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Autore: Himenoshirotsuki    16/05/2016    2 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 3 - The Ancient

 
 
Alan e gli altri arrivarono a Chasterm all'alba, giusto qualche ora prima che si mettesse a piovere. La luce delicata del sole era celata dietro le nubi temporalesche e presto un’acquerugiola uniforme e fastidiosa aveva cominciato a picchiettare sui tetti delle case. Quelle a est apparivano quasi spettrali e l’assenza del solito, caotico via vai che caratterizzava la città non faceva altro che accentuare la sensazione di abbandono. Durante il tragitto incontrarono qualche operaio diretto in fabbrica, ma erano ben pochi coloro che avevano la forza di alzare lo sguardo dal marciapiede, sebbene la presenza di Maxwell e Rachel non passasse esattamente inosservata.
“Siamo fortunati. Se non fosse così presto, scapperebbero urlando.”
Girarono a destra, inoltrandosi in una viuzza secondaria a malapena illuminata dai lampioni e dalle insegne dei locali. O meglio, Maxwell girò e gli altri si limitarono a seguirlo, visto che si era autonominato loro guida. Quando Rachel gli aveva fatto notare che non ne avevano bisogno, l’ex-Slayer l’aveva rimbrottata con un mezzo sorriso, per poi mettersi in testa al gruppo sedando sul nascere ulteriori discussioni. Né Alan né Gabriel avevano aperto bocca. L’importante, in fondo, era andare avanti e non contava chi voleva giocare a fare il capo.
Di tanto in tanto ad Alan capitava di incrociare lo sguardo del suo vecchio maestro, ma era questione di qualche istante e subito tornavano ognuno a trincerarsi dietro i propri pensieri.
Con un sospiro, Alan si strinse nel soprabito e mosse le dita intirizzite dal freddo nelle tasche. Sfiorò il profilo del quarzo, ancora tiepido. Evidentemente Frejie aveva cercato di contattarlo a lungo, visto che quando lo aveva tirato fuori poco prima si era quasi bruciato la mano. Chissà cosa aveva voluto dirgli di tanto urgente.
- Odio questo tempo. - borbottò a un certo punto Gabriel, tanto per interrompere quel silenzio snervante.
- Concordo, ma non viviamo di certo in un paese conosciuto per il sole. - rispose Maxwell.
- L’inverno è veramente gelido quest’anno. Nelle contee di Illyon, Chart e Kyonin persino il Belriad è ghiacciato e il commercio via fiume è quasi completamente sospeso. -
- Questo perché quegli arroganti degli Elfi del Giorno si rifiutano di usare la magia per scioglierlo. La solita storia ogni anno. -
- E dire che la maggior parte delle persone comuni li reputano degli ottimi mercanti. -
Maxwell gli lanciò un’occhiata obliqua: - Tu sei tra questi? -
- N-no! Mica sono una persona comune, io! -
Alan inarcò un sopracciglio.
“Giustappunto, sei un pazzo che ha come fidanzata un fantasma.”
Come se avesse udito i suoi pensieri, Maxwell scoppiò a ridere di gusto.
- Scommetto che sei uno di quelli che pensa che i ghiacci dei monti Vallar non si sciolgono mai e che nella valle di Unein c’è sempre la neve. -
- Non sono così stupido! - protestò Gabriel, - Neppure Meredith, che non è mai uscita da Chasterm, sa che sono solo dicerie da ciarlatani, nevvero? -
- Ah, non lo so, io non parlo con i fantasmi. -
- La signorina vi chiede di smettere. Le vostre voci e le vostre chiacchiere la infastidiscono peggio di questa pioggerella. - intervenne Sebastian.
Maxwell schioccò la lingua e sistemò l’ascia che portava sulla schiena, la stessa sfregiata compagna di battaglia di quando era ancora uno Slayer.
- Tu non cambi proprio mai, Rachel. -
- La signorina è un mezzo vampiro. La sua specie, per quanto abbia una parte mortale, è immune allo scorrere del tempo, quindi esula dal concetto stesso di cambiamento. -
Il Lycan aprì la bocca per ribattere, poi scosse la testa e ci rinunciò. Sapeva che insistere sarebbe stato inutile.
Alan spostò la sua attenzione sulla cacciatrice. Camminava poco dietro il suo vecchio maestro, con le braccia lungo i fianchi, lo sguardo perso nel vuoto e il viso inespressivo di sempre. L’unico indizio che gli faceva pensare che c’era qualcosa di diverso era il fatto che fin da quando avevano lasciato il castello era sempre stato Sebastian a parlare al suo posto. Negli ultimi tempi era diventata più loquace, pur senza esagerare, ma adesso pareva essere precipitata di nuovo nel suo irritante mutismo. C’era qualcosa di forzato nella sua camminata marziale, una rigidità che spesso, durante il viaggio, le aveva fatto aumentare il passo fino quasi a lasciarli indietro.
Sentendosi osservata, sbirciò alle proprie spalle, ma Alan era già tornato a guardare altrove.
La pioggia non accennava a diminuire. In alcuni momenti sembrava stesse per smettere, ma poi riprendeva, più insistente e fastidiosa di prima. Passarono davanti al Museo dell’Arte e della Scienza, un palazzo basso e squadrato attorno al quale si stava già ammassando una folla pronta a comprare i biglietti per entrare. Sulla bacheca era stato affisso un ormai fradicio cartellone che annunciava “Da Azhaara I a Khariya dar’Sheeda: arte e storia dell’impero delle donne”.
- Aprono così presto? - domandò Alan.
- No, ovviamente. Penso sia per la mostra in corso. - rispose subito Maxwell.
- È la prima volta che il museo ospita una mostra sul Primo continente. Devo assolutamente procurarmi i soldi per andarci prima che finiscano. - disse Gabriel, gli occhi che brillavano per l'emozione.
- Sì, quando ci saremo separati potrai fare tutto quello che vuoi. Ora muoviti, mi si stanno bagnando persino le mutande. - mugugnò Alan.
Quando giunsero alla gilda dei tecnomanti erano ormai bagnati fradici, ma, visto che non avevano mai avuto intenzione di passare dall’entrata principale, nessuno udì tutti gli improperi che uscirono prima dalla bocca di Alan e, subito dopo, da quella di Gabriel, che era scivolato in una pozzanghera sporcandosi ulteriormente.
Il cacciatore fu ben felice di non dover passare dall’ingresso principale, in primo luogo perché in quello stato pietoso avrebbero avuto un po’ troppi occhi addosso e, in secondo luogo, l’idea di incontrare di nuovo Qayin gli faceva prudere le mani e venire i brividi. Malgrado l’esperienza gli avesse insegnato che non era una mossa intelligente attaccar briga con un vampiro, era a dir poco frustrante non potergli dare una lezione.
Al contrario di quello che si aspettava, però, i due vampiri dinnanzi alla porta sul retro li fecero passare senza battere ciglio. In un primo momento, mentre saliva le scale per andare al piano superiore, Alan si domandò il motivo di tale comportamento, per poi imprecare sottovoce quando si ricordò che i Primiginei vampiri potevano captare la presenza e l’odore della loro preda anche a un miglio di distanza.
Seguirono altre rampe e un paio di corridoi, tutti più o meno deserti, abitati al massimo da qualche acaro vagante. Rachel affiancava Maxwell, mentre Gabriel camminava accanto ad Alan, fermandosi ogni quattro passi per rimirare un quadro, un vaso antico, il mobiletto intagliato nel faggio che, per Shamar, doveva avere almeno cinquant’anni. Alan dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per tenere sotto controllo l’irritazione e l’inquietudine. Senza dubbio la scampagnata alla magione di Lehcar non aveva giovato al suo ginocchio che, anche se era guarito, ogni tanto si faceva sentire con un dolore sordo e pulsante. A volte capitava, soprattutto quando era passato poco tempo dalla frattura e guarigione dell’osso.
All’ennesima rampa di scale imprecò di nuovo, augurandosi che gli Spiriti, Shamar o chiunque ci fosse lassù facessero soffrire K’yorl tanto quanto stava soffrendo lui.
Quando giunsero all’ultimo piano, la città si era completamente svegliata e nella piazza su cui aggettava l’imponente e magnifica facciata della gilda c’era già chi cominciava a mercanteggiare sul prezzo di questo purosangue o di quell’abito. Nonostante tutto, dai piani inferiori non si udiva alcun suono e, a parte i lampadari di cristallo sopra le loro teste, non sembrava esserci nessun’altra fonte di luce. Alan si domandò se quello non fosse il giorno di riposo e se davvero c’era la speranza di trovarvi la sorella di Samuelle.
Alla fine del corridoio, davanti alla porta della stanza in cui si stavano recando, c’erano due soldati armati con un fucile di lynium, rigidi e tesi come se qualcuno avesse infilato loro un’asta su per il culo. Si spostarono non appena li videro, così come avevano fatto i due vampiri all’entrata. Alan li osservò perplesso. L’unico che sembrava nutrire qualche riserva su quello strano comportamento oltre a lui era Gabriel, che alternava lo sguardo a destra e a sinistra con espressione preoccupata. Maxwell avanzava sicuro davanti a tutti, mentre Rachel occhieggiava annoiata in direzione della statua di Elisabetta Vittoriosa fuori dalla finestra, al centro della piazza.
Con la mano vicino all’elsa della spada, il cacciatore li seguì. Entrato nella stanza, lo stupore scacciò la diffidenza. La luce entrava in raggi obliqui attraverso le finestre slanciate decorate con fiori profilati in piombo, diffrangendosi nei suoi colori in un caleidoscopio di sfumature rosse, blu e giallo opaco. Di fronte a lui, posizionato dietro a un tavolo in quercia gremito di pergamene, ampolle, cacciaviti e chiavi inglesi di ogni misura e circondato da scalinate sospese in aria, c’era un enorme cuore di quello che a prima vista poteva sembrare semplice vetro. Al suo interno, incastrati in un mosaico perfetto, ticchettavano le rotelle bronzee degli ingranaggi, producendo l’energia sufficiente per far pulsare i quattro spessi cavi che si attorcigliavano attorno alla struttura, per poi sparire nel soffitto. Quando Alan si avvicinò, vide che ad ogni battito le rune incise nel bronzo dei dentelli si accendevano e si spegnevano.
- Cos'è questa meraviglia? - balbettò Gabriel.
- È il nostro progetto. -
La voce di Qayin rimbombò nel locale e, mentre avanzavano, la luce del sole accarezzò la figura del vampiro, in piedi sulle scale sospese. Al posto dei suoi abiti eleganti, indossava una camicia grigia macchiata d’olio e un cappotto di pelle marrone dai bordi sdruciti. Le mani erano coperte da un paio di guanti da lavoro, mentre un paio di occhiali da meccanico gli celavano lo sguardo. Nonostante ciò, Alan ebbe la netta sensazione che stesse fissando Rachel.
- Il… vostro progetto? Pensavo che voi tecnomanti progettaste armi e basta. - commentò Gabriel.
Il vampiro gli rivolse un sorriso divertito: - Nonostante ci dipingano come dei guerrafondai, non siamo così senza scrupoli come credete. Come ci chiamano, Temarie? Cani del governo, mi pare di ricordare. -
Oui, anche se nel tempo si sono inventati dei soprannomi anche peggiori. -
Una donna minuta fece capolino dal lato opposto della scala. Era vestita quasi allo stesso modo di Qayin, con la sola differenza che la camicia era stata legata poco sotto il seno, lasciando scoperta buona parte della pancia, e al posto dei lunghi pantaloni da lavoro indossava una gonna corta e delle calze nere rotte in più punti. Il colorito pallido, quasi malsano, accentuato dai capelli neri e bianchi, denotava che era da un po’ che non usciva all’aria aperta. La somiglianza con Samuelle era evidente, ma Alan ammise di preferire la sorella che viveva alla Boulangerie.
Temarie si fece avanti e si accostò a Qayin, poi squadrò Alan con i suoi strani occhi azzurro verdi.
- Chi sarebbero loro, boss? -
- Amici, Temarie. -
Qayin si lasciò cadere giù con un abile salto, atterrando delicatamente come un felino. Con un cenno ordinò alla ragazza di raggiungerlo e quella obbedì.
- Allora, Alan, hai trovato Eluaise? -
- No. -
- Tu lo sapevi. - sibilò Rachel.
Qayin sussultò e spostò lo sguardo su di lei: - Cosa avrei dovuto sapere? -
- Non fare il finto tonto. - sibilò la cacciatrice e lo afferrò per il cappotto.
Il vampiro non provò nemmeno ad allontanarsi. Rimase immobile a fissarla con un’espressione impassibile sul viso granitico.
- Perché non me lo hai detto prima. -
- È passato troppo tempo. -
- Non puoi aver dimenticato una cosa del genere. - rinserrò la presa fino a far sbiancare le nocche, - Avevo il diritto di saperlo. -
Qayin non si scompose e scrollò le spalle.
- Forse, ma cosa sarebbe cambiato? Anche se ti avessi detto che avevamo la stessa madre, avresti comunque continuato a cercare. D’altronde, la caccia è la tua ragione di vita, no? -
Rachel arricciò le labbra in lieve moto di stizza. Alan non fu l’unico ad accorgersene. Gabriel era indietreggiato ulteriormente e la tensione nelle dita di Maxwell tradiva un certo nervosismo. Alan lo spiò, domandandosi quale fosse la natura del rapporto tra Lehcar, Qayin e il suo vecchio maestro.
- Ti ha disturbata conoscere la verità? - Qayin scoprì le zanne in un ghigno beffardo, - Che dire, pensavo fossi una donna razionale, invece ti fai prendere dai sentimentalismi. -
- Non puoi sapere come sarebbe andata, né tu né io lo sappiamo. -
- Oh, mia carissima sorellina! Sei una Slayer. Voi vivete per la caccia e siete parte essenziale di essa. Puoi negarlo, se questo ti fa dormire meglio la notte, ma nel profondo sai che ho ragione. -
Rachel gli rivolse un’occhiata gelida e ridusse le pupille a due ostili fessure verticali. Alan aveva visto quello sguardo decine di volte nei mostri, negli assassini, nei soldati disertori che spadroneggiavano nei villaggi sperduti, e per un istante temette che l’ira di Rachel esplodesse. Lentamente, però, la cacciatrice mollò la presa e indietreggiò con passi cauti, come se da un momento all’altro potesse cambiare idea e saltargli addosso. Solo quando gli si affiancò, Maxwell allontanò la mano dall’ascia.
Dopo un breve attimo di silenzio, Qayin prese la parola: - Allora, vogliamo andare al sodo? -
Alan annuì e sbirciò in direzione di Temarie.
- Ho bisogno di parlare con lei. -
- Perché? -
- Sa qualcosa. -
- Tutto quello che vi ho detto me lo ha riferito lei. - puntualizzò il vampiro.
Alan gli rivolse un sorriso forzato: - Potresti esserti dimenticato di dirci qualcosa. Ti suona familiare? -
- Diffidi forse di me, Slayer? -
- Di te? Io? Assolutamente no. - sbuffò sarcastico, - Ma può succedere di tralasciare dei dettagli. -
Qayin schioccò la lingua e incrociò le braccia sul petto, indispettito, ma non replicò, limitandosi a lanciare un’occhiata obliqua a Temarie, in una tacita esortazione a parlare. Eppure la ragazza restò in silenzio a scrutare Alan in cagnesco, con quei suoi occhi di un azzurro sporco, offuscato come i vetri delle finestre e gli anelli delle catene che tintinnavano appese al soffitto. Era come se l’umidità presente nell’aria glieli avesse ossidati.
Alan, perplesso, ricambiò lo sguardo. Successivamente, la consapevolezza che forse Temarie sapesse dei suoi trascorsi con la sorella lo assalì e in un secondo comprese come mai fosse così indisposta.
“Merda. Devo aspettarmi delle scenate?”
- Temarie? -
- Non c’è nient’altro da dire, boss, tanto meno a degli estranei come loro. -
Alan notò che aveva una voce dura e un accento marcato, nulla a che vedere con la delicata cadenza ancyarese di Samuelle. Inoltre, la sua mascella era più squadrata e gli più zigomi alti.
- Temarie, obbedisci. -
La ragazza si esibì in una smorfia che lasciava ben trasparire tutto il fastidio che provava. Poi, senza cambiare espressione, si terse il sudore dalla fronte e gettò i guanti da lavoro sul tavolo.
- Eluaise era una mia sottoposta. Come penso saprai, noi “cani del governo” ci occupiamo di progettare armi per la nostra amata regina, ma ogni tanto ci dedichiamo anche ad altri progetti. Circa un anno fa, Eluaise ha ripreso alcuni vecchi studi condotti da un certo Cornelius, un tecnomante che si era sempre interessato alla storia dell’Antico Impero, in particolare alla loro tecnologia. -
Alan incrociò lo sguardo di Qayin e, con un sorriso tirato, disse: - Questo non me lo avevi detto. -
Il vampiro levò gli occhi al cielo e sospirò scocciato. Quel silenzio valeva più di mille risposte e Alan dovette ingoiare la bile per costringersi a non sfoderare la spada.
- Quest’uomo, Cornelius d’Arden, era un tipo abbastanza strano, uno di quelli di cui non si fiderebbe nemmeno una nonnina cieca. Studiò due anni all’Accademia di Lenth, ma in seguito fu espulso perché aveva dei voti troppo bassi. Non so cosa abbia fatto nei tre anni che ha passato a gironzolare per New England, ma di solito i maghi falliti o si danno al traffico di sostanze illegali o entrano a far parte di qualche banda poco raccomandabile. -
- Logico. -
- Quando venne da noi riuscì a superare a pieni voti l’esame per entrare nella gilda. Non è mai stato un abile meccanico né ha mai eccelso in fisica o ingegneria, ma aveva delle idee interessanti su vari argomenti. -
- Che genere di idee? -
Temarie lo fulminò con lo sguardo, evidentemente non le piaceva essere interrotta. Un violento colpo di tosse la costrinse ad abbassare gli occhi e si portò una mano al petto.
- Il genere di idee che possono rivelarsi dei colpi di genio come delle enormi cazzate. Sosteneva che, se ci fossimo impegnati, avremmo potuto ricostruire i portali dell’Antico Impero. Arrivò addirittura ad affermare che sarebbe stato sufficiente rimettere in uso quelli vecchi, tenendo semplicemente conto delle modificazioni subite dalle Vene del Drago dall’Era del Fuoco ad oggi. -
- Immagino non sia così semplice. -
- Infatti. In ogni caso, quando si rese conto che i suoi sproloqui erano solo aria fritta, per la gioia di tutti lasciò perdere. Peccato che non buttò i suoi appunti. -
- Scusate, ma non conservate tutti i progetti nella biblioteca centrale? - si intromise Gabriel.
- Purtroppo sì. Qualsiasi idea, fallimentare o meno, rimane custodita negli archivi. Il che non è un male, almeno finché non capitano nelle mani sbagliate. -
Un altro colpo di tosse. Rapida, estrasse un fazzoletto dalla tasca della gonna e si asciugò la bocca, per poi riporlo altrettanto velocemente nel suo nascondiglio di stoffa.
- Non fraintendermi, Eluaise era una ragazza piena di talento. Nei quattro anni che ha passato qui ha ricevuto la possibilità di lavorare e studiare con i migliori, dato che le sue capacità erano riconosciute da tutti, ma da quando ha trovato quelle maledette pergamene ha sviluppato un'ossessione. Si è messa alla ricerca di Cornelius e insieme a lui ha cominciato a lavorare su quei maledetti progetti. -
Alan contrasse la mascella e, ancora una volta, quando incrociò lo sguardo indifferente di Qayin, dovette imporsi la calma. Quante altre informazioni preziose gli aveva taciuto?
“Infida sanguisuga bastarda.”
- Quindi stava lavorando alla costruzione di questi portali? -
- No. Quello semmai era l’intento finale di Cornelius, ma Eluaise mi sembrava molto più interessata al funzionamento in sé e anche alla storia dell’Impero. Non chiedermi a che scopo la stesse studiando, non ero io la sua referente. -
- Fammi indovinare: non mi direte un accidente di quello che stava combinando. -
- Non pensare di essere così speciale, sei solo un semplice Slayer. Certo, sarai anche amico della sorella del boss, ma ciò non ti rende diverso da qualunque altro estraneo che infila il naso nei nostri affari. - lo rimbeccò Temarie.
- Temarie, smettila. - la ammonì Qayin.
- Oh, non avevo dubbi al riguardo, ma non siamo qui per parlare di me. - replicò caustico Alan.
- Forse quello che non si rende conto di come funzionano gli affari qui sei tu. -
- Mi risulta che siate stati voi ad aver commesso una leggerezza: non le avete chiesto chi fosse il committente. Non siete così potenti da autofinanziarvi e sono più che sicuro che abbiate numerosi registri per tenere la contabilità. Secondo me, sapete benissimo chi è stato a fornire il supporto economico necessario a Eluaise e Corvinus e io voglio quel nome. -
Qayin e Temarie si scambiarono un'occhiata fugace.
- Parlate. Tutto quello che sapete ci potrebbe tornare utile. - li esortò Maxwell, gli occhi gialli fissi in quelli del vampiro, - Basta segreti, basta scherzi, non sei nella posizione adatta, Qayin. -
- Mi stai minacciando, per caso? -
- Il mio era solo un consiglio. - dichiarò e si scrocchiò il collo.
- E se il boss non volesse seguire il tuo consiglio? - sputò velenosa Temarie.
- Libero di non farlo. D'altronde la vita si basa sugli stessi principi dell’alchimia. Come si dice? Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. - accarezzò l’impugnatura dell’ascia con noncuranza, - Puoi agire come meglio preferisci, ma pondera bene le tue scelte. Sia mai che le conseguenze siano più disastrose e imprevedibili di quello che pensi. -
Cadde un pesante silenzio, saturo di tensione, minacce e palesi ostilità.
Gabriel fece saettare lo sguardo tra i presenti, i muscoli sempre tesi e pronti a scattare in caso di pericolo, mentre Alan, Maxwell, Temarie e Qayin si fronteggiavano con arroganza.
- Non siamo qui per combattere, Qayin. - esordì Alan.
- Ma se sarete costretti a farlo, non esiterete. Conosco la vostra politica, Slayer. - il vampiro gli rivolse un sorriso sprezzante, - Cosa ci guadagno se vi do tutte le informazioni che vi servono? -
- Non ti puoi accontentare di salvarti la pelle? -
- Gli affari sono affari e ciò che volete vale parecchio. -
- Non ho denaro con me. -
- Quella è proprio l’ultima cosa che mi serve. Abbiamo l’oro della corona e dei privati, più che sufficiente per riempire le casse della gilda. No, voglio una promessa. -
- Una promessa? - ripeté scettico.
- Voglio che giuri sul tuo sangue che, quando verrà il momento, mi darai una mano a fare ciò che è giusto. - proferì solenne, scrutandolo intensamente.
- Che stai farneticando? Io aiutare te? -
- Sei sordo? - sbuffò Temarie.
- Taci. -
La ragazza lo fulminò.
- Prometti? - lo incalzò Qayin.
- Non finché non mi dici di cosa si tratta. -
- Vuoi o non vuoi queste informazioni? - chiese con un sorriso malizioso.
- Sì. - grugnì imbronciato e sospirò sconfitto, incrociando le braccia sul torace.
- E allora prometti e basta. Quando sarà il momento, salderai il tuo debito. -
Il cacciatore contrasse la mascella. Quel patto non gli piaceva per niente, ma pareva l'unica soluzione. Lentamente sfoderò la spada e poggiò la lama sul braccio, all’altezza del gomito, ma prima che l’acciaio incidesse la pelle si sentì afferrare violentemente. Riconobbe quella presa poderosa anche senza bisogno di girarsi e incontrare lo sguardo furioso del suo maestro.
- Non fare l’idiota, Alan. -
- Non ho alternative. -
- C'è sempre un'altra strada. -
- Non abbiamo tempo, Maxwell. Eluaise non ha tempo, io non ho tempo. Se questo giuramento mi farà avere quelle informazioni, e sia. - concluse asciutto.
Maxwell strinse i denti fino a farli scricchiolare, mentre Qayin e Temarie si gustavano la scena con un sorrisetto fastidiosamente divertito. Solo dopo un lungo momento, quasi con riluttanza, il Lycan si fece da parte.
- Accetti? -
La voce del vampiro era melliflua, suadente. Ad Alan ricordò il tono di una puttana quando riesce a rubare i soldi al cliente addormentato. Senza interrompere il contatto visivo, il cacciatore si avvicinò alla scrivania. Poi, con un fluido movimento della mano, affondò il filo della lama nella pelle bianca del braccio. Il sangue sgocciolò sul mogano in un lento, ritmico stillicidio. Qayin catturò una goccia e se la portò alle labbra, spalmandola alla stregua di un rossetto con la stessa accuratezza di una donna poco prima di un incontro galante.
- È di tuo gradimento? - ghignò Alan.
- No, è disgustoso, ma tra poco mi toglierò questo schifoso sapore dalla bocca. -
Temarie intercettò l'ordine del suo capo di continuare il discorso e, prontamente, eseguì.
- All’inizio pensavamo che il contributo venisse da un privato che non voleva far conoscere la propria identità, cosa abbastanza comune, perciò lasciai correre. Non si disdegna mai il denaro. Tuttavia, quando quelle somme cominciarono ad essere ingenti, cominciai ad indagare, più per curiosità che per reale interesse. Cercai di risalire alla sua identità attraverso i movimenti bancari, ma aveva sempre pagato in contanti e il ragazzino che veniva a versare i soldi mi disse di non averlo mai visto. Lo descrisse come un uomo alto, nulla di più. Ogni mercoledì una figura incappucciata andava a casa sua a consegnargli i soldi da versare e spariva subito dopo. -
- Molte persone ti darebbero dell’incompetente. -
- Io sono una tecnomante, non mi occupo di burocrazia. -
- Quindi sei solo un’impicciona. -
- Diciamo che, in quanto suo capo, mi sono avvalsa del diritto di torchiarla finché non ho ricevuto le informazioni che volevo. Quando me lo disse, quasi non ci credevo. - fece una pausa a effetto e ghignò apertamente, - Era stata la Dogma a darle i fondi per quella ricerca. -
Il cuore di Alan mancò un battito: - Mi prendi per il culo? -
- Ti capisco. Anch'io mi stupii, ma in effetti era anche l’unica spiegazione plausibile. Esistono solo tre grandi potenze che possono permettersi di spendere più di centomila raie in un colpo solo. Di una siamo abituali clienti, con l’altra siamo in pessimi rapporti. Non che con la Dogma sia tutto rose e fiori, ma diciamo che era l’unica che aveva tutti i motivi per sovvenzionare quella determinata ricerca. -
- Questa… ricerca è stata la causa dei suoi lunghi viaggi? -
- Mi sembra ovvio. Con quei soldi Eluaise si è potuta permettere di andare in giro in lungo e in largo assieme a Cornelius. -
- Sai dirmi le loro mete? -
- Zeera, Versa, Eartshire… -
- Eartshire? Quando ci è andata? -
- Penso sei, sette mesi fa, ma non ne sono certa. -
- Cosa vi ha detto che stava cercando? -
- Doveva fare dei controlli, ma non scese nel dettaglio. Ricordo che al suo ritorno alla gilda in era provata, stanca e più agitata del solito. Da che la conosco, Eluaise ha sempre sofferto d’insonnia e terrori notturni, ma mai come in quei giorni prima della partenza per Eartshire. -
Alan si morse le labbra e rimase in silenzio per un po’. La tensione delle spalle tradiva la sua angoscia.
- Ha lasciato qualcosa nella sua camera? -
- No. Quando partiva si portava sempre dietro le poche cose che aveva con sé. -
Alan emise un verso frustrato e chiuse gli occhi per riflettere. In quella stanza umida e satura di tensione gli sembrava che gli avessero gettato dell’acido muriatico sul cuore, un cuore soffocato dalle urla trattenute e dalla dolorosa consapevolezza di averla lasciata andare. Non c'era stato quando Eluaise aveva avuto bisogno di lui e ora chissà in che razza di guaio si era cacciata.
- Dobbiamo andare. - disse con voce incolore, fredda, in netto contrasto con la rabbia che gli serpeggiava nella cassa toracica.
- Dove vorresti andare, scusami? - gli domandò Maxwell.
- A Eartshire. -
- Alan, ragiona. Ci è andata sette mesi fa, non è possibile che sia ancora lì. -
- Infatti. - intervenne Gabriel, - Hai sentito cosa ha detto Lehcar, no? È probabile… -
- So cosa ha detto Lehcar, c’ero anch'io. - ringhiò astioso, - Ma è l’unico indizio che coincide con le informazioni che avevo. Eartshire si trova a sud e io mi stavo dirigendo lì. -
- Se volessi aspettare, potrei chiedere a Meredith se riesce a rintracciarla. -
- E quanto ci impiegherebbe? -
- Non lo so, non ho mai provato. Ma potrebbe metterci poco… -
- Poco è troppo per me. - rispose a denti stretti.
- Alan… -
- Zitto. -
Gabriel ammutolì immediatamente. Maxwell gli lanciò uno sguardo indagatore. Alan spostò l'attenzione sulla ferita aperta, che già si stava rimarginando. All'improvviso avvertì l’impellente bisogno di uscire, di sentire l’aria fresca nei polmoni e il vento nelle orecchie.
- Quanto tempo ci mette la ferrovia ad arrivare ad Earshire? - chiese a Rachel.
- Una settimana. Quella contea non è delle meglio servite, la ferrovia e i binari sono sempre in manutenzione. -
- Allora prenderemo dei cavalli e, giunti lì, procederemo a piedi. - decretò.
- Chi ti dà il diritto di… - cominciò Rachel, ma il resto della frase le morì in gola.
Assunse un'espressione concentrata e acuì l'udito, restando in ascolto.
Un grido soffocato, seguito da altri simili squarciò il silenzio.
Maxwell si girò di scatto e afferrò la sua ascia, i denti scoperti in un basso ringhio. Alan sfoderò la spada e arretrò fino a un passo da Rachel, che stringeva entrambe le Bladegun tra le mani. Si scambiarono un’occhiata complice, ma, prima che qualcuno potesse parlare, un’ombra all’angolo del suo campo visivo si mosse rapida.
La finestra esplose in milione di schegge affilate e da essa entrò un uomo. Atterrò aggraziato, quasi non pesasse più di un granello di polvere, e venne loro incontro con spavalderia, come se non temesse alcunché e le armi dei presenti non fossero altro che innocui giocattoli per bambini. Era vestito di tutto punto, con la camicia appena fuori dai pantaloni e il mantello che ondeggiava al ritmo dei suoi passi. Le labbra erano incurvate in un ghigno crudele che esponeva una chiostra di denti appuntiti e arrossati, come le unghie che avevano perforato i guanti intrisi di sangue e frammenti d’ossa. Nella mano destra reggeva la testa mozzata di Chris, il vampiro buttafuori.
Temarie urlò e così fece Gabriel, entrambi con gli occhi sgranati e pieni di terrore. Un terrore atavico, alimentato dalla certezza che quell’essere era il predatore più forte e inarrestabile che l’umanità avesse mai conosciuto. Era lo stesso con cui Alan si era misurato, lo stesso che stava inseguendo Eluaise, lo stesso che aveva devastato la terra durante l’Era del Buio.
Maxwell si girò verso i compagni e sbraitò: - Correte! Correte, presto! -
Qayin non se lo fece ripetere due volte. Afferrò Temarie e Gabriel, che erano i più vicini, per il bavero delle giacche e scattò verso l'uscita. Però, in prossimità della porta, rimbalzò e venne scaraventato a terra, come se una barriera invisibile lo avesse respinto.
- Oh, quanta fretta… in questo mondo non conoscete il rispetto che si deve a un dio? - commentò divertita la creatura e buttò la testa di Chris da una parte con noncuranza.
Prima che Alan potesse reagire, gli strappò dal soprabito la spilla con lo stemma della Dogma e l’aprì, portandosi al naso la ciocca rossa appartenuta ad Eluaise. Se la rigirò tra le dita sporche e inspirò il suo odore. Quei gesti, per quanto semplici, sembrarono alquanto osceni e disgustosi.
Alan represse a fatica un conato e un moto di rabbia omicida. Rinserrò la presa sulla spada e indietreggiò, imitato da Rachel e Maxwell.
- Suvvia, mettete giù quelle armi. Voglio solo fare due chiacchiere. - li blandì, come fa un genitore con i figlioletti discoli, e un altro ghigno grottesco gli deformò la bocca.
  
  
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