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Autore: Allymc89    18/05/2016    4 recensioni
La morte è nel destino degli shinobi, lo sanno tutti. Ma uno di loro non ci sta; ha già visto troppe persone morire e troppe persone piangere i propri cari. E non vuole più vedere lacrime, soprattutto le sue. Durante la quarta guerra ninja, un sacrificio fatto per amore rischia di passare inosservato. Questa è la mia versione di come mi piacerebbe che fossero andate le cose.
E' la mia prima fic; dopo essere stata un'accanita lettrice, ho deciso di scrivere sulla mia coppia canon preferita, spero di avervi incuriosito e che mi facciate sapere cosa ne pensate!
(Ho cambiato il rating in giallo per via di una scena nell'ultimo capitolo)
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sabaku no Gaara, Shikamaru Nara, Temari, Un po' tutti | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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(Oggi a Konoha)
 
 
 
Shikamaru aveva deciso di scoprire quali fossero le intenzioni del misterioso shinobi di Suna e si era ritrovato a seguirlo a distanza per i corridoi. 
Lui per primo era sorpreso che la curiosità avesse avuto tanto facilmente la meglio sulla sua proverbiale indolenza. Un sorriso amaro si formò spontaneamente sulle sue labbra: chissà che cosa ne avrebbe pensato lei..
Ma represse immediatamente quel pensiero. Non era certo per un improvviso moto di operosità che Shikamaru fosse diventato così attivo. Nient’affatto, aveva semplicemente appurato che la costante attività fosse l’unico modo in cui riusciva a tenere a bada pensieri per il momento troppo scomodi. Perciò momenti di ozio o anche di attesa, come prima in sala d’aspetto, rappresentavano l’incubo peggiore per il nuovo Shikamaru.
Il giovane Nara non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto continuare così e forzare la sua natura incline all’ozio ma da quando la sua seccatura più grande non c’era più, non trovava pace nemmeno ad osservare le sue adorate nuvole.
Lo shinobi della Sabbia sembrava muoversi con sicurezza in quel labirinto di reparti e corridoi e svoltato l’angolo si introdusse nei laboratori chiudendo la porta alle sue spalle.
Shikamaru si avvicinò il più silenziosamente possibile alla stanza, azzerando il proprio chakra per non farsi notare. Le voci erano troppo basse per poter capire i discorsi ma Shikamaru spalancò gli occhi quando riconobbe con chi lo shinobi straniero stava parlando.
 
 
Si trovavano tutti nella camera di Kurenai: la donna aveva da poco dato alla luce una bambina stupenda che teneva tra le braccia. La piccola, a cui era stato dato nome Mirai, dormiva placidamente mente la madre la carezzava la testolina ricoperta da una rada peluria scura.
Choji aveva sistemato i fiori sul comodino della neomamma pensando che per quanto la stanza fosse piena di gente la mancanza del maestro Asuma fosse più opprimente che mai.  
Ino sospirò: lei aveva da poco perso suo padre ma si sentiva comunque immensamente fortunata se si paragonava a quella piccola creatura. Almeno lei aveva vissuto con Inoichi sedici anni e ora portava dentro di sè dei ricordi meravigliosi, mentre la piccola non avrebbe mai conosciuto il suo stesso padre.
Ino si ripromise che appena la bambina fosse cresciuta le avrebbe raccontato tutto quello che sapeva di Asuma-sensei; Mirai doveva sapere che grande uomo, shinobi e sensei era stato suo padre.
Quando l’orario delle visite si era concluso e tutti si erano congedati, Kurenai pregò Shikamaru di rimanere ancora un po’.
Il ragazzo fissava quel piccolo miracolo dormire nella culletta: aveva gli occhi gonfi e chiusi e i pugnetti serrati abbandonati ai lati della testolina.
“Credi che gli assomigli un pochino?” Kurenai aveva rivolto quella domanda mentre guardava la figlia dormire con una tenerezza infinita. Non c’era bisogno di chiedere a chi si riferiva.  
“No..” bofonchiò lui “è troppo carina!” Shikamaru aveva fatto quella battuta solamente perché sperava di strapparle un sorriso. Senza fraintendere, Kurenai non aveva mai smesso di sorridere alla figlia, ma c’era sempre un velo di tristezza in quegli occhi e il Nara si sentì meglio per essere riuscito a squarciare quel velo, anche se solo per pochi secondi.
Quando durante lo tsukujomi infinito aveva “sognato” Asuma e Kurenai tenere in braccio il loro primogenito, gli erano parsi così felici e adesso, seduto in quella camera di ospedale, pensava che era così che doveva essere. Pensò che non dovrebbero esserci ombre sui visi di due neogenitori; il loro dovrebbe essere uno di quei rari momenti della vita che niente può rovinare, un momento di pura gioia.
Kurenai aveva riso e poi aveva preso la mano di Shikamaru. “Tu come stai?”
Il ragazzo non si sorprese più di tanto a quella domanda. Dopo la morte di Asuma sembrava che l’ abilità del suo maestro nel leggerlo dentro fosse passata magicamente a lei. E questo a tratti lo infastidiva e lo faceva sentire inutile, ma pensava anche che fosse un sollievo avere qualcuno che lo capisse.
Tuttavia cercò di deviare il discorso: “Io sto bene, tu piuttosto? Hai bisogno di qualcosa? Se vuoi posso portar-“ “Shikamaru” lo interruppe lei stringendo la presa sulla sua mano “Io sto bene, davvero, ora stiamo parlando di te” “Non c’è niente da dire” tagliò corto il ragazzo.
“Pensi di andare a trovarla prima o poi?” chiese lei esitante.
“No”
Kurenai sospirò e Shikamaru abbassò lo sguardo: “Ormai è troppo tardi”.
“Shikamaru, non sai quanto mi dispiace vederti in questo stato! Se posso darti un consiglio, non lasciare che i rimpiant-”
Il Nara scosse la testa e si alzò.
Gli spiaceva andarsene, ma a quanto pare la donna non avrebbe lasciato perdere il discorso nemmeno il giorno della nascita della figlia e lui non se la sentiva ancora di affrontare l’argomento.
“Ora devo proprio andare, ancora congratulazioni Kurenai. Torno domani. Fammi sapere per qualsiasi cosa hai bisogno”.
Che vergogna, pensò, ma che uomo sono?
Come posso essere un appoggio per Kurenai e per sua figlia, quando non riesco nemmeno a risollevare me stesso? Non riesco nemmeno a parlare di lei..
Un ultimo sguardo alla neonata e Shikamaru stava già scendendo le scale del reparto maternità. Strinse il pugno e serrò le mascelle; maledizione era scappato un’altra volta!
Questo non è il tipo d’uomo che voglio essere. Mio padre e il maestro Asuma non mi hanno cresciuto perché scappassi davanti al dolore e alle difficoltà.
Il Nara era furioso con se stesso: era tempo di andare avanti, basta piangersi addosso, ora c’era una bambina che aveva bisogno di lui.
 
Mentre percorreva la strada di casa; Shikamaru ripensò a quello che aveva visto, o meglio sentito, poche ore prima..
 
Acquattato dietro la porta, Shikamaru aveva riconosciuto la voce di Tsunade!
Perché uno shinobi della Sabbia si incontrava in segreto con il quinto Hokage? Era evidente che i due non volessero essere visti: quello non era certo l’ufficio della Senju e il jonin era stato molto attento a passare il più possibile inosservato, senza contare che stavano praticamente bisbigliando.. No, non c’erano dubbi e la cosa era molto sospetta.
Shikamaru vide la maniglia della porta piegarsi e face appena in tempo a nascondersi dentro la stanza più vicina che i due erano usciti nel corridoio. Il Nara tese l’orecchio più che potè.
“Tenetemi informata sulle sue condizioni, se tutto procede come previsto ci rivediamo qui tra 15 giorni, solita ora, per la nuova dose”
“Il Kazekage desidera rinnovare i suoi ringraziamenti per il vostro aiuto e la vostra discrezione, Tsunade-sama”
“Non c’è problema” lo congedò lei, “puoi andare”.
Shikamaru era rimasto nascosto ancora qualche minuto per prudenza, finchè non sentì il corridoio completamente silenzioso. Il jonin di Suna aveva parlato di aiuto e lei di una dose.. Tsunade era un abilissimo ninja medico, oltre che uno dei nija leggendari, era possibile che il Kazekage avesse bisogno dell’intervento di un dottore? Era malato? o forse..
Ma allora perché tutta questa segretezza? Il Kazekage aveva esplicitamente richiesto discrezione, perché?
Shikamaru non lo sapeva, ma di una cosa era sicuro; esattamente tra 15 giorni lui sarebbe tornato lì per spiare la loro conversazione. Se c’era anche solo la minima possibilità che questa storia avesse a che fare con Temari, lui doveva saperlo.
   
 
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