fa, diventano lisci come degli spaghetti.
Vuole concentrarsi su più dettagli possibili perché si rende conto che farlo lo calma.
Lei lo calma, lo tranquillizza.
Lascia il tavolo per avvicinarsi a lei. Senza dirle niente, la tira a se, stringendola in un abbraccio così forte che per un attimo sembra voglia infilarsela nella gabbia toracica e non farla più uscire. Affonda il viso nel suo collo e annusa il suo profumo, quello dei suoi capelli: limone.
Nat ama i limoni, il loro colore giallo brillante, che le trasmette allegria, il loro profumo intenso e fresco. Le piace persino il loro sapore agre e il fatto che quando porta alle labbra uno spicchio, la bocca le bruci.
Sente le braccia di Natalie intorno al suo corpo. Lo sta stringendo forte e lui si sente meglio, si sente a casa. Non è più perso. Non gli manca più l’aria, non si sente più come se stesse ingoiando acqua a forza, annegando. No, sta tornando a galla e lei è il suo salvagente.
Tutto ciò gli ricorda un episodio specifico: erano a casa di Bobby, ma Dean quella notte non riusciva a dormire, troppo preso dal dubbio – ormai pericolosamente vicino a diventare certezza – che suo padre fosse morto per salvargli la vita. Era sceso in cucina e aveva iniziato a tracannare più whiskey di quanto mai avesse fatto in vita sua. Natalie l’aveva visto e, con dolcezza e senza il minimo giudizio, aveva tolto con calma la bottiglia dal tavolo e l’aveva riaccompagnato a letto.
Domani andrà meglio, i giorni brutti passano esattamente come quelli belli, aveva detto Nat uscendo dalla sua camera.
Ricorda che la mattina, quando si era alzato con il mal di testa, era sceso in cucina dove l’aveva trovata ai fornelli con Sam, che aveva fatto un macello con la pastella dei pancake – ce l’aveva persino nei capelli – e appena lui era stato abbastanza vicino, Nat gli aveva passato una tazza di caffè nero caldo. Era stato una manna per il mal di testa post sbornia. Sam dopo essersi asciugato le lacrime agli angoli degli occhi per le risate – la sua incapacità ai fornelli, evidentemente, era estremamente ilare per lui – era sparito al piano di sopra per cambiarsi la maglietta, sporca in ogni angolo di stoffa.
Rimasti soli, si erano trovati fianco a fianco, Natalie era alle prese con pastella e padella, mentre Dean era intento a strofinare il lavandino – non si sa come, ma la pastella era finita anche li – con uno straccio.
Grazie per ieri sera.
Entrambi avevano smesso momentaneamente di fare quello che stavano facendo. Natalie aveva spento il fuoco dopo aver messo il pancake che stava cuocendo in un piatto vuoto, destinato ad accoglierne molti altri. Aveva alzato lo sguardo su di lui. In un primo momento, sembrava che Dean trovasse molto più interessante lo straccio verde e umidiccio che stringeva in mano, ma poi si era deciso a guardarla, come se fosse stato preso da un coraggio che solo guardando intensamente lo straccio potesse trovare.
Natalie si era voltata e aveva appoggiato la schiena contro il piano cottura, Dean si era messo in costa appoggiandosi con il fianco.
Ascolta, non mi devi niente, d’accordo? Ho visto Bobby farlo tantissime volte, negli ultimi anni. Lui ha così tanti demoni che lo perseguitano che l’unico modo per farli tacere è annegarli nel whiskey, suppongo tu abbia problemi simili. Ho semplicemente pensato che avessi bisogno di qualcuno che non facesse annegare anche te insieme ai tuoi demoni.
Annego ogni giorno, le aveva risposto anche se non sapeva perché le stava rispondendo in quel modo, visto che di solito non era – e non è tutt’ora –  un tipo che esterna sentimenti, ma anzi, tende a reprimerli.
So cosa provi. Ti senti morire dentro, sembra che il tuo cuore sia diventato di pietra e ogni battito è talmente pesante che ti fa male il petto, senti un dolore tale che pensi ci sia un buco nero che succhia la tua energia, che ti trasmette paure e angosce, ma c’è una luce in fondo a quel tunnel che sembra infinito. E non deve per forza essere l’alcol.
E cosa dovrei fare?
Andare avanti. Vivere la tua vita.
È questo il punto, io non avevo più una vita da vivere.

Nat l’aveva guardato con un’espressione confusa: In che senso?
Tu non lo sai?
Natalie aveva fatto un cenno di negazione con la testa.
Era stato un periodo molto particolare, quello. Dean e Sam tendevano a fare le ricerche riguardo a Occhi Gialli da soli, prima che John morisse, dunque non passavano molto a casa Singer, quindi.. beh.. quindi Nat non poteva sapere, anche perché probabilmente, Bobby non le aveva parlato di quella storia per non farla preoccupare. Sapeva che se le avesse detto che Dean stava per morire sarebbe saltata in macchina e l’avrebbe raggiunto, per stargli vicino. Era anche il periodo, quello, in cui non avevano ancora messo in chiaro i loro sentimenti, nonostante avessero capito entrambi da un pezzo cosa provavano l’uno per l’altra. Forse, pensandoci bene, è stato meglio che lei non assistesse a quell’episodio. Si è risparmiata un bel po’ di sofferenza.
Dean si era passato una mano sul viso e poi aveva incrociato le braccia, deciso a raccontarle tutto. E lo aveva fatto. Nei minimi dettagli. Le aveva raccontato la storia della Colt, la caccia al demone, il viaggio in macchina, l’incidente. Le aveva raccontato persino di Tessa, la mietitrice. E poi era arrivato al punto cruciale, il punto che faceva un male tremendo: la morte di suo padre e la sua certezza che avesse fatto un patto con Occhi Gialli per salvargli la vita.
Quando aveva finito il racconto, Nat si era voltata verso di lui e gli si era avvicinata ancora di più. Aveva cercato i suoi occhi e lui per un momento si era perso in quel grigio colore della tempesta, che aveva persino qualcosa di apocalittico, come quei cieli grigi scuri che fanno vedere nei film prima dell’armageddon. Ma nel suo sguardo altro non c’era che comprensione. Nessuna compassione. Nessuna pietà. Come la sera prima, come se lo capisse perfettamente.
Sai cosa devi fare?, gli aveva chiesto, prendendogli il viso tra le mani, delicata come una piuma, Devi smettere di pensare che sia colpa tua, prima di tutto, perché non lo è. Nessun genitore vorrebbe vedere suo figlio morire e se tutti avessero le conoscenze che aveva tuo padre, avrebbero fatto lo stesso.
E non lo trovi un po’ egoista? Io dovevo morire, il corso naturale della vita voleva me morto.
Nat aveva abbassato le mani dal suo viso.
Il corso naturale della vita è una fregatura, Dean. Ma pensa a come sarebbe stato se tu non l’avessi nemmeno conosciuto. Almeno puoi dire di avere dei ricordi di lui.
Certo. E soprattutto ogni volta che mi guardo allo specchio posso sentire il senso di colpa che mi divora perché lui non cammina più su questa terra per colpa mia. Mio padre brucia nelle fiamme dell’Inferno per colpa mia. La sua voce si era rotta e gli occhi erano diventati lucidi. Si sentiva triste, arrabbiato e frustrato.
Lo so. Ma lo rifarebbe altre cento volte. Faremmo di tutto per salvare chi amiamo. Non lo puoi biasimare per questo.
È stato egoista. Aveva ribadito, quasi come se quella fosse la cosa che lo ferisse di più.
Perché? Perché non ti ha lasciato morire? Perché ha preferito non guardare suo figlio che a 27 anni lasciava questo mondo per sempre e privare l’altro suo figlio del proprio fratello? Credi avrebbe potuto vivere con questa consapevolezza? Credi avrebbe potuto riguardarsi allo specchio, o guardare Sam nuovamente in viso, sapendo che poteva fare qualcosa, ma non l’ha fatto? Pensi di non essere degno di essere salvato? Ti sbagli, Dean. E tuo padre lo sapeva. Ha dato la sua vita per te, non passare la tua seconda occasione pensando di non valere abbastanza o guardandoti solo come se fossi una delusione perché non lo sei, né per John né tanto meno per Sam. Usa questa tua seconda opportunità per fare del bene, per vivere. Vivi, Dean. È il regalo più grande che tu possa fare a tuo padre.
Dean non aveva risposto. Si era limitato a guardarla con gli occhi ormai pieni di lacrime che cercava di ricacciare indietro. Le era così grato, in quel momento, che l’unica cosa che gli era venuta da fare è stato abbracciarla, stringendola forte a se. L’aveva stretta come se lei fosse un’ancora e lui una barchetta in preda alla furia devastante dell’oceano. Un appiglio verso la salvezza. L’aveva aiutato a riemergere dai fondali tenebrosi in cui la potenza distruttiva dell’oceano – o meglio, del suo dolore – lo avevano portato. Natalie era – ed è tutt’ora – la luce della sua vita.
“Che cosa stavi facendo, Dean?” chiede, ancora stretta a lui.
Dean la stringe più forte.
“Pensavo.”
“Sembrava più un attacco di panico.”
“Forse lo era.”
Natalie alza la testa e cerca i suoi occhi: “Si sveglierà.”
“Come fai a saperlo? Come fai a sapere che questo non è il più grande casino che ho combinato? Che è la cosa peggiore che gli ho fatto solo perché sono stato egoista? Volevo averlo indietro a tutti i costi e guarda che gli ho fatto!” Ha sciolto l’abbraccio e ha iniziato ad agitare le braccia in modo frenetico, “...Sono come mio padre...” aggiunge, con un filo di voce.
“Calmati, adesso. Dici così perché ti sei comportato come lui quando se n’è andato? L’hai fatto così tante volte, Dean, te ne accorgi ora?” sebbene fosse stato motivo della loro ultima litigata, nel suo tono non c’è astio, ne alcun tipo di accusa, “Voi Winchester siete così, vi sacrificate per la famiglia senza pensare alle conseguenze che può comportare su chi rimane nella parte dei vivi. Bisogna accettarlo. Non si può cambiare questo lato della vostra natura. Forse siete egoisti, forse no. Dipende chi guarda la cosa. Per me sei stato egoista quando qualche giorno fa hai preso la decisione di non farmi partecipare al tuo piano senza dirmi niente, ma per te, non lo sei stato. Hai fatto quello che dovevi fare. Così come tuo padre: per te è stato egoista perché ha deciso di salvarti senza dirti niente, ma per lui non è stato così. Così come hai fatto te: quando hai..” le trema la voce, da un colpo di tosse e prosegue: “Quando hai venduto l’anima perché Sam era morto,” dilaniato da un segugio infernale, ecco cosa ha comportato quel patto. Dean steso a terra che grida, i vestiti che vengono strappati via, la carne che viene morsa e tagliata dai lunghi, affilati artigli di un cane invisibile la cui mole è perfettamente intuibile dai danni che provoca. Lacerato, coperto di sangue. Il suo corpo che giaceva a terra, immobile. Nei suoi occhi ancora una scintilla dell’ultima traccia di vita, prima di abbandonarli definitivamente e lasciare spazio al vuoto. Luccicanti occhi smeraldo che, spegnendosi, erano diventati vitrei come l’opaco verde delle bottiglie, abbandonati dalla linfa vitale e lasciati all’eterna dannazione. Scaccia quel ricordo fin troppo vivo: “Tu hai ritenuto che fosse giusto, la cosa appropriata da fare, ma Sam no. Lui l’ha trovato estremamente egoista perché si è visto portare via la persona che ama di più al mondo. Come vedi, è tutta una questione di prospettiva.”
Rimangono in silenzio per un po’, Dean elabora le sue parole. Non sa cosa pensare. È tutto così confuso.
Natalie gli afferra il viso tra le mani e si alza sulle punte per dargli un bacio sulla fronte. Dean si china leggermente per fare in modo che ciò avvenga e, quando le labbra di Nat toccano la sua pelle, chiude gli occhi, lasciando che quella sensazione di tranquillità che quel contatto gli ha sempre provocato, lo pervada. Funziona anche questa volta. Si sente meglio.
Natalie è come del balsamo gettato su nodi troppo difficili da districare. Lui è un nodo così aggrovigliato, complicato e intrecciato, che non può essere sciolto, almeno lui non è in grado di sciogliersi – anzi, sembra più vada avanti con gli anni e più i suoi pensieri trovino nuovi modi per andare ad ingrandire il groviglio – ma Natalie si. Natalie sa come scioglierlo, come farlo sembrare meno complicato. Meno incasinato.
“Per quanto riguarda Sam. So che le cose non stanno andando come avremmo voluto, ma stavo pensando a delle possibili soluzioni, nel caso... sai... non dovesse svegliarsi.”
“Quali?”
“Potremmo andare da May, a New Orleans. Lei potrebbe sapere qualcosa che noi non sappiamo e aiutarci.”
May Connors, nata in Louisiana da genitori africani, importati in America ai tempi della schiavitù. Suo padre, Solomon Connors, era stato dichiarato uomo libero dopo dodici anni di schiavitù. May ha sempre raccontato delle frustate che Solomon prendeva solo perché, i primi tempi, non accettava che un altro essere umano lo trattasse come se fosse un oggetto solo perché era nero e non bianco.
Alla fine, però, dopo la milionesima frustata, anche l’animo ribelle del signor Solomon era stato sbeccato. Senza mai piegarsi. Di questo bisogna rendergliene atto.
Natalie conosceva May da quando era una ragazzina. Aveva dodici anni la prima volta che Bobby l’aveva portata da lei.
Se vuoi fare questo mestiere, anche se tengo a precisare che non approvo la tua decisione, devi sapere più cose possibili.
Ma tu hai un sacco di libri!
Certo, che potrai leggere quando vorrai. May sa un sacco di cose che nei libri non troverai mai.

Era il 1995 quando Natalie aveva messo piede per la prima volta in casa di May: era piccola, ma accogliente, su un piano solo e profumava di legno, incenso – non quel tipo di incenso fastidioso, che ti entra nelle narici e fa venire mal di testa, quello buono, con un profumo delicato e piacevole – e torta di lamponi.
May non era una cacciatrice, ma una sacerdotessa voodoo – mi raccomando, sacerdotessa non strega, altrimenti si arrabbia. Praticava quest’arte da quando era piccola: gliel’aveva insegnata sua nonna materna, Shailene Brown, una donna che credeva nelle presenze ultraterrene, nel soprannaturale e negli spiriti. Ai suoi tempi, era vista come una vecchia pazza e superstiziosa. Non sapevano quanto in realtà Shailene avesse ragione.
May ha imparato tutto quello che sua nonna le ha insegnato ed è diventata la migliore sacerdotessa voodoo di tutta la Louisiana. Le sue pratiche non sono malvagie, non usa bambole che infilza con degli spilli per vendicarsi della vicina solo perché le ha rubato il rosmarino selvatico che cresce nel giardino, la sua è magia bianca. Usa i suoi poteri per fare del bene, per curare i malesseri delle persone e per parlare con gli spiriti.
Più volte gli spiriti la contattano senza che sia lei a farlo. Usano May come tramite per comunicare con i vivi e lo fanno perché sanno che lei riferirà le loro parole senza modificarle, o interpretarle a suo piacimento. May è onesta, non una truffatrice. Non fa quello che fa per soldi. Per guadagnarsi da vivere, costruisce collane e gioielli con perline, aghi, fili e stoffe e li vende in un negozietto nel quartiere francese di New Orleans. È un brava persona e una donna eccezionale. Natalie le vuole molto bene.
“May? Dici che May sa come svegliare Sam da questo coma?”
Nat solleva una spalla: “Lo escluderesti a priori? Con quello che fa? Con le conoscenze che ha?”
“No, non lo escluderei. Potrebbe essere una pista, in effetti.”
“Se non si sveglia, potremmo tentare. Anche se non è detto non lo faccia da solo.”
“A meno che Morte non mi abbia ingannato.”
“Perché avrebbe dovuto farlo?”
“Perché, come tu stessa hai evidenziato e lui non ha evitato di specificare, ho travolto l’ordine naturale troppe volte. E non che Sam sia da meno. Pensaci: se tu fossi un essere eterno che viene raggirato da degli insulsi esseri umani che si prendono gioco di te, cosa faresti? Non li uccideresti appena ne avresti l’occasione, dimostrando loro chi è che comanda?”
“Lui non è un assassino, Dean. Te lo sei dimenticato? Non uccide perché gli va di farlo, lo fa quando arriva il momento.”
“Ti fidi di lui, quindi?”
“Visto che sono a parlare qui con te, grazie a lui, direi di si.”
Natalie distoglie lo sguardo, si guarda intorno per qualche istante e poi lo riporta su Dean.
“Come stai?” le chiede, notando gli occhi lucidi.
“Bene, come dovrei stare??”
“Non lo so.. scossa?.. disorientata?.. Morte ha detto delle cose che peserebbero a chiunque. E tu non ne hai parlato minimamente.”
“Non è il momento per farlo.” Si passa una mano tra i capelli e abbassa lo sguardo sui suoi piedi per un attimo, prima di tornare a guardare Dean.
“Si che lo è.” Dice lui, avvicinandosi di nuovo a lei. “Parla con me.” Le sfiora un braccio con la mano, accarezzandolo lievemente. Non vuole che si senta invasa dalla sua presenza, vuole che sia lei a scegliere di avere un contatto fisico. Tra loro è sempre stato così: non hanno mai subito abbracciato l’altro in momenti delicati perché sono capitate delle occasioni dove, al contrario di altre, il contatto fisico anzi che rassicurarli li agitava, o li innervosiva. Sono quei momenti dove quando capita qualcosa, prima di ricevere conforto da chi amiamo abbiamo bisogno di riflettere un attimo da soli. Dean vuole assicurarsi che tipo di momento sia questo: se un momento da “abbracciami, ne ho bisogno” o un momento da “fammi riflettere, poi abbracciami”.
Natalie si avvicina lentamente a lui e poi appoggia la testa sul suo petto. A questo punto, Dean l’abbraccia forte. Nat è rannicchiata in se stessa, tiene le mani tra lei e Dean, ma non per tenere le distanze, semplicemente perché si è chiusa come un piccolo riccio. Vuole sentirsi protetta da Dean, ma cerca di proteggersi anche da sola. Come se, così facendo, avesse una doppia corazza. Sembra così piccola, in questo momento, come se fosse una bambina che per troppo tempo ha dovuto fare la donna. E in effetti, un po’ è così: Natalie ha iniziato a cacciare effettivamente a tredici anni, – dopo anni di teoria e studi –  anche se Bobby non approvava. Gli ha raccontato più di una volta le liti che lei e Bobby facevano e la convinzione del vecchio cacciatore a impedire che Nat imboccasse questa strada, ma dal momento che sono due teste dure, e Natalie era molto più giovane e testarda di Bobby, l’aveva avuta vinta.
Ci sono cacciatori che scelgono di intraprendere questa strada per vendetta, come John; altri che la intraprendono perché, venuti a contatto con il sovrannaturale, sono rimasti talmente scossi dalla scoperta che qualcosa vive nel buio da volersi documentare di più, trasformando questa cosa in una specie di ossessione; altri ancora vogliono semplicemente evitare di ripetere errori commessi che hanno portato conseguenze irrimediabili: se Bobby avesse saputo quello che sa adesso, sua moglie sarebbe ancora viva. Non si perdonerà mai, per questo.
Per Natalie era stato diverso: lei aveva scelto questa vita solo per aiutare gli altri. La prima volta che aveva visto un fantasma aveva undici anni. Era andata a casa di una sua amichetta e sarebbe rimasta a dormire da lei. I Donnell si erano trasferiti a Sioux Falls da poco e Nat aveva subito legato con Nancy, quella ragazzina dalle trecce e la erre moscia che era tanto dolce. L’incontro con il fantasma era avvenuto un sabato intorno a mezzanotte. Nat e Nancy erano rimaste sveglie di nascosto per continuare a giocare anche dopo il coprifuoco (dovevano essere a letto prima delle undici), quando la stanza aveva iniziato a diventare fredda e un’ombra aveva iniziato a prendere forma nell’oscurità della stanza illuminata solo da una piccola  abatjour – la cui luce aveva iniziato a tremolare e poi si era spenta. Il fantasma aveva fatto la sua apparizione poco dopo: Nat e Nancy avevano strillato così forte che i Donnell si erano precipitati da loro, trovando però la stanza serrata. Il signor Donnell aveva iniziato a prendere la porta a spallate, ma era tutto inutile.
Il fantasma, che era la cosa più terrificante che Natalie avesse visto, era grigio e fluttuava nell’aria gelida e scura, il suo viso era consumato e mangiato, come se fosse la proiezione del suo cadavere che si stava putrefacendo da qualche parte chissà dove, le sue mani erano piene di tagli e per un attimo Nat aveva creduto di aver sentito l’odore della carne che marcisce. Si era avvicinato a loro velocemente, afferrandole per la gola e trascinandole al muro. I suoi occhi erano vitrei, ma estremamente vigili e trasmettevano tutta la malvagità, l’odio e il rancore che dominavano quello spirito. Le sue dite, fredde di morte, stringevano le bambine che non riuscivano più a gridare. Sentivano gli occhi venire fuori dalle orbite e il respiro mancare. Il signor Donnell era entrato proprio in quel momento, brandendo un attizzatoio che aveva usato per forzare la porta. Lo aveva agitato contro l’essere che aveva in pugno le due bambine e il fantasma si era dissolto nell’aria. Natalie e Nancy si erano accasciate a terra, ansimanti e tremanti di paura. I signori Donnell le avevano abbracciate e le avevano portate al piano di sotto, dove poi Natalie aveva chiamato Bobby.
Bobby.. c’è u-un f-f-fantasma, o-o q-qualcosa d-di s-s-simile.
Non aveva temuto che Bobby potesse darle della bugiarda perché sapeva benissimo che lui le avrebbe creduto in qualsiasi occasione. Bobby era stato chiaro su questo fin dall’inizio: Qualsiasi cosa di strano tu veda, bimba, qualsiasi cosa, chiamami e verrò a risolvere il problema,  le diceva sempre. Il fatto che non volesse coinvolgerla in quella vita, non significava che non avrebbe dovuto garantirle che, comunque, se avesse visto cose strane, o innaturali, lui sarebbe arrivato a proteggerla. E così fece anche quella volta.
D’accordo. Ascoltami, bimba, prendi del sale in cucina e traccia un cerchio abbastanza grosso e entrateci tutti. Rimanete li finché non arrivo.
E così avevano fatto.
Bobby aveva risolto la situazione prima che il fantasma potesse attaccare di nuovo: aveva scoperto che nella casa dei Donnell c’era stato un omicidio. La famiglia Clarence viveva in quella casa nella seconda metà degli anni settanta. Duke Clarence era un uomo di grande successo e molto rispettato nel suo ambiente, che lo riteneva un uomo per bene, dai modi garbati e dall’intelligenza brillante. La cosa che nessuno sapeva è che, tra le mura di casa, Duke Clarence abbandonava le vesti di rispettabile uomo d’affari e dava alla moglie più botte che pane. Un giorno, le sue due figlie, stanche di vedere la loro mamma perdere i sensi per l’inaudita violenza con cui papà la colpiva, lo avevano ucciso, sparando un colpo con la pistola che il signor Clarence teneva nel suo cassetto segreto – non più tanto segreto, ormai – della scrivania.
Lo spirito di Duke Clarence si era risvegliato per la presenza di Natalie e Nancy, che aveva scambiato per le sue figlie e voleva vendicarsi del loro comportamento. Il suo cadavere, che si trovava nella cantina di casa, era stato coperto di sale e bruciato.
Da quel giorno, dopo quell’esperienza, Natalie aveva tempestato Bobby con ogni tipo di domanda, dicendogli poi che voleva diventare una cacciatrice perché voleva aiutare le persone proprio come aveva fatto Bobby con i Donnell.
Per tutto l’anno che va dal 1994 al 1995 la cosa che più si sentiva in casa Singer era:
Bobby, permettimi di diventare come te, per favore!
Non se ne parla, ci sono troppi rischi e tu sei una bambina! Dovresti farmi la lista dei giocattoli che desideri per il tuo compleanno, o Natale, non chiedermi di insegnarti tutto ciò che so su questo mondo!
Ma voglio aiutare le persone, come fai tu!
No. Ci sono già moltissimi cacciatori, al mondo. Aiuteranno loro le persone, mentre tu potrai vivere la tua vita in modo normale!

Sono andati avanti così fino a quando Natalie non si è imbattuta in un caso da sola: se Bobby non aveva intenzione di aiutarla, avrebbe imparato da sola. Così, dopo aver trovato un possibile caso a Pierre, aveva tentato di uscire di casa di nascosto, ma Bobby l’aveva beccata chiedendole spiegazioni. Aveva capito che se non l’avesse aiutata lui, Nat avrebbe fatto comunque di testa sua, così, a malincuore, aveva accettato di aiutarla e di insegnarle tutto quello che sapeva. Da quel momento, Natalie aveva smesso di essere una bambina e aveva cominciato il suo cammino verso l’età adulta. È tipico dei cacciatori: diventi adulto quando dovresti ancora essere un bambino e, per la maggior parte delle volte, muori prima ancora di aver raggiunto un’età decente per essere effettivamente catalogato sotto la categoria “adulti maturi”.
È una grandissima fregatura.  
“Bobby non mi ha mai fatto mancare niente. Quando ho iniziato a fare domande su.. su di loro.. nonostante a lui facesse un male cane, me ne ha parlato perché lo riteneva giusto. Diceva che erano i miei genitori e che, visto che non avevo avuto la possibilità di conoscerli, spettava a lui fare in modo che li conoscessi. Non li ho mai visti, non ho mai parlato con loro, non li ho mai toccati. So come erano Susan Singer e Elijah Duvall solo perché Bobby mi ha mostrato delle foto e raccontato degli aneddoti. Mi dispiace non averli conosciuti, a sentire ciò che dice erano davvero delle persone speciali.” Natalie parla contro il petto di Dean, la voce ovattata e tremolante. “Ma sentire Morte che ne parlava, sentire che loro non dovevano morire, che non era la loro ora, che ciò che è successo è stato tutto un incidente e che loro potevano essere qui se non fosse stato per quel pirata ubriaco, mi ha fatto stare male. Sono morti perché qualcuno quella sera aveva deciso di bere troppo e ha fatto qualcosa che nemmeno Morte era in grado di riparare. Se nemmeno lui ha potuto salvarli, posso solo immaginare come fossero ridotti.” Le lacrime le scendono silenziose e calde sul viso, arrivano fino a sotto al mento e cadono nella sua maglietta rossa dove vengono assorbite dalla stoffa. Dean se ne accorge, ma lascia che lei si sfoghi senza dire niente. La stringe e sente il corpo di Natalie scosso dai singhiozzi silenziosi e dai brividi che solo un pianto lungo provoca. Le accarezza i capelli e la schiena, passando la mano su e giù lentamente, cullandola dolcemente per fare in modo che lei si tranquillizzi.
“Poteva evitare di dirtelo, lo so. E non ci sono parole per descrivere ciò che stai vivendo adesso, ma di una cosa sono certo: ovunque loro si trovino, in questo momento, sono più che felici di vedere che sei salva. E sono sicuro che sono orgogliosi della donna che sei.”
In altri momenti, in altre circostanze e rivolto ad altre persone, questa sarebbe quella che viene definita da ogni tipo di cultura una frase fatta. Una di quelle frasi che vengono dette solo per far stare meglio chi l’ascolta. Ma per Natalie non è così. Non è una frase fatta semplicemente perché con quello che conoscono loro, con quello che hanno visto loro, non esclude che i suoi genitori siano davvero in qualche posto, che lei spera vivamente sia un angolo di Paradiso, magari uno di quegli angoli lontani dalle feroci battaglie che si sono verificate in questi anni, e che la stiano davvero guardando. E in fondo al cuore, spera davvero che siano orgogliosi di quello che lei è diventata.



                                                                                                          ***

Cinquemilasettecentosessanta minuti.
Novantasei ore.
Quattro giorni.
È il lasso di tempo che Dean ha passato in attesa del risveglio di Sam. Sta vicino al suo lettino ogni ora, andando a controllare come sta. Non dorme e quando si appisola, dorme male e i suoi pensieri – che in quella specie di dormiveglia assumono le forme degli incubi – lo fanno svegliare con il cuore in gola e la fronte imperlata di sudore. L’attesa lo uccide più di qualsiasi altra cosa abbia mai tentato di fargli la pelle durante tutta la sua onorevole carriera di cacciatore professionista.
Date a Dean un pericolo mortale, di qualsiasi genere, e ne uscirà vincitore.
Date a Dean del tempo per aspettare e uscirà di testa.
Troppo lavoro e niente divertimento rendono Jack un ragazzo noioso. (4)
 Magari non è proprio la stessa situazione, ma Dean sta lentamente scivolando nella pazzia proprio come Jack Torrence. La panic room sta facendo lo stesso effetto dell’hotel.
Vorrebbe improvvisamente prendere una pallina e lanciarla contro le pareti per vedere se il rumore insistente di qualcosa che batte contro i muri riuscirebbe a svegliare Sam. Magari il continuo battito ripetuto farebbe lo stesso effetto di un’insistente bussata ad una porta. Magari Sam non si sveglia perché non c’è nessuno che lo chiama, nessuno che suona al campanello della sua mente, nessuno che lo invita a svegliarsi, o che gli urli, o che gli tiri una secchiata d’acqua in faccia.
Magari Sam non si sveglierà più e questa è tutta colpa sua.
Deve uscire da quella stanza, o i sensi di colpa e la sua coscienza lo faranno impazzire una volta per tutte.
Virus della follia.
Ecco a cosa pensa, mentre sale le scale del seminterrato per raggiungere il primo piano.
La follia si insinua subdola nelle menti degli esseri umani e da i suoi primi indizi quando ormai è troppo tardi. Se ti chiedi se sei pazzo, probabilmente lo sei già da un pezzo.
“Tu non sei pazzo.” Dice a se stesso, mentre sale l’ultimo gradino, scuotendo la testa.
Chi è davvero pazzo, non sta a chiedersi se è pazzo, (5) diceva Anthony Hopkins in un film e probabilmente aveva ragione. Chi è pazzo non si chiede se lo è perché è troppo intento a fare il pazzo per accorgersi di essere pazzo. Quindi, può ancora affermare di avere il lume della ragione, anche se tutta questa situazione lo sta consumando. Forse ha bisogno di tornare attivo, di zittire la sua coscienza che getta benzina sul fuoco dei sensi di colpa facendolo diventare sempre più indomabile ogni giorno che passa. Forse ha bisogno di un caso. Qualcosa di semplice e nei dintorni, in modo che possa tornare da Sam il prima possibile.
Entra in cucina e prende una birra dal frigo.
Bobby entra poco dopo.
“Come stai, ragazzo?”
Dean sospira e alza le spalle. Si attacca alla bottiglia e beve un lungo sorso.
“Non è una risposta.”
“Cosa vuoi sentirmi dire? Che mi sento in colpa? Lo sai già, ne ho parlato con Nat e sono abbastanza sicuro ti abbia riferito tutto.”
“Siamo solo preoccupati.”
Dean chiude gli occhi e sospira, lasciando cadere le spalle e incurvandosi come una specie di vite a cui hanno rimosso il sostegno di legno su cui arrampicarsi.
“Lo so, Bobby.” Si massaggia le tempie e poi le palpebre. Gli sta venendo mal di testa, uno di quelli che hanno tutte le premesse per diventare così intensi da farti sentire ogni minimo rumore, anche un respiro, come se fosse un’esplosione atomica fatta proprio vicino ai tuoi timpani. “È solo che è tutto così complicato e non... non so dove battere la testa, tutto qui.”
“Si risveglierà.”
“Continuate a ripeterlo, ma sono passati quattro giorni e lui è ancora in quello stato. E di chi è la colpa? Mia!
“Non iniziare a piagnucolare come una mammoletta! Eravamo tutti d’accordo con il tuo piano! Se Sam si trova in quelle condizioni è perché tutti i presenti in questa casa ti hanno aiutato a fare in modo che riavesse la sua anima indietro. Quindi non fare la vittima, non lamentarti e smettila di piagnucolare, per Dio! È tuo fratello, ma non scordarti che lui è di famiglia anche per noi. Non sei l’unico a soffrire.”
Bobby ha ragione, deve riconoscerglielo. E i suoi modi riescono sempre a scuoterlo da quel torpore tipico delle situazioni preoccupanti che si accavallano sulle spalle e li rimangono, appollaiate come un avvoltoio su un ramo, in attesa che il corpo ceda, cada e loro possano finalmente punzecchiarlo per godere di un lauto banchetto a base di essere umano reso amaro dall’angoscia e dalle ansie.
“Si, scusa. Hai ragione.. è solo che... non lo so nemmeno io, mi sembra di star uscendo di testa.”
“Forse dovete veramente andare a fare un salto da May. Sai almeno ti distrai, hai qualcosa da fare e se poi scoprite davvero qualcosa tanto meglio. E poi, sono sicuro che le farebbe piacere rivedervi.”
Già, forse non è poi così una cattiva idea. Se Jack Torrence fosse uscito dall’hotel appena ha avvertito i primi sintomi della follia, forse non sarebbe sprofondato in essa in modo irreparabile.
Forse Dean deve zittire le voci nella sua testa che lo accusano, senza la minima pietà, di essere la causa costante di ogni problema di Sammy.
“D’accordo. Chiedo a Nat quando vuole partire.”


                                                                                                          ***

Un altro viaggio in macchina.
Diciotto ore chiusi dentro ad una scatola di metallo che diventa sempre più calda ogni volta che viene toccata dal sole. Per di più non c’è nemmeno l’aria condizionata.
Natalie ha insistito perché prendessero la sua macchina e alla fine l’ha avuta vinta, nonostante Dean avesse supplicato di prendere anzi Baby. Se deve essere onesto, la jeep di Nat non lo fa impazzire. Proprio perché, appunto, gli ricorda una scatoletta di tonno e ogni volta che ci entra dopo che è stata tanto al sole gli sembra di entrare in un forno crematorio.
Sono arrivati in Louisiana nel tardo pomeriggio, il loro viaggio è stato tranquillo e silenzioso. Si sono scambiati solo qualche parola. Più che altro perché sono presi da altro e, soprattutto, perché sono troppo stanchi per intavolare conversazioni lunghe. Le ore di sonno che hanno perso da quando Sam è ridotto in quello stato iniziano ad infierire sulla capacità di comprensione, di attività motoria e di lucidità mentale.
Ottomilaseicentoquaranta minuti.
Centoquarantaquattro ore.
Sei giorni.
Senza sonno, è un lasso di tempo che raggiunge i limiti dell’umano persino per i cacciatori, che sono abituati a dormire veramente, ma veramente poco. 
Nat ha voluto prendere la sua macchina proprio per questo: Se prendiamo la tua, poi ti tocca fare diciotto ore di guida tutte filate perché non permetterai cambi. Così poi impazzisci e diventi scemo una volta per tutte. No, prendiamo la mia, così facciamo a cambio e dormiamo a turno, cercando di salvaguardare i tuoi due ultimi neuroni rimasti.
La stanchezza la rende così dolce.
Comunque, hanno fatto cambio e hanno dormito a turno, come Nat aveva deciso.
Una volta entrati a New Orleans, raggiungono la zona dove vive May, abbastanza lontana dal centro, ma in una posizione abbastanza comoda affinché riesca a raggiungerlo nel caso avesse bisogno di qualcosa.
Natalie parcheggia a fianco del marciapiede davanti a casa di May. Si guarda intorno: il quartiere è sempre uguale alla prima volta che l’ha visto, nonostante siano passati anni. Le casette modeste una vicina all’altra, i tricicli dei bambini nei vialetti – alcuni ribaltati – i palloni incastrati sugli alberi che sono stati lanciati con un po’ troppa foga, le macchine ordinatamente parcheggiate vicino al marciapiede e la musica. Tanta musica che esce dalle finestre e si disperde nell’aria contagiando con la sua allegria ogni passante. C’è un atmosfera che le mette sempre il sorriso.
Si incamminano fianco a fianco percorrendo il vialetto. Notano le piante che lo delimitano e poi notano che i vasi in cui le suddette piante sono infilate hanno dei simboli voodoo di protezione. Creano un perimetro ben preciso, nota Natalie e sicuramente serve per creare una barriera di protezione che se non sei umano non riesci a superare. May crede nei demoni  e negli spiriti maligni e sa come proteggersi.
D’istinto, Nat pensa al suo tatuaggio anti possessione sulle costole di sinistra. Lei, Dean e Sam se lo sono fatto insieme.
Salgono le scale che portano al portico e poi bussano alla porta. Rimangono in attesa per qualche minuto prima che qualcuno apra loro la porta: Jacob McAdams.
Jacob, o Jake, come l’ha sempre chiamato Nat, è il nipote di May, figlio di sua figlia Lori e Alex McAdams, proprietario del locale in cui Lori, da giovane, lavorava come cameriera e cantante, quando il sabato non serviva ai tavoli. La voce più bella di tutta la città, ecco cosa diceva Alex.
May ha sempre detto che se suo nipote fosse nato ai tempi in cui la parità razziale non esisteva, sarebbe stato definito uno sporco meticcio e sarebbe stato vittima di soprusi che definire crudeli sarebbe stato un eufemismo. Inutile dire che ringrazia il cielo ogni giorno del fatto che il suo adorato nipote sia nato in un periodo in cui nessuno da importanza al fatto che tua madre è nera e tuo padre è bianco. Se sei un bravo ragazzo, non importa di che colore sia la tua pelle, o quella dei tuoi genitori.
“Nat? Sei tu?” Il ragazzo si sporge verso di lei stringendola in un abbraccio.
“Si Jake, sono io! May non ti ha detto che arrivavamo?”
“No, deve esserle passato di mente!”
Sciolgono l’abbraccio. Jacob porge la mano a Dean, in segno di saluto. Il cacciatore la stringe, solo per cortesia. Jake non gli sta particolarmente simpatico. Non che sia un cattivo ragazzo, al contrario, ma ancora non riesce a digerire che sia stato il primo di ogni cosa di Natalie: il primo bacio a quattordici anni, il primo a cogliere il suo prezioso fiore a quindici, e così via..
Jacob è più grande di Natalie di due anni. La prima volta che si erano incontrati, lui aveva quindici anni ed era – citando le testuali parole di una Natalie tredicenne, che bazzicava da May già da un anno – il ragazzo più bello che avesse mai visto. Jacob, con la pelle colore della sabbia bagnata e gli occhi azzurri come un cielo terso, era il ragazzo più dolce che Nat avesse incontrato. Parlava di lui in continuazione – con Sam, perché parlarne con Bobby la imbarazzava e con Dean.. beh con Dean una volta ci aveva provato, ma a lui dava così fastidio che l’aveva presa in giro per tutto il tempo. Non aveva ancora capito che la sua gelosia era dettata da altro, all’inizio pensava che fosse dettata dal fatto che non sopportava l’idea che Nat, che lui aveva sempre visto come una specie di sorellina, stesse diventando grande e iniziasse a provare interesse per certe cose. Comunque, la loro amicizia è andata avanti un bel po’ e poi è sfociata in altro. Si sono dati il loro primo bacio dietro a casa di May, una sera, mentre guardavano il sole che tramontava. Il cliché più cliché che possa esistere, ma Natalie l’aveva trovato così romantico che ogni volta che ne parlava, si alzava un palmo da terra per la felicità. Era così cotta di lui. La cosa è andata avanti per un bel po’. Nonostante la distanza, in quel periodo Bobby acconsentiva ad accompagnare Natalie da May molto spesso – perché, diceva la ragazza, doveva imparare ancora molte cose che sui libri di Bobby non c’erano.. si, certo – tanto che May e la sua famiglia si erano affezionate a lei tanto da vederla, ormai, come una specie di nipote acquisita. Natalie voleva bene a quelle persone e loro volevano bene a lei.
Si era innamorata di Jacob e sempre più spesso, quando Dean e Sam facevano un salto a casa di Bobby per salutarlo, capitava che Natalie non fosse in casa perché era rimasta a dormire da May. A Dean aveva iniziato a dare più fastidio di quanto credesse. Quel bell’imbusto gli portava via Nat e lui, che sperava di vederla ogni volta che varcava la soglia di casa Singer, doveva rinunciare alla sua compagnia. Forse è stato in quel momento che si è reso conto che Nat gli piaceva. Forse. Perché pensava al fatto che lei avesse quattordici anni e lui diciotto, John lo trattava già come se fosse un uomo adulto da un pezzo, mentre Natalie stava ancora sbocciando, nonostante fosse già più adulta delle ragazze della sua età. Come abbiamo già detto, la vita del cacciatore ti fa crescere in fretta, ma comunque, quattro anni in quella fascia specifica di età si sentono un po’ troppo. Comunque, la storia Tra Natalie e Jacob è durata poco più di due anni. Natalie aveva imparato da May un bel po’ di cose e nonostante ne avesse ancora molte da imparare, iniziava a sentire che fare avanti e indietro tra il South Dakota e la Louisiana, rimanendo spesso a dormire da May, era una vita che iniziava a starle stretta perché così facendo non avrebbe aiutato le persone come avrebbe voluto, come faceva Bobby. Sentiva di essersi inoltrata un po’ troppo nel campo teorico ed aver abbandonato quello pratico. Le piaceva stare con May, imparando tutte le cose che le insegnava; le piaceva da morire stare con Jacob, ma non si sentiva a posto con se stessa. Aveva capito che se voleva aiutare le persone, era giunto il momento di imparare sul campo. E questo solo Bobby poteva insegnarglielo. Così, dopo aver salutato May – che l’aveva stretta a se, facendole promettere di tornare a trovarla (e così è stato, Natalie torna da lei ogni mese) – e aver parlato con Jacob delle sue scelte di vita, era tornata nel South Dakota lasciandosi la Louisiana alle spalle.
Dean non può essere più felice della scelta che Natalie quindicenne ha fatto. Ma questo è il suo ego che parla.
“Ciao Dean, è un piacere vederti.”
“Anche per me.”
Certo, come no. Allunga di nuovo le mani e te le poto.
Ok, forse sta esagerando. È colpa del flashback, ok? Ha ricordato cose che accendono la sua gelosia. Tipo baci al tramonto e, proprio adesso, abbracci di ben tornata in Louisiana primo amore della mia vita.
Lo sanno tutti che il primo amore non si scorda mai, no? E da come Jake guarda Natalie, Dean è convinto che ci siano ancora dei rimasugli di un fuoco che potrebbe essere acceso molto facilmente. Il così detto improvviso ritorno di fiamma.
Anche no, intesi? Giù le mani, molla l’osso, distogli lo sguardo. È mia.
Deve darsi una calmata o esploderà come una mina antiuomo.
“Venite, May è in salotto.”
Si incamminano in casa, percorrendo il corridoio dove notano sulla destra un mobiletto in legno dove May tiene il telefono di casa, situato sopra ad un grazioso centrino ricamato con il pizzo, e delle statuette dipinte a mano – sicuramente da May – che ritraggono dei piccoli putti che suonano l’arpa.
Quando arrivano in salotto, trovano May seduta sulla poltrona alle prese con perline, ago e filo. Sembra stia creando una collana, o meglio un girocollo molto aderente, alto più o meno tre centimetri, in cui sta infilando perline che variano dal blu notte, al verde acqua, al celeste brillante. Chissà come sarà una volta finita.
“Nonna, Nat e Dean sono arrivati.” Le dice Jake.
May porta lo sguardo su di loro e non appena incrocia gli occhi di Natalie si allarga in un enorme sorriso che mostra due file di denti bianchi. May, nota Natalie, è invecchiata dall’ultima volta che è stata qui – un mese fa – le rughe intorno agli occhi si sono fatte più evidenti e la pelle sul collo inizia a cedere sempre di più. Ma i suoi occhi scuri sono ancora vispi e la rendono più giovane. La donna si alza e si dirige verso di loro, abbracciando prima Natalie e poi Dean – il quale deve chinarsi un bel po’ per fare in modo che May non si sforzi troppo. Non se la ricordava così piccolina.
“Accomodatevi, cari. Jake, tesoro, metti su un po’ di the.”
“Certo, vado subito.” il ragazzo sparisce in cucina, lasciandoli soli.
Natalie e Dean si accomodano, uno di fianco all’altra, sul divanetto vicino alla poltrona di May.
“Ditemi, cosa c’è che vi preoccupa?”
Nat e Dean si scambiano un’occhiata, poi Dean prende parola: “Si tratta di Sam. Vedi è successa una cosa...”
“So cos’è successo, arriva pure al punto, caro.”
“Si.. ehm, dunque... abbiamo... noi abbiamo fatto un accordo con Morte affinché gli ridesse la sua anima, ma adesso Sam è caduto in profondo coma ed è in quello stato da sei giorni. Non so cosa pensare. Probabilmente Morte mi ha ingannato. Non so come aggiustare la cosa e vorrei... vorrei... sapere se tu puoi fare qualcosa...”
“Tesoro..” May allunga le mani per stringere quella di Dean. Il cacciatore si stupisce della forza di quella stretta, così in contrasto con l’aspetto fragile della donna. “.. Non c’è niente che io possa fare, in occasioni come queste.”
“Perché no?”
“Perché quando si tratta di anime, gli uomini non posso interferire. Ma ciò non vuol dire che non abbia delle conoscenze a riguardo: tuo fratello si sveglierà e di questo ne sono certa. Le anime sono una fonte di energia inestimabile, sono potenti, ma allo stesso tempo sono molto fragili. Quando, in casi rari come questo, un essere umano viene prima privato della sua anima e poi essa viene inserita nuovamente nel corpo, sia il corpo che l’anima devono abituarsi nuovamente l’uno alla presenza dell’altra. È questo che sta succedendo a Sam: la sua anima si sta aggiustando all’interno nel suo corpo nel modo corretto e per farlo ci vogliono giorni interi. Questo coma non è un inganno di Morte, lui è l’entità più onesta che possa esistere...” May si ferma, notando l’espressione contrariata di Dean a questa sua ultima affermazione: “Non sei d’accordo, caro?”
“No, May. Per niente.”
May accenna una sorriso: “Sai, Dean, c’è un detto che afferma che siamo tutti uguali di fronte alla Morte. Ed è vero. Indipendentemente da quanto qualcuno possa essere stato ricco o agiato nella sua vita, una volta morto sarà identico a colui che, invece, per tutta la sua vita è stato povero. Morte è giusto, è incorruttibile, a differenza dell’essere umano a cui bastano dei soldi per farsi corrompere. Pensa agli avvocati: la loro professione dovrebbe basarsi sull’esercizio della giustizia, e invece cosa fanno? Imparano a mentire, a contorcere la dea con la bilancia, per fare in modo che il riccone che li ha pagati vinca la causa. Non interessa a nessuno se sia innocente o colpevole, basta che abbia pagato. È giustizia? No. Quella di Morte si che può ritenersi giustizia. Siamo tutti uguali di fronte a lui proprio come dovremmo esserlo davanti alla Giustizia. Non trovi?”
“Non lo so, May. È un discorso troppo complicato e non credo di essere in grado di affrontarlo nel modo giusto, in questo momento.” Si passa la mano libera sul viso.
“Ma certo. Sarai a pezzi. Scommetto che non dormi da quando Sam è in quello stato. Vi preparo la camera degli ospiti, così potete dormire un po’.”
“Oh no, non ce n’è bisogno May, davvero.”
“Smettila di fare i complimenti. Voglio che rimaniate, avete bisogno di riposare.”
Dean si limita a fare un cenno con la testa e a ringraziarla.
“Bene. Tornando al nostro discorso, dovete solo avere pazienza. Morte non vi ha ingannati, il suo non è un piano contorto per lasciare Sam in quello stato. Bisogna solo aspettare che corpo e anima si riconoscano interamente, solo allora Sam si risveglierà perché sarà tornato indietro al cento per cento.”
“Grazie May,” Dean si alza e si china su di lei per abbracciarla forte, “davvero, grazie.”
E come un bambino che dopo aver fatto un brutto sogno viene consolato dalle parole gentili della mamma, Dean versa due lacrime – giusto due – con cui lascia andare tutto il masso di ansie e angosce che si era formato sul suo petto e lo schiacciava fino a fargli mancare il respiro. Quel nodo viene sciolto dalle braccia forti – ancora una volta Dean trova a stupirsi della forza della donna – di May che lo stringono come se volessero impedirgli di affondare del tutto. Le è veramente grato in questo momento e capisce che, in fondo, anche lui le vuole molto bene, nonostante non la conosca tanto quanto la conosce Natalie.



                                                                                                          ***


Dean, in pigiama (maglietta grigia a maniche corte e pantaloni celesti di un vecchio pigiama), è sdraiato sul letto con la schiena appoggiata alla testata, tiene in piedi sovrapposti uno sull’altro e le braccia incrociate al petto.
Sono le undici di sera. May ha preparato per loro quella che era la stanza di Nat quando, da ragazzina, si fermava a dormire li. Non è enorme, ma non è nemmeno un buco: è confortevole, accogliente, le pareti sono bianche e decorate da alcuni disegni astratti neri e viola che colorano gli angoli – opera di May. Ci sono due comodini ai bordi del letto a due piazze che troneggia in quella stanza e sopra ad ogni comodino c’è un’abatjour che a sua volta sta sopra ad un centrino ricamato con cura. A quanto pare, a May piacciono molto i centrini.
Guardandosi intorno, Dean nota anche una piccola libreria attaccata al muro, sulla sinistra, proprio dietro alla porta. Chissà quante volte Nat ha preso uno di quei libri e si è messa a leggerlo per conciliare il sonno. Dean si trova a pensare che questa stanza rappresenta una tappa importante della vita di Natalie, così come è importante May, che oltre ad aver offerto loro il the – aggiungendo uno spicchio di limone nella tazza di Nat – ha preparato loro anche la cena perché era tanto che voi due non tornavate qui insieme e le faceva piacere rimanessero con lei un po’, prima di andare a riposare. May è proprio una cara signora, dolce e buona con tutti. O almeno, tutti quelli a cui vuole bene.
Vede la porta aprirsi e Natalie entrare: ha indosso un paio di leggins neri, lunghi fino al ginocchio e una canottiera aderente dello stesso colore. Molto aderente. Troppo aderente. Così aderente da non lasciare spazio all’immaginazione; così aderente che Dean non riesce a non notare che Nat non porta il reggiseno. Non l’ha mai fatto, ora che ci pensa, perché ha sempre detto che, almeno per dormire, vuole sbarazzarsi di quell’affare infernale e sentirsi libera.
Dovresti provare a stare un giorno intero con le spalline che ti premono sulle spalle. Per non parlare di quando il ferretto buca la stoffa e ti si conficca nella carne. È una tortura! Diceva sempre.
Lui non potrebbe essere più d’accordo sulla sua scelta di non indossarlo di notte.
Smettila di fissarle le tette, si rimprovera, ma è più forte di lui.
Nat, però, sembra non accorgersene: “Guarda che potevi andare sotto alle coperte, non era necessario che mi aspettassi.” Afferma, mentre sale sul letto e inizia ad accomodarsi sotto al piumone.
Dean, in imbarazzo, inizia a balbettare come un ragazzino che non ha mai dormito in compagnia di una donna: “S-si lo so, ma preferivo aspettare qui.”
Nat gli lancia un’occhiata, ma poi alza le spalle e si sistema meglio.
Il cacciatore ha ancora il pensiero fisso sul seno della ragazza: non troppo grosso, ma non per questo piccolo, sodo e della misura giusta, così giusta che ogni volta che lo toccava riempiva i palmi delle sue mani alla perfezione, combaciando esattamente e ... Dio, deve darsi una calmata. O i suoi ormoni cominceranno a smuoversi, balleranno la conga e non riuscirà più a imbrigliargli, non riuscendo, in questo modo, nemmeno ad impedire che certi pensieri poco razionali e molto.. come dire.. nostalgici del tempo che fu – dove lui e Nat in un letto avrebbero fatto tutt’altro che dormire a distanza perché, non avendo ancora chiarito la situazione, non si sentono di fare ciò che facevano quando, invece, tra di loro filava tutto liscio – vadano a formarsi nella sua mente.
Così, cerca qualcosa che lo ammosc.. lo distragga: “Non sapevo che Jake vivesse con May.” Afferma, tirando le coperte fino a coprirsi il petto.
“Non vive con lei, infatti. Viene ogni giorno a vedere come sta, si assicura che non le manchi niente e torna a casa. Vive in fondo alla strada con i suoi genitori.”
“Vive ancora con i suoi?” Si posiziona su un fianco, voltandosi verso di lei. La testa appoggiata al palmo aperto della mano sinistra.
“Si, aveva deciso di trovarsi una casa dopo la laurea, ma a quanto pare è più difficile del previsto.”
“Laurea?”
“Si, è medico, adesso. Chirurgo, se vogliamo essere pignoli.. ha preso la specializzazione.”
“Che cosa carina. È davvero il ragazzo perfetto: chirurgo, di bell’aspetto, legato alla famiglia, si occupa della sua cara nonnina..” si sdraia a pancia in su, distogliendo lo sguardo da Natalie e portandolo sul soffitto. Una mano sotto la testa, l’altra sulla pancia.
“Piantala.” Afferma Nat, roteando gli occhi. Rimane seduta con la schiena appoggiata alla testiera, osservando Dean che però non ricambia lo sguardo, ancora troppo intento a osservare il soffitto: una piccola onda viola che si arriccia su stessa nell’angolo dove inizia a formarsi una piccola ragnatela, infatti, lo fa ragionare che queste informazioni sono un po’ troppo dettagliate per i suoi gusti.
“Si può sapere come fai a sapere tutte queste cose su di lui?”
Nat alza gli occhi al cielo: “C’è una fantastica invenzione chiamata telefono. È grazie a quella che so queste cose.”
A quel punto, torna a sedere come se avesse preso la scossa: “Voi vi sentite ancora???”
“Certo.” Risponde con convinzione, poi, strizzando gli occhi con fare indagatore, aggiunge: “Perché sembra ti dia fastidio?”
Dean alza le sopracciglia: “Perché mi da fastidio!” afferma come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“E perché dovrebbe??”
Al cacciatore sfugge una risata sarcastica: “Stai scherzando, vero??”
Il tono di Natalie, invece, risulta innervosito e poco disposto alla comprensione: “No. Non sto scherzando. Ti prego, non dirmi perché sei ancora geloso di lui, Dean. Sono passati quattordici anni, non mi sembra il caso..”
“E invece a me pare proprio il caso. Non voglio che continui a sentirti con lui!”
“E dimmi, cosa ti da il diritto di avanzare una pretesa del genere??”
“Il fatto che tu sia la mia ragazza, ad esempio!”
Nel momento esatto in cui quella frase esce dalla sua bocca, si rende conto di quanto, in realtà, sia errata: Nat non è più la sua ragazza. Ma lo è sempre stata, lui l’ha sempre amata e la ama tutt’ora, e il pensiero che Jake e Natalie si sentano ancora lo infastidisce così tanto da aver perso la razionalità – che altrimenti gli avrebbe ricordato il piccolo particolare che non stanno più insieme perché lui ha deciso di andarsene – e aver lasciato uscire l’istinto. E l’istinto ha detto ciò che è situato nelle profondità del suo cuore: Nat sarà sempre la sua ragazza. O almeno, lui la vedrà sempre così.
“Ed è qui che ti sbagli: io non sono più la tua ragazza. Hai fatto la tua scelta, o sbaglio? Non puoi giocare all’allegra famiglia e poi tornare da me fingendo che vada tutto a posto. Non dopo esserti rifiutato di parlarne! E poi, anche se stessimo ancora insieme, non ti permetterei di dirmi quello che devo o non devo fare, o chi devo o non devo frequentare!”
Si è alzata da letto, incapace di rimanere seduta e così vicina a lui. Il cuore le pompa così forte che lo sente rimbombare in ogni parte del suo corpo. Il nervosismo pompa nelle sue vene come se fosse il carburante che accende un motore rimasto spento per troppo tempo.
Dean fa lo stesso. I suoi occhi sono accesi di rabbia e il suo corpo trema, scosso da quella violenza tipica dell’ira: “Hai scopato anche con lui mentre ero via? Te le ha dette mentre rotolavate nel suo letto, in casa dei suoi, tutte queste belle cose sulla sua vita?”
Sono uno di fronte all’altra, le emozioni ormai hanno preso il sopravvento e non sanno nemmeno come sono arrivati a questo punto. Il cadavere sotterrato della loro questione in sospeso è stato riesumato senza che loro lo volessero. Gli eventi fino ad ora capitati, li avevano spinti a comportarsi come dei cacciatori che risolvono un caso, mettendo da parte le questioni personali. Ma adesso, sembra che le questioni personali, rimaste troppo tempo sotto terra, abbiano deciso, di loro spontanea volontà, di risorgere di creare un boato inarrestabile. Un’esplosione indomabile.
Probabilmente, è tutta colpa della stanchezza, dello stress e di troppi eventi accumulati uno sull’altro. Tutto ciò ha fatto si che gli scheletri, uscissero dall’armadio e scatenassero il panico.
“Quanto sei stronzo.” Il suo tono, che esce come un sibilo furioso, è colmo d’astio. Afferra il cuscino con decisione e si avvia verso la porta.
“Dove vai??” chiede, duro, chiudendo la porta con impeto. Sono così vicini che possono sentire i rispettivi respiri – fin troppo affannati – sulla pelle. I loro occhi hanno imprigionato l’uno quelli dell’altra come se volessero dare inizio ad una battaglia fatta di sguardi da cui escono fulmini e saette.
“Dove vado? Hai anche il coraggio di chiederlo? Il più lontano possibile da te! È stato tutto uno sbaglio. Innamorarmi di te è stato lo sbaglio più grande che potessi fare! Ogni volta che stavo con te perdevo un pezzo di me! E sai perché? Perché più tempo passava e più quel pezzo di me apparteneva a te, perché ti ho sempre amato con ogni fibra del mio corpo! E a te non è bastato! Non è bastato che ti dessi sempre tutta me stessa, che fossi al tuo fianco in ogni occasione! Hai visto una difficoltà e te ne sei andato! Dio, non sai quanto ti odio per avermi ridotta in questo stato!” le lacrime scendono copiose sul viso di Natalie, il respiro è affannoso e le sue guance sono calde e arrossate per via del sangue che è affluito ad esse mentre inveiva contro Dean. Si sente svuotata. Ridotta ad un involucro di carne privato di energia.
“C’è un motivo per cui me ne sono andato,” comincia Dean, la voce roca, rotta per lo sforzo di trattenersi. Trattenere le lacrime, trattenere la voglia di urlare, trattenere il dolore che prova nel sentire Natalie che dice che lo odia, il dolore che prova nel vederla così, a pezzi, “te ne parlerò Nat, lo giuro. Ma...”
“...Ma ora non è il momento. Perché Sam è in quello stato e tu non sei in grado di pensare, se non sei certo che Sam sta bene. Lo so. Credi non abbia imparato a conoscerti, dopo tutti questi anni?”
“Mi dispiace. Non avrei mai voluto farti del male.”
“Hai già detto che ti dispiace. Nel garage, ricordi?”
Smette di guardarlo, perché continuare a fissare quegli occhi le fa un male tremendo. Un dolore che va a infettare quella ferita aperta su cui ha costruito l’illusione che tra di loro potesse tornare a funzionare. Non poteva pensare ad una cosa più sciocca. Non si può costruire niente, se la base non è solida. Una pozzanghera melmosa non reggerà mai un castello dorato, ma lo farà affondare. Non hanno ancora raschiato via la melma dalle loro vite. Solo dopo che si saranno decisi a farlo, potranno permettersi di costruire qualcosa di nuovo.
“Ci vediamo domani mattina, Dean.”
Senza aggiungere altro, esce da quella stanza chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Dean solo con se stesso e con l’eco funerea delle parole di Natalie: Non sai quanto ti odio per avermi ridotta in questo stato.
Se ne sono dette così tante negli anni, hanno litigato così tante di quelle volte che ha perso il conto, ma non erano mai arrivati a pronunciare quella parola: odio.
Lei lo odia perché per colpa sua ha perso se stessa.
Lui si odia per aver fatto in modo che accadesse una delle cose che sapeva benissimo Natalie temesse di più al mondo.
Improvvisamente, è come se annegasse. Di nuovo.
Nei suoi polmoni c’è acqua. Di nuovo.
E questa volta, Nat non lo salverà.
Devono salvarsi da soli.

                                                                                                     ***

L’alba arriva senza che Natalie si sia resa effettivamente conto di quanto tempo sia passato. È sul divano in salotto, la testa appoggiata sul cuscino, un plaid tirato fino al petto. Non è riuscita a chiudere occhio. Quando, ieri notte, si è sdraiata con tutta l’intenzione di provare a dormire, ha iniziato a piangere a dirotto, il cuore le batteva così forte per il nervosismo e l’agitazione dopo la litigata che non è riuscita a calmarlo. Batteva così forte da fare male; così forte da farle mancare il respiro.
Tachicardia.
Gli ha detto che lo odia. Non può credere di averlo fatto. Forse un po’ lo pensa, ma solo perché l’ha ferita, perché l’ha resa vulnerabile, perché così facendo si è sentita persa. E tutto ciò l’ha disorientata: se è bastato che lui se ne andasse per perdersi, quanto può ritenersi forte abbastanza? Può ritenersi effettivamente forte, se non sa nemmeno stare da sola?
Lui se n’è andato e lei si è sentita persa.
Sam è tornato e nonostante avesse notato ci fosse qualcosa di sbagliato, in lui, ha preferito aggrapparsi a lui, piuttosto che affrontare i problemi.
Si rannicchia su se stessa. Sente le lacrime scendere di nuovo, percorrendo il solco che hanno seguito per tutta la durata della notte.
Cosa è diventata? Non si riconosce più.
Si rannicchia ancora di più: vorrebbe diventare così piccola da scomparire.
Ha sbagliato tutto. Non doveva reagire così, non doveva abbandonarsi al dolore, doveva combatterlo. Accettare che Dean se ne fosse andato e affrontare la perdita, discutere con Sam dei suoi problemi e affrontare tutto con la spada sguainata.
Il fatto è che queste cose sono più facili da dire che da fare.
Il fatto è che è facile dire come sarebbe dovuta andare dopo che ormai si è fatto tutto il contrario. Ha incasinato tutto fondamentalmente perché in quel periodo lei stessa era un casino.
C’era Dean che se n’era andato e Sam che era saltato dentro alla Gabbia e questo la faceva morire dentro, ma c’era dell’altro: c’era l’assenza di Jo e di Ellen. Si sentiva così in colpa per la loro morte. Un sacrificio per la squadra, per il bene superiore.
Per il bene superiore lei ha perso una sorella e una madre. Parte della sua famiglia persa perché il Cielo e gli Inferi avevano deciso che era giunto il momento di scatenare l’Apocalisse e coinvolgere tutta l’umanità, coinvolgere i Winchester, Dean l’uomo giusto e Sam il prescelto, il ragazzo prodigio.
Se angeli e demoni avevano così voglia di uccidersi tra loro, potevano farlo benissimo senza coinvolgere l’umanità. Michele e Lucifero potevano trasferirsi chissà dove e uccidersi a vicenda da soli.
Invece no.
La Terra è stato il campo di battaglia e come succede in ogni battaglia che si rispetti, ci sono stati dei caduti. Jo ed Ellen tra questi.
Castiel l’accuserebbe di non essere l’unica ad aver perso dei familiari.
Sono caduti anche i miei fratelli, Natalie. Non dimenticarlo.
L’aveva detto una volta.
Ma lei sente solo il suo di dolore. Lei e Jo erano amiche prima ancora di essere compagne di caccia. Ed Ellen, beh, lei era la donna più dolce del mondo e la trattava come se fosse figlia sua.
Le mancano così tanto che la loro assenza le blocca il respiro, la schiaccia al divano e le fa venire voglia di urlare.
Loro non avrebbero dovuto fare quella fine. Lei avrebbe dovuto salvarle.
Un rumore di passi attira la sua attenzione: si asciuga gli occhi e si sistema a sedere con le gambe incrociate. May compare qualche istante dopo, con il grembiule legato in grembo e un cucchiaio di legno in mano.
“Stavo per preparare la colazione, vuoi venire a darmi una mano, piccola?”
Nat annuisce e si alza dal divano, incamminandosi verso May. Insieme si dirigono in cucina.
“Vuoi preparare le uova strapazzate?”
“Certo May, come preferisci.”
“Almeno finisco la torta ai lamponi, quella che ti piace tanto. È un toccasana per un cuore in subbuglio.” Le sorride.
Nat ricambia, ma il suo sorriso è molto più stretto di quello di May: “Mi dispiace per ieri sera, è stato... inappropriato.”
“No, tesoro, non lo è stato. Discutere per non perdere chi amiamo è il miglior modo per lottare per loro. Chi non litiga non ha interesse a continuare a stare con l’altro, chi litiga, invece, vuole superare gli ostacoli che si sono formati per poter continuare a stare insieme. Le liti servono per abbattere i muri e calpestare le macerie per arrivare a raggiungere chi amiamo. Voler stare con qualcuno dopo che abbiamo scoperto tutti i suoi lati e tutti i suoi scheletri ci fa capire che siamo davvero innamorati.”
Natalie la stringe in un forte abbraccio: “Grazie, May.”
“Non ringraziarmi, piccola. Non sono parole soltanto mie, sai?”
Nat scioglie l’abbraccio per guardare May in viso: “Che vuoi dire?”
“Diciamo che sono più l’elaborazione di May, digli che se non chiariscono torno indietro e li prendo a calci nel sedere, o a schiaffi a due a due fino a che non diventano dispari, a loro la scelta.
Jo.
“Si è messa in contatto con te?” La voce spezzata, le lacrime che hanno ripreso a scendere silenziose sulle guance.
“Si. Sa che ti manca e le manchi molto anche tu. Mi ha detto di dirti che ti vuole bene.”
“Le voglio bene anche io..”
May l’abbraccia forte e Nat si lascia cullare dalla donna: “Lo so, tesoro, e lo sa anche lei.” Inizia ad accarezzarle i capelli e la schiena.
“Sei più forte di quanto credi, Natalie. Non farti sopraffare dai tuoi pensieri che dicono il contrario, pensa invece alle azioni che hai fatto, a quanto hai combattuto nella tua vita. Sei una guerriera. Ciò, però, non vuole dire che non avrai mai attimi di debolezza, o smarrimento. La forza sta nel saperci rialzare dopo essere caduti, non nel non cadere mai.”
Natalie, senza alzare la testa dal petto di May, annuisce contro la sua camicetta, stringendola più forte per trasmetterle la sua gratitudine.
Rimangono strette una all’altra per un po’, fino a che le lacrime di Natalie non si asciugano del tutto. Poi, come se la nuvola di tristezza avesse deciso di concedere un po’ di spazio al sole, Natalie e May continuano a preparare la colazione.
Nel momento esatto in cui May estrae la torta di lamponi da forno, ormai cotta e pronta per essere ricoperta di zucchero a velo, Dean entra in cucina come un uragano: “Sam,” esala, con il fiato corto, “Sam si è svegliato.”













(1) La canzone di cui parla è “Oh Death – Jen Titus” che sicuramente avete riconosciuto, ma volevo specificare lo stesso xD
(2) La canzone in questione è “Un Giudice – Fabrizio De Andrè”
(3) I vari Final Destination. Chiedo scusa a chiunque trovi belli questi film, ma a me proprio non sono piaciuti.
(4) La famosa citazione di Jack Torrence in Shining. Quel film è uno dei miei preferiti e visto che nello show, almeno nelle prime stagioni, era citato un sacco (soprattutto “La casa delle bambole” – 2x11 dove i parallelismi sono evidenti)  volevo inserire un richiamo anche io.
(5) Il film in questione è “The Proof”. Il trio Hopkins – Paltrow- Gyllenhaal mi è piaciuto da morire.

Bando alle ciance, spero il capitolo sia piaciuto e se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
Ringrazio chiunque legga e chi dedica del tempo a recensire, grazie davvero!
Alla prossima (:

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Roscoe24