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Autore: crazy lion    13/05/2016    5 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Questo è un capitolo breve ma, secondo me, intenso. Aggiornamento in anticipo rispetto a quanto mi ero prefissata. Perché? Semplice: prima di fare la pausa degli aggiornamenti fino a settembre (causa esami e viaggio studio in Spagna) ho deciso di pubblicare fino al capitolo 18, per cui oggi posterò anche il 15 e il 16 e le prossime due settimane, sempre di sabato, il 17 e il successivo.
Anche in questo capitolo ho inserito una citazione che trovo molto bella e significativa per la storia. Ne esistono più versioni, io scrivo quella che conosco e che ho spesso sentito dire.
 
 
 
 
Signore, dammi la forza di cambiare le cose che posso cambiare, la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, e l'intelligenza di distinguere tra le due.
(Tommaso Moro)
 
 
 
 
 

CAPITOLO 14.

VIVERE PER GLI ALTRI, NON PER SE STESSI

Era il primo giugno. Quel giorno Andrew si svegliò di buon mattino. Era a casa dal lavoro e aveva programmato di andare a Santa Barbara con degli amici. Si alzò, diede da mangiare ai gatti, fece colazione e, quando ebbe finito, il suo cellulare squillò. Riconobbe subito il numero dell'ospedale e si mise in allarme. Cos'era successo a sua sorella?
"Pronto?" chiese, allarmato.
"Ciao Andrew, sono Kelly. Devi venire qui subito. Carlie ha avuto un arresto cardiaco."
"Sì arrivo" disse e non perse altro tempo nel fare domande alle quali avrebbe trovato risposta in seguito.
Chiamò i suoi amici per far sapere loro che aveva un imprevisto al lavoro e che si trattava di un impegno inderogabile, scusandosi per tutto. Gli rispoero che non c'era alcun problema e che si sarebbero incontrati un'altra volta. Chiuse l'ultima chiamata e corse in garage. Salì in macchina e partì a tutta velocità.
La strada gli sembrò lunghissima. C'era molto traffico, era vero, ma non dovette quasi mai fermarsi per un tempo esagerato. Nonostante questo, pur sapendo che sarebbe arrivato in fretta, più i secondi passavano, più lui iniziava a perdere la pazienza. Sudava, poi sentiva freddo, gli tremavano le mani e gli mancava il fiato. Perché Los Angeles doveva essere così caotica? Suonò il clacson ad un automobilista anche se in realtà era quest'ultimo ad avere la precedenza e infatti gli rispose mandandolo affanculo.
"Ho fretta, che cazzo!" gli urlò poi.
"Anch'io ne ho! Mia sorella è in ospedale e sta per morire!"
"Sì, me lo immagino" gli rispose quello, ironico. "Sarà sicuramente la solita balla che racconta a tutti quelli che le sono davanti e che secondo lei hanno torto."
"Non è una bugia, è la verità. Mi hanno appena chiamato dall'ospedale."
"Non ci credo nemmeno se lo vedo. Vada affanculo!"
"Anche lei; e lo usi pure, il suo cazzo. Spero che a letto sia più bravo che con le parole."
"Cosa? Come si permette?"
La macchina dell'automobilista gli si affiancò. Dovevano alzare molto la voce per sentirsi e i conducenti dietro di loro suonavano per passare, ma ai due non importava. La situazione si stava mettendo male, Andrew lo capiva bene, ma non aveva voglia né di rispondere, né di scusarsi con quel tipo. Era sempre stata una persona educata, ma visto che questi non era stato comprensivo con lui, perché Andrew avrebbe dovuto scusarsi? La sua coscienza, a ragione, gli disse che avrebbe dovuto farlo per rispetto e, se ne avesse avuto il tempo, l'avrebbe fatto. Si vergognava molto di ciò che aveva appena detto, ma vista la situazione, non aveva tempo.
"Mi scusi" disse alla fine e poi sgommò, correndo via veloce.
Arrivò in ospedale in un battibaleno e si precipitò in camera di sua sorella, entrando senza bussare. Con Carlie c'erano il dottore che la seguiva e Kelly, l'infermiera che Andrew incontrava ogni giorno quando andava lì.
"Com'è successo?" chiese, senza salutarli e con le lacrime agli occhi.
Il monitor aveva ripreso il suo regolare bip bip, quindi l'avevano salvata, ma lui voleva sapere.
"All'improvviso" disse il medico. "Stavamo facendo il giro dei pazienti e siamo passati a controllarla. Il battito cardiaco era più forte, come se fosse riuscita a sentire un rumore o comunque qualcosa che l'ha spaventata, o se le mancasse la tua presenza, Andrew. Ti ricordi ciò che ti ho detto, no?"
"Certo, Jim."
Ormai conosceva abbastanza bene Jim e Kelly per poter dare loro del tu. Poco dopo che Carlie era entrata in coma, nel 2015, il dottore aveva spiegato ad Andrew che, se sul monitor compariva una linea verde, significava che la paziente avvertiva la sua presenza e che questo era un buon segno.
"Potrebbe anche stringerti la mano" gli aveva detto. "Non si sa mai. A volte i pazienti hanno delle reazioni che nemmeno noi ci aspettiamo. Non perdere la speranza."
Andrew ricordava quel lungo periodo. Cinque anni prima aveva perso i suoi genitori e si era ritrovato a doversi prendere cura da solo di Carlie. Lei aveva vent'anni, lui ventisei. Non era diventato il suo tutore legale, né l'aveva presa in affidamento, in quanto secondo lo Stato della California, la maggiore età si raggiunge a diciotto anni. Avevano semplicemente continuato a vivere insieme come prima e, parlandone, avevano deciso di cambiare casa pur tenendo quella dei loro genitori. Quel luogo era troppo pieno di ricordi e viverci per loro era davvero difficile. In ogni stanza respiravano troppo dolore ed era stato impossibile da sopportare. In quel periodo Demi li aveva aiutati molto ascoltandoli e poi avevadato loro una mano per il trasloco. Lei e Carlie non si erano conosciute un granché, ma la ragazza aveva detto ad Andrew che parlare con una donna di quanto successo l'aveva fatta sentire capita. Ad Andrew non era pesato occuparsi della sorella, anzi, ma entrambi avevano perso i genitori, lei era molto giovane, ne aveva sofferto tantissimo e non era stato semplice aiutarla. All'inizio Carlie si era chiusa in se stessa, ma pian piano, grazie all'affetto di Andrew, era riuscita ad aprirsi, a parlare con lui del suo dolore e a condividerlo, ad ascoltare anche ciò che il fratello provava e a consolarlo. Lui lavorava già e lei studiava al college. Il dolore era rimasto dentro di loro, ma pian piano si era affievolito. Nel 2015 Carlie aveva trovato finalmente qualcosa che la entusiasmava, che le aveva ridato l'allegria e la vitalità di un tempo, che da tanto aveva perduto. Tutto sembrava essere tornato quasi normale, fino a quel tragico incidente. Tre anni dopo la morte dei suoi genitori, Andrew si era reso conto che rischiava di perdere anche lei. Oggi c'era, ma chi poteva dire che il giorno dopo sarebbe stato lo stesso? Nessuno. La sua vita, come quella di tutti i credenti del resto, era nelle mani di Dio. Solo lui sapeva quale sarebbe stato il destino di Carlie. Andrew era sempre stato credente. I suoi genitori l'avevano cresciuto come cattolico e lui aveva sempre avuto una fede abbastanza forte. A dispetto di quanto si sarebbe aspettato, dopo la morte dei suoi genitori e dell'entrata in coma della sorella, non aveva perso la fede. Credeva che sarebbe stato arrabbiato con Dio, che sarebbe addirittura arrivato ad odiarlo, invece col tempo si era reso conto che la preghiera lo aiutava a sentirsi meglio, a tranquillizzarsi e a trovare la forza per continuare a vivere, nonostante le mille difficoltà di ogni giorno. Sapeva, però, che pur essendo credente, la fede non fa sentire meno il dolore. Consola, sì, ma la sofferenza rimane.
"Siamo riusciti a farle ripartire il cuore in breve tempo, per fortuna" disse Kelly, facendolo riemergere improvvisamente da quel mare di pensieri. "Noi usciamo, Andrew. Non stare qui più di un'ora. Carlie oggi ha bisogno di tranquillità."
"D'accordo, grazie di tutto ad entrambi."
Sorrise loro e li guardò uscire, poi si sedette accanto alla sorella ed iniziò a parlarle:
"Carlie, sorellina… Ti prego, svegliati! Apri gli occhi, torna da me! Io sono qui che ti aspetto e lo farò ogni giorno della mia vita. Sono anni che ti vedo qui immobile, sdraiata su questo letto e ogni volta mi sento morire dentro."
Ascoltò il monitor con il suo solito bip bip. Era monotono. Ormai ci si era così abituato che a volte non ci faceva più caso. Mise una mano sotto le coperte e prese delicatamente quella della sorella. Era liscia, con le dita corte e un po' piccola, ma molto carina. Ricordava che quand'era piccola, Carlie era una bambina paffuta e molto divertente.
"Quando sei nata, io ero il fratello più felice del mondo. Vorrei che mamma e papà fossero qui per aiutarmi, per sostenere tutti e due. Forse, avendo loro vicino, riusciresti a svegliarti."
I suoi, però, non c'erano più: erano morti tragicamente nel 2012. Mio Dio, quanti anni erano passati! Perché, allora, ogni tanto gli sembrava che fossero trascorsi solo pochi minuti? I suoi gli mancavano molto, ma in modo diverso. Ora riusciva a ricordarli con il sorriso e non più con le lacrime agli occhi. Cosa sarebbe successo con Carlie? Si sarebbe svegliata o no? Lui sperava in un sì, ma sapeva che, se questo fosse accaduto, le ci sarebbe voluto molto tempo per riprendersi. Lei era sempre stata una ragazza forte e ci sarebbe riuscita, di questo era più che sicuro. Lui aveva ancora speranza e si augurava che questa sarebbe rimasta sempre nel suo cuore. I medici, però, non erano della stessa opinione e questo lo scoraggiava. Sospirò, cercando di non pensare a cose tristi per non farle capire che stava male. Doveva essere positivo, per quanto possibile. Iniziò a raccontarle qualche favola di quando erano bambini, oppure a parlarle di vecchi ricordi, come la loro stupenda vacanza a Londra.
"Da piccola eri bellissima, Carlie. Mi ricordo, sai, il giorno nel quale sei nata. Ero dalla nonna a giocare, la mamma e il papà erano in ospedale. Ad un certo punto è suonato il telefono e la nonna è andata a rispondere. Dopo un po' mi ha detto che era per me ed io, stupito, ho chiesto chi era. Mi ha risposto papà che mi ha detto che eri nata tu. Io avevo deciso il tuo nome. Se fossi stato un maschio, ti avrei chiamato Stuart. Quando la mamma era incinta immaginavo che avrei giocato con te tutto il tempo una volta nata. Se fossi stato un maschio avremmo giocato a pallone o alla play station. Dato che, però, eri femmina, ti ho insegnato ad andare in bicicletta e a giocare a carte e tu mi obbligavi a fare mamma-casetta e a divertirmi con le tue bambole, ti ricordi? Per me non era una gran cosa, ma per te avrei fatto di tutto, per cui accettavo senza problemi. La prima volta che ti ho presa in braccio avevi un giorno ed eri la creatura più minuscola che avessi mai visto. Avevo sei anni e mi sentivo un gigante in confronto a te. Allora ho capito che avrei dovuto proteggerti ed è quello che credo di aver sempre fatto, almeno fino a quando hai avuto quell'incidente che ti ha rovinato la vita."
Lei aveva solo ventiquattro anni. Ne avrebbe compiuti venticinque a settembre. Aveva la stessa età di Demi. Una ventiquattrenne non poteva finire così, non era giusto che rischiasse di morire. Avrebbe dovuto esserci lui lì, su quel letto. Aveva trentun'anni, una parte della sua vita l'aveva vissuta, lei no, era ancora giovane.
Portò la mano al viso della sorella e le accarezzò delicatamente le guance per sentirne il calore e la morbidezza.
"Non so per quanto ancora ce la farò, Carlie. Mi sembra quasi impossibile, a volte, vivere senza di te. Non so più se sto vivendo, in realtà. Forse sto solo sopravvivendo e sto vivendo per gli altri e non per me stesso. Non trovo più un motivo per vivere. Vado avanti per gli altri, per Demi in particolare, per la quale darei la mia vita, ma non riesco a vivere per me stesso. Senza di te, Carlie, non trovo un senso da dare a questa vita. Certe volte mi alzo la mattina e mi chiedo perché lo sto facendo e che senso ha vivere la giornata che mi aspetta e, quando vado a letto, mi addormento con le stesse domande e nessuna risposta. Il mio lavoro mi soddisfa, l'amicizia con Demi è la più bella e la più importante che ho, ma tutto questo non basta a riempire il vuoto e a placare il dolore che sento dentro di me. Mi manchi troppo, sorellina! Mi mancano la tua voce e la tua allegria. Torna da me!"
Non era un desiderio, né una preghiera, bensì una supplica. Non le aveva mai chiesto di tornare con tutto l'ardore che aveva tirato fuori dicendole quelle parole e non aveva mai confessato a nessuno, se non a lei, quello che provava davvero. Nemmeno con Demi era capace di parlare del fatto che la sua vita gli sembrava vuota e senza significato. Non voleva farla preoccupare. Lei ora stava meglio ed Andrew non voleva che si rattristasse per lui. Se le avesse raccontato tutto, si domandava come Demi avrebbe reagito sapendo quelle cose. Era meglio non farle sentire quei discorsi cupi.
"Sai, Carlie, oggi c'è un bel sole!" esclamò poco dopo, per cambiare discorso e cercare di rallegrarsi. "Dirò alle infermiere di pulire le finestre, così tutta la luce entrerà e forse, in qualche modo, potrai vederla anche tu, magari nei tuoi sogni."
Il fratello rimase con lei per qualche altro minuto, poi la salutò dandole un grande bacio sulla fronte e, dopo averle raccomandato di guarire presto e averle ricordato che era sempre nei suoi pensieri,
uscì.
Una volta fuori dall'ospedale si sentì spossato, come sempre quando lasciava Carlie. Vederla in quelle condizioni era ogni volta più dura e lui non riusciva ad accettarlo. Sapeva, però, che molto probabilmente quella situazione non sarebbe mai cambiata, anzi, semmai avrebbe solo potuto peggiorare. Era questo che Andrew avrebbe voluto fare: accettare ciò che non era possibile cambiare, ma era più facile a dirsi che a farsi e si domandava se mai ci sarebbe riuscito. Era passato molto tempo da quando sua sorella era finita in coma e in lui non c'era il benché minimo segno di accettazione della situazione. Se lei fosse morta, pensò, forse sarebbe arrivato a togliersi la vita, ma fu un pensiero che durò solo un attimo. No, non avrebbe potuto fare questo, né a se stesso, né a Demi e nemmeno a Carlie. Si disse che non poteva far altro che aspettare di scoprire quel che la vita gli avrebbe riservato. L'unica cosa che sapeva per certo e che aveva detto anche alla sorella, era che da un anno e mezzo a quella parte la sua non era più una vera vita. Sopravviveva, andava avanti per coloro ai quali voleva bene, mettendoli davanti a tutto. Sorrideva, si faceva vedere sempre allegro anche se in realtà non era felice. Di lui non si occupava più di tanto. Non andava in vacanza da tempo immemore, lavorava anche a casa (a volte all'insaputa del suo capo) e cercava di fare più straordinari possibili. Tutto questo, nonostante lo stancasse, lo aiutava a pensare meno. Sapeva che era sbagliato, che così si sarebbe rovinato la salute e che non era giusto vivere solo per gli altri, ma non riusciva a comportarsi diversamente, almeno per il momento. Avrebbe voluto trovare il coraggio di modificare le cose che nella sua vita non andavano bene, ma non poteva, perché non era possibile tornare indietro: Carlie era in coma e lui era impotente.
   
 
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