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Autore: Mayth    16/05/2016    1 recensioni
Erik Magnus Lehnsherr è assolutamente certo di essere il miglior incidente che possa accadere a qualunque essere umano sulla faccia della terra. Charles ha un ego tanto grande da poter rivaleggiare, ma la sua esasperazione non ha eguali.
Genere: Demenziale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Dottor Henry 'Hank' McCoy/Bestia, Erik Lehnsherr/Magneto, Raven Darkholme/Mystica, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Erik Magnus Lehnsherr è assolutamente certo di essere il miglior incidente che possa accadere a qualunque essere umano sulla faccia della terra. Charles ha un ego tanto grande da poter rivaleggiare, ma la sua esasperazione non ha eguali.
[ cherik; from friendship to love; sorry not sorry ]

 
*
 
Level 1: what the fuck are you doing.
 
Ci sono quel genere di persone, a questo mondo, che molto diligentemente si scelgono i propri amici, e altrettanto diligentemente allontanano chi su quel nome si fa una grossa risata — vuoi per errore, vuoi perché posseggono un’insensata necessità di autodistruzione intrinseca nel DNA, — comunque non ha importanza, queste persone portano rispetto verso se stesse e non permettono a nessuno di rovinare la loro boriosa quotidianità. E poi c’è Charles Francis Xavier. Alle tre del mattino o poco più, con ancora la camicia del pigiama a righe blu e bianche sotto una felpa troppo larga di Cambridge, un paio di pantaloni sgualciti – trovati al momento nell’armadio – e le scarpe non allacciate, che corre a perdifiato lungo le vie trafficate di New York e impreca mentalmente, tanto che nella tomba sua madre si starà rigirando su se stessa in preda ad una disperazione tale da trascendere le linee del mondo dei morti con quelle dei vivi. C’è Charles, che di amicizia ne coltiva una soltanto ed è probabilmente la peggiore che si sia mai vista sulla faccia dell’universo. Credetegli, lui e il suo migliore amico sono come cane e gatto, e non si parla di quelle coppie di cagnolini e gattini che si appisolano l’uno al fianco dell’altro e si leccano a vicenda il pelo sudicio; no, si parla di quelle coppie di maledetti diavoli che mettono a soqquadro l’intero quartiere rincorrendosi per ore – e si dice ore intendendo settimane di lunghi litigi e sedie lanciate contro un muro – per finire in seguito senza più aria in corpo e con l’ultima, inevitabile opzione di dover sventolare per il momento bandiera bianca. Per il momento. Quella è la parola magica.
 
Non equivocate. Se Charles lo ha chiamato migliore amico una buona ragione ci sarà. Se gli permette di entrare in casa sua indisturbato, di mangiare il cibo che tiene nel frigorifero, di prendere tutti i DVD che desidera e di sprofondare quel suo maledetto culo che si ritrova sul suo divano per settimane, una buonissima ragione ci sarà. Solo che a questa buona ragione talvolta piace giocare a nascondino e in situazioni come queste, in cui corre per le strade sicuro che l’indomani morirà di broncopolmonite nei migliori dei casi, ecco, è in queste situazioni che Charles vorrebbe rivalutare le sue scelte di vita e cancellare un certo Erik Magnus Lehnsherr dai suoi imprevisti divenuti consuetudine.
 
Si lancia sulla destra per superare il retro di un ristorante cinese dalle insegne funzionanti per metà e sbuca dal lato opposto dove un drappo di macchine della polizia sosta di fronte ad un pub. Vede Erik accartocciare la fronte e fulminare con lo sguardo un tizio in uniforme. Se fosse una di quelle persone tanto intelligenti, Charles girerebbe i tacchi e se ne tornerebbe a casa, in pace nel suo letto, protetto dal calore delle lenzuola al sapore di lavanda. Purtroppo vede il suo corpo avanzare nonostante le proteste, e una volta che Erik alza lo sguardo sa che il sogno di ritornare fra quattro mura e sotto un tetto è decisamente un’utopia. Ruota gli occhi. Erik osserva le sue falconate con aria di sfida.
 
“Che diamine hai fatto questa volta?”
 
Dice questa volta perché dovete conoscere un particolare piuttosto rilevante di Erik Magnus Lehnsherr. Erik Magnus Lehnsherr è il re indiscusso del ficcarsi nei casini, e non si parla di sfiga, no, lui se li va proprio a cercare, con insistenza quasi, e se non ne trova se li fabbrica da sé. Una volta rivelò a Charles che questa sua attitudine aveva tutto a che fare con l’adrenalina, necessitava di spaccare cose, nasi di persone, vetrine di negozi; e quando ciò non bastava allora si sfogava con lui. Forse è per questo che Erik non considera la loro amicizia un’amicizia, bensì un’inimicizia. Uno la nemesi dell’altro. Eppure una nemesi non si presenterebbe alle tre del mattino per passare sottobanco qualche banconota da cento ai poliziotti e fare in modo che la sua nemesi non trascorra in prigione la notte. Un’altra volta. Ma cosa dovrebbe saperne Charles di amicizia? O di avere una nemesi, davvero.
 
“Che tu mi creda o no, Charles, e punto tutti i miei risparmi sulla seconda opzione, non ho incominciato io questa volta.”
 
“Sì, ma che diamine hai fatto?”
 
Lo prende per una manica e lo trascina lontano dal pub. Il proprietario sta con le braccia piegate al petto di fronte all’entrata e li guarda come i ratti della società che in quel momento sono. Charles alza una mano per salutarlo, il vecchio Billy, ma lui digrigna i denti e gli gira le spalle per poi entrare in quella bettola che chiama bar. Non vale mezza cicca come persona, si dice, non è una perdita sostanziale.
 
Al suo fianco, Erik riacquista un volto neutrale. Solleva le spalle e abbassa gli angoli della bocca, come per dire: “Neanche me lo ricordo più, perciò non ha importanza.”
 
Charles insiste con un’occhiataccia muta alla Xavier. Tranquilli, imparerete a conoscere i suoi effetti immediati.
 
“Mi ha chiamato mutante,” risponde allora Erik. “E parlando di te ti ha chiamato gay.”
 
“Ma Erik-” il suo sguardo si fa vacuo, “tu sei un mutante. E io sono gay.”
 
“Lo so. Non mi piaceva il tono con cui lo aveva detto.”
 
È un po’ questo che dovete capire di Erik. Prende tutto come una sfida. Charles è quasi certo che la scazzottata avrebbe potuto risolversi con una buona chiacchierata e una stretta di mano, ma per Erik non ci sono vie di mezzo. O è nero o è bianco. Le pedine grigie stanno solo nella fantasia.
 
Ah, ma bisogna rivelare un dettaglio estremamente fondamentale, vitale, quasi: Charles ed Erik sono mutanti. Charles, Erik e qualche altra manciata di miliardi di persone sono mutanti.
 
A un certo punto della loro vita un gene X ha visto bene di attivarsi ed ora eccoci qui, Charles telepate ed Erik il Master of Magnetism, come molto poco egocentricamente si è rinominato. Insomma, governa le leggi fondamentali dell’elettromagnetismo, e per le persone che non hanno afferrato, beh, muove il metallo.  Ma non cercate mai di spiegare i suoi poteri così, s’incazza come un toro da corrida.
 
Continuando a seguire questo flusso di pensieri sull’essenzialità delle loro persone, Charles dirige Erik verso le scale della metropolitana. Lui fischietta una di quelle sue canzoni heavy metal che ascolta sempre a volumi inimmaginabili con l’I-pod, cammina a tempo di musica e dondola di qua e di là il capo, noncurante dell’esasperazione che Charles prova nei suoi confronti per averlo chiamato alle tre maledette ore del mattino e con una voce piatta e funzionale avergli detto: “Mi vogliono mettere in prigione”.
 
Ditegli poi se il desiderio di trasferirsi su Marte di Charles non è del tutto legittimo.
 
“Pensa,” dice Charles mentre ignora lui che lo ignora. “Quando sarò vecchio potrò ridere su queste situazioni e più precisamente su di te. Mi dirò: oh sì Lehnsherr, ah-ah, me lo ricordo bene. È da tempo che la mia vita tranquilla e monotonamente pacifica non viene interrotta da arresti, accuse di vandalismo o poliziotti sullo stipite della porta che mi chiedono non garbatamente se sto nascondendo il fuggitivo Erik Lehnsherr nella camera degli ospiti.
 
“Quella volta non mentisti. Non ero nascosto nella camera degli ospiti ma in camera tua.”
 
“Non è questo il punto-” si passa umano sul volto, poi fra i capelli. Esasperazione, vi dico io, ma quello che Charles prova ogni qualvolta che viene confrontato con le cazzate che Erik mette in atto è di tutto un altro livello. Non lo hanno ancora inventato il vocabolo che spieghi alla perfezione l’irritazione, la rabbia, lo sconforto, la tristezza, l’amarezza, la consapevolezza che nulla cambierà perché tanto lo perdonerà sempre e lo sdegno che prova. “È notte inoltrata, domani ho l’università, potresti anche chiedere scusa.”
 
Erik lo guarda, alza gli angoli della bocca, alza le mani e dice: “Scusa”.
 
Beffa, signori e signore, è il suo terzo nome.
 
*
 
Alle proteste di Erik di voler tornare nel suo appartamento Charles non risponde. Lui lo segue, avendo bevuto pinte di birra a partire dalle dieci di sera quel poco di cervello rimastogli conviene con lui che tornare a casa da soli è del tutto fuori luogo. Arrivati al palazzo dove alloggia Charles lo guarda traballare sugli scalini d’entrata per poi richiamare con un gesto volativo della mano l’ascensore. Mentalmente Charles lo ringrazia per far funzionare le cose ad un ritmo molto più veloce, di fronte a lui però continua a sfoggiare un’aria annoiata. Erik è quell’essere tanto intelligente da non biascicare discorsi da ubriachi, appoggia la testa sulla superficie fredda dell’abitacolo e lascia che il movimento metallico dell’ascensore lo culli fino a destinazione. Charles s’insinua fra le pieghe della sua mente e fa altrettanto. Una volta arrivati al piano prestabilito lo prende sottobraccio e lo trasporta, finché entrambi non raggiungono il divano.
 
“Smaltisci qua la sbornia. Il bicchiere di acqua e la pastiglia per la testa sono sul comodino alla tua destra, non vomitare sulla moquette ma corri in bagno e cerca di non fare rumore, voglio dormire”.
 
Non fa neanche in tempo a voltarsi, che Erik già russa, la bocca aperta e un rivolo di saliva che gli scende sul mento. Disgustato, Charles storce il naso.
 
C’è una parte di Erik che tutti conoscono, ed è la parte regale che mostra ad ognuno indiscriminatamente e che manifesta in lui il leader mutante della sua generazione. Poi ci sono i rimasugli di personalità, quella vera, quella che compare una volta arrivato a casa e che sai ti rappresenta davvero, quella che fuoriesce quando sei da solo o con persone che non ti giudicheranno, tanto poco perfette anche loro, e che dimostra un lato di te del tutto umano. Ad Erik piace cucinare, piace leggere, piace il fuoco che scoppietta nel camino, gli piacciono i film di Gorge Clooney e i popcorn molto salati. Passa le domenica a guardare i documentari registrati della National Geographic e gli occhi dei pesci morti gli fanno impressione.
 
Charles sa tutto questo, e probabilmente è l’unico al mondo.  
 
*
 
L’indomani mattina si sveglia con un macigno di spossatezza che gli pesa sulle spalle. Dalla stanza affianco sente che qualcosa sta andando sui fornelli. Forse è il suo cervello ad andare sui fornelli. Quando si alza e attraversa il salotto per arrivare in cucina Erik è più o meno sulla sua stessa lunghezza d’onda. Ha fatto il caffè e i pancake. Cerca di togliersi dalla bocca il saporaccio causato dai postumi col super amaro e il super dolce. Charles lo guarda apparecchiare la tavola, vede le sue occhiaie e sorride fra sé e sé, si avvicina e si siede, per nulla incline ad aiutare. Erik gli lancia uno dei suoi sguardi semi infuriati ma che in realtà non vogliono dire proprio nulla quando si tratta di Charles. Lui gli apostrofa un grazie con le labbra e si versa una copiosa quantità di caffè nella tazza. E, oh, è la sua tazza preferita, quella che quando ci versi qualcosa di caldo la batteria disegnata sulla superficie si carica.  
 
“Come funziona la testa?” chiede quando anche i pancake arrivano ad ornare la tavola.
 
Erik lo guarda.
 
Erik alza un sopracciglio e lo guarda.
 
“Non ti aiuterò a farlo passare coi miei poteri. Questa è la tua punizione.”
 
Erik continua a guardarlo.
 
“Chi rompe paga,” dice. “Hai voluto la bicicletta e ora pedala.”
 
“Se vuoi mi metto a rompere cose in casa tua e a farmi un giro in bicicletta nel tuo salotto.”
 
Ecco, ragione numero mille e cinque sul perché non si dovrebbe essere amici di Erik: il. Suo. Maledetto. Sarcasmo.
 
“Puoi restare qua fin quanto desideri, una regola: non disturbare i vicini.”
 
Erik si limita a sbuffare e andare in bagno. Charles mangia con gusto la sua colazione e mentalmente ripassa la lezione scorsa sull’ingegneria genetica. Si appunta di dover comprare il giornale non appena uscito e di comprare i sacchi della spazzatura una volta tornato dall’università. La sua lista to do s’interrompe, con suo nervosismo, a causa dei bip insistenti che Erik riceve sul cellulare abbandonato affianco al piatto.
 
Allunga la mano e lo afferra. Non perché generalmente gl’interessi farsi gli affari suoi, anzi, onestamente preserverebbe meglio la sua sanità se di Erik conoscesse il meno possibile, tuttavia la curiosità è una brutta bestia. Ed è la sua bestia.
 
Quando Charles raccontava di non avere amici se non Erik, sottintendeva che anche Erik non avesse amici se non Charles. Nessuno scrive ad Erik. Nessuno vuole uscire con Erik. Ci sono persone che lo rispettano, ma nessuna persona sana di mente intratterrebbe con lui un qualsivoglia rapporto stretto. Tranne Charles, s’intende. Quindi nessuno mai gli scrive. E nessuno gli scriverebbe, soprattutto al mattino.
 
Tranne, a quanto pare, una persona.
 
Tranne, l’ultima persona al mondo che Charles vorrebbe scrivesse ad Erik.
 
Tranne lei.
 
“Erik…” dice nel sentirlo tornare dal bagno. Erik non arriva fino al tavolo, si ferma a qualche metro di distanza dalla sua schiena. “Erik.” Ripete nuovamente.
 
“Cosa fai col mio telefono in mano.” Soffia lui fra i denti.
 
Charles si gira di scatto, legge: “Come si è concluso il tuo geniale piano di ieri sera? Se non mi rispondi sei stato arrestato, se mi rispondi suppongo che Charles ti abbia nuovamente salvato il culo. – Raven.” Fa un attimo di pausa.
 
Inspira.
 
Espira.
 
Chiede: “Raven?”
 
Erik si allunga e gli sfila il telefono di mano. Non sblocca lo schermo, non risponde al messaggio. Lo fissa semplicemente negli occhi attendendo qualcosa – qualcosa che neanche Charles sa.
 
“Raven.” Ripete. La rabbia tangibile.
 
“Raven,” dice lui con calma. “Tua sorella.”
 
“Mia sorella?”
 
“Non fare l’idiota, Charles. Ti si addice solo per metà.”
 
“Da quanto tempo? No, aspetta, conoscendoti da sempre. Sono sei mesi che non parlo con mia sorella, sono sei mesi che mi sveglio col groppo in gola al pensiero di lei partita con nulla in mano, niente soldi, nessuna possibilità. Ha lasciato la scuola e se ne è andata. E io, preoccupato, la chiamo invano, la cerco invano, senza sapere che tu – tu, Erik – messaggi con lei da mesi!” non gli interessa di avere il volto rosso, gli occhi lucidi, punta un dito contro il petto di Erik e grida: “Dammi il suo numero di telefono, ora.
 
“No.”
 
“No?”
 
“Mi ha fatto promettere di non dartelo.”
 
“È mia sorella-” sibila Charles.
 
“Sarà,” alza le spalle Erik, “Non significa che sia di tua proprietà.”
 
“Potrebbe essere ovunque. Con chiunque. Dio, Erik, non riesci a vedere la gravità delle sue azioni? Lei è una mia responsabilità.”
 
“Ne parli come se fosse un dovere, uno dei tanti lavori che devi assolvere,” Charles lo vede fare un lungo sospiro e vorrebbe lanciargli i suoi stramaledetti pancake dritti in faccia, ma si ferma. Lo ascolta. “Senti,” continua Erik. “Lei sta bene. Me ne sono accertato. È fantastica, proprio come dicevi tu. Se la sa cavare da sola e sta vivendo la sua vita. Cerca di essere comprensivo.”
 
“Comprensivo,” lo sbertuccia Charles. Erik continua a guardarlo dall’alto in basso.
 
“Sai che non ti permetterò di contattarla. Fattene una ragione.”
 
Si guardano negli occhi per un’infinità di secondi, l’uno lo specchio della rabbia dell’altro. Charles alza un braccio e poi gli indica la porta d’uscita.
 
“Vattene.” È l’ultima cosa che pronuncia prima di barricarsi in camera e aspettare di sentire la porta dell’appartamento chiudersi alle spalle di Erik.
 
*
 
Erik Magnus Lehnsherr è la cosa peggiore che potesse mai essere capitata a Charles Francis Xavier.
  
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